DE LORENZO, Giovanni
Nacque a Vizzini (Catania) il 29 nov. 1907 da Aurelio e da Teresa Albina Venturi. Laureato in ingegneria navale e meccanica, conseguì la nomina a tenente in servizio permanente effettivo nell'arma di artiglieria il 16 luglio 1929, dopo aver brillantemente ultimato i corsi della Scuola di applicazione di artiglieria e genio.
Dal 1937 al 1940 frequentò con successo i corsi dell'Istituto superiore di guerra. Promosso ufficiale superiore nel 1940, partecipò al secondo conflitto mondiale in qualità di addetto e poi di capo ufficio operazioni del comando del XV corpo d'armata, di vicecapo ufficio operazioni del comando dell'8a armata sul fronte russo e di capo ufficio del IV reparto dello stato maggiore.
Dal settembre 1943 fino al febbraio 1944 fu comandante di formazioni militari partigiane in Romagna; dal marzo 1944 e fino alla liberazione di Roma (giugno 1944) resse l'incarico di vicecapo del Centro militare informativo del fronte clandestino di resistenza di Roma (nome di battaglia "Paolo"); successivamente e fino alla fine del conflitto (maggio 1945) partecipò alla guerra di liberazione quale ufficiale di collegamento con la 92ª divisione statunitense nel settore tirrenico. Per la partecipazione agli eventi bellici gli vennero assegnate diverse ricompense militari: una medaglia d'argento, tre croci al merito, una promozione per meriti di guerra e una serie di encomi solenni.
Nel dopoguerra resse l'incarico di sottocapo di stato maggiore presso il V Comando militare territoriale (in Udine e Padova); dopo la nomina avvenuta nel 1947 a colonnello, fu comandante del costitituendo 132º reggimento artiglieria corazzata, comandante del 33º reggimento artigliera "Folgore", sottocapo di stato maggiore del Comando delle forze terrestri alleate del Sudeuropa (FTASE), capo di stato maggiore del Comando militare territoriale (Comiliter) di Padova, capo di stato maggiore del V corpo d'armata. Nominato nel 1954 generale di brigata, resse il comando dell'artiglieria del Comiliter di Bari, e dell'artiglieria divisionale della "Pinerolo". Dall'ottobre 1955 al maggio 1956 frequentò la settima sessione di studi presso il Centro alti studi militari.
Il 27 dic. 1955 il D. venne nominato capo del Servizio informazioni forze armate (SIFAR), sostituendo il generale Ettore Musco che aveva tenuto l'incarico nei tre anni precedenti.
Ne restò alla guida per 6 anni, 10 mesi e 15 giorni: il periodo più lungo, nella storia della Repubblica, di permanenza di una stessa persona ai vertici del servizio segreto. Il comando del D. coincise con il settennato di G. Gronchi alla presidenza della Repubblica. Drammatizzando i pericoli che ad opera dell'Organisation armée secrète (OAS, paramilitare e insurrezionale, di estremisti militari francesi, avversa al distacco dell'Algeria dalla Francia) avrebbero minacciato la vita del capo dello Stato, se ne conquistò la fiducia ottenendo di ampliare mezzi, organici ed influenze del servizio segreto.
Con l'avvento del D. al SIFAR si estese progressivamente la pratica della schedatura di gran parte dei personaggi di qualche importanza operanti nella vita politica, economica, sociale, culturale del paese. Si ebbe un'espansione enorme del numero dei fascicoli, fino a giungere alla cifra di 157.000, dei quali circa 34.000 dedicati ad appartenenti al mondo economico, a uomini politici e ad altre categorie di interesse rilevante. Successivamente commissioni d'inchiesta appurarono che.i fascicoli furono costituiti attraverso attività di pedinamento, controllo telefonico e postale, utilizzazione di informatori negli ambienti più disparati. In molti casi furono raccolte informazioni come strumento di intimidazione.
Nominato generale di divisione nel 1957, il D. fu destinato nel 1960 al comando della divisione di fanteria "Maritova", di stanza ad Udine, per ottemperare all'obbligo di tenere un comando operativo prima di conseguire la promozione al grado superiore. Tuttavia, essendo, stata approvata nel frattempo una apposita legge che equiparava la direzione del SIFAR al comando di una divisione, rimase alla direzione del servizio informazioni fino al 14 ott. 1962, dopo essere stato promosso al grado di generale di corpo d'armata il 2 febbr. 1961. Il 15. ott. 1962 assunse la carica di comandante generale dell'arma dei carabinieri.
Anche come comandante dell'arma conservò stretti legami con il personale del SIFAR e continuò ad esercitare una notevole influenza sul suo funzionamento, allo scopo di utilizzare le informazioni del servizio e controllare dall'esterno i quadri dell'arma stessa. I successivi capi del SIFAR e gli ufficiali del servizio opposero resistenza a questa situazione che, in alcuni casi, portò ad accentrare in alcuni stretti collaboratori del D. incarichi elevati svolti contemporaneamente sia per l'arma sia per il servizio segreto.
Appena giunto al comando dell'arma dei carabinieri, oltre a disporre un vasto movimento di ufficiali e sottufficali, operò per mutare la struttura organica dei reparti mobili. Tra le nuove unità volute dal D. vi fu la brigata meccanizzata.
La sua costituzione s'inseriva nel disegno, delineato dal D. nel gennaio del 1953, di "dare ai reparti mobili ed a quelli a cavallo dell'arma dei carabinieri un ordinamento rispondente alle moderne esigenze di addestramento e di impiego sulla base dei seguenti criteri: creare degli strumenti idonei, sotto ogni profilo, ad assolvere i compiti operativi veri e propri di guerra e contemporaneamente quelli connessi alla tutela dell'ordine pubblico in tempi di pace" (Relazione di minoranza, in Comm. parlam...., 1971, II, p.65). La creazione della brigata meccanizzata dei carabinieri non mancò di suscitare polemiche, anche all'interno del mondo militare, sia per le modalità di costituzione (la brigata fu varata nel gennaio del 1963, tre mesi prima dell'emanazione formale dell'ordine da parte del ministro) sia per l'armamento pesante, carri corazzati compresi, messo a disposizione dei reparti.
Nella primavera del 1964 il D. dispose l'elaborazione, da parte dei comandi delle tre divisioni dell'arma, di un piano che consentisse all'arma stessa di far fronte, con i suoi soli mezzi e forze, ad eventuali situazioni di emergenza nella gestione dell'ordine pubblico. Tra il marzo ed il luglio di quell'anno, attraverso riunioni di alti ufficiali convocate su indicazione del comando generale, venne redatto il "Piano Solo" "che considera l'ipotesi in cui la situazione interna sia tale da prevedere l'immediato mantenimento dell'ordine rendendo necessario il tempestivo intervento dell'Arma, prima ancora che si addivenga al passaggio dei poteri dell'ordine pubblico dall'autorità civile a quella militare" (ibid, p. 73).
Il "Piano Solo" che il D. successivamente giustificò con la necessità di adeguarsi alle valutazioni preoccupanti sullo stato dell'ordine pubblico espresse da altissime cariche dello Stato, fu ulteriormente messo a punto nel corso del mese di giugno, nelle stesse settimane in cui s'apriva la crisi della prima formazione del governo di Centrosinistra. Venne tra l'altro predisposto un elenco di diverse centinaia di militanti politici da arrestare alla attivazione del piano: per il loro eventuale trasferimento in basi militari dislocate nelle isole, il D. prese preventivamente contatto con alti ufficiali della marina e dell'aeronautica militare.
Non appena la crisi di governo fu superata (luglio 1964) il "Piano Solo" venne archiviato, non senza che da parte di alcuni organi di stampa fosse colta la preoccupante attivizzazione dei comandi dell'arma avvenuta nei mesi precedenti.
Nel corso del suo triennio al vertice dell'arma si introdussero mutamenti organizzativi e si rinnovarono mezzi e tecnologie a disposizione dei reparti. In particolare, alla tradizionale presenza nelle campagne furono affiancate strutture di pronto intervento dei carabinieri in tutte le principali città della penisola.
A partire dal 1963 era stato dato impulso alla motorizzazione dell'arma. Nel corso di due anni si pervenne all'introduzione di oltre 4.000 nuovi automezzi, nonché alla creazione di reparti elicotteri (base a Pratica di Mare) coordinati con i reparti a terra per le operazioni di battuta, rastrellamento, soccorso e ricognizione.
Contemporanemente fu avviato il rinnovamento della rete di comunicazione (radiotelegrafica, telefonica, telex e trasmissione fac.simile) indipendente non solo dalla rete civile e da quella delle forze armate, ma notevolmente più efficiente di queste. E sempre per iniziativa del D. venne creato il Centro elaborazione dati presso il comando generale dell'arma, ed il Centro carabinieri investigazioni scientifiche.
Il 1º febbr. 1966 il D. venne nominato capo di stato maggiore dell'esercito. Nel nuovo incarico finì col contrapporsi, nel giro di pochi mesi, al capo di stato maggiore della Difesa, generale Giuseppe Aloia.
Le divergenze tra i due alti ufficiali, originate da ipotesi non conciliabili sul ruolo delle forze armate (partigiano della guerra psicologica per la difesa del paese da eventuali quinte colonne nemiche il capo di stato maggiore della Difesa, incline ad affidare i compiti di prevenzione e repressione dell'ordine pubblico ad apparati ristretti e professionalmente qualificati il capo di stato maggiore dell'esercito), diedero origine ben presto ad una dura contrapposizione personale giocata soprattutto a colpi di dossier, di libelli diffamatori, di indiscrezioni giornalistiche.
Fu nel corso di questo contrasto che cominciarono ad emergere dettagliate informazioni sulle deviazioni del SIFAR negli anni in cui era stato retto dal D. e dai suoi successori. Diverse commissioni d'inchiesta nominate dal ministro della Difesa, e successivamente la commissione parlamentare d'inchiesta, appurarono non solo la proliferazione della pratica delle schedature politiche da parte del SIFAR, ma altresì l'adozione nel 1964, sempre per iniziativa del D., del "Piano Solo" come possibile strumento di intervento dell'arma nella vita politica del paese.
Il 15 apr. 1967, per decisione del Consiglio dei ministri, il D. lasciò l'incarico di capo di stato maggiore dell'esercito, sostituito dal generale Vedovato. Nella primavera del 1968 si presentò candidato alle elezioni politiche nella circoscrizione di Roma, e fu eletto deputato nelle liste del Partito democratico italiano di unità monarchica (PDIUM). Nelle successive elezioni politiche del 7 maggio 1972 fu rieletto nelle liste del Movimento sociale italiano Destra nazionale. Colpito dopo pochi mesi da una grave malattia, morì a Roma il 26 apr. 1973.
Fonti e Bibl.: Si veda il volume SIFAR, Il servizio informazioni militare italiano dalla sua costituzione alla fine della seconda guerra mondiale, a cura dello Stato maggiore della Difesa, Roma 1957, che, redatto con l'avvento del D., rivela la volontà di presentare sotto nuova luce le attività del servizio informazioni (utilizzando anche l'impegno nella lotta di liberazione di diversi suoi componenti). Su questo tema e sul ruolo svolto dal D. nella lotta clandestina vale la pena di consultare V. Fornaro, Il servizio informazioni nella lotta clandestina, Roma 1945; G. Lombardi, Montezemolo e il Fronte militare clandestino di Roma, Roma 1947.
Sulle vicende legate alla permanenza del D. al SIFAR si veda la relazione di minoranza in Commissione parlamentare d'inchiesta sugli eventi del giugno-luglio 1964, II, Milano 1971. Cronachistico ma ben documentato (contiene il testo della relaz. della commissione d'inchiesta ministeriale presieduta dal gen. Beolchini) R. Trionfera, Sifar affair, Roma 1968. Ampia la ricostruzione fornita da G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Roma, 1984; A. Viviani, Servizi segreti italiani, Roma 1986. Si veda anche Dal caso SIFAR alle intercettazioni telefoniche, Roma 1971.
Sui rapporti di collaborazione del D. con i servizi segreti statunitensi si veda R. Faenza, Il malaffare, Milano 1978 (contenente il testo di documenti reperiti presso i National Archives di Washington). Sull'azione svolta come comandante dell'arma dei carabinieri: G. Boatti, L'Arma: i carabinieri da D. a Mino. 1962-1967, Milano 1978. Sul contrasto tra il D. capo di stato maggiore dell'esercito e il generale Aloia, si veda il testo polemico ma ricco di documenti interessanti di M. Tedeschi, La guerra dei generali, Milano 1968; per un inquadramento del dibattito militare di quegli anni, cfr. E. Cerquetti, Le forze armate italiane dal 1945 al 1975, Milano 1975; V. Ilari, Le forze armate tra politica e potere, Firenze 1978.