GIOVANNI del Biondo
Pittore documentato a Firenze dal 1356 sino alla morte, avvenuta nell'ottobre del 1398.L'artista sembra essersi formato nell'orbita della cultura orcagnesca e avere accolto vari elementi del repertorio di Nardo di Cione. Nel 1357 figurava fra gli aiutanti di questi nella cappella Strozzi in S. Maria Novella a Firenze, dove la sua mano è stata prevalentemente riconosciuta negli affreschi della volta (Offner, Steinweg, 1967, tav. XLV; Boskovits, 1975, p. 307). Risale a quest'epoca anche la serie di tavolette con Storie di s. Benedetto (Zeri, 1962), smembrata fra Firenze (Coll. Acton), Toronto (Art Gall. of Ontario) e Roma (Gall. Colonna). Poco si discostano dai modi giovanili anche il trittico del 1364 con la Presentazione di Gesù fra santi (Firenze, Gall. dell'Accademia) o le tempere risalenti all'anno prima con i quattro Padri della Chiesa, arbitrariamente ricomposte nel secolo scorso con una Madonna con il Bambino di Niccolò di Pietro Gerini nella cappella del coro della chiesa fiorentina di Santa Croce.La quantità di opere conservate si spiega probabilmente sia con la buona tecnica esecutiva sia con il rapido successo professionale che poté favorire un'abbondante produzione. Forse anche a causa di tale consenso le formule di G. fecero presto registrare un'evoluzione che portò il pittore ad autonomizzarsi dal canone orcagnesco, come nel polittico della cappella Tosinghi-Spinelli in Santa Croce (datato 1372) e nell'Incoronazione della Vergine di Fiesole (Mus. Bandini), datata 1373. La crescente scioltezza delle figure e delle composizioni dà vita a descrizioni fisionomiche molto caratterizzate e a scene di spiccato carattere narrativo; soprattutto i personaggi maschili mostrano significative puntualizzazioni espressive, dando luogo a brani assai avanzati rispetto alla concezione trecentesca del ritratto (Offner, Steinweg, 1967); G., inoltre, andò poi sviluppando la tendenza ad animare i dipinti con notazioni di stampo miniaturistico: un corollario di figurette e di dettagli si osserva per es. nella predella del polittico datato 1379 della cappella Rinuccini in Santa Croce.Boskovits (1975, p. 94) ha delimitato questa fase sperimentale entro gli anni sessanta e settanta. Intorno al nono decennio G. iniziò probabilmente a collaborare con Jacopo di Cione, il più giovane dei fratelli; gli esiti della loro associazione, che coinciderebbero con un lento scadimento di entrambi, si osservano già, secondo Boskovits (1975, p. 94), in una tempera (1380) conservata nella parrocchiale di Faltignano, non lontano da Firenze, con S. Andrea in trono: in essa la figura del protagonista è resa in una frontalità iconica e arcaicizzante, non distante dal S. Zanobi in trono della cattedrale di Firenze.L'accostamento fra le forme aspre e massicce di G. e le soluzioni fluide di Jacopo è stato notato ancora in altri testi figurativi, circostanza che ha portato a supporre l'uso di disegni del primo da parte del secondo (Boskovits, 1975, p. 95). Testimonianza dell'ultima fase di attività di G. è la tavola, firmata e datata 1392, conservata nel convento di S. Francesco a Figline Valdarno, che esemplifica in modo eloquente il processo di cristallizzazione delle formule adottate molti anni prima dall'artista.
Bibl.: F. Zeri, Una predella ed altre cose di Giovanni del Biondo, Paragone 13, 1962, 149, pp. 14-20; R. Offner, K. Steinweg, A Critical and Historical Corpus of Florentine Painting, IV, 4, New York 1967; M. Boskovits, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento, 1370-1400, Firenze 1975, pp. 73-76, 94-95, 304-316; G.R. Bent, The Scriptorium at S. Maria degli Angeli and Fourteenth Century Manuscript Illumination: Don Silvestro dei Gherarducci, Don Lorenzo Monaco, and Giovanni del Biondo, ZKg 55, 1992, pp. 507-523.