GRADENIGO, Giovanni
Figlio di Bartolomeo e probabilmente della prima moglie di questo, una Cappello, nacque a Venezia intorno all'ultimo decennio del secolo XIII. Si sposò con Alisetta, o Alissa, Loredan dalla quale non ebbe figli, almeno maschi, e risiedette stabilmente nella parrocchia di S. Lio.
Questo particolare, unitamente al soprannome "Greze", ovvero "Grece" o anche "Greco", ci consente di distinguere il G. dagli omonimi coevi, innanzitutto il doge Giovanni Gradenigo, di certo più anziano anche se non di molto, e poi un Giovanni Gradenigo di Matteo, "da S. Vidal", affatto dimenticato dagli Arbori del Barbaro, del quale si conserva tuttavia il testamento, redatto il 19 luglio 1346, che conseguì alcuni modesti incarichi politici.
Nulla si conosce dell'adolescenza e della giovinezza del G., degli interessi, degli eventuali studi, e anche delle prove, delle esperienze, degli impegni politico-amministrativi che segnarono gli esordi della sua vita pubblica. Indubbiamente la sua carriera iniziò prima che il padre fosse chiamato a ricoprire la più alta carica dello Stato, tuttavia solo a partire dal 1339 il suo cursus honorum assunse una dinamica e un rilievo particolarmente significativi.
Non a caso il padre del G., Bartolomeo, fu accusato di eccessivo favoritismo nei confronti dei figli, al punto da provocare, appena dopo la sua morte (28 dic. 1342) e nelle more dell'elezione del successore Andrea Dandolo, un pesante intervento del Maggior Consiglio, il quale vietò per il futuro l'attribuzione di pubblici uffici ai fratelli, ai figli e ai nipoti di un doge fintantoché questi fosse ancora vivo.
Il primo incarico pubblico documentato del G. fu la partecipazione nel maggio del 1318 ai lavori di una commissione di savi incaricata di esaminare la condotta tenuta dal duca di Creta Nicolò Lion, in una vicenda dai contorni torbidi e alquanto confusi, che vide la massima autorità veneziana dell'isola invischiata in un traffico illecito di granaglie. Seguirono quindi alcune importanti missioni diplomatiche che portarono il G. attraverso mezza Europa, inframmezzate da ripetute presenze in Pregadi e in numerose commissioni di provveditori ovvero di savi incaricate, prima che ottenessero stabile e definitiva organizzazione le tre "mani" di savi del Collegio, di esaminare delicate questioni che potevano toccare i più diversi aspetti delle materie affidate alla competenza del Consiglio e richiedevano equilibrio, capacità di giudizio, esperienza politica e amministrativa. Fu così nel novembre del 1323 a Ferrara, insieme con Giovanni Vallaresso, nel 1326-27 in Spagna e nell'estate del 1331 in Boemia. Rientrato in patria, dovette subito dopo ripartire, questa volta con destinazione Traù, nelle vesti di conte. In Dalmazia, dove qualche anno prima era stato preceduto con le medesime funzioni dal futuro doge Giovanni Gradenigo, il G. si trattenne fino a tutto il mese di novembre del 1333, quando venne sostituito da Michele Giustinian.
Nuovamente a Venezia ed eletto pressoché stabilmente in Pregadi, il G. prese ripetutamente parte nel biennio 1334-35, in qualità di savio, ai lavori di numerose commissioni consultive. Nel gennaio del 1334 fu chiamato a occuparsi dell'ennesima ribellione di Creta; nel mese di aprile dovette interessarsi sotto il profilo giuridico, insieme con Nicolò Volpe e Giovanni Morosini, del contenzioso commerciale apertosi tra il Comune di Venezia e Aversore di Cervia, il quale aveva fatto sequestrare a Ravenna un carico di frumento di proprietà veneziana. Sempre nel 1334, a maggio e a luglio, fu investito di altri problemi, in particolare l'esame della corrispondenza diplomatica, con l'assistenza di altri colleghi, Bertuccio Polani e Marco Vitturi. Poi nel 1335, a gennaio e a febbraio, venne incaricato, unitamente a Giacomo Soranzo e a Marco Molin, di seguire con particolare attenzione alcuni episodi di ostilità intercorsi tra Genovesi e Veneziani e di suggerire i provvedimenti ritenuti più opportuni, sobbarcandosi dei ritmi di lavoro talora febbrili, come attestano ampiamente le numerose deliberazioni al riguardo proposte all'approvazione dei Pregadi.
Nel 1336, nel corso della guerra veneto-scaligera, forse uno dei primi episodi di quel più generale conflitto che avrebbe portato Venezia, nel corso del XIV secolo, a confrontarsi con i maggiori potentati dell'entroterra veneto, il G. si misurò anche, e occorre aggiungere positivamente, con i comandi militari. In un primo momento venne infatti preposto, insieme col fratello Bertucci e con Marco Giustinian, Andrea Morosini e Pietro Canal, alla flotta fluviale che presidiava le foci dell'Adige e del Brenta, ottenendo brillanti successi e distinguendosi in numerosi fatti d'arme, in particolare nella conquista del castello di Saline. Successivamente fu nominato provveditore dell'esercito della Lega (veneto-fiorentina) contro gli Scaligeri.
Chiusa questa esperienza militare, il G. ritornò in Pregadi e come nell'immediato passato fu ripetutamente eletto savio nel settembre 1337, nel novembre e nel dicembre del 1339, nel marzo del 1340. Conclusasi felicemente per Venezia nel 1338 la guerra contro Mastino Della Scala con l'acquisizione di Treviso e del suo distretto, si aprì per la Serenissima la strada che l'avrebbe portata in meno di un secolo a dominare tutta la Terraferma e a inviare con assoluta regolarità i propri rappresentanti nelle vesti di rettori, podestà, capitani, provveditori o altro in tutti i centri maggiori dello Stato da Terra, come del resto avveniva già per quelli da Mar.
Il G. fu uno dei primi ad approfittare delle nuove opportunità che si offrivano al patriziato veneziano: nel dicembre del 1338 fu infatti eletto podestà di Conegliano, uno dei centri strategicamente più importanti della Marca trevigiana. Nel marzo del 1340, essendosi diffusa a Venezia la notizia di una possibile presenza in Dalmazia del re d'Ungheria, il nemico più potente, pericoloso e temibile che lo Stato marciano potesse avere, il Consiglio dei pregadi inviò in tutta fretta il G., insieme con Marco Giustinian e Marino Falier, il futuro doge, in qualità di "provisores ad partes Sclavonie", in una vera e propria missione di indagine esplorativa, con il compito di verificare l'attendibilità delle notizie che spesso venivano lasciate filtrare ad arte dagli emissari del sovrano, di saggiare lo stato d'animo delle città e delle popolazioni suddite, di misurare il grado di fedeltà delle autorità locali, e soprattutto di predisporre tutto ciò che poteva tornare utile alla Serenissima.
Dopo aver fatto ritorno a Venezia all'inizio dell'estate, il G. fu più volte eletto savio, nell'agosto, nell'ottobre, nel novembre e nel dicembre di quello stesso anno, e incaricato di occuparsi di problemi di straordinaria importanza, di norma associato agli esponenti più in vista e prestigiosi della dirigenza politica cittadina, Marino Falier, Andrea Dandolo, Marco Giustinian, Giovanni Morosini. Nel dicembre dello stesso anno poi, per diretto intervento del padre, che in quanto doge non mancò di esercitare le inevitabili pressioni del caso, il G. fu inviato in missione diplomatica presso Alberto e Mastino Della Scala signori di Verona, al fine di verificare l'osservanza dei capitoli di pace sottoscritti nel dicembre del 1338. Lo accompagnavano in questa occasione Giovanni Contarini e Giovanni Morosini. Nel 1342 fu quindi eletto in Quarantia, nell'ambito della quale svolse in più occasioni le funzioni di capo, e il 7 genn. 1343 fu tra i quarantuno che elessero doge Andrea Dandolo.
L'autore della Venetiarum historia ritiene, con poco fondamento, che il G. fosse figlio di Maddalena, sorella di Andrea Dandolo (p. 225), egli sarebbe stato quindi nipote ex matre del doge che aveva contribuito a eleggere. In realtà Bartolomeo aveva sì sposato una sorella del Dandolo, ma solo in terze nozze e in tarda età e da questa oltre tutto non aveva avuto figli; e in aggiunta Maddalena, la seconda moglie, era una Contarini e non una Dandolo.
In più occasioni savio nel corso del medesimo anno, il 31 ag. 1344 il G. fu nuovamente eletto "provisor ad partes Sclavonie", terzo collega di Niccolò Barbarigo e Giustiniano Giustinian e spedito in tutta fretta in Dalmazia ancora una volta minacciata dagli Ungari, con il compito di dare maggiore visibilità all'interesse veneziano per quella regione, apertamente rivendicata da Luigi I d'Angiò re d'Ungheria. I tre provveditori, partendo da Nona, dovevano toccare a tappe successive Zara, Sebenico, Spalato e Traù, e appoggiare con i loro consigli e le loro determinazioni gli sforzi messi in atto dai rettori veneziani per conservare a Venezia quelle località; visto però che la loro presenza non sortiva alcun effetto positivo, anzi tornava di pregiudizio all'onore veneziano e comportava solamente delle spese, nel gennaio del 1345 il Consiglio dei pregadi ordinò loro di fare ritorno in patria appena possibile. Nel maggio del 1346 il G. si trovò però nuovamente in Dalmazia, provveditore dell'esercito all'assedio di Zara, unitamente ad Andrea Michiel, conte di Arbe, Andrea Morosini, Nicolò Pisani ed Ermolao Zane. In Dalmazia si concluse anche la sua carriera politica; nell'autunno del 1346 fu infatti eletto conte di Arbe, l'ultimo incarico pubblico riportato dalle fonti.
Morì durante l'estate del 1348, forse proprio ad Arbe, e quasi certamente di peste; venne però sepolto a Venezia, insieme con la moglie, in un'urna collocata nel chiostro della chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, St. veneta, 20: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patritii veneti, cc. 90, 95; 74: P. Gradenigo, Memorie istorico-cronologiche spettanti ad ambasciatori della Serenissima Repubblica di Venezia spediti a vari principi, c. 336v; Misc. codd., III, Codici Soranzo, 21: Historia veneta scritta da Gio. Giacomo Caroldo… in forma di cronica dalla fondazione di Venetia sino l'anno 1361, cc. 286r, 288r, 299r; Archivio notarile, Testamenti, Notaio Rafayno de Caresinis, b. 483 n. 84; Commemoriali, regg. II, cc. 142v, 143v; III, cc. 18r, 126v, 182v; IV, cc. 105r, 166v; Maggior Consiglio, Deliberazioni, Liber Spiritus (copia), c. 308v; Senato, Deliberazioni miste, regg. (tutti in copia) 16, cc. 88v, 100v, 125r, 129v; 17, c. 151v; 18, cc. 78r, 92r, 121v-122r, 128v, 155v-156r; 19, cc. 8v-9r, 75rv, 89r, 97r, 101v-102r; 20, cc. 134rv, 200v; 21, cc. 144r, 156r, 176v; 22, cc. 88r, 117v; Senato, Deliberazioni miste, Rubricari, reg. V, c. 60r; Sindicati, reg. 1, c. 10v n. 26; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Codd. Cicogna, 1874: Lapidi sepolcrali esistenti o che esistevano nella chiesa e chiostri dei Ss. Giovanni e Paolo…, advocem; 1976: Inscrizioni nella chiesa e monastero dei Ss. Giovanni e Paolo di Venezia raccolte dal padre maestro Marcantonio Luciani…, p. 111; 2011/I: Iscrizioni nella chiesa de' Ss. Giovanni e Paolo, c. 30r n. 443; 2329: Storia delle famiglie venete…, cc. 35r, 39rv; Codd.Gradenigo, 133/I, cc. 28r, 30rv; Ibid., Bibl. naz. Marciana, Mss. it., cl. VII, 192 (= 8230): Vita del doge Bartolammeo Gradenigo scritta dal n.h. ser Piero Gradenigo qm Giacomo, pp. 13, 39; M. Sanuto, Vitae ducum Venetorum Italice scriptae, in L.A. Muratori, Rer. Ital. Script., XXII, Mediolani 1733, coll. 609 s.; Raphaynus de Caresinis, Chronica, a cura di E. Pastorello, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XII, 2, p. 8; I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, I, Venezia 1876, pp. 255 s. nn. 392 s.; II, ibid. 1878, pp. 18 n. 113, 63 n. 371, 91 n. 524, 154 nn. 197 s., 178 n. 320; Iacopo Piacentino, Cronaca della guerra veneto-scaligera, a cura di L. Simeoni, in Miscellanea di storia veneta, V, Venezia 1931, pp. 45, 63; Le deliberazioni del Consiglio deirogati, I, a cura di R. Cessi - P. Sambin, Venezia 1960, p. 191 n. 170; II, a cura di R. Cessi - M. Brunetti, ibid. 1961, pp. 255 nn. 280 s., 300 n. 443, 301 n. 447, 305 n. 460, 338 n. 553, 398 n. 746, 403 n. 769; Venetiarum historia vulgo Petro Iustiniano Iustiniani filio adiucata, a cura di R. Cessi - F. Bennato, Venezia 1964, pp. 222, 225; F. Sansovino, Venetia città nobilissima et singolare descritta in XIII libri, Venetia 1581, p. 64; G.B. Verci, Storia della Marca trevigiana e veronese, XI, 2, Venezia 1789, p. 153; V. Lazzarini, Marino Faliero, Firenze 1963, p. 26.