FABER (Fabri, Fabro), Giovanni
Nacque nel 1574 a Bamberga, in Baviera, da genitori protestanti.
Sconosciuti rimangono nome e cognome della madre mentre sono noti il nome del padre, Kaspar, ed il cognome, Schmidt, che dal F. fu modificato nella latinizzazione Faber - talvolta variata in Fabri o Fabro -, che accompagnò il nome Iohannes o Giovanni, con la quale fu poi sempre menzionato.
Ben presto la religione evangelica venne abbandonata perché, rimasto orfano di entrambi i genitori già durante la peste del 1575, fu preso in cura da un cugino, Philipp Schmidt, cittadino di Bamberga, di mestiere bottaio, che iniziò ad educarlo secondo i principi della fede cattolica. Forse allora la salita al soglio imperiale di Rodolfo II aveva indirizzato in Germania più di una scelta in favore di questa religione ma è certo che il F. vi rimaneva fedele negli anni a venire e durante tutto il corso della sua vita.
A Bamberga il F. frequentò il ginnasio, a Würzburg compì gli studi universitari: compare iscritto come studente della facoltà di teologia ma i suoi interessi erano tutti volti allo studio della medicina e fu presso questa facoltà che divenne alunno di Adriaan van Roommen, con il quale si laureò nell'anno 1597 con una tesi dal titolo Theses medicae de febre putrida et febre pestilentiali (Wircerbur, excudebat G. Fleischmann). L'intenzione di proseguire lo studio della medicina nei luoghi più adatti al suo approfondimento motivò nel F. il proposito di recarsi in Italia e di vivere a Roma, città allora ambita, non tanto per la fama dell'insegnamento della disciplina presso l'università della Sapienza, quanto piuttosto per la pratica che si poteva svolgere nei suoi rinomati ospedali e per le opportunità che dava all'esercizio della professione. Al 1598 si fissa l'anno di questo trasferimento.
A Roma il F. cominciò a lavorare come assistente nel famoso arciospedale di S. Spirito in Sassia, sito in quel rione detto Borgo che da una parte precede di un passo la città pontificia e dall'altra ha come limite il Tevere al di là del quale egli prendeva dimora, in una casa in vicolo delli Calderari su piazza della Minerva, alle spalle del Pantheon. Tra i due poli, la chiesa e Confraternita della nazione tedesca di S. Maria dell'Anima, di cui più di una volta il F. divenne "provisor", cioè l'amministratore, segnava in effetti il fulcro dello spazio e dell'ambiente della sua vita. La pratica nell'arciospedale si rivelò proficua perché il F. per un verso ebbe modo di avere maestri come Andrea Cesalpino e Andrea Bacci, che certamente sui "semplici" avanzavano tesi più ampie dei discorsi sull'utilizzazione degli stessi nella terapeutica medica, per l'altro ebbe modo di giovarsi della guida di Angelo Colio in una serie ragguardevole di anatomie eseguite su uomini e su donne di varia età: esercizio che dovette giovargli non poco in relazione al fatto che, allora, le esperienze maturavano soprattutto sulle anatomie degli animali.
Riuscì così a guadagnarsi un certo spazio nei due principali ambiti di ricerca della sua professione di medico: al principio del 1600, succedendo ad Andrea Bacci, otteneva alla facoltà di medicina della Sapienza la cattedra di botanica ed il lettorato di anatomia (rispettivamente per 600 scudi e per 50 fiorini l'anno di onorario) e, succedendo a Michele Mercati, era nominato direttore dell'orto botanico pontificio. Quest'ultimo impegno, del quale veniva chiamato a rispondere prima come "incaricato", poi come "stabile", successivamente come "perpetuo", dovette poi aprirgli la strada a quella frequentazione della corte papale che sotto cinque pontefici - Clemente VIII, Leone XI, Paolo V, Gegorio XV e Urbano VIII - lo indicava ad illustri conterranei come persona idonea alla quale rivolgersi per l'accoglimento di delicate richieste.
Il F., già nel 1602, si trovò con l'incombenza di dover appoggiare, presso Clemente VIII, la politica del vicario generale Johann Schoner, che gli aveva consegnato una lettera con raccomandazioni in tal senso, scritta per lui, quale internunzio a Roma, da johann Philipp von Gebsattel, allora vescovo principe della città di Bamberga. Se di quest'ultimo il F. diventava l'agente consueto, di fatto gli impegni che cominciarono ad occuparlo come agente saltuario presso il pontefice, per il disbrigo di affari per compito di altri vescovi, aristocratici e signori tedeschi, facevano talvolta cadere in sospetto, in area sia protestante sia cattolica, il suo ruolo all'interno delle correnti riformistiche e controriformistiche.
Nonostante le illazioni di C. Baronio l'inserissero nell'elenco dei "mamelucchi", in compagnia dei neoconvertiti Kaspar Schopp e Giusto Calvino, ed i sospetti degli intransigenti "romanisti", il F. riusciva negli anni a conservare l'abituale frequentazione della corte papale, legandosi in amicizia con i cardinali Cinzio Aldobrandini, Scipione Borghese, Francesco Barberini, Scipione Cobelluzzi, Federico Eutel di Zollern, a svolgere per un trentennio mansioni di fiducia per conto dei Fugger di Augusta, ad adoprarsi affinché i fratelli Filippo e Federico d'Assia, Ludovico V e il figlio Giorgio II d'Assia, Giovanni Casimiro d'Erbach, Federico IV di Fúrstenberg e Filippo Ottone di Salm - soltanto per citarne alcuni -, godessero, nei loro soggiorni romani, il piacere di un dotto accompagnamento per chiese e per musei senza omettere il disbrigo di più gravi incombenze.
L'adempimento di tali faccende non frenò la spinta degli interessi scientifici. Tessuta su una fittissima corrispondenza, l'amicizia con Kaspar Schopp, ardentemente preso, dopo l'abiura della fede protestante, ad indicarsi come promotore della Lega cattolica e spesso disposto, in favore di veementi polemiche, a trascurare gli impegni presi, lo spinse alla stesura del commento - che dedicò a Cinzio Aldobrandini - In imagines illustrium ex Fulvii Ursini Bibliotheca (Antverpiae 1606), quando lo Schopp, primo incaricato di quella stesura, vi aveva desistito, alla morte dell'Orsini, suo committente. Anche alla redazione della De nardo et epithymo adversus Iosephum Scaligerum disputatio (Romae 1607)., che il F. dedicava al protonotario e archiatra pontificio Vittorio Merulli, lo Schopp non era estraneo. Egli aveva pregato il F. di intervenire con uno scritto che screditasse lo Scaligero, loro comune odiato avversario calvinista, perché questi nel testo da lui curato dal titolo Catulli, Tibulli, Propertii nova editio. I. Scaliger ... recensuit. Eiusdem in eosdem Castigationum liber (Lutetiae 1577), azzardando competenze botaniche, che andavano oltre le sue specifiche cognizioni filologiche, si era avventurato a scrivere una estesa, quanto arbitraria, nota sull'identificazione mondana delle piante spica cilissa ed epithymus.
D'altra parte, il F. era ormai volto ad annodare le fila di un discorso imperniato sui grandi temi dell'indagine naturalistica europea con alcuni dei personaggi più impegnati del suo tempo. In proposito, il viaggio a Napoli compiuto nel 1608 per conto di Paolo V con il fine ufficiale di raccogliere piante rare per i giardini vaticani e con lo scopo, ufficioso, di raccogliere informazioni sulle condizioni di Tommaso Campanella, carcerato nell'orribile prigione di Sant'Elmo - ma anche i Fugger lo spingevano ad occuparsene insieme con lo Schopp - sembra avesse avuto il risultato di favorire il trasferimento del Campanella al più umano carcere di Castel dell'Ovo e, per certo, di far muovere il F. nell'ambiente più stimolante di quella città.
La conoscenza di Ferrante Imperato, di Giovan Battista Della Porta e di Fabio Colonna dovette condurlo per due mesi - tanto durò quel soggiorno - alla frequentazione di spezierie, musei naturali, orti botanici e giardini di semplici che articolavano la mappa dei luoghi dove intellettuali, scienziati, medici e speziali discutevano e praticavano tutti quei saperi eccellenti che dalla mineralogia alla spagirica, dalla fisiognomica alla astrologia, sulla base di una tenace tradizione magica, peculiarmente, a Napoli, erano il punto di confluenza delle ricerche botaniche, biologiche e mediche. La collaborazione con questi ingegni - e bisognerebbe ancora ricordare fra questi Giulio Cesare Capaccio, Nicola Antonio Stelliola, Quinzio Bongiovanni, Mario Schipani, Marco Aurelio Severino e frate Donato D'Eremita - era destinata a durare oltre l'occasione del viaggio napoletano che gli aveva permesso di fare ritorno a Roma ricco di semenze rare, soprattutto grazie all'aiuto dell'Imperato.
Procedeva intanto la sua stabilizzazione come "civis romanus": nell'anno 1608 prendeva la cittadinanza romana, in data 19 ag. 1612 si sposava con Maria Anna Hyrler, nata a Roma da genitori tedeschi, e sempre a Roma nascevano i suoi figli, di cui, amatissimi, sopravvissero Maria Vittoria, Maria Maddalena e Giano Domenico. E procedeva, del pari, il suo inserimento negli ambienti di scambio scientifico della città. L'amicizia con il botanico olandese Enrico Corvino rendeva consuete le visite del F. alla sua farmacia che, all'insegna dell'"Aquila imperiale" nella via Montegiordano, costituiva in Roma il punto d'incontro prediletto da medici e da artisti che, seppur sollecitati dalle occasioni di necessità diverse (la richiesta della preparazione delle teriache, per gli uni, e l'acquisto dei pigmenti, per gli altri), forse tracciavano proprio in quella - ma si aggiunga anche nelle botteghe di Antonio Belmiseri, di Ludovico Coltri, di Giovanni Davidoviz e di Adamo Melfi -, come daltronde in altre rinomate farmacie dell'epoca, la storia di interessi e problemi comuni. Di fatto, il F. si legava in amicizia con i fratelli Rubens, più volte a Roma, frequentava Paul Brill, stringeva rapporti familiari con Adam Elsheimer e Filippo Liagno, esperto miniaturista, gli metteva a disposizione le sue ricostruzioni ed incisioni di scheletri animali mentre con un dotto consesso di amici (Federico Cesi, johann Schrek, Teofilo Múller ed il Corvino) si dedicava con passione alle escursioni botaniche, sempre attento però a non trascurare quegli interessi iatrochimici (lascerà manoscritta un'Oratio, con dedica al Cobelluzzi, qua ignis et metallorum exemplo quam parum sciamus demonstratur), che aveva in comunione soprattutto con il Müller e lo Schreck.
La sua adesione all'Accademia dei Lincei di Federico Cesi, in data 29 ott. 1611, al di là dei compiti assunti con la nomina a cancelliere generale della stessa, in data 23 apr. 1612, segna l'infittirsi degli impegni in un panorama scientifico ormai dilatato dagli usi di quel "canocchiale", cui il Cesi dava nome di telescopio, e di quell'"occhialino", cui egli stesso donava il nome di microscopio.
Se non riuscì a presentare a Johann Gottfried von Aschhausen, vescovo principe di Bamberga, in Roma nel dicembre del '12, il desideratissimo dono di un telescopio, per le difficoltà incontrate dal Galilei nel procurarsi in tempo "cristallo puro", si adoperò come suo "suddito ed intrinsechissimo" affinché l'occasione di quel soggiorno desse buoni esiti per l'allargamento dei progetti accademici in Germania. Oltre ai libri scritti dai soci accademici "prima e dopo la lince", all'Aschhausen veniva consegnato, con dedicatoria del F., E Mexicanarum plantarum imaginibus impressis libellum (Romae 1613), che era il volumetto-campione sui materiali preparatori di un prestigioso lavoro di edizione cui il F., insieme con lo Schreck prima, con il Colonna poi, era stato incaricato dal Cesi di dedicarsi. Per questo lavoro, l'edizione denominata dai lincei Rerum medicarum Novae Hispaniae thesaurus, bisognava redigere i commenti esplicativi dell'opera che il medico Antonio Recchi da Montecorvino aveva redatto, a sua volta, a commento di quelle annotazioni che sulla fauna, sulla flora e, in sezione minore, sulla mineralogia Francisco Hernandez aveva raccolto nel corso delle ricerche compiute in Messico per incarico di Filippo II re di Spagna.
Di fatto, uno stretto dialogo epistolare con Marcus Welser informa come il F. seguisse da vicino tutte le questioni che pareva frenassero l'edizione dell'opera: dai dubbi inerenti alla scelta del titolo da dare ad una siffatta enciclopedia scientifica ai problemi legati alla sua resa iconografica e alle spese che la realizzazione di questa comportava, da certi impedimenti frapposti inspiegabilmente dal Cesi al buon svolgimento dei commenti lincei - se ne lamentava con il F. soprattutto lo Schreck - alle delicate manovre per ottenere il "privilegio". E tutto ciò molto prima che egli iniziasse e conducesse a termine la stesura dell'Expositio aglialiorum Novae Hispaniae animalium ... Imagines et nomina.
Consapevole delle suddette lentezze, il F. volle che il suo lavoro si pubblicasse, con la dedica a Francesco Barberini, anche come corpo a sé stante: la decisione si rivelerà lungimirante perché, mentre l'estratto a titolo Animalia Mexicana del F. usciva nel 1628 a Roma, per i tipi di G. Mascardi, il Thesaurus completo veniva edito postumo (Romae), soltanto nel 1651. In quest'ultimo dei suoi lavori - per il quale aveva stilato dalle sedici alle venti pagine di commento alle nude denominazioni impiegate, per ogni singolo caso, nel testo recchiano - riversava la somma delle sue esperienze in uno stretto sinolo di ricordi su quegli eventi scientifici e su quei casi personali - cui fa riscontro il ricchissimo epistolario - che lo avevano impegnato nella città di Roma.
A Roma concludeva la vita in data 17 sett. 1629. Per sua espressa volontà testamentaria fu sepolto nella chiesa di S. Maria dell'Anima, a fianco della moglie Maria Anna, morta due anni prima.
Fonti e Bibl.: Per la biografia del F. cfr. G. C. Capaccio, Illustriummulierum et illustriumlitteris virorum elogia et iudicia, Neapoli 1608, p. 277; L. Allacci, Apesurbanae, Hamburgi 1711, pp. 219 s.; G. Bianchi (Ianus Plancus), Lynceorum notitia, in Fabii Colunmae Lyncei Φυτοβάσανος, Florentiae 1744, pp. XVIII s.; G. Gabrieli, Ilcarteggio scientificoed accademico fra i primi lincei (1603-1630), in Mem. della R. Accad. naz. deiLincei, I (1925), p. 179; O. Krenzer, Dr. Johannes F. aus Bamberg, Arzt, Universitätsprofessor und päpstlicher Gartendirektor in Rom. Zu seinem dreihundertjahrigen Todestage. Bamberger Blätter für frankische Kunst und Geschichte, in Beiläge zum Bamberger Volksblatt, VI (1929), 16, pp. 65 s.; 17, pp. 70 s.; 18, pp. 74 s.; 19, pp. 77 s.; 20, pp. 82 ss.; 21, pp. 87 s.; G. Gabrieli, Bibliografia Lincea. IV. Scritti di G. F. linceo, in Rend. della R. Accad. naz. dei Lincei, IX (1933), pp. 276-334, e, nonostante le inesattezze, sub voce in C. G. Jöcher, Aligemeines gelehrten Lexicon, Leipzig 1750 (rist. G. Olms, Hildesheini 1961), p. 468; A. Hirsch, Biographisches Lexicon der hervorragenden Aerzte aller Zeiten und Völker, II, p. 457.
Informazioni su relazioni e momenti specifici della vita del F. si possono trovare in: C. Hautle, Des Bamberger Fürstbischofs Johann Gottfried von Aschhausen Gesandtschafts-Reise nach Italien und Rom 1612 und 1613, Tübingen 1881, pp. 92 s.; L. Amabile, Fra Tommaso Campanella nei castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi, Napoli 1887, pp. 394-412; F. Cortesi, Per la storia dei primi lincei, I, Il catalogo dell'erbario d'uno dei primi lincei, II, Una escursione botanica dei primi lincei a Monte Gennaro il 12 ott. 1611, in Annali di botanica, VI (1907), 1, pp. 153-160; Id., Una lettera inedita di Tobia Aldini a G.F., ibid., VI (1908), 3, pp. 403 ss.; Id., Alcune lettere inedite di Giovanni Pona, ibid., pp. 411-425; G. Gabrieli, T. Campanella e i lincei della prima Accademia, con un'appendice autobiografica di G. Scioppio, in Rend. della R. Accad. naz. dei Lincei, IV (1928), pp. 253-257; Id., Ricordi romani di P. P. Rubens, in Boll. d'artedel Minist. d. Pubbl. Istruzione, VII (1928), pp. 596-609; K. Gerstenberg, Rubens im Kreise seiner römischen Gefährten, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, I (1932), pp. 99-109; G. Gabrieli, Il ritratto di uno fra i primi lincei, G. F., in un quadro del Rubens di recente ritrovato, in Rend. della R. Accad. naz. dei Lincei, VIII (1932), pp. 765-772; Id., F. Borromeo e gli accademici lincei, in Atti della Pont. Accad. delle scienze d. Nuovi Lincei, LXXXVII (1934), pp. 169-172; G. Belloni, Ilcarteggio italiano-tedesco dei membri dell'Academia Lynceorum, in Res publica litterarum. Studies in the classical tradition, VI (1983), pp. 19-35.
Sull'attività accademica del F. cfr. in particolare G. Gabrieli, Verbali delle adunanze e cronaca della prima Accademia lincea, in Mem. della R. Accad. naz. dei Lincei, VI (1927), pp. 479-482 e passim. Per avere indicazioni preliminari sull'ambiente scientifico frequentato in Roma dal F. cfr. Id., Vita romana del '600 nel carteggioinedito di un medico tedesco in Roma, illinceo G. F., in Atti del I Congr. naz. di studi romani, I (1928), pp. 813-828; Id., Un libro linceo di zoologia esotica, specchio storico-letterario di vita romana del primo Seicento (i "Commentaria ad animalia Mexicana" del F.), in Atti del III Congr. naz. di studi romani, IV (1935), pp. 429 ss., mentre, per alcuni orientamenti su quello napoletano, G. Belloni Speciale, La ricerca botanica dei lincei a Napoli: corrispondenti e luoghi, in Galileo e Napoli, Napoli 1987, pp. 68-79.
Per l'insieme più cospicuo della corrispondenza del F. già pubblicata cfr. nell'edizione nazionale delle Opere di G. Galilei (Firenze 1890-1909), a cura di A. Favaro, e nell'edizione del Carteggio linceo (Roma 1938-1942), a cura di G. Gabrieli, entrambe da confrontarsi con i dati che lo stesso Gabrieli raccolse nell'Indice cronologico e topografico del carteggio linceo, in Mem. della R. Accad. naz. dei Lincei, III (1930), pp. 127-208, studio che offre, seppur con qualche discrepanza, il censimento orientativo della corrispondenza del F. sia edita sia inedita, comprensivo delle notizie sulle edizioni e sui depositi; per l'insieme più cospicuo della corrispondenza inedita cfr. invece il fondo dell'Archivio dell'Ospizio degli orfani, affidato in deposito alla Biblioteca dell'Accademia nazionale dei Lincei e Corsiniana in Roma.