ARAGONA, Giovanni d'
Quarto figlio di re Federico III di Trinacria e di Eleonora d'Angiò, nacque nella primavera del 1317. Dotato di ricchi feudi (Mineo, Alcamo, Francavilla, Torino, Malta, Pantelleria), alla morte di Federico nel 1337, in virtù appunto del testamento paterno vide elevato al rango di marchesato, fino allora mai conferito in Sicilia, la sua signoria di Randazzo, ottenendo un posto di grande rilievo nella feudalità siciliana.
Poco dopo, nel 1338, alla morte di suo fratello Guglielmo, ebbe anche il ducato di Atene e Neopatria, ma non vi esercitò grande influenza di govemo, perché la sua attività politica si svolse prevalentemente in Sicilia.
Nella lotta fra i due partiti latino e catalano l'A. fu alla testa di quest'ultimo m opposizione al fratello, il re Pietro II, troppo aperto alle suggestioni della madre, della moglie Elisabetta e degli influentissimi Palizzi, capi dei "latini". Ritornò tra loro la concordia con la sconfitta navale di Lipari del 1339, che diede il senso preciso della pericolosa minaccia angioina e della necessità di fronteggiarla, nonostante l'opposizione dei Palizzi che tentarono di porre l'A. in cattiva luce presso il fratello, re Pietro, accusandolo di complottare per togliergli la vita e il trono. L'A., deciso allora a incontrare il fratello ed a chiarire le accuse rivolte contro di lui, si mosse in armi da Catania verso Palermo nel giugno 1340 e superando ogni ostacolo raggiunse la capitale: l'incontro fra i due si risolse in piena riconciliazione, con la nomina di Giovanni a vicario del Regno e l'esilio dei Palizzi.
L'A. diede nuova energia alla politica siciliana fronteggiando vigorosamente la nuova offensiva degli Angioini che nel giugno del 1341 erano sbarcati nei pressi di Milazzo e ne avevano iniziato l'assedio. Moriva poco dopo il re Pietro lasciando un bimbo, Ludovico, a succedergli: gli pose perciò accanto sempre Giovanni come vicario fino al raggiungimento della maggiore età del giovanissimo sovrano.
Giovanni seppe abilmente destreggiarsi fra le forze politiche siciliane, evitando che il contrasto fra la parte "catalana", a cui egli era in fondo favorevole, e la parte "latina" dovesse giungere ad una aperta rottura, specialmente quando la regina vedova Elisabetta cominciò a favorire gli avversari del vicario, ma senza nessun risultato: anzi una rivolta contro l'A., fomentata in Messina nell'ottobre 1342 con la falsa notizia della sua morte (egli era in realtà solo ammalato a Siracusa), venne facilmente domata.
Rivolse allora tutta la sua cura al riordinamento del paese; già nel settembre 1342 aveva imposto una "cabella moliture" per provvedere alla difesa del Regno, poi nel dicembre dello stesso anno richiese lo "ius adduamenti" ad ecclesiastici e baroni, ed altre gabelle "pro constructione galearum".
Questo massiccio rafforzamento militare, se da un lato rinsaldò la posizione dell'A. di fronte alle fazioni siciliane, si rivelò provvidenziale al momento della nuova offensiva angioina nel 1345, quando Goffredo Marzano, conte di Squillace, si presentò alla testa d'una flotta napoletana per attaccare, senza esito, Messina.
È, stato giustamente notato (cfr. I. La Lumia, Storie Siciliane, II, p. 74 e F. Giunta, Catalani ed aragonesi, I, p. 28) come un nuovo soffio d'unità e fratellanza siciliana sembrò pervadere l'isola, che in una lettera di Palermo a Messina ritrovò accenni degni dell'età del Vespro. Ed è certo merito del vicario aver contribuito a creare questo sentimento di fedeltà ai sovrani aragonesi e di ostilità agli Angioini.
Contro ogni ulteriore velleità angioina l'A. seppe ben giocare con Giovanna I di Napoli e col papa Clemente VI la carta ungherese, che gli venne insperata, in seguito all'assassinio dello sposo di Giovanna stessa, Andrea d'Ungheria: inizio perciò trattative con Luigi I d'Ungheria, da cui cercò d'ottenere il riconoscimento di re di Sicilia per il nipote Ludovico, rinsaldando questo accordo con il matrimonio tra il fanciullo Ludovico e una sorella di Luigi. Quando queste trattative s'arenarono di fronte alla richiesta del re d'Ungheria di avere per sé il titolo anche di re di Sicilia, pur garantendo il possesso dell'isola al re aragonese fanciuro, Giovanni passò a negoziare col papa concedendo al legato pontificio Bertrando de Vernhola la restituzione, da lungo attesa, dei beni ecclesiastici donde venne nel maggio 1347 la liberazione per la Sicilia dall'interdetto. Cercò poi di premere sulla corte angioina rioccupando, dopo Milazzo, Lipari ed agendo con puntate militari persino su Napoli nell'agosto 1347.
Da questa serie di negoziati e insieme di operazioni militari scaturì il capolavoro di Giovanni d'A., le trattative dell'autunno 1347, culminate nella pace tra Aragonesi ed Angioini, pubblicata l'8 novembre a Catania. La Sicilia s'impegnava finanziariamente in modo assai grave verso gli Angioini e il papa, ma Giovanna d'Angiò rinunciava all'isola, riconoscendone re Ludovico ed i suoi successori.
La soddisfazione in Sicilia fu unanime, anche se la pace, ritardata dalla rilutt a del papa ad approvarla, venne poi annullata nei suoi effetti dalla morte improvvisa dei vicario, sopraggiunta nell'aprile del 1348, per la peste, nel territorio di Mascale, ove l'A. aveva cercato scampo dal contagio.
Migliorarono, sotto il suo govemo, anche i rapporti con le repubbliche marinare italiane, mentre sono significativi i rapporti tra Giovanni e Cola di Rienzo. Il periodo di vicariato dei duca Giovanni è l'ultimo tentativo consapevole della Sicilia in difesa della sua indipendenza e dimostra l'ampiezza di vedute, l'intuito politico e le capacità realizzatrici di questa personalità che domina la scena politica siciana di quegli anni.
Fonti e Bibl.: A. Rubiò y Lluch, Diplomatari de l'Orient Català, Barcelona 1947, pp. 209, 255, 300; S. V. Borzo, Note storiche siciliane dei sec. XVI, Palermo 1882, pp. 455, 662; I. La Lumia, Storie Siciliane, II,Palermo 1882, passim, ma specie pp. 52-84; E. G. Léonard, Histoire de Jeanne Ière, I, Monaco-Paris 1932, pp. 281, 449, 563, 569 s., 577 s., 685 s., 686; II, ibid. 1932, 140; V. Epifanio, Gli Angioini di Napoli e la Sicilia, Napoli 1936, passim, v. Indice sub voce: Giovanni d'Aragona; F. Giunta, Aragonesi e Catalani nel mediterraneo, I, Palermo 1953, pp. 24-29, 39-44, 52-57.