CERMENATE, Giovanni da
Nacque intorno al 1280, ma le notizie sulla sua vita sono piuttosto scarse e frammentarie, così da rendere ipotetici, oltre all'anno, anche il luogo della sua nascita.
Il Ferrai (prefazione alla sua edizione dell'Historia, pp. XII ss.) ritiene, sulla scorta dell'Argelati, che il C. fosse figlio di Lorenzo e ne colloca la nascita a Milano. La famiglia da Cermenate era però con tutta probabilità originaria dell'omonimo borgo in territorio comasco, dove alcuni suoi membri sono documentati nell'ultimo ventennio del sec. XII (Atti del Comune, 210, 36, 4 luglio 1184).
Se la data di nascita del C. può essere, con una certa verosimiglianza, collocata nell'ultimo ventennio del sec. XIII, non si ha certezza invece della sua paternità, né il nome di Lorenzo, indicato da F. Argelati come quello del padre del cronista (Bibliotheca scriptorum Mediolanensium, Mediolani 1745, p. 410), e citato in un solo atto notarile del 9 marzo 1340 (Ferrai, pref., pp. XXII-XXIII n.), quello stesso che, secondo il Ferrai, autorizza a collocare la morte del C. dopo tale data (ibid., p. XXV), risulta tra quelli usuali della famiglia. Allo stesso modo non è provato che il C., sia nato a Milano. Il Ferrai avanza tale ipotesi sulla base della sua presenza, in qualità di syndicus, alla riunione lodigiana del 1313 (di cui si dirà più avanti), messa in relazione alle norme statutarie milanesi del 1211 che imponevano una residenza trentennale in città (Atti del Comune, 470, n. CCCLII) per ottenere la qualifica di civis e quindi la possibilità di adire a cariche pubbliche. Egli ritiene che se nel 1313 il C. aveva l'età per rivestire il suddetto incarico (dai venticinque anni in avanti), suo padre doveva essere da tempo stabilito a Milano e quindi il cronista vi era certamente nato. Da un documento venuto di recente in luce risulta invece l'esistenza di "Iohannes de Cermenate, notarius Cumanus", che roga in Como, nel 1312 (Quaternus eventariorum, f. 39), una confessio relativa al fitto di decime che il Comune comasco teneva dal vescovo, Leone dei Lambertenghi. Sebbene non sia possibile averne la certezza, è abbastanza probabile che si tratti del cronista, il quale avrebbe abitato dunque a Como ancora nel primo Trecento.
Il C. si trovava a Milano durante i disordini scoppiati in città il 12 febbr. 1311, originati dal comportamento, ritenuto vessatorio, dei cancellieri imperiali inviati da Arrigo VII (Historia, capp. XIX, XXIV-XXIX, p. 51). Era presente pure all'assedio di Brescia del 1311 e alla morte del guelfo Tebaldo Brusato (Historia, capp. XVIII, XXXVI, LXIII, pp. 40, 80 s., 126; Ferrai, pref., p. XIX). Seguì poi il momento politicamente più importante della sua vita, ossia la partecipazione, in qualità di syndicus di Milano, con Edoardo Pirovano e Francesco da Garbagnate, all'incontro col vicario imperiale di Lombardia, Werner di Homberg, avvenuto a Lodi nel 1313 (Historia, cap. XLV).
Tutto quanto sopra non è però sufficiente ad affermare che il C. fosse nato a Milano, e vi avesse la cittadinanza, soprattutto se si tiene conto della sua documentata attività notarile in Como nel 1312. Non è improbabile infatti che egli si recasse a Milano, e prendesse parte anche solo come osservatore alle vicende politiche di quegli anni: proprio in quanto notaio, forniva le maggiori garanzie. Era poi, come si è visto, legato al vescovo Leone dei Lambertenghi, la cui famiglia guidava il partito ghibellino locale, antitorriano e filoimperiale, che sosteneva Matteo Visconti e che aveva appoggiato il ricorso ad Arrigo VII contro il guelfo Guido Della Torre da parte dell'arcivescovo ambrosiano Cassone Della Torre e dei suoi fratelli, messi in carcere da Guido per spegnerne l'opposizione.
Agli albori della signoria viscontea vi è una stretta collusione tra Como e Milano e l'ingerenza dei Visconti nelle questioni interne comasche si manifesta a più riprese e in settori diversi. Il C., legato ai Lambertenghi, aderisce al partito visconteo, o comunque diventa filoimperiale, attratto, da uomo di cultura quale è, anche dalla funzione pacificatrice e regolatrice della vita delle nazioni connessa alla figura dell'imperatore. In tale condizione si trova appunto a Milano negli anni 1310-1311, e nella sua Historia esalta la figura e l'opera di Matteo Visconti, e come suo fautore viene inviato a Lodi nel 1313.
Dal 1314, anno in cui termina la parte della Historia oggi in nostro possesso, non si ha di lui alcuna notizia diretta, anche se sembra certo che l'opera sia stata scritta in momenti diversi, di cui il primo è collocabile entro il 1317 (Historia, cap. XXV) e che giungesse fino al 1322 (W. Dönniges, Geschichte des deutschen Kaisertum..., I, Berlin 1841, pp. 100 ss.; Ferrai, pref., pp. XXVIII-XXX).
Non si può invece essere sicuri, allo stato attuale delle conoscenze, che sia il nostro cronista la persona che fa parte del Consiglio generale di Milano nel 1335, 1336, 1340 e che compare nell'atto notarile del 1344 (Ferrai, prefaz., p. XIV, e n. 3), dato che il nome di Giovanni è assai comune nella famiglia. Quello che si può affermare è che la presenza dei da Cermenate in città è largamente documentata invece a partire dal 1369 (Arch. di Stato di Milano, Fondo notarile, cart. 46, Cermenati Raffaele qd. Dionisio [1386-1406] che roga anche nella "stationa" di Giovannino da Cermenate; I registri…, XIV, 28; XVII, 58, 69; XVIII, 88; A. Noto, Gli amici...,dal 1369 in poi). Si tratta per lo più di notai i quali ricoprono spesso cariche pubbliche e fanno parte del Consiglio generale di Milano. Appare pertanto molto probabile che la residenza milanese della famiglia cominci appunto con il cronista, il cui legame con la città si rileva anche da alcune espressioni da lui usate, quali "stolidi cives nostri" e "urbs nostra", con riferimento ai Milanesi e a Milano (Historia, capp. XXI, pp. 44 s.; LXVI, p. 92).
La Historia Iohannis de Cermenate notarii Mediolanensis de situ Ambrosianae urbis et cultoribus ipsius et circumstantium locorum ab initio et per tempora successive et gestis imp. Henrici VII, titolo appartenente al manoscritto De Capitani, collazionato dall'Argelati e indicato come "codice B" (Historia, p. 3 n.), è divisa in sessantotto capitoli ed ha avuto tre edizioni: quelle del Muratori, negli Anedocta latina, II,Mediolani 1698, pp. 31-111, e nei Rerum Ital. Script., IX,Mediolani 1726, coll. 1225-1290, e quella di L. A. Ferrai (in Fonti per la storia d'Italia, Scrittori del sec. XIV, II, Roma 1889) alla quale si rimanda per tutte le questioni inerenti ai manoscritti, alla critica testuale ed alle edizioni stesse. La narrazione del C. concerne gli anni 1309-1314 e può essere considerata la fonte più importante per quel periodo, accettata e seguita da cronisti contemporanei, o quasi, del C., come Galvano Fiamma e Bonincontro Morigia e dall'anonimo compilatore degli Annales Mediolanenses (Mon. Germ. Hist., Scriptores, a cura di G. H. Pertz, Lipsiae 1861, XVIII, pp. 357-82) nonché da tutti gli storici milanesi posteriori, dal Calco al Merula, al Corio, al Giulini e al Verri, fino al Franceschini e al Cognasso (Storia di Milano, IV-V, ad Indicem).
La Historia puòessere divisa in due parti. La prima comprende i capitoli I-VII, che sono preceduti da un breve proemio in cui il C. espone la sua concezione della storia e gli intenti che hanno presieduto alla stesura dell'opera, nonché le ragioni che lo hanno spinto a centrare la narrazione su Arrigo VII di Lussemburgo, e a iniziarla dal suo arrivo in Italia. I capitoli I-IV contengono, in sintesi, la storia delle terre padane, dal tempo di Tubal, figlio di Noè, fino alla ricostruzione di Milano e alla fondazione di Pavia e Brescia ad opera di Brenno: il tutto tratto da fonti antiche, quali Papia, Sicardo, Eutropio, la Graphia aureae urbis Romae, Tito Livio e Paolo Diacono, o più vicine al cronista come Benzone d'Alessandria. Il capitolo V narra gli eventi dall'arrivo in Italia dei Longobardi a quello di Arrigo VII. I capitoli VI e VII costituiscono la teorizzazione del pensiero politico del C.: necessità di un governo centralizzato, nelle mani di una sola persona, determinata tanto dalla fragilità della natura umana, quanto dallo stesso disegno divino; equiparazione tra Impero e Papato che, nella reciproca autonomia, procedono paralleli da Dio; affermazione della superiorità del capo sugli altri esseri viventi, anche se ciò non avviene tra gli uomini perché manca il senso della giustizia e il principe è spesso corrotto o incapace, e perché i sudditi, discordi tra loro, sono privi di una comune volontà di bene. Ritiene legittima la delega della sovranità da parte del popolo romano nella persona di Cesare; afferma l'unicità di Dio, ed esemplate su di essa quelle del pontefice e dell'imperatore; la validità della donazione di Costantino, col richiamo alla leggenda silvestrina, e della translatio Imperii. Ricorda l'intervento di Carlo Magno contro Astolfo, re dei Longobardi, in difesa della Chiesa romana e la sua conseguente assunzione all'Impero. Il capitolo VII termina coll'accenno all'intervento dei sette grandi elettori nell'elezione dell'imperatore.
La narrazione della seconda parte della Historia comprende i capitoli VIII-LXVIII e gli anni 1309-1314, ed è costruita su quelle che sono le concezioni di fondo del C. sulla vita, Dio, la fortuna, il potere, la giustizia, il diritto; inframmezzata da dialoghi ed orazioni, secondo gli schemi usuali, è però sempre valida e precisa. Il C. è il primo a riconoscere il valore educativo degli avvenimenti che narra, dai quali ricava spesso la conferma della sua visione piuttosto negativa delle virtù umane. Le fonti stilistiche e letterarie che gli sono servite da modello, Livio, Virgilio, forse Orazio, Curzio Rufo, Lucano, ed altri che si possono riconoscere qua e là nei termini e nelle espressioni da lui usati, nulla tolgono poi alla scioltezza ed alla agilità del racconto. L'onestà e la rettitudine del cronista, celebrata già al suo tempo (B. Morigia, Chron. Modoet.,in L. A. Muratori, Rer. Ital. Scriptores, XII,Mediolani 1728) in unione alla professione di notaio che lo metteva in contatto con ogni tipo di documentazione, e alla viva, sebbene serena, partecipazione alla vita politica del suo tempo, fanno di lui quindi un narratore attento e, per quanto possibile, imparziale, che ben si destreggia nel rovente clima lombardo nel momento del declino della signoria torriana e dell'avvento di quella viscontea. Se la sua cultura, quale risulta dai sette capitoli che aprono, l'Historia, trae alimento dalla più pura tradizione letteraria e politica del suo tempo, egli si mostra tuttavia ad un livello superiore a quello dei cronisti contemporanei per una maggiore precisione nel ricorso agli scrittori e ai filosofi della classicità come ai pensatori politici del suo tempo, dai quali trae con cura, ed efficace concisione, i riferimenti necessari a chiarire la sua visione storica e politica. Spirito laico, egli è conscio della forza dell'umana natura e dell'ingegno, che riconosce peraltro quali doni della divina potenza, come del significato della funzione della storia in quanto rimedio per gli umani vizi presenti e futuri. Lo stile della sua opera, ricalcato su Livio, che è anche la sua fonte principale per la storia dell'età antica, e da altri letterati della classicità, tra cui Sallustio (W. Dönniges, pp. 100 ss.; Ferrai, prefaz., pp. XXVIII, XXX), è vivace, conciso ed efficace: le rapide descrizioni di persone e fatti, dei quali coglie in genere gli aspetti essenziali, fanno di alcuni capitoli della Historia degli affreschi ricchi di colore e di vita.
Il C. rappresenta quella cultura laica che è uno degli aspetti principali della civiltà comunale e costituisce uno dei migliori esempi della cronachistica milanese trecentesca, erede a sua volta dei grandi storiografi ecclesiastici dei secoli XII e XIII. Il C. si ricollega a questa tradizione, ma, al tempo stesso, inizia la nuova fase della storiografia cittadina milanese, che vede impegnati i notai. Egli è orgoglioso della sua opera e conscio del suo valore, sebbene mascheri questa sua convinzione, come d'obbligo per gli scrittori del suo tempo, sotto ripetuti accenni a dubbi e perplessità nei confronti del proprio ingegno, pur mostrando fiducia nelle proprie attitudini allo studio e preparazione. È probabile che egli cominci la sua esperienza di vita politica con l'anno 1309: l'averlo scelto quale inizio della sua Historia sembra mostrare che intorno a quel tempo venisse maturando nel notaio comasco il desiderio, o l'occasione, di partecipare alle lotte del suo tempo, forse attratto dal risorgimento dell'ideologia imperiale attraverso il pensiero politico dantesco, forse dal desiderio di aiutare a chiarire la situazione locale. Arrigo VII, "qui magnam scribendi causam nobis dedit" (Historia, proemio, p. 4), è indicato dal C. come il protagonista del suo racconto; in realtà, i veri protagonisti sono Milano e i Milanesi, guelfi e ghibellini, "nobiles et magnates", torriani e viscontei, i quali attraverso i molti contrasti hanno pur sempre un punto d'incontro: quello dell'amore per la loro città, come risulta, ad esempio, nella rivolta contre il vicario imperiale Niccolò de' Bonsignori (Historia, cap. XIX). La descrizione "de situ Ambrosianae urbis" si richiama, anche nella terminologia usata, al più tradizionale e vivo spirito cittadino (G. Martini, p. 22), come pure alla storiografia ambrosiana precedente si rifanno le descrizioni delle altre città "lombarde". Il suo pensiero politico che, a seconda dei vari momenti, riflette quello di s. Agostino, s. Tommaso, Goffredo da Viterbo, Dante, non è per questo frutto di pura imitazione, ma risponde, nella rinnovata fiducia nell'Impero, alle esigenze create dalla situazione politica interna della Lombardia, e allo stato di perpetua discordia in cui vivevano allora i Milanesi. In questa sua aderenza agli avvenimenti, nella comprensione ed esposizione delle idee e dei sentimenti che vi erano sottesi, stanno la validità della Historia, e le ragioni della sua fortuna nel corso dei secoli. La sua modernità appare, al di là degli schemi storici tradizionali impiegati, soprattutto nella costante presenza del C. e nella scelta da lui operata nei confronti degli avvenimenti narrati, nella sua passione politica che, pur contenuta, traspare in ogni momento, e nel riconoscimento dei valori umani.
Fonti e Bibl.: Oltre a quanto indicato nel Repertorium fontium hist. medii aevi, III, p. 218, cfr. L'inventario di un arch. com. del Trecento: il Quaternus eventariorum di Bormio, a cura di L. Martinelli Perelli, in Studi di st. medioevale e di dipl., II(1977), pp. 268, 276 s., 284, 297, 305; Archivio di Stato di Milano, Fondo notarile, cart. 46, Cermenati Raffaele qd. Dionisio (1386-1406); Gli Atti del Comune di Milano fino al 1216, a cura di C. Manaresi, Milano 1916, pp. 210, 309, 407; I registri dell'ufficio di Provvisione e dell'ufficio dei sindaci di Milano, a cura di C. Santoro, Milano 1929-1932, regg. I, n. 285; II, n. 280; IV, n. 152; VI, n. 262; VII, n. 246; IX, n. 38; XIII, nn. 1, 61; XIV, n. 28; XVII, nn. 58, 69; XVIII, n. 88; A. Noto, Gli amici dei poveri di Milano. Sei secoli di lasciti e donativi cronologicamente esposti, Milano 1953, ad Ind.; St. di Milano, V, Milano 1955, pp. 26 ss.; Il notariato nella civiltà ital., Milano 1961, pp. 278 s.; G. Martini, Lo spirito cittad. e le origini della storiogr. comunale lombarda, in Nuova Riv. stor., LIV(1970), pp. 1-22; G. Miczka, Antike und Gegenwart in der italien. Geschichtsschreibung des frühen Trecento, in Antiqui und Moderni, Berlin-New York 1974, pp. 221-235.