DANDOLO, Giovanni
Della nobile famiglia veneziana, appartenente al ramo della parrocchia di S. Moisè, era figlio di Giberto che aveva sconfitto i Genovesi nella battaglia presso Settepozzi, e di Maria di Gratone Dandolo di S. Polo. Secondo tutte le più antiche genealogie suo nonno si chiamava Giacomo: è perciò da ritenere un errore della letteratura più recente l'attribuzione al D. del vicedoge Raniero come avo e quindi del doge Enrico come bisnonno.
È difficile ricostruire la carriera politica del D. poiché in quel torno di anni operarono nella vita pubblica veneziana almeno sei Dandolo di nome Giovanni: oltre al D., un Giovanni, figlio di Ranieri il Rosso del confinio di S. Luca, il figlio di Tomaso ambasciatore presso la Curia pontificia nel 1268, il figlio di Gratone consigliere del doge nel 1268, il figlio di Marin e, infine, il figlio omonimo dello stesso D. della parrocchia di S. Moisè.
Si identificano tuttavia con sicurezza alcune tappe della sua carriera politica. Nel 1266 fu ambasciatore a Genova. Nel 1274 ricoprì l'incarico di bailo veneziano in Siria con sede a San Giovanni d'Acri, conservando tale alto ufficio fino al 1276. Dopo il suo ritorno dal Levante fu membro per un anno del Maggior Consiglio e successivamente ricevette un nuovo importante incarico sulla cui natura non siamo informati con precisione: secondo una tradizione, risalente addirittura al sec. XIV, il D., al momento della sua elezione a doge, avrebbe ricoperto la carica di conte di Cherso ed Ossero, mentre tradizioni successive affermano che aveva il titolo di conte di Zara.
Le altre notizie che si riferiscono all'attività pubblica di un Giovanni Dandolo non sono attribuibili al D. con la stessa certezza di quelle ora ricordate. Un Giovanni Dandolo fu podestà di Chioggia nel 1265, Podestà di Bologna nel 1267 e, poco prima dell'elezione a doge, podestà di Capodistria. Un Giovanni, inoltre, si pose a capo dei Dandolo, in un aspro contrasto con i Tiepolo, che portò a scontri sanguinosi in piazza S. Marco e si concluse soltanto quando Lorenzo Tiepolo fu eletto doge nel 1268.
Il D. fu eletto doge il 25 marzo 1280, succedendo a Iacopo Contarini, sotto il cui governo Venezia era stata impegnata in numerosi conflitti. Proprio all'inizio del suo dogato (nel 1281) il D. stipulò un trattato di pace con Ancona, ponendo fine, almeno temporaneamente, ai contrasti, sempre riaffioranti, con la più grande città delle Marche. Dovette invece sostenere, durante tutto il suo governo, la guerra in Istria, iniziata sotto il suo predecessore. Con l'appoggio del conte di Gorizia e del patriarca di Aquileia, le città istriane opponevano una forte resistenza a Venezia; comunque, sotto il dogato del D. furono sottomesse Isola (1281) e Pirano (1283) e nel 1285 fu possibile addirittura concludere trattati di pace. La guerra, ciononostante, riprese poco dopo con tutta la sua violenza ed ebbe fine solo durante il dogato successivo.
Le scelte politiche adottate da Venezia sotto il governo del D. aprirono un nuovo contrasto tra la Serenissima e il pontefice Martino IV. Nel 1281 il D. e i suoi consiglieri si impegnarono con la Curia a progettare, per il 1283, insieme con Carlo d'Angiò e re Filippo di Francia una spedizione, definita crociata, contro l'Impero dei Paleologi. Il progetto, tuttavia, venne vanificato dallo scoppio della rivolta dei Vespri siciliani che neutralizzò la potenza militare angioina. Nel frattempo, inoltre, Venezia aveva ristabilito le relazioni con la corte di Costantinopoli, con la quale poi strinse alleanza, per cui non aveva più interesse per una guerra contro il nuovo alleato. Quando poi il D. arrivò a proibire al patriarca di Grado, e al clero a lui sottoposto, di predicare in favore della crociata, Martino IV lanciò l'interdetto contro la Repubblica.
Nessuna delle due parti si mostrò propensa a cercare un accordo e la pena ecclesiastica rimase in vigore fino alla fine del pontificato di Martino IV. Nel 1286 Onorio IV tolse l'interdetto; da allora i rapporti tra Venezia e la Curia migliorarono tanto che nel 1289 fu concluso un importante accordo, in base al quale venne introdotto a Venezia il tribunale dell'Inquisizione, mentre la Repubblica si riservava il diritto di confiscare i beni dei condannati.
Il dogato del D. è inoltre caratterizzato dal tentativo veneziano di sviluppare le relazioni commerciali con l'Europa centrale apportando miglioramenti alla via del Brennero che metteva in contatto la Repubblica con la Germania meridionale e che fino ad allora era stata sostanzialmente trascurata. Per quanto riguarda, poi, la politica interna è da ricordare che il D. perseguì l'obiettivo di un rinnovamento dell'amministrazione: nel 1282-83 istituì una commissione di giuristi per studiare una riforma delle maggiori magistrature. Nel 1280 promosse una revisione del testo degli statuti veneziani - redatto dal doge Iacopo Tiepolo nel 1242 - aggiungendovi le disposizioni che erano state emanate dopo quella data dal Maggior Consiglio e che erano ancora in vigore. Infine, si deve ricordare che durante il governo del D. Venezia adottò per la prima volta la moneta aurea: nel 1284 infatti venne coniata la moneta d'oro veneziana chiamata ducato o zecchino (dal luogo in cui era prodotto, la Zecca) con il valore di 40 soldi, ovvero due lire a grosso o 3 dei piccoli (i primi ducati raffiguravano il doge D. in ginocchio, nell'atto di ricevere il vessillo dalla mano dell'evangelista Marco). Anche Venezia, dopo Firenze, ebbe così a disposizione un mezzo di pagamento che permetteva la circolazione di somme più consistenti.
Nella storiografia veneziana il dogato del D. è considerato un periodo di crisi non solo a causa delle guerre e delle tensioni provocate dall'interdetto, ma anche perché la finanza pubblica risentì del peso della guerra. Inoltre si abbatterono su Venezia ripetute calamità naturali: nel 1285 un forte terremoto distrusse numerosi edifici e provocò molte vittime e poco dopo l'acqua alta distrusse molte merci conservate nei magazzini; la città soffrì per scarsezza di viveri tanto che il D. deliberò di vendere derrate alimentari a basso prezzo prelevandole dalle riserve pubbliche.
Secondo il più antico manoscritto della genealogia di M. Barbaro, conservato a Vienna, il D. ebbe tre figli: Andrea, detto il Calvo, il quale con il grado di capitano generale della flotta fu sconfitto dai Genovesi nella battaglia di Curzola, Giovanni e Marco. Costoro sono identificabili con certezza anche nei documenti, mentre un quarto figlio, Enrico, compare solo in successivi alberi genealogici, al pari della presunta figlia Maria, la quale avrebbe sposato un Gradenigo.
Il D. morì a Venezia il 2 nov. 1289 e fu sepolto, come molti altri dogi, nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo. La sua tomba, oggi perduta, esisteva ancora nel XVI secolo; se ne conserva tuttavia l'epigrafe, murata nella navata laterale sinistra, la quale celebra il D. come uomo saggio e facondo.
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