LOMELLINI, Giovanni Girolamo
Nacque a Genova da un'illustre famiglia nel 1609 (alcuni autori indicano però il 1607). Il padre, Girolamo, era membro del Senato della Repubblica; la madre, Maria Odone, era nipote per via materna del porporato genovese Antonio Sauli. Manca la documentazione sui primi anni di vita del L.: è noto solo che mentre il fratello Giovanni Raffaele fu avviato alla carriera politica nella città natale e un altro fratello, Stefano Maria, entrò nell'Ordine di Malta, il L. fu destinato alla carriera ecclesiastica presso la Curia papale. Di conseguenza, dopo avere compiuto i suoi studi presso il Collegio romano ed essersi laureato in utroque iure presso l'Università di Perugia nel 1633, entrò a Roma "in prelatura". Cinque anni dopo era referendario utriusque Signaturae e prefetto del piombo.
L'esordio del L. nella Curia romana, con l'assunzione di uffici di governo dello Stato della Chiesa, si collega ai solidi legami di alcune importanti famiglie di finanzieri genovesi (Lomellini, Raggi, Pallavicini, Costaguti, Siri) con Urbano VIII e il suo entourage familiare e politico. Da tempo la tradizionale presenza finanziaria genovese a Roma implicava anche l'inserimento di elementi appartenenti alle famiglie dei finanziatori e creditori della S. Sede nei ranghi dell'amministrazione della finanza e dello Stato pontificio. Negli anni di Urbano VIII tale prassi si fece ancora più evidente, viste le esigenze finanziarie della sua politica: il L. e altri esponenti genovesi entrati in Curia rappresentavano in un certo senso la prova tangibile del sostegno economico e politico delle rispettive famiglie al Papato barberiniano.
Nel giugno 1637 assunse la carica di vicelegato di Ferrara, alle dipendenze del nipote del papa, il cardinale Antonio Barberini iunior, legato di Ferrara, Bologna e della Romagna. In qualità di responsabile operativo del potere papale si occupò di tutti gli aspetti, anche i più minuti, di quella provincia: dall'organizzazione militare ai contrasti interni alla nobiltà locale in materia patrimoniale. Il L. si trovò anche ad affrontare lo straripamento del Po che, nel novembre 1640, invase le campagne ferraresi.
Nell'agosto 1642, il L. passò a ricoprire il medesimo ufficio a Bologna. Il momento era segnato dall'aggravamento delle tensioni tra Urbano VIII e il duca di Parma, Ottavio Farnese, a seguito dell'occupazione del Ducato di Castro da parte pontificia che portò nell'autunno del 1642 all'invasione dello Stato della Chiesa a opera delle forze farnesiane. Al vicelegato spettò l'incombenza dell'organizzazione logistica del sistema difensivo della Legazione, l'area dello Stato della Chiesa più esposta all'offensiva nemica. A tale scopo ricevette dal comandante dell'esercito papale, Taddeo Barberini, il titolo di commissario, così da meglio sovrintendere alle questioni - spesso causa di conflitti con le autorità locali - relative all'acquartieramento, al sostentamento e all'equipaggiamento delle truppe, nonché all'allestimento degli ospedali cittadini.
A riprova dell'equilibrio con cui il L. svolse le sue mansioni, vale la pena di ricordare che in occasione dell'imposizione nello Stato pontificio della tassa di 2 quattrini per libbra di sale, ordinata da Urbano VIII nel febbraio 1643, egli agì senza esasperare gli animi dei reggitori bolognesi, mostrandosi fermo nello scoraggiare un formale ricorso a Roma ma assumendosi il compito di informare il cardinale Barberini delle richieste di moderazione del carico fiscale avanzate dalla città.
Sempre nel 1643 il L. acquistò un chiericato della Camera apostolica, ufficio venale nonché importante gradino verso ruoli di maggiore rilievo in seno alla Curia. Nel gennaio 1644 Urbano VIII lo richiamò a Roma affidandogli la delicata carica di governatore della città, a cui spettava la responsabilità dell'ordine pubblico e della giustizia criminale. Egli agì con abilità in una situazione carica di tensioni, aggravata dalle continue scaramucce fra francesi e spagnoli presenti in città al seguito delle rispettive ambasciate. Alla fine di luglio di quell'anno, alla morte del papa, fu confermato nel suo ufficio dal Sacro Collegio ed ebbe l'incarico di mantenere l'ordine durante la vacanza della Sede apostolica.
Ancora una volta il L. diede prova di equilibrio e fermezza, che, uniti alla sua appartenenza alla solida rete di interessi genovesi, gli consentirono di non risentire della caduta dei Barberini seguita al pontificato di Urbano VIII.
Le sue capacità furono apprezzate da Innocenzo X Pamphili, che lo confermò al governo di Roma e quindi, nell'ottobre 1647, gli conferì la carica, anch'essa venale, di tesoriere generale della Camera apostolica, uno degli uffici chiave del governo della S. Sede, nonché trampolino di lancio verso la porpora cardinalizia. Tuttavia, le turbolenze politiche e finanziarie di quegli anni non mancarono di farsi drammaticamente sentire. Il L. subì un misterioso attentato: secondo la narrazione del diarista romano Giacinto Gigli, la sera del 21 dic. 1647, egli fu oggetto di un vero e proprio agguato omicida. Rimase, invece, solo lievemente ferito da un colpo d'archibugio, mentre l'attentatore mascherato sfuggiva alla cattura grazie all'intervento di alcuni complici.
Nel febbraio 1652 il L. fu creato cardinale prete del titolo di S. Onofrio da Innocenzo X nella tornata di nomine che comprendeva, fra le altre, figure del rilievo di Fabio Chigi, Luigi Omodei e Pietro Ottoboni. A favore di tale scelta vi erano le indubbie doti di buon amministratore dimostrate dal L., che furono anche alla base della sua destinazione al governo della Legazione di Bologna.
Nel ruolo di cardinale legato il L. diede prova della consueta fermezza reprimendo le attività criminali del conte Astorre Barbazza, che, dalla sua residenza sull'Appennino, taglieggiava i contadini e commissionava delitti in tutto il Bolognese a malviventi posti al suo soldo. Dopo aver fatto processare e bandire il conte, il L. ne ordinò il sequestro dei beni, sollevando le proteste del governo municipale in quanto si trattava di beni sottoposti a fedecommesso.
In occasione del conclave successivo alla morte di Innocenzo X, nel gennaio 1655, il L. fu nel gruppo dei porporati che diedero vita al cosiddetto "squadrone volante" e in questo modo contribuì all'elezione di Fabio Chigi (Alessandro VII), che lo confermò alla guida della Legazione di Bologna.
L'azione del L. si esplicò nell'attenta sorveglianza dell'area padana, dove erano in pieno svolgimento le operazioni militari del conflitto tra Francia e Spagna. Nella città fu particolarmente apprezzata l'accoglienza tributata, il 26 nov. 1655, alla regina Cristina di Svezia durante il suo viaggio verso Roma. In tale occasione il L. presiedette alle sontuose cerimonie religiose e ai festeggiamenti tenuti per tre giorni in onore della sovrana convertitasi al cattolicesimo.
Sembra che il L. mantenesse buoni legami con il pontefice, oltre che con i propri congiunti, come prova il fatto che, nel 1657, il fratello Stefano Maria, priore di Venezia dell'Ordine di Malta, dopo avere ricoperto il generalato della squadra pontificia, divenne governatore generale delle armi ad Avignone. Nel giugno 1658 il L. fu sostituito alla guida della Legazione di Bologna dal cardinale Girolamo Farnese.
Recatosi a Roma, il L. morì il 4 apr. 1659. Fu sepolto nella chiesa dei Ss. Ambrogio e Carlo al Corso in una tomba fatta erigere dall'amico cardinale Omodei.
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