GARZONI, Giovanni
Nacque orfano di padre, unico figlio di Giovanni di Marino e di Lucrezia Navagero di Bernardo di Luca, il 21 apr. 1514, a Venezia. Il padre era morto da qualche mese in cattive condizioni economiche, benché figlio di un procuratore di S. Marco; scrive il Sanuto - in data 25 ott. 1512 - che la Signoria aveva concesso a Giovanni il salvacondotto per un anno, perché "agravato di debiti, e stava in casa".
Date le circostanze, appena gli fu consentito il G. si impiegò nell'amministrazione statale e il 9 dic. 1538 entrò a far parte degli ufficiali al Dazio del vin, carica che mantenne sino all'8 apr. 1540. Di lì a poco, tuttavia, la sua situazione conobbe un certo miglioramento; per via di eredità materne, infatti, all'aprirsi degli anni Quaranta i procuratori de citra gli assegnarono una bella casa a S. Giovanni Grisostomo, esente da decima in quanto bene della commissarìa di Marino Morosini. Qui il G. poté sposare (24 genn. 1541) Regina Savorgnan del conte e cavaliere Girolamo di Pagano, che gli portò in dote 4.000 ducati. Si trattava di un matrimonio probabilmente superiore allo status effettivo del G. (benché pare che Regina si trovasse a dividere patrimonio e prestigio familiare con ben ventuno tra fratelli e sorelle), sicché non si può escludere che ci siano stati di mezzo i buoni uffici degli zii paterni del G., Vettore e soprattutto Zaccaria, cavaliere gerosolimitano fornito di sostanziose prebende a Rodi. Dalla moglie (che sarebbe morta presto, il 2 sett. 1556) il G. ebbe quattro figli maschi: Alvise, nato nel 1542 e subito scomparso, Leonardo, che si sarebbe fatto gesuita, un secondo Alvise nato nel 1545 e Costantino, nato nel 1547: questi due ultimi si sarebbero sposati, ma nessuno avrebbe avuto discendenza maschile; pertanto questo ramo dei Garzoni si sarebbe estinto nel 1629 e la casa a S. Giovanni Grisostomo sarebbe finita ai Pasqualigo.
A un patrizio di modeste fortune si prospettavano due tipi di carriera politica: quella giudiziaria, che portava alle Quarantie, e quella amministrativa, nei rettorati minori; il G. scelse la seconda, e il 3 dic. 1542 entrò podestà a Bassano, dove rimase sino al 22 marzo 1544.
I cattivi raccolti che si susseguirono in quegli anni e l'alto prezzo dei grani alimentavano un fiorente contrabbando con il confinante principato vescovile di Trento; a quanto pare il G. non si adoperò abbastanza per limitare il danno, se il 25 febbr. 1544 si scusava col Consiglio dei dieci adducendo l'esiguo numero di guardie delle quali poteva disporre per controllare i valichi: qualora la cosa non fosse risultata vera, "le Signorie Vostre mi imputino da imprudente, et me ne faccino ripportar biasimo dandomene la debita punitione, imperoché ad altro non dò opera che star continuamente advertido a questo".
La carriera di rettore nei centri minori non conosceva dinamiche né progressioni; pertanto il G. passò da Bassano a Traù, in Dalmazia, ossia in una località certamente più piccola e di minor rilievo; qui fece il suo ingresso il 14 genn. 1546 e vi rimase per trentadue mesi, sino all'8 sett. 1548. Il 10 novembre depositava nella Cancelleria ducale una stringata relazione, quasi tutta incentrata sulle fortificazioni del castello, allora in fase di parziale ristrutturazione per il sempre più manifesto pericolo degli Uscocchi.
Dopo un intervallo di tre anni il G. assunse un reggimento di maggiore importanza, quello di provveditore e capitano a Legnago, centro commerciale e militare, dove rimase dal 29 nov. 1551 al 27 marzo 1553. Dopo di che, quasi con pendolare oscillazione, tornò di nuovo nello Stato da mar, e fu conte e capitano a Sebenico fra il 31 maggio 1555 e il 30 maggio 1557. Anche di questo rettorato possediamo la relazione, letta in Maggior Consiglio il 1° luglio 1557 e dedicata soprattutto alle trattative intercorse con il sangiacco di Clissa per la restituzione alla Repubblica di una trentina di villaggi occupati dai Morlacchi nel corso di una scorreria.
Inconcludente si era dimostrata sino allora l'opera del bailo a Costantinopoli, Antonio Erizzo, perché i firmani della Porta una volta giunti in Bosnia sembravano perdere forza, e le autorità locali procrastinavano gli incontri risolutivi con molteplici pretesti, allo scopo di strappare qualche ulteriore donativo. Il mandato del G. volgeva alla fine, quando a sbloccare la situazione giunse proprio da Costantinopoli il segretario dell'Erizzo, l'abile ed esperto Marcantonio Donini, al quale il rettore affidò la conclusione delle trattative. Per il resto, la relazione del G. si occupa delle fortificazioni e della peste, manifestatasi in città il 12 ott. 1557, ma prontamente domata dalle misure adottate, "le quali forono tante et così grande, che […] si liberassimo totalmente […], non ostante che il mal fusse dilatato in molte parti, et che s'habbia havuto a far con persone quasi irrationali".
A Venezia il G. trovava tre figli in giovane età, privi di madre. Ricoprì un'ultima carica, quella di savio alle Decime, dal 1° dic. 1558 al 30 nov. 1559, quindi morì nella sua abitazione il 5 genn. 1561.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii…, IV, c. 19; Ibid., Segretario alle Voci, Elezioni del Maggior Consiglio, regg. 1, c. 70v; 2, cc. 115v, 134v, 166v; 3, cc. 148v, 207v; Ibid., Capi del Consiglio dei dieci, Lettere di rettori, b. 251, n. 66 (Bassano); sulla casa di S. Giovanni Grisostomo, Ibid., Procuratori di S. Marco de citra, b. 190/4; per il testamento della moglie, con notizie sulla dote, Ibid., Notarile, Testamenti, b. 1200/149; Commissiones et relationes Venetae, a cura di S. Ljubić (in Mon. spectantia historiam Slavorum merid.), II, Zagrabiae 1877, p. 181 (Traù); III, ibid. 1880, pp. 91-99 (Sebenico).