GIOVANNI di Cosma
Scultore attivo a Roma alla fine del sec. 13°, appartenente all'ultima bottega dei Cosmati (v.), operante a Roma prima del trasferimento della corte papale ad Avignone. Nato intorno al 1230 (Clausse, 1897) da Cosma di Pietro Mellini, G. sembra abbia avuto il compito - rispetto ai fratelli Deodato, Pietro e Giacomo - di trasmettere il nome del padre, giacché, a differenza di Deodato, si firmò sempre come figlio di Cosma (Claussen, 1987).La prima menzione di G. sembra fosse contenuta nel registro di stato dell'obituario della chiesa di S. Alessio all'anno 1293, segnalato da Filippini (1908) e ricordato anche da Claussen (1987), ma di cui si è persa ogni traccia (Ladner, 1970). Da questo documento risulterebbe che G., con il figlio Lucantonio e Giovanni de Aventino, fece un lascito per la salvezza dell'anima dello scultore Cinzio de Salvati e proseguì i lavori all'altare maggiore e all'altare papale della basilica lateranense.Di G., la cui formazione e attività giovanile avvennero sicuramente all'interno della bottega paterna, sono conservate tre opere firmate, eseguite in un ristretto arco di tempo, che - anche per il livello della committenza - mostrano un artista già maturo: si tratta dei tre monumenti funebri romani di Stefano Surdi in S. Balbina, di Guglielmo Durando in S. Maria sopra Minerva e di Consalvo Garcia Gudiel in S. Maria Maggiore.La firma dell'artista ("+ Ioh(anne)s filius mag(ist)ri Cosmati fecit hoc opus") è incisa sul margine superiore del sarcofago del monumento di S. Balbina, insieme al nome del personaggio sepolto, Stefano Surdi, nipote del cardinale Riccardo Annibaldi e cappellano papale, la cui data di morte non è nota. Il fatto che il 5 settembre 1295 i beni di Surdi venissero intestati al convento di S. Balbina ha portato Gardner (1973) a collocare il suo decesso intorno a quegli anni; il monumento, datato in passato agli inizi del sec. 14° e ritenuto l'ultima opera di G., è stato quindi anticipato, come sembra più giusto anche dal punto di vista stilistico (Romano, 1990). Il sepolcro è costituito da un sarcofago dai fianchi rialzati, sollevato al di sopra di uno zoccolo di marmo liscio, di un gradino con le rotae cosmatesche e di un alto basamento, riccamente decorato a mosaico, dove è ripetuto per sei volte lo stemma del defunto. Sul sarcofago - intorno al quale è un drappo annodato a distanze regolari agli anelli di un'asta -, che Filippini (1908) ritiene ingiustamente opera di restauro e per Gardner (1973) rimanda alle tombe dei Plantageneti nella chiesa abbaziale di Fontevraud, è posta la figura giacente, realizzata con rigorosa linearità e con un'essenzialità avvicinabile per taluni aspetti alla scultura lignea degli inizi del sec. 13° (Claussen, 1987). Il volto, lievemente allungato e girato verso l'osservatore, è ben caratterizzato e reso con raffinatezza, così come le mani incrociate all'altezza della vita.Dubbi sono stati sollevati da alcuni studiosi sulla corrispondenza tra la struttura attuale del monumento e quella originaria ed è stata ipotizzata l'esistenza di una copertura a baldacchino, quale si ritrova nelle successive opere di Giovanni. Non esistono prove perché tale ipotesi sia convalidata e anzi a Roma tra fine Duecento e inizi Trecento si hanno esempi di tombe a sarcofago prive di baldacchino, quali i sepolcri di Ancher de Troyes in S. Prassede e di Pietro Duraguerra da Piperno in S. Giovanni in Laterano, cui pure da taluni il monumento Surdi è stato avvicinato. È certo, in ogni caso, che l'opera di S. Balbina ha subìto alcune alterazioni; esse potrebbero essere fatte risalire al suo ipotetico trasferimento, avvenuto nel sec. 17°, dalla vecchia S. Pietro, cui da Muñoz (1931) in poi fanno riferimento tutti coloro che si sono occupati dell'opera e di cui invece giustamente dubita Claussen (1987), proprio sulla base della notizia del lascito dei beni di Surdi alla chiesa dove è oggi la tomba. Esistono comunque due tarde testimonianze che documentano, a S. Balbina, due stadi precedenti la sistemazione attuale dell'opera nella parete sinistra della controfacciata: un documento del 1812, che descrive il monumento in pezzi ("Nella chiesa di S. Balbina sotto a cornu Epistula in una sala dove forma parapetto una specie di cassa lavorata a mosaico antico. Nel sottoposto pavimento vi è in Bassorilievo una figura giacente, che sarebbe da esaminarsi se potesse essere il sopraindicato cappellano del Papa"; Roma, Arch. della Fabbrica di S. Pietro, 1° piano, s. 3, pacco 13, cc. 340-357; Carloni, 1983, p. 644, n. 5), e una vecchia fotografia che mostra la tomba parzialmente incassata in un'arcata nella parete (Roma, Bibl. Hertziana, fototeca). L'ipotesi di un monumento a muro, cioè parzialmente inserito nella parete, sembra confermata anche dall'esame dei lati, dove il sarcofago è solo in parte lavorato e dove è evidente il riutilizzo di marmi antichi (Carloni, Andreatta, 1979).In questa sua prima opera G. si rivela già uno scultore di notevole personalità, la cui originalità consiste nel fondere "una sensibile morbidezza di resa volumetrica e un gusto linearistico molto teso" (Romano, 1990, p. 162), ma soprattutto uno scultore 'aggiornato'. È evidente infatti qui l'influenza di Arnolfo di Cambio (v.) e in particolare del monumento del cardinale Riccardo Annibaldi (Roma, S. Giovanni in Laterano), un punto di riferimento già sottolineato da Keller (1934-1935) e Bauch (1971) e ribadito da Carloni e Andreatta (1979), che ipotizzano anche dietro alla figura di Stefano un corteo di figure sul tipo della processione arnolfiana. Se del monumento Annibaldi, malgrado alcuni dati possano ormai dirsi definitivamente raggiunti (Romanini, 1993-1994; 1994), la ricostruzione complessiva resta ancora problematica, alla figura giacente di Riccardo senz'altro G. si ispirò nel modellato piatto, nel trattamento delle vesti, nella conformazione del panneggio, negli avambracci e nella testa.Ancora aggiornato si mostra G. nei due lavori successivi, in cui si rifece all'ultimo Arnolfo romano, quello del sepolcro di Bonifacio VIII. Il riferimento ad Arnolfo, già avanzato da De Rossi (1899), è stato poi puntualizzato fino all'ipotesi di una collaborazione tra i due artisti, avvenuta proprio in occasione della realizzazione del sacello bonifaciano (Romano, 1990).Il monumento del cardinale Guglielmo Durando (v.) vescovo di Mende (m. nel 1296), in S. Maria sopra Minerva, fu trasportato - non senza traumi - nel 1670 dalla cappella di Ognissanti alla parete di fondo del transetto destro, dove si trova attualmente, incassato a una certa altezza dal pavimento; venne quindi restaurato nel 1817 e poi ancora nel 1930. Anche in questo caso artista e destinatario sono indicati da due epigrafi: la prima ("Ioh(anne)s filius mag(ist)ri Cosmati fec(it) hoc op(us)") è nel listello inferiore dello zoccolo, sul quale corre anche la seconda, che esalta le doti del defunto (Forcella, 1869-1884, I). Anche in questo caso manca l'indicazione della data di esecuzione, che tuttavia si ritiene oscilli intorno al 1300. Sul sarcofago - posto su uno zoccolo e coperto da un drappo funebre al di sotto del quale è in mosaico lo stemma del vescovo ripetuto cinque volte - è disteso il giacente, riccamente abbigliato nelle vesti ecclesiastiche, il cui volto rivela evidentemente l'intento ritrattistico di Giovanni. Ai lati due angeli, nelle cui ali sono state ravvisate tracce di doratura (Carloni, 1983), reggono le cortine della camera funebre, che corrono su tre lati. Il monumento è concluso da un baldacchino trilobo archiacuto, sulla cui parete di fondo è rappresentato a mosaico il defunto in ginocchio, presentato alla Madonna in trono con il Bambino da s. Privato, secondo vescovo di Mende - elemento che potrebbe suggerire un intervento francese nella committenza (Gardner, 1992) -, e da s. Domenico, fondatore dell'Ordine cui appartenevano sia il defunto sia la chiesa che ospita il sepolcro.Questo mosaico - in parte perduto e comunque certo molto restaurato, per il quale si sono avanzati i nomi di Pietro Cavallini, o di un suo seguace, e di Jacopo Torriti - è stato attribuito anche allo stesso G., appartenente a una famiglia nella quale l'uso del mosaico era consueto.La ripresa della tomba realizzata da Arnolfo in S. Pietro è evidente, oltre che nella struttura d'insieme - Romano (1990) non esclude comunque la possibilità di un monumento su mensole, più aggettante dal muro rispetto alla situazione attuale -, in numerosi particolari: il movimento della coltre funebre raccolta al centro, il motivo dei cinque scudi araldici nella parte inferiore del sarcofago, la figura giacente con il volto rivolto verso l'alto, il volume e il panneggio del corpo, gli angeli reggicortina, il mosaico nella parete di fondo. G. si mostrò dunque ancora una volta in grado di recepire le novità arnolfiane, che ripropose però nel suo stile personale di abile decoratore e scultore solido, seppure con qualche durezza.L'ultima opera sicura di G. - ritenuta unanimemente il punto più alto dell'evoluzione della sua arte - è la tomba del cardinale Consalvo Garcia Gudiel, arcivescovo di Toledo e poi cardinale vescovo di Albano (m. nel 1299). La tomba, che doveva originariamente essere collocata all'incirca dove si trova oggi, e cioè nella metà terminale della navata laterale destra di S. Maria Maggiore, fu comunque spostata e rimontata agli inizi del sec. 18°, con una probabile alterazione della struttura originaria testimoniata sia da un disegno seicentesco (Windsor Castle, Royal Lib., Albani 201, nr. 11799, c. 85r; Herklotz, 1984), dove appare come tomba a muro su mensole, sia dalle fonti (Romano, 1990), ed evidente anche dall'esame dell'opera.Nello zoccolo ancora una volta si trovano le due iscrizioni con il nome del defunto e dell'autore ("+ Hoc op(us) fec(it) Ioh(ann)es mag(ist)ri Cosme civis romanus"), di cui per la prima volta si sottolinea la 'romanità', particolare che potrebbe far pensare a un monumento destinato all'esportazione (Claussen, 1987). La datazione del sepolcro è compresa tra il 1299, anno di morte del cardinale, e il 1303, data entro la quale fu composto El Libro del Cavalier Cifar (Gardner, 1973), o piuttosto il 1301, visto che per Levi (1933-1934) il viaggio di cui si parla nell'opera fu compiuto tra il marzo e il maggio di quell'anno; nel prologo del Libro, infatti, la tomba, "en alta en la pared" (Wagner, 1929, p. 4), è citata a proposito del tentativo dell'arcidiacono di Madrid Ferrand Martinez di trasportare le spoglie di Consalvo a Toledo, città in cui questi aveva eletto la sua sepoltura e in cui alla fine la trovò.La struttura del monumento è analoga a quella del sepolcro Durando (a parte qualche lieve differenza, come per es. la posizione delle braccia degli angeli, che sembrano chiudere più che aprire le cortine, rivolte verso l'interno) con una maggior morbidezza ed eleganza nelle parti plastiche. Il volto del giacente ha la stessa intensità fisiognomica dei precedenti ritratti, ma è più felice; gli angeli, posti diagonalmente e realizzati in modo molto più sciolto, "sono davvero la prova di un percorso stilistico del loro autore, forse poco appariscente, ma assolutamente non trascurabile" (Romano, 1990, p. 169). Nella parete di fondo, anch'essa, come quella di Durando, a mosaico e anch'essa molto restaurata, il defunto è presentato alla Vergine in trono da s. Matteo, che tiene un rotulo con la scritta "Me tenet ara prior", con evidente allusione alle sue reliquie poste sotto l'altare, e da s. Girolamo, nel cui rotulo è scritto "Recubo p(rae)sepis ad antru(m)", con riferimento alla sua tomba nel sacrario del presepe. Per questa lunetta è stata avanzata l'attribuzione alla bottega di Torriti, attivo contemporaneamente nella chiesa.A G. è stata attribuita da taluni (Strzygowski, 1888; Frothingham, 1908; Davies, 1910; Keller, 1934-1935; Merz, 1965; Gardner, 1973; 1992) anche la tomba del cardinale francescano Matteo d'Acquasparta (m. nel 1302) sul muro frontale del transetto nord della basilica di S. Maria in Aracoeli, in cui tuttavia mancano le consuete indicazioni epigrafiche. Il monumento sembra trovarsi nella posizione originaria (lo dimostra l'affresco della parete di fondo), ma pare aver subìto alterazioni, sull'entità delle quali tuttavia la critica non concorda (Merz, 1965; Gardner, 1973; Carloni, 1983; Gardner, 1992). La struttura dell'opera è identica alle due precedenti - tranne che per le due colonne che sostengono anteriormente la copertura a baldacchino e per la decorazione della parete di fondo, eseguita ad affresco (ritenuta opera di Cavallini o di un suo allievo) -, ma con una maggiore rigidezza; anche la qualità dell'esecuzione è inferiore. Gardner (1992) pensa a una scelta consapevole in relazione alla chiesa mendicante, ma è più probabile attribuire la mediocrità dell'opera al lavoro della bottega (Clausse, 1897; Filippini, 1908; Toesca, 1951; Carloni, 1983; Romano, 1990), che la eseguì forse su disegno dell'artista (Bessone-Aurelij, 1935; Merz, 1965).A G. sono state infondatamente attribuite ancora di recente (Claussen, 1987) la tomba del cardinale Pietro Duraguerra da Piperno (m. nel 1302) in S. Giovanni in Laterano (un'attribuzione già contestata da Toesca, 1951) e la statua di pontefice inginocchiato tuttora in S. Giovanni in Laterano; sono concordemente respinte invece le passate attribuzioni all'artista del monumento Caetani nella cattedrale di Anagni e di quello di Napoleone Orsini nella basilica inferiore di Assisi.
Bibl.: P.T. Masetti, Memorie istoriche della chiesa di S. Maria sopra Minerva, Roma 1855; F. Fabi Montani, Illustrazione dell'epigrafe e del monumento posto in S. Maria Maggiore nel sec. XIV al cardinale Gonsalvo vescovo albanese, Roma 1860; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma dal secolo XI fino ai nostri giorni, 14 voll., Roma 1869-1884: I, p. 411 nr. 1555; VI, p. 331 nr. 1070; XI, p. 12 nr. 10; J. Strzygowski, Cimabue und Rom. Funde und Forschungen zur Kunstgeschichte und zur Topographie der Stadt Rom, Wien 1888, pp. 178-179; G. Clausse, Les marbriers romains et le mobilier presbytéral, Paris 1897; G.B. De Rossi, Musaici cristiani e saggi dei pavimenti delle chiese di Roma anteriori al secolo XV, Roma 1899, tav. 40; L. Filippini, La scultura del Trecento in Roma, Torino 1908; A.L. Frothingham, The Monuments of Christian Rome from Constantine to the Renaissance, New York 1908; J.J. Berthier, L'église de la Minerve, Rome 1910; G. Davies, Renascence - the Sculptured Tombs of the 15th Century in Rome, London 1910; C.P. Wagner, El Libro del Cavallero Zifar (El Libro del Cavallero de Dios), I, Ann Arbor 1929; A. Terenzio, Roma, S. Maria sopra Minerva - Monumento del Card. Guglielmo Durante, BArte, s. II, 10, 1930, 1, p. 48; A. Muñoz, Il restauro di una basilica cristiana. S. Balbina, Capitolium 7, 1931, pp. 34-43; E. Levi, Il giubileo del MCCC nel più antico romanzo spagnuolo, Archivio della R. Società romana di storia patria 56-57, 1933-1934, pp. 133-134; H. Keller, Der Bildhauer Arnolfo di Cambio und seine Werkstatt, JPreussKS 55, 1934, pp. 205-228; 56, 1935, pp. 22-43; A.M. Bessone-Aurelij, I marmorari romani, Milano e altrove 1935; F. Hermanin, L'arte in Roma dal secolo VIII al XIV (Storia di Roma, 27), Bologna 1945; Toesca, Trecento, 1951; G. Matthiae, s.v. Cosmati, in EUA, III, 1958, coll. 837-843; M.H. Longhurst, Notes on Italian Monuments of the 12th to 16th Century, I, London 1962; U. Vichi, Il monumento al Vescovo di Mende in S. Maria sopra Minerva, Bollettino dell'Unione storia e arte, n.s., 10, 1962, 3, pp. 9-10; H. Merz, Das monumentale Wandgrabmal um 1300 in Italien. Versuch einer Typologie, München 1965; G.B. Ladner, Die Papstbildnisse des Altertums und des Mittelalters (Monumenti di antichità cristiana, s. II, 4), II, Città del Vaticano 1970, p. 254; K. Bauch, Anfänge des figürlichen Grabmals in Italien, MKIF 15, 1971, pp. 227-258; J. Poeschke, Betrachtung der römischen Werke des Arnolfo di Cambio, RömQ 67, 1972, pp. 175-211; J. Gardner, Arnolfo di Cambio and Roman Tomb Design, BurlM 115, 1973, pp. 420-439; K. Bauch, Das mittelalterliche Grabbild. Figürliche Grabmäler des 11. bis 15. Jahrhundert in Europa, Berlin-New York 1976; R. Carloni, C. Andreatta, Alcune considerazioni sulle tombe firmate da Giovanni di Cosma, Alma Roma 20, 1979, pp. 57-62, nr. 5-6; J. Garms, Bemerkungen zur römischen Skulptur im Spätmittelalter, Römische historische Mitteilungen 21, 1979, pp. 145-159; R. Carloni, Alcune osservazioni sulla tomba del cardinal Matteo d'Acquasparta in S. Maria in Aracoeli, in Roma anno 1300, "Atti della IV Settimana di studi di storia dell'arte medievale dell'Università di Roma 'La Sapienza', Roma 1980", a cura di A.M. Romanini, Roma 1983, pp. 643-649; I. Herklotz, Das Grabmal des Kardinals Francesco Landi (1427) in S. Maria Maggiore, Römische historische Mitteilungen 26, 1984, pp. 387-399; id., "Sepulcra" e "Monumenta" del Medioevo. Studi sull'arte sepolcrale in Italia, Roma 1985 (19902); T. Iazeolla, Monumento funebre del cardinal Matteo d'Acquasparta, in Roma 1300-1875. L'arte degli anni santi. Atlante, a cura di M. Fagiolo, M.L. Madonna, Milano 1985, pp. 75-76; id., Monumento funebre del cardinal Guglielmo Durando, ivi, pp. 77-78; P.C. Claussen, Magistri Doctissimi Romani. Die römischen Marmorkünstler des Mittelalters (Corpus Cosmatorum, I) (Forschungen zur Kunstgeschichte und christlichen Archäologie, 14), Stuttgart 1987 (con bibl.); S. Romano, Giovanni di Cosma, in Skulptur und Grabmal des Spätmittelalters in Rom und Italien, "Akten des Kongresses ''Scultura e monumento sepolcrale del tardo medioevo a Roma e in Italia'', Roma 1985", a cura di J. Garms, A.M. Romanini, Wien 1990, pp. 159-171 (con bibl.); A.M. D'Achille, La scultura, in Roma nel Duecento. L'arte nella città dei papi da Innocenzo III a Bonifacio VIII, a cura di A.M. Romanini, Torino 1991, pp. 145-235; J. Gardner, The Tomb and the Tiara. Curial Tomb Sculpture in Rome and Avignon in the Later Middle Ages, Oxford 1992; A. M. Romanini, L'indice tra le pagine. Nuovi dati sul monumento Annibaldi di Arnolfo di Cambio, WienJKg 46-47, 1993-1994, pp. 613-619; id., Arnolfo architectus, in Studi in onore di G. C. Argan, Firenze 1994, pp. 71-94; Die mittelalterlichen Grabmäler in Rom und in Latium vom 13. bis zum 15. Jahrhundert, II, Die Monumentalgräber, a cura di J. Garms, A. Sommerlechner, W. Telesko, Wien 1994.