CARANO DONVITO, Giovanni
Nacque a Gioia del Colle (Bari) il 30 giugno 1873 dal notaio Francesco Carano, discreto proprietario terriero di Palagiano, presso Taranto, e da Carmela Donvito, anch'essa di famiglia proprietaria gioiese. Compiuti i primi studi nel liceo Archita di Taranto, dove già ebbe modo di manifestare precoci doti di letterato, si laureò in giurisprudenza nel 1896 presso l'università di Macerata, dove aveva avuto il suo primo maestro nelle scienze economiche e finanziarie in Alberto Zorli; rimasto legato a tale università, vi conseguì nel 1904 la libera docenza in scienza delle finanze e diritto finanziario. Abilitato alla professione forense, che non eserciterà, proseguì gli studi in Germania, dove a Monaco di Baviera fu nel 1900 allievo apprezzato dei liberisti Lujo Brentano e Walter Lotz, e dove divenne amico di Josef Kaizl, del quale doveva curare nel 1903 la traduzione italiana della Finanzwissenschaft. Ma fu il mondo universitario napoletano, dei Nitti e dei Graziani, dei Musco e dei Barillari, a dare rimpronta definitiva alla formazione del C.: qui egli stabilì legami ed amicizie mai più dismesse, e sul piano culturale e su quello scientifico, che trovavano il loro raccordo intellettuale e morale con l'altro suo mondo, quello della provincia agraria, nell'austera figura del Fortunato, il vero "caposcuola", cui fu legato da amicizia e profonda ammirazione (cfr. il suo La politica finanziaria in rapporto alla questione meridionale nel pensiero e nell'opera di G. Fortunato, in Giustino Fortunato [1848-1932], Roma 1932, pp. 113-133). All'università di Napoli fu libero docente e professore pareggiato di scienza delle finanze a partire dal 1905, fondandovi e dirigendo quella Rivista di legislazione tributaria cui dal 1907 chiamò a collaborare i migliori nomi della scienza finanziaria italiana.
Di queste influenze, nonché di quella altrettanto fondamentale del De Viti De Marco e dell'Einaudi (salvo ad aggiungervi suggestioni piuttosto scontate verso la teoria politico-sociologica della finanza), sarà sempre sostanziata l'impostazione dei suoi lavori di schietta economia finanziaria, a partire da quel primo Studio critico dei mezzi di accertamento in diritto tributario. Parte generale, Gioia-Macerata s.d. [1898] (prefato dallo Zorli, con il quale nello stesso anno egli compilava un Codice del contribuente, e al quale continuerà a sentirsi legato: cfr. Di un nuovo metodo nella trattazione della economia politica, in La Riforma sociale, XXXVI [1925], pp. 470-76). Con esso s'inseriva felicemente nella tendenza in atto a porre al centro delle investigazioni la teoria dell'imposta, e in particolare proprio gli aspetti dell'accertamento e della valutazione da un lato, degli effetti economici dall'altro (e qui si vedano soprattutto: Degli effetti dell'ordinamento finanziario e della pressione tributaria in ispecie nelle relazioni fra Stato e individuo, Gioia 1901; I teoremi fondamentali della statica e della dinamica finanziaria, Torino 1904, dedicato al Graziani, che ne fu poi benevolo recensore sul Giornale degli economisti; Trattato di diritto penale finanziario, Torino 1904-05, dedicato a Nitti; le Considerazioni sulle ripercussioni dei dazi doganali, in Rivista di legislazione tributaria, III [1909], pp. 1-8; e sino alle Riflessioni sui fondamenti della finanza pubblica e della politica finanziaria, in Economia, IX [1926], 7, pp. 20-32, e ai Lineamenti di scienza e di politica finanziaria, in Arch. scient. d. R. Ist. sup. di sc. econ. e comm. Bari, I-II [1926-28], pp. 265-94, nei quali ultimi due il nuovo è semmai avvertito sul piano politico-sociale, senza però intaccare un fondo scientifico ormai tradizionale e piuttosto anchilosato). Non a caso il C. fu acceso sostenitore della separazione dell'insegnamento delle materie economiche da quelle giuridiche (cfr. ad es. in Rivista popolare, XX [1914], pp. 155 s.), e invece del loro stretto rapporto con quelle ragionieristiche (Economia e ragioneria, in Giorn. degli econ., LXII [1922], pp. 174-76).
Nel 1904 il C. partecipò al concorso per cattedre di insegnamento negli istituti tecnici: e insegnò economia politica e scienza finanziaria e statistica prima a Trapani, lontano dai suoi interessi culturali e familiari (1905: proprio l'anno del suo matrimonio con Luisa Ricciardi, da cui avrà una sola figlia), poi finalmente trasferito, ma a Foggia, nell'agosto del 1907; insegnò inoltre ai corsi della R. Scuola superiore per gli allievi ufficiali della guardia di finanza in Caserta (di cui restano le lezioni: La imposizione indiretta nella scienza delle finanze e nel diritto finanziario, Caserta 1914 e Lezioni di scienza delle finanze, Putignano 1915). Allo istituto tecnico di Bari nel 1924, fu peraltro quasi subito comandato per ricoprire l'incarico di politica economica (materia che veniva allora a sostituire quella di politica commerciale e legislazione doganale) nel R. istituto superiore di scienze economiche e commerciali: lo tenne ininterrottamente dal 1925-26 al 1932-33, abbinandovi quello di scienza delle finanze e, per qualche anno, anche la storia economica, verso la quale andava slargando, e rinchiudendo al tempo stesso, i suoi interessi. Vi tenne pure corsi di specializzazione coloniale (cfr. Finanza coloniale, in Rivista di polit. econom., XXIV 1193-41, pp. 870-78, 1301-08; XXV [193-5], pp. 463-72, 986-96, 1229-36).
Notevole ed esercitato con passione fu il suo magistero nell'istituto barese, a fianco di colleghi come il Demaria, il Colamonico, il Milone, il Monti. Qui anzi la sua immutata coerenza teorica, e cioè la derivazione neoclassica e lo strenuo liberalismo in politica economica acquistano il sapore di una significativa testimonianza (cfr. Appunti di politica economica, Bari 1927; 2 ed., ibid. 1932-33; Prolegomeni di politica economica, in Economia, X [1927], pp. 81-102, nei quali il rifiuto delle chiusure autarchiche in spregio del principio di ottimizzazione delle risorse si accompagna alla critica di stampo einaudiano al Keynes del The end of laissez faire). Eloquente d'altronde fu la motivazione con la quale il ministro F. Ercole lo esonerava, dall'11 maggio 1933, dall'incarico facendo subentrare nella sua cattedra l'on. Attilio Da Empoli, e trasferendolo (ma fu poi dispensato da assumervi servizio) all'istituto tecnico di Bergamo: si trattava di insegnamenti "non conformi alle direttive del governo", fondati su "tutte le vecchie teorie rappresentate dai Loria, Gini, Einaudi, Croce, Coletti, Smith ecc. ecc.", e ignoranti "totalmente il fascismo e il corporativismo".
In realtà, la personalità del C. va seguita soprattutto nella fitta collaborazione alle maggiori riviste economiche operanti nell'arco del primo quarto di secolo: di casa in quelle saldamente in mano liberista, come il Giornale degli economisti e Rivista di statistica o L'Economista, egli acquisì in pieno, sentendola sua, la lezione concretistica de La Riforma sociale, prima nel rapporto col Roux e col Nitti e poi più organicamente, a partire dal luglio 1901, con l'Einaudi. Una lezione che lo porterà sul terreno del liberismo radicale de L'Unità salveminiana sin dalla sua fondazione in quell'importante scorcio del 1911, e gli consentirà di accettare il confronto di idee dalle stesse colonne della Rivista popolare di politica,lettere e scienze sociali del Colajanni. Costante, e motivato, fu pure l'incontro con la Rivista internazionale di scienze sociali. Va da sé che, al di sotto di quest'attività di primo piano, radicato com'era nella società meridionale del tempo, egli ne svolgesse una altra, incessante e in cui fortemente credeva, di divulgazione, a volte quasi didascalica, di quelli che per lui erano i sani principi economici, partendo però sempre dalle questioni dell'attualità o anche municipali: va per lo meno ricordata l'opera profusa a piene mani su Il Foro delle Puglie,Corriere delle Puglie, la romana Finanza italiana,Il Rinnovamento dello Zanelli, Il Fanfulla barese, Humanitas,L'Avvenire delle Puglie, il romano Il Tempo,Il Corriere d'Italia. Fu redattore del Giornale delle Camere di commercio.
Accanto all'amico Nitti, fece parte nel 1909, in qualità di delegato tecnico, della commissione parlamentare d'inchiesta sulle condizioni dei contadini meridionali presieduta dal Faina, pubblicandone i Dati sulle finanze locali del Mezzogiorno (in Inchiesta parlam. sulle condiz. dei contadini nelle provincie meridionali e nella Sicilia, Monografie speciali, VII, 3, Roma 1909). Un altro contributo, anche questo, che andava nella direzione in cui da tempo s'era posto: rifuggire dalle grandi ma astratte discussioni, da quella specie di "buddismo meridionalista", come dirà più tardi, per dedicarsi ai problemi concreti "nella massima purità francescana" (Il vecchio e sempre nuovo argomento, in Il Mondo, 3 giugno 1925, p. 4).
Era partito, sull'abbrivo nittiano e un anno prima del saggio fondamentale di Fortunato, col porre al centro dell'attenzione lo squilibrio che colpiva il Mezzogiorno, agricolo e in ritardo, sul piano tributario (Il nostro sistema tributario e la crisi meridionale, in La Riforma sociale, X [1903], pp. 1006-22): di tale squilibrio indagò poi le origini storiche, aprendosi alla riflessione da un lato sulla politica finanziaria seguita dal regime borbonico convenientemente collegandola alla generale arretratezza del Regno meridionale, dall'altro sul modo in cui s'era venuto formando il sistema tributario postunitario (cfr. Le entrate della finanza locale nell'ex Regno delle due Sicilie in rapporto alle condizioni delle classi rurali, in Rivista di legislazione tribut., III [1909], pp. 241-50; Il tributo fondiario nell'ex-Regno delle due Sicilie nei rapporti con le condizioni delle classi rurali, in Rivista popolare, XVI [1910], pp. 72-76, 159-61, 186-99; La finanza del nuovo Regno d'Italia e i suoi effetti sulle condiz. delle classi rurali nel Mezzogiorno e Sicilia, in Giornale degli economisti, s. 3, XI, [1910], pp. 493-541; Le spese pubbliche in rapporto alle condizioni delle classi rurali dell'ex-Regno delle due Sicilie, in Riv. di legislazione tributaria, IV [1910], pp. 1-14, 154-63; Le imposte indirette nella finanza di Stato dell'ex Regno delle due Sicilie,ibid., VI [1912-13], pp. 3-22); per sboccare nella discussione apertasi su La riforma tribut. (in L'Unità, 13 luglio 1912, pp. 123 s.; La riforma della finanza comunale,ibid., 28 sett. 1912, pp. 167-168; Per la riforma tributaria,ibid., 9 novembre 1912, p. 192) ben al di là del semplice affidamento nel Principio della mutualità e della cooperazione nella finanza locale (in Rivista di legislazione tributaria, II [1909], pp. 74-77). Accanto alla questione tributaria, quella del regime doganale, destinata forse più della prima ad evidenziare il senso della operazione di coagulo delle forze antigiolittiane del liberismo radicale e di quello conservatore posta in essere dal Salvemini nel 1912 attorno a L'Unità: uomini come il C., venuti alla rivista sull'onda dell'avversione all'impresa libica (cfr. Colonia e madrepatria, in L'Unità, 13 genn. 1912, pp. 17-19; Illusioni tripoline,ibid., 30 marzo 1912, p. 63), vi continuavano in realtà, cercando di aggiustarne il tiro, una polemica scientifica e pratica da tempo in atto nella cultura economica e tra le forze sociali, la cui posta erano i termini stessi dello sviluppo economico del paese (cfr. I nuovi rigori del protezionismo, in Riv. intern. di scienze sociali, LI [1909], pp. 28-60; Il protez. e la dinamica econom. soc., ibid., LVII [1911] pp. 433-49, e LVIII [1912], pp. 23-51, 159-83; Del regime finanziario e del regime doganale in ispecie delle colonie, in L'Economista, XXXIX [1912], ad Ind. d. vol.; Saggio sugli effetti dei dazi doganali,ibid., XI, 1191-31, ad Ind. d. vol.; Politica doganale e agricoltura meridionale, in L'Unità, 21 marzo 1913, pp. 266 s.; La rinnovazione dei trattati di commercio e le condizioni dell'agricoltura, in Giornale degli economisti, XLVI [1913], pp. 533-42). Schierato decisamente su questa posizione di intransigente liberismo concorrenziale che solo col tempo ammorbidirà, erede anche nelle sue patenti contraddizioni del libero scambismo risorgimentale della borghesia agraria meridionale, il C. cercò a più riprese di motivarne le ragioni teoriche (cfr. Trattato di economia commerciale e di istituzioni doganali, Torino 1907; Il commercio internazionale e la teorica del costo comparativo, Lucca 1913; Rilievi sui dazii di confine, in Arch. scient. d. R. Istituto super. di scienze economiche e commerciali Bari, III [1928-29], pp. 109-126) ovvero di inserirla nel più vasto quadro internazionale non solo in presenza del wilsonismo(Per la lotta antiprotezionista. La necessità di un movimento internazionale, in L'Unità, 31 ott. 1911, p. 402; Neo-liberismo nordamericano, in Rivista popolare, XX [1914], pp. 209-14; ma anche quando ormai la direzione imboccata dal sistema era tutt'altra (È possibile la riduzione autonoma delle tariffe doganali?, in La Riforma sociale, XLIII [1932], pp. 298-302), o ancora di misurarla coi problemi del lavoro (Contributo alla teorica generale dello sciopero,ibid., XII [1905], pp. 173-93; Lo Stato e gli scioperi, in Rivista popolare, XI [1905], pp. 420-23; La determinazione fondamentale del salario e il costo di produzione del lavoro, in Riv. internaz. di scienze soc. e discipline ausiliarie, XLIV [1907], pp. 532-45; XLV, pp. 45-56). Come già per la proposta di introdurre in Italia l'imposta progressiva sul reddito, come per il contrasto individuato tra espansione coloniale e interessi dell'agricoltura del Sud, così anche la lotta antiprotezionista veniva presentata dal C. sotto il segno del "meridionalismo". Così dicasi per il favore con cui guardava alla emigrazione (cfr. la prolusione tenuta all'università di Napoli per l'anno accademico 1906-07: Emigrazione e finanza, in La Riforma soc., XIV [1907], pp. 711-724).
Aveva aderito ovviamente nel '12 alla Lega antiprotezionista, nel quadro di questo meridionalismo e della fiducia nelle leggi "naturali" del sistema, dell'avversione quindi per quelle forme di protezione statale che si sosteneva foriere del parassitismo economico. Al movimento degli insegnanti il C. partecipò invece limitatamente, collaborando saltuariamente ai Nuovi doveri e a La Corrente. Propugnò piuttosto, con impegno, l'istituzione a Bari di una università degli studi.
Interventista, per quanto non acceso, anche per lui come per tutto il liberalismo italiano, e in particolare per il blocco agrario meridionale, il dopoguerra doveva essere foriero di crisi profonda e di affannosa ricerca di nuove dislocazioni. Di sentimenti cattolico-solidaristici (va ricordata la sua amicizia col Ciasca), il C. intravede nel '19 la possibilità della nuova aggregazione sociale nel partito popolare, che tenta di organizzare a Gioia, alla cui vita amministrativa, pur prendendo le distanze dalla corruttela filogiolittiana; aveva spesso partecipato (cfr. L'abolizione della cinta daziaria nel comune di Gioia dal Colle, in La Riforma sociale, IX [1902], pp. 579-584); egli segue con interesse il progetto di riforma tributaria Meda; vede la necessità che la borghesia, di fronte alle agitazioni sociali in atto, "si coalizzi, specie politicamente, salda e compatta..., perché questo vento di follia, questo momento di patologia sociale sia superato col minor danno possibile per tutti" (Il mov. operaio al lume della storia, in Humanitas, 25 apr. 2 maggio 1920, p. 69).
Il programma dell'amico Nitti non lo convince. Ma a trarlo dall'incertezza penserà il fascismo, e bisognerà attendere naturalmente il '24 perché ci sia chiarezza. Peraltro, da allora in poi la sua posizione di vecchio liberale, per quanto perdente e via via sempre più sfiduciata, risulterà limpida: collabora al Giornale d'Italia del Vettori, aderisce al comizio antifascista tenuto a Bari il 5 aprile 1925, firma nel maggio il manifesto degli intellettuali antifascisti, collabora al Mondo di Amendola e, con assiduità, alla Rivoluzione liberale di Gobetti, erede per alcuni versi de L'Unità salveminiana.
Nel ventaglio di temi trattati in questo complesso periodo si possono individuare tre filoni. Il primo, carico fin troppo del clima dell'aspra lotta di classe divampata nelle campagne pugliesi alla fine del conflitto, risponde puntualmente all'evolversi del ciclo economico agrario in quegli anni e al suo riflettersi sui rapporti sociali, in primo luogo sul processo di erosione del latifondo. Già scettico sui risultati delle quotizzazioni, il C. è ora indotto dalla considerazione degli effetti della deflazione del '19-'23 nonché dalla durezza dello scontro sociale (cfr. di lui La tragedia agraria di Gioia dal Colle, pubbl. in La Riforma Sociale, XXXIII [1922], pp. 386-98) a misurare il proprio modello di liberismo agrario a livello concreto di strutture produttive investite dalla crisi come quelle della parte meridionale dell'Alta Murgia e in genere della Puglia (La terra ai contadini, in Humanitas, 6 genn. 1918, pp. 1 s.; 13 genn., pp. 13-15; 20 genn., pp. 20-22; 27 genn., pp. 27-29, rifluito in parte anche sul Giornale degli economisti, LVII [1918], col diverso titolo de Il motivo eterno della "terra"; Cooperativismo agricolo e terre incolte in Capitanata, in La Riforma sociale, XXXIV [1923], pp. 346-64; Il dazio sul grano, in La Rivoluz. liberale, 2 genn. 1925, p. 2; Il protez. granario e l'econ. merid., in Corriere econom., 9 ag. 1925). La mancanza di prospettive operative, il fallimento del conservatorismo liberale emergono qui in tutta la loro crudezza, divaricando sempre più il riconoscimento della tendenza alla socializzazione (contrapposta però nettamente al "socialismo burocratico") dall'astratto inno al Self-help (in Il Tempo, 4 marzo 1920). Più valido il secondo motivo ricorrente in questi anni: l'esame dei processi inflattivi e deflattivi sia sul piano teorico che nelle loro conseguenze negative sull'economia meridionale (Riflessioni sullamoneta, in La Riforma soc., XXXV [1924], pp. 262-69; Banche e "banchismo", in La Rivoluzione liberale, IV [1925], p. 38; L'inflazione e il Mezzogiorno, in Giornale degli economisti, LXVI [1926], pp. 216-27; La deflazione neiriguardi del Mezzogiorno,ibid., LXVII [1927], pp. 120-37; Il feticismo della deflazione, in Barometro economico, gennaio 1932). Va a questo proposito ricordata la sua significativa collaborazione al Corriere economico del Lanza, configurata com'è in senso critico della politica economica e monetaria del regime dimentico dell'iniziale liberismo.
Infine, e con caratteri sempre più assorbenti, che fanno tutt'uno col dignitoso isolamento in cui la vicenda sociale lo andava ponendo, la ripresa crescente del suo interesse per la riflessione storica. Il mondo passato come rifugio dalle amarezze del presente, secondo una tendenza comune a molti ma che in lui assunse solo a tratti una veste rigorosa, mantenendosi in genere a livello o di erudizione o di compilazione. Le nuove collaborazioni, a riviste come la Rivista di politica economica,Rinascenza salentina,Iapigia, sino all'Archivio storico pugliese, sono di questo tipo. Ed è significativo però che la considerazione storica economica postunitaria venisse modificandosi nel senso di una diversa valutazione sia del rapporto col regime borbonico (da Le condizioni del Regno di Napoli ai primi albori del Risorg., in La Rivol. liberale, IV [1925], p. 120, per arrivare a Le manifatture del Reame nella espos. del 1830 in Napoli, in Studi in onore di G. Luzzatto, III, Milano 1950, pp. 34-42), sia dei primi decenni sino allo spartiacque del 1887, prima da lui considerati con ben altro segno positivo, in quei vecchi ma più pregnanti saggi di storia finanziaria che si sono citati, e che l'amico Zanotti Bianco gli ripubblicò in quella che resta la silloge migliore della sua opera: L'economia meridionale prima e dopo il Risorgimento, Firenze 1928. Come sarà lo stesso Zanotti a raccogliere in seguito numerosi scritti sugli Economisti di Puglia (ibid. 1956), tra i quali vanno segnalati quelli su Palmieri e su Cagnazzi non solo per la loro ampiezza ma anche per una qualche maggiore affinità con quegli uomini di un passato meridionale meno lontano da lui di quanto potesse apparire.
A stimolarlo a questo genere ultimo di studi era stato ancora l'Einaudi (cfr. Rivista di storia economica, I [1936], pp. 144-48), nel mentre il Fortunato lo incoraggiava alla storia anche municipale (apparirà postuma, a cura di A. Donvito, la Storia di Gioia dal Colle, Putignano 1966).
Stanco e malato, il C. non partecipò se non alla lontana, relegato nella sua Gioia, alla vita civile e culturale del secondo dopoguerra. Vanno comunque ricordate le collaborazioni a Lo Stato moderno, a Risorgimento liberale, agli Studi economici ed aziendali.
Morì a Gioia del Colle il 23 apr. 1949.
Fonti e Bibl.: Gioia del Colle, Carte Carano Donvito, presso il prof. A. Donvito (gentilmente concesse in lettura); Università degli studi di Bari, Archivio del personale, fasc. G. C. D.; G. Fortunato, Il Mezzogiorno e lo Stato italiano, Bari 1911, II, pp. 352-66; A. Fraccacreta, Sulla economia del Mezzogiorno..., Bari 1928, pp. 7-24; C. Colella, Burrascosa fine d'anno 1925, in La Gazzetta del Mezzogiorno, 29 dic. 1945; J. Tivaroni, Ricordi di un vecchio docente di scienze economiche, in Riv. di polit. economica, XXXIX (1949), pp. 871-94; A. Lucarelli, G.C., in Arch. stor. pugliese, II (1940, pp. 167-75; U. Z[anotti] B[ianco], In memoriam: G.C.D., in Arch. stor. per la Calabria, XVIII (1949), pp. 88-91; G. D[e] M[arco], C. D. ..., in La Voce repubblicana, 26 sett. 1950; F. Golzio-A. Guerra, G.C.D., in La cultura del '900 attraverso le riviste, V, "L'Unità", "La Voce politica", Torino 1962, p. 900; A. Donvito, Biografia, in G. Carano Donvito, Storia di Gioia dal Colle, cit., 1966, pp. IX-XV; P. Del Prete-T. Surico, Commemor. di G.C.D., Putignano 1967.