LAMI, Giovanni
Nacque a Santa Croce sull'Arno l'8 nov. 1697 da Benedetto e da Chiara Stella Baldacci. Il padre, proveniente da un'agiata famiglia di commercianti di carni e di proprietari terrieri, si era laureato medico a Pisa nel 1683 con Giuseppe Del Papa e si era conquistato l'apprezzamento della Comunità di Santa Croce.
Molte notizie sulla famiglia e sulla sua formazione culturale derivano da una serie di testi autobiografici in parte inediti, che il L. lasciò con la meticolosità e la vanità con la quale volle presentarsi al pubblico dei dotti e dei suoi concittadini "sciagurati e malvagi", dai quali prese le distanze una volta che, "lieto e pieno d'onore", si era aperto la strada "alla gloria per tutta l'Europa". Così annotava nel giugno del 1740 nel suo Viaggio di Caritone e Cirilla, resoconto dell'itinerario compiuto in calesse da Firenze a Santa Croce insieme con la serva Cirilla; se fu merito del L. l'avere diffuso fra gli intellettuali toscani l'"odeporico", letteratura di viaggio piena di notazioni erudite e ricordi personali, a lui e al medico e "filosofo mugellano" A. Cocchi si deve il compiacimento della scrittura sotto forma di "diario storico" o di autobiografia, redatti rigorosamente in terza persona. Questa forma di scrittura, tesa a mettere in risalto gli esordi dell'uomo di lettere, i suoi progressi, le sue contese, i suoi successi, pur con stile e spirito diversi, ebbe molta fortuna nella Firenze di G. Pelli Bencivenni e M. Lastri, successori del L. nella compilazione delle Novelle letterarie. I ricordi autobiografici (Firenze, Biblioteca Riccardiana, Riccardi, 3807), il diario storico dal 1611 al 1757 (ibid., 3808-3809), la Lettera d'Ippolitofiorentino (ibid., 3826, in parte edita da M. Rosa e da E. Cochrane), i Ricordi d'azienda (Firenze, Biblioteca nazionale, Nuove accessioni, 6) costituiscono il corpus memorialistico del L., cui si devono aggiungere le biografie del padre Benedetto e dello zio paterno, il minore osservante Carlo Felice (al secolo Ippolito), inserite nell'opera del L. Memorabilia Italorum eruditione praestantium quibus vertens saeculum gloriatur, I, Florentiae 1742, pp. 283-293; II, ibid. 1747, pp. 157-164).
Alla morte del padre, avvenuta nel 1699, il L. aveva già perso i fratelli maggiori Carlo, Enrico e Luigi. Da quel momento la madre, donna pia e modesta, ma forte e "robizza", affidò il L. agli zii paterni, celibi, Domenico, canonico della collegiata di Santa Croce, Giuseppe e Anton Francesco; soprattutto da questo zio, che aveva vissuto a lungo a Livorno, città aperta agli influssi di vari paesi, il L. ricevette fecondi stimoli di curiosità intellettuale.
Nella Lettera d'Ippolito fiorentino il L. si sofferma a lungo sull'educazione ricevuta, che fu pari a quella di "qualsivoglia gran cavaliere". Maestri e precettori ecclesiastici e secolari privati prima, e il collegio Cicognini di Prato retto dalla Compagnia di Gesù dopo - dove rimase soltanto per un anno fra il 1710 e il 1711 -, accompagnarono le tappe di un percorso ormai consolidato negli iter educativi dei nobili del tempo, improntato alla lettura dei classici e alla composizione in versi latini, ma con scarsa o nulla attenzione per il greco e le lettere toscane "more iesuitarum consueto".
L'uscita dal collegio imputata alla salute cagionevole non interruppe la formazione del L., che proseguì studi di logica e metafisica con lo zio Carlo Felice, senza contare il profitto che ricavò, come egli stesso ricorda, dalle dotte conversazioni che si svolgevano in famiglia su vari temi, scientifici, teologici, politici, o letterari animate dall'esempio paterno. Nel 1715 il L. approdò all'Università di Pisa, dove fu avviato agli studi giuridici in vista di un futuro sbocco professionale nella pratica forense "il qual promette più sicuro e maggiore il guadagno" (Fontani, p. 5).
Suoi maestri a Pisa furono G. Scarlatti, S. Fabbrucci - che sarà suo assiduo corrispondente quando si dedicherà alla raccolta di notizie storiche per scrivere la storia dello Studio pisano - F.M. Ceffini, G.P. Gualtieri e soprattutto L. Migliorucci con il quale il L. si laureò nel 1719.
Dalla frequentazione del Migliorucci, possessore di una ricca biblioteca dove facevano spicco anche molti testi di erudizione ecclesiastica, il L. trasse incoraggiamento e ispirazione per gli studi incentrati sulla storia e l'erudizione sacra e profana. Altro incontro importante fu quello con il camaldolese G. Grandi, professore di geometria, e con il benedettino cassinese V. Valsechi, professore di sacra scrittura. Mentre con il Grandi conservò, anche dopo il periodo universitario, un rapporto di stima fondato sulla reciproca adesione al razionalismo cartesiano e all'impiego delle cosiddette "scienze ausiliarie" nello studio della teologia, con il Valsechi e con il giurista G. Averani entrò in accesa polemica quando, alla fine degli anni Trenta, vennero più allo scoperto le posizioni antigesuitiche del Lami. Scontri e incomprensioni non erano mancati nella carriera di studente che per un breve tempo lo vide ricoprire la carica di vicerettore dello Studio con il compito di dirimere le controversie insorte fra gli studenti e la popolazione pisana. Di questa esperienza restano, tuttavia, anche a detta del Fontani, una serie di appunti del L. su varie materie scientifiche e umanistiche che denotano l'intensa applicazione allo studio da parte di un L. che solo di malavoglia e per poco si sarebbe dedicato nel 1720 a Firenze alla pratica forense sotto la guida del giureconsulto F. Fabbrini.
L'arrivo a Firenze coincise con il fortunato incontro con A.M. Salvini, socio delle principali accademie fiorentine ed europee e ormai noto come valente grecista. Fu questi a far appassionare il L. allo studio del greco e della filosofia platonica e in casa Salvini il L. soggiornò per alcuni mesi del 1720 prima di "imborsarsi" come giudice; ricoprì questa carica nella podesteria di San Gimignano soltanto per un anno, fra il 1724 e il 1725.
Alcune succinte note in italiano poste in fine dell'autobiografia in latino riassumono gli eventi principali del decennio che seguì la laurea, scandito da due brevi rientri a Santa Croce, dal tentativo di fondare qui un'accademia dopo che nel 1721 era già stato ascritto, grazie al Salvini, agli Apatisti di Firenze. Insieme con gli esercizi poetici e le dotte improvvisazioni recitate con successo in questo sodalizio, il L. continuò lo studio del greco e quello della lingua francese presso il monastero dei padri foglianti della Pace situato nei dintorni della città, da qualche tempo meta formativa anche per i principini di casa Medici. Un sentito elogio del Salvini da parte del suo allievo si trova in un passo di un Dizionario inedito che insieme avevano intrapreso nel 1721 per illustrare l'uso dei vocaboli greci nel parlare quotidiano. Fra gli altri ricordi lasciati dal L., alquanto sibillino resta il riferimento fugace ad alcuni "amori a Cigoli" dei quali, fedele al celibato come tutti gli zii paterni, non avrebbe fatto ulteriore menzione.
Prive di esito furono in questi anni le raccomandazioni a Ottaviano Acciaiuoli e a Folco Rinuccini, mentre il L. aspirava sempre a una lettura nello Studio pisano. Dopo la morte del granduca Cosimo III, avvenuta nel 1723, anche il L. partecipò a quel clima di fervore e di rinnovamento culturale che mirava a intaccare l'aristotelismo e la scolastica e che nel 1727 culminò nell'edizione delle opere del filosofo francese P. Gassendi sotto il patrocinio del nuovo granduca Gian Gastone. In questo periodo il L. si era intanto cimentato nella composizione di un difficile testo di controversia teologica dal titolo De recta Patrum Nicaenorum fide dissertatio (pubblicato poi a Venezia nel 1730), nel quale si confutavano le tesi di sociniani e calvinisti come il ginevrino J. Le Clerc assertori del "triteismo" dei padri niceni, ovvero della diversa natura delle persone della Trinità. Questo piglio apologetico che mostrava di ben conoscere le argomentazioni degli avversari fece presto parlare di lui, tanto che, grazie ai buoni uffici e all'amicizia con G. Grandi e con il teatino G.B. Caracciolo, conosciuto negli anni pisani come professore di matematica, nel 1728 ottenne un impiego di bibliotecario presso Gian Luca Pallavicino di Genova che allora ricopriva un incarico al servizio dell'Impero. Al seguito del Pallavicino il L. compì il suo primo viaggio all'estero, a Vienna, dove conobbe, tra gli altri, il bolognese Niccolò Pio Garelli, archiatra e bibliotecario dell'imperatore, Apostolo Zeno, poeta cesareo, e l'esule Pietro Giannone, verso le cui tesi giurisdizionaliste mostrò anni dopo un cauto apprezzamento (cfr. Novelle letterarie, XIV [1753], col. 707).
Fra il 1728 e il 1732 compì da solo un viaggio a Parigi; qui, attratto dai colloqui e dagli studi dei maurini di Saint-Germain-des-Près, ebbe modo di cogliere la libertà di espressione con cui uomini e donne, riuniti in "crocchio o conversazione", discutevano di problemi di fede, criticando le istituzioni ecclesiastiche nel pieno dei fermenti religiosi che durante il regno di Luigi XV videro contrapposti fautori e detrattori della bolla Unigenitus del 1713, emanata contro le tesi gianseniste contenute nelle Réflexions morales di P. Quesnel.
Queste notazioni, insieme con altre più amene, costituirono l'argomento della sua corrispondenza epistolare con la madre e con gli zii, esprimendo giudizi sulla vita e la cultura della Francia più freschi e incisivi di quanto avrebbe fatto nell'età matura; intanto ritardava il suo rientro in patria per timore di ritrovarsi nelle solite angustie di quel luogo "rude", ancora in attesa di un impiego proficuo e stabile.
Durante il soggiorno parigino completò i suoi scritti a difesa del dogma trinitario (cfr. De recta Christianorum in eo quod mysterium divinae Trinitatis adtinet sententia, stampato a Firenze nel 1733), mentre iniziò la Chronologia virorum eruditionepraestantium edita postuma nel 1770.
Rientrato in Italia passando per l'Olanda e le Fiandre, il L. dal 1732 si stabilì definitivamente a Firenze, lasciando a Santa Croce gli affetti familiari e alcuni possedimenti terrieri che continuò a seguire da lontano con scrupolo di accorto amministratore; questo suo ruolo meno conosciuto sarebbe da mettere in correlazione con l'attività svolta all'interno dell'Accademia dei Georgofili di Firenze, fondata dal L. nel 1753 insieme con l'abate Ubaldo Montelatici.
Sfumata la possibilità di una cattedra nell'Università di Pisa, forse a causa delle polemiche che le sue prime opere avevano suscitato, il L. accettò l'incarico di bibliotecario della famiglia Riccardi, dedita fin dal 1596 alla raccolta di libri e codici preziosi, dei quali il L. stese un puntuale catalogo che forniva in maniera innovativa elementi relativi alla storia, al genere, alla lingua dei codici descritti. Nel 1733 il granduca Gian Gastone, dimostratosi sensibile alle novità letterarie e scientifiche, affidò al L. la cattedra di storia ecclesiastica nello Studio fiorentino.
In questo senso l'ultimo granduca di casa Medici continuava una tradizione inaugurata dal padre Cosimo III, che nel 1677 aveva istituito ex novo questo insegnamento nell'Università pisana, affidandolo all'agostiniano Enrico Noris, evento che apriva l'insegnamento della storia sacra e profana nelle aule universitarie italiane. Sulla scia di questa tradizione si inseriva il L. che dai padri maurini francesi, ma anche dal Valsechi, dal Noris, dal servita G. Capassi, successore del Noris sulla cattedra pisana, aveva appreso la necessità della critica nella storia ecclesiastica. Se l'esempio più vicino di queste esigenze era rappresentato dalle ricerche promosse da L.A. Muratori, l'intento di sfatare leggende di santi e superstizioni varie si ricollegava a un'esigenza diffusa di riforma della Chiesa, che in Francia aveva tra i suoi paladini C. Fleury, S. Tillemont e il domenicano N. Alexandre, dei quali il L. possedeva nella sua ricca biblioteca le opere principali. Evocati insieme con M. Cano, C. Baronio, D. Papenbroeck e i padri bollandisti in genere, il L. se ne servì per lanciare un'ennesima invettiva contro i nemici dei "virtuosi scrittori" che impiegavano le loro penne contro abusi ed errori perniciosi (cfr. Lettera d'Ippolito…, cit.).
Nel 1736, mettendo a frutto il suo lavoro di bibliotecario, pubblicò il primo dei 18 volumi delle Deliciae eruditorum seu Veterum anekdoton opuscolorum collectanea (Florentiae).
Nella prefazione il L. ricorda i viaggi compiuti in Europa che gli avevano rivelato il lavoro instancabile degli eruditi condotto fra le "carte corrose" di biblioteche e archivi; all'esaltazione dei mostri sacri della repubblica letteraria d'Oltralpe, antiquari, filologi, numismatici, fa seguire quella di Firenze, "amplissimum theatrum" di lettere e arti, le cui ricche biblioteche di conventi e di privati cittadini contenevano codici preziosi e ignoti che attendevano di essere pubblicati e illustrati. Il programma dell'opera, diretta per lo più alla riscoperta di codici greco-bizantini funzionale a un richiamo alla Chiesa primitiva, contemplava anche l'edizione di opuscoli provenienti da altre parti della Toscana e dell'Italia e non necessariamente anteriori al XV secolo; alla vita di ciascun autore doveva seguire la storia del codice e della biblioteca in cui era conservato.
Il successo economico dell'impresa, in cui il L. fu aiutato da Giuseppe Mecatti, fu ottenuto grazie alle sottoscrizioni da parte di vari personaggi laici ed ecclesiastici, letterati, giuristi, ministri, funzionari di minor livello, professori universitari, antiquari, sparsi in alcune città dell'Italia centrosettentrionale e di cui Firenze, ovviamente, era la più rappresentata con 161 sottoscrittori, tra i quali il proposto A.F. Gori e il canonico di Livorno P. Gentili, futuri fondatori insieme con il L. e Giovanni Targioni Tozzetti delle Novelle letterarie.
Nelle Deliciae, tuttavia, oltre che antichi testi, furono inserite anche opere del L.; nei quattro tomi editi tra il 1741 e il 1754 trovò così spazio la pubblicazione del Charitonis et Hippoliti Hodeporicon, resoconto del viaggio compiuto da Firenze a Santa Croce dal 7 sett. 1740.
Nel 1738 il L. dava alle stampe a Firenze un testo che avrebbe suscitato un vespaio di polemiche anche in seno al gruppo dei suoi vecchi professori, a cominciare da G. Averani o di benpensanti come il perugino L. Pascoli: De eruditione apostolorum liber singularis in quo multa quae ad primitivorum christianorum literas, doctrinas, scripta, placita, studia, conditionem, censum, mores & ritus, attinent, exponuntur & illustrantur…, dedicato a Neri Corsini.
In opposizione alle tesi dei deisti e degli antitrinitari, tra cui molti si riconoscevano nella scuola dei neoplatonici di Cambridge, il L. contestava che negli apostoli, ivi incluso l'evangelista Giovanni, vi fosse un qualunque influsso della filosofia ellenistica, mentre rivendicava, attenendosi al testo neotestamentario, l'autentica ispirazione divina degli apostoli, uomini semplici e illetterati. Anche con quest'opera il L. dava una prova di quanto l'erudizione fondata sui documenti e sugli strumenti filologici idonei fosse intesa quale complemento essenziale della "sana dottrina", tanto che inseriva nel testo un elenco dei codici greci del Nuovo Testamento presenti nelle biblioteche fiorentine. L'elogio di Muratori non bastò a risparmiare al L. le molte amarezze provate, rievocate puntualmente nei suoi scritti autobiografici.
Da questo momento, dopo l'avvento della reggenza lorenese in Toscana (1737), alla vigilia del pontificato di Benedetto XIV, il clima di Firenze - dove la generazione di F. Redi, L. Magalotti, F. Buonarroti aveva preceduto i nuovi intellettuali come il L. imbevuti della lezione muratoriana aperta a battaglie civili, culturali e religiose innovative, pur nell'ambito di una perfetta ortodossia cattolica - fu a lungo ravvivato dalle Novelle letterarie, fondate nel 1740. Dal 1743 al 1770 il L. rimase unico direttore, in seguito a dissapori avuti con i suoi collaboratori.
Nel coacervo di più o meno scoperti dissensi con il nuovo governo lorenese - che avevano visto nascere legami con il mondo della massoneria inglese sfociati nel 1745 nell'infausta vicenda del processo e della condanna a morte del poeta casentinese T. Crudeli - i filoni portanti dei fermenti culturali e religiosi, comuni a bibliotecari come A.M. Bandini, antiquari ed eruditi come A.F. Gori e L. Mehus, si imperniavano sulla riscoperta del passato medievale e umanistico, sulle simpatie filogianseniste manifestate sotto forma di un agostinismo rigorista (affine a quello del gruppo "romano" in cui erano amici e corrispondenti del L., quali G. Bottari o P.F. Foggini) e, infine, su quella "sana dottrina" che doveva abbattere falsi culti e superstizioni.
Le Novelle letterarie del L. giungevano a coprire un vuoto nella produzione culturale fiorentina. Per anni questa aveva usufruito della sterminata rete di rapporti internazionali organizzata dal bibliotecario A. Magliabechi; e la mancanza di un periodico fiorentino era stata per qualche tempo compensata dalla lettura del Giornale de' letterati d'Italia, stampato a Venezia a cura di Apostolo Zeno, che aveva richiesto per sostenere l'impresa il patrocinio del principe Ferdinando de' Medici e poi del fratello e futuro granduca Gian Gastone.
Sul filo della continuità con il mecenatismo mediceo, ereditato dal governo lorenese, e nel solco di una lunga tradizione di amor patrio il L. presentava al pubblico il primo tomo delle Novelle con un caloroso richiamo al primato della "città bella", Firenze, la cui fama poggiava sull'ingegno dei suoi abitanti. Tra le novità prospettate rispetto ad altri periodici, vi era quella della presenza di ampi estratti di libri italiani e stranieri. Ma l'orizzonte europeo vagheggiato dal L. non si realizzò; negli anni della sua direzione il periodico trovò diffusione soprattutto nell'Italia centrosettentrionale, a Roma e a Napoli; importa però notare che la sua longevità (proseguì dopo la morte del L. fino al 1792) fu garantita da una serie di scambi e relazioni personali testimoniati dal copioso carteggio costituito da circa 14.000 lettere inviate al L. da circa 1860 corrispondenti sparsi in Italia e Oltralpe. Un esempio emblematico di questo tipo di rapporto sono le lettere che il L. e il bresciano G.M. Mazzuchelli si scambiarono fra il 1756 e il 1765, quando i fogli delle Novelle e i tomi degli Scrittori d'Italia, opera incompiuta del Mazzuchelli, viaggiavano da Brescia a Firenze e viceversa sotto forma di dono o, nel secondo caso, come pegno dovuto a una buona recensione nelle colonne del periodico fiorentino.
Resta ancora aperto il discorso sull'effettiva incidenza sociale delle Novelle che, al di là delle battaglie sui temi dell'erudizione sacra, sulla storia patria, sulle origini della lingua etrusca, sulla condanna dei riti cinesi (maturati nell'ambito della più generale offensiva lanciata dal L. contro il monopolio educativo della Compagnia di Gesù), sul fronte comune di protestanti e cattolici propagandato per arginare il deismo, l'ateismo e il materialismo (basti pensare alla guerra delle scritture sostenuta nel 1742 dal L., sotto il nome di Giuseppe Clemente Bini, con G.G. De Soria e il servita F.R. Adami, professori a Pisa), si spinsero anche a moderate forme di apertura verso le novità d'Oltralpe rappresentate dalla pubblicazione del primo tomo dell'Encyclopédie nel 1751. A quest'opera sarà riservato maggiore favore al momento di recensire l'edizione lucchese corredata di note esplicative correttive dei passi più radicali del pensiero illuminista. Solo dopo la morte del L. il periodico, compilato da Pelli Bencivenni e da M. Lastri, darà più spazio a temi scientifici ed economici, anche se non erano mancati negli anni '40 e '50 del Settecento campagne a favore dell'innesto del vaiolo o dibattiti sulla teoria di politica economica dei fisiocrati o del giusto impiego del denaro, sul cui tema il L. aveva preso le difese di S. Maffei.
L'intensa attività di giornalista non impedì al L. di proseguire la pubblicazione di opere autonome, che - comprese lettere a stampa, opuscoli, poesie, edizioni (risale al 1741 l'inizio dell'edizione dell'opera omnia del filologo e grecista olandese Jan van Meurss completata solo nel 1763) - giungono oltre il centinaio di titoli; vanno ricordati qui almeno i 3 tomi dei Memorabilia Italorum (Florentiae 1742-48), che, come nel caso delle Deliciae, furono pubblicate in un latino piano e semplice in forma di periodico costituito da 2 fogli mensili.
Il L. - mentre tradusse in latino, dal francese o dall'italiano, le vite già scritte da altri - scrisse personalmente molte delle vite di suoi contemporanei, per fare conoscere la storia letteraria più recente che secondo l'autore era la più negletta; di qui la presenza, fra i vari personaggi, dei suoi maestri (da A.M. Salvini a G. Capassi, al padre Benedetto e allo zio Carlo Felice Lami) o dei suoi mecenati, tra cui figura il granduca Gian Gastone e la cognata di questo Violante Beatrice di Baviera.
A questa è riservata una delle voci più lunghe dell'opera, segno della stima che il L. ebbe per quella principessa colta e illuminata paladina di una sempre più folta schiera di brillanti dame di corte sensibili alle novità letterarie oltre che mondane; né certo aveva dimenticato il favore che Violante gli aveva manifestato dopo averlo ascoltato recitare agli Apatisti una dotta lezione sulle opinioni nutrite dagli antichi a proposito degli antipodi e della pluralità dei mondi; eccezionalmente quella seduta accademica era stata tenuta nella reggia di Pitti, ma spesso il L. fu invitato da Violante nella villa medicea di Lappeggi.
Queste uscite a corte e in villa, le conversazioni nei caffè e nelle librerie cittadine, portavano il L. a condividere con altri quella sociabilità caratteristica del XVIII secolo in contrasto con le numerose "guerre" che la pubblicazione del periodico gli aveva procurato con il Querini, con il Gori, "che fa l'amico di fuori, ma macchina contro copertamente", con il Mehus, "impazzato più che mai […] ignorante e bindolo più un giorno che l'altro" (cfr. Firenze, Biblioteca Marucelliana, Mss., B.27.VI.3, cc. 33v [lettera del L. a Bandini, Firenze, 13 genn. 1748], 66 [lettera del L. a Bandini, Firenze 26 apr. 1751]), con lo scolopio O. Corsini, con il gesuita G. Lagomarsini, con il teatino G.P. Bergantini, con il vallombrosano F. Soldani; di queste guerre fomentate dall'interpretazione di iscrizioni greche o etrusche, dalla stesura di dizionari di lingua, o dalla composizione di storie letterarie locali, restano minuti resoconti autografi (cfr. Firenze, Biblioteca Riccardiana, Riccardi, 3807, cc. 105-114) che, insieme con il carteggio del L., portano a galla oltre a discrepanze ideali e dottrinali, le continue difficoltà materiali incontrate dalla stampa delle Novelle, vuoi per motivi censori, vuoi per questioni organizzative ed economiche legate alla remunerazione del lavoro degli stampatori sempre più a corto di generosi mecenati. Forse, speranzoso di poter gestire meglio l'impresa per un certo periodo, fra il 1741 e il 1742 lo stesso L. insieme con G. Mecatti e poi da solo creò e mandò avanti una stamperia e una libreria "all'insegna del Centauro"; ma nel 1747, rispondendo al cavalier G.A. Pecci di Siena, cultore di storia patria, lamentava quanto durasse fatica a far stampare le sue Novelle a Firenze "essendo questi stampatori tutti spiantati dalle radiche" (cfr. Firenze, Biblioteca Marucelliana, Mss., C.392.1, cc. 29-30).
Sull'onda del successo, intanto, fin dal 1745 cominciarono a circolare medaglie, ritratti, sonetti, iscrizioni in onore del L., al quale furono eretti anche monumenti marmorei, mentre dal 1737 al 1761 dopo l'ascrizione all'Accademia della Crusca, che gli procurò insieme con l'amico G. Bottari la collaborazione a una nuova edizione del Vocabolario (1729-38), per il L. si aprirono quasi ogni anno le porte di nuove accademie toscane e italiane onorate di poterlo anche solo cooptare nelle loro file. Nel 1748 gli Apatisti si risollevarono addirittura dal loro declino con l'elezione del L. ad Apatista reggente; per solennizzare la cosa L. Coltellini fece incidere subito una nuova medaglia in bronzo di formato grande, opera di G. Lapi, che raffigura il L. incoronato di alloro come gli antichi poeti. Ma la medaglia della fama aveva il suo rovescio; come già era accaduto a Magliabechi anche il L., reduce dalle dispute avute col De Soria e con il padre Adami, un bel giorno ebbe la "nuova" di essere dato per morto; mentre tutta Firenze ne parlava, divertito egli confidava all'amico Bandini: "La scena della mia morte è una della cose più curiose della mia vita" (ibid., c. 24, lettera del 5 apr. 1747), ma non senza malignità si augurava di poter scrivere epitaffi per chi gli voleva male. Con altrettanto sarcasmo G. Pelli Bencivenni, che nel 1759 iniziava a stendere il suo voluminoso diario composto da 70 volumi, menzionerà ogni tanto i pessimi risultati del L. in materia di composizioni poetiche e musicali (cfr. Firenze, Biblioteca nazionale, Nuovi acquisti, 1050: G. Pelli Bencivenni, Efemeridi, s. 1, vol. IV, c. 22 alla data 10 dic. 1760) e le altrettanto poco convincenti asserzioni fatte nel 1761 nelle pagine delle Novelle a proposito dell'esistenza dell'anima nei bruti, cosa di cui di nuovo tutta la città di Firenze parlò con scandalo (ibid., c. 32 alla data 8 genn. 1761). Ma più deludente di questa asserzione, male argomentata e in cui si faceva ricorso al pensiero di L. Magalotti e, addirittura, del gesuita A. Niccolai autore di alcune Lezioni di Sacra Scrittura, fu l'asettica recensione che nel 1764 il L. fece del Dei delitti e delle pene di C. Beccaria, dopo che nel 1758 aveva profuso energie e inchiostro per polemizzare con F. Algarotti, S. Bettinelli e I. Frugoni sul valore della poesia di Dante.
Le contraddizioni, le chiusure, le incertezze di fondo che non erano sfuggite agli atteggiamenti più fieri dei primi due decenni di attività giornalistica registrarono un ulteriore ripiegamento alla fine degli anni Sessanta, quando il L., ormai "debole e vecchio", in qualità di teologo di Pietro Leopoldo stendeva un memoriale perché fosse impedito a un suo segretario copista di recitare nel carnevale del 1765 sulla piazza di S. Maria Novella.
Il mestiere di istrione era dal L. giudicato "peccaminoso" e l'assenza del segretario ingiustificata per chi era alle dipendenze di un familiare del principe, ovvero del suo teologo che proprio della corte dai tempi di Gian Gastone de' Medici e di Violante di Baviera aveva fatto un punto di riferimento privilegiato.
Oberato dall'attività di autore, redattore, stampatore e libraio, il L. non riuscì a portare a termine quel più generale progetto di storia patria inseguito da tempo dagli scrittori fiorentini e che Pelli Bencivenni avrebbe voluto fare proprio dopo la pubblicazione avvenuta a Firenze nel 1766 dei due volumi di Lezioni diantichità toscane del Lami. Tra le sue opere incompiute quella di maggior spessore è da ritenersi senza dubbio la storia della Chiesa fiorentina dall'anno 66 d.C. al secolo XIV (Sanctae Ecclesiae FlorentinaeMonumenta…) stampata a Firenze nel 1758 in tre tomi corredati di copiosissime note e di indici.
In questo pregevole lavoro il L. si distinse maggiormente per acribia filologica rispetto ad altri suoi scritti storico-agiografici come quello sulla vita della beata Oringa Menabuoi (inserita nel t. XVIII delle Deliciae) fondatrice del monastero di S. Maria Novella e S. Michele Arcangelo di Santa Croce; sopraffatto dalle sue posizioni di "cattolicesimo illuminato" militante il L. non seppe interpretare debitamente alcuni episodi della storia della Chiesa e della religiosità medievale di cui la beata era figlia diretta.
Le sue battaglie condotte per eliminare false leggende che riguardavano miracoli o vite di santi furono oggetto di un elogio poco benevolo che il proposto M. Lastri farà dopo la morte del L., accusato di avere demolito le genuine credenze popolari con eccessiva disinvoltura. A queste critiche F. Fontani che era succeduto al L. come bibliotecario di casa Riccardi rispose con un elogio corredato di vari documenti riguardanti la vita privata e le opere del L. che stimava, a dispetto di Lastri, "sommo filosofo".
Il L. morì "da filosofo" nella sua casa di Firenze, solo, senza medici né sacramenti, il 6 febbr. 1770 (cfr. Firenze, Biblioteca nazionale, Tordi, 545.129, c. 13r: lettera di O. Maccari a R. Sellari, Firenze, 10 febbr. 1770).
La memoria del L. era destinata a perpetuarsi fra le polemiche nelle quali era sempre vissuto. Non mancarono peraltro onorevoli tributi di commiato: il suo corpo fu solennemente esposto e poi sepolto nella chiesa di S. Felice in Piazza, sua parrocchia, vicino alla reggia di Pitti. Dei suoi beni (poderi, luoghi di Monte, argenti, medaglie e tabacchiere d'oro ricevuti in dono), lasciati in eredità ai nipoti e, in gran parte, ai poveri abitanti di quattro parrocchie cittadine, il lascito più prezioso fu certamente quello della sua biblioteca composta di 114 manoscritti e 5000 volumi destinati allo Studio fiorentino e al lettore pro tempore di lingua greca. Attualmente sono conservati in parte nel fondo Magliabechiano della Biblioteca nazionale di Firenze e in parte nella Biblioteca Riccardiana, nonché un certo numero di doppioni nella Biblioteca universitaria di Pisa per disposizione del granduca Pietro Leopoldo che ne aveva ordinato un indice nel 1773.
Un elenco quasi completo delle sue opere fu pubblicato in appendice alle Novelle letterarie, anni 1758-60 e alle pp. 243-255 dell'Elogio del Fontani che include anche le opere inedite conservate alla Riccardiana.
Fonti e Bibl.: La maggior parte delle fonti inedite utili per ricostruire la biografia del L. si trova nella Biblioteca Riccardiana di Firenze (Riccardi, 3807-3809), dove è conservato anche il suo carteggio composto da 66 volumi di lettere a lui indirizzate (ibid., 3699-3762) e da un volume di sue lettere a 22 corrispondenti (ibid., 3826); originariamente divisi in fasci, nel corso dell'Ottocento i manoscritti del L. furono rilegati da Giuseppe Fagiuoli in volumi in pelle e ordinati con nuova numerazione. Attualmente è in corso una inventariazione ulteriore di tutto il fondo Lami della Riccardiana, di cui fanno parte anche 63 volumi di opere inedite (Riccardi, 3766-3825). Manca ancora una ricostruzione delle lettere inviate dal L.; di queste si segnalano quelle conservate nella Biblioteca Marucelliana di Firenze dirette a Bandini e a G.A. Pecci (Mss., B.I.27.VI.3; C.392.1); alcune lettere del L. a vari sono conservate nella Biblioteca nazionale di Firenze (Mss., Tordi, 545.129); nella Biblioteca Corsiniana di Roma sono conservate le lettere del L. a Pier Francesco Foggini (Cors., 1598); nella Biblioteca apost. Vaticana si trovano le lettere del L. a G.M. Mazzuchelli (Vat. lat., 10007, cc. 146-200); molti manoscritti riguardanti la sua famiglia e i suoi beni sono conservati nell'Archivio storico del Comune di Santa Croce sull'Arno; nell'Archivio di Stato di Firenze sono conservati i documenti riguardanti la sua eredità nel fondo Compagnia poi Magistrato delBigallo, 1765.
J. Brucker, Pinacotheca scriptorum nostra aetate litteris illustrium, Augusta Vindelicorum 1745, dec. IV; S. Manetti, Elogio istorico del sig. dott. G. L. nostro celebre letterato, in Magazzino toscano, I (1770), 2, pp. 136-170; M. Lastri, Elogio, in Elogi degli uomini illustri toscani, IV, Lucca 1774, pp. 740-747; F. Fontani, Elogio del dottor G. L.…, Firenze 1789, p. 5; A. Fabroni, Vitae Italorum doctrina excellentium qui saeculis XVII et XVIII floruerunt, XVI, Pisae 1795, pp. 271-328; Lettere di Antonio Martini a G. L., a cura di C. Guasti, Prato 1851; Lettere di L.A. Muratori scritte a toscani, a cura di C. Guasti, Firenze 1854, pp. 479-516; G. Merzario, Storia del collegio Cicognini di Prato, Prato 1870, pp. 74-107; A. Ademollo, Corilla Olimpica, Firenze 1887, pp. 1-52; L. Piccioni, Il giornalismo letterario in Italia. Saggio storico-critico, I, Torino-Roma 1894, pp. 128-138; E. Benvenuti, G. L. e i letterati trentini nel secolo XVIII, in Atti della I.R. Accademia roveretana degli Agiati, s. 4, I (1913), pp. 279-294; C. Fara, Notizie su Tommaso Natali nel carteggio con G. L., in Arch. stor. siciliano, XL (1915), pp. 169-180; P. Giudici, G. L. e la Crusca, Roma 1915; G. Gasperoni, Di alcune fonti essenziali per la storia della cultura toscana nel secolo XVIII, Firenze 1936; C. Pellegrini, G. L., le "Novelleletterarie" e la cultura francese, in Tradizione italiana e cultura europea, Messina 1947, pp. 103-125; M. Vaussard, Les lettres inédites de G. L. à sa famille sur la France du XVIIIe siècle, in Revue des études italiennes, n.s., I (1954), pp. 72-94; Id., Les lettres viennoises de G. L., ibid., II (1955), pp. 154-183; M. Rosa, Atteggiamenti culturali e religiosi di G. L. nelle "Novelle letterarie", in Annali della Scuola Normale superiore di Pisa, s. 2, XXV (1956), pp. 260-333; É. Appolis, Entre jansénistes et zelanti. Le "tiers parti" catholique au XVIIIe siècle, Paris 1960, passim; A. Viviani, G. L. e la "nuova filosofia", in Boll. dell'Accademia degli Euteleti della città di San Miniato, n.s., XXVIII (1964-65), 37, pp. 91-124; N. Carranza, L'Università di Pisa e la formazione culturale del ceto dirigente toscano del Settecento, in Bull. stor. pisano, XXXIII-XXXV (1964-66), pp. 469-537; E. Cochrane, G. L. e la storia ecclesiastica ai tempi di Benedetto XIV, in Arch. stor. italiano, CXXIII (1965), pp. 48-73; F. Venturi, Settecento riformatore, I, Da Muratori a Cesarotti, Torino 1969, ad ind.; M.A. Morelli Timpanaro, Legge sulla stampa e attività editoriale a Firenze nel secondo Settecento, in Rass. degli Archivi di Stato, XXIX (1969), pp. 613-700; E. Cochrane, Florence in the forgotten centuries (1527-1800), Chicago-London 1973, pp. 315-396; G. Ricuperati, Giornali e società nell'Italia dell'"ancien régime" (1668-1789), in La stampa italiana dal Cinquecento all'Ottocento, a cura di V. Castronovo - N. Tranfaglia, Roma-Bari 1976, pp. 165-187; F. Waquet, Presse et société: le public des "Novelle letterarie" de Florence (1749-1769), in Revue française d'histoire du livre, XXII (1979), pp. 39-60; Id., Les registres de G. L. (1742-1760): de l'érudition au commerce du livre dans l'Italie du XVIIe siècle, in Critica storica, XVII (1980), pp. 435-456; M.A. Morelli Timpanaro, G. L., Angelo Maria Bandini e un'iscrizione greca, ibid., XXI (1984), pp. 115-126; S. Gianfermo, Settecento erudito fiorentino e massone, Ravenna 1986, pp. 47-66; M.A. Morelli Timpanaro, Per una storia di Andrea Bonducci (Firenze, 1715-1766). Lo stampatore, gli amici, le loro esperienze culturali e massoniche, Roma 1996, ad ind.; V. Bartoloni, G. L.: una bibliografia, in Rass. stor. toscana, XLII (1996), pp. 379-392 (per una bibliografia più completa sul L.); G. L. e il Valdarno inferiore. I luoghi e la storia di un erudito del Settecento. Con un "viaggetto" inedito di G. L., a cura di V. Bartoloni, con introduzione di M. Rosa, Pisa 1997 (in appendice al volume alle pp. 239-252 è edito il Viaggio di Caritone e Cirilla); R. Pasta, Editoria e cultura nel Settecento, Firenze 1997, ad indicem; G. Nicoletti, Orientamenti di poetica e frequentazioni di letteratura contemporanea nelle "Novelle letterarie" di G. L. (1740-1769), in Periodici toscani del Settecento. Studi e ricerche, in Studi italiani, XIV (2002), pp. 13-47 e passim; J. Boutier, G. L. "accademico": échanges et réseaux intellectuels dans l'Italie du XVIIIe siècle, in Religione, cultura e politica nell'Europa dell'età moderna. Studi offerti a Mario Rosa dagli amici, a cura di C. Ossola - M. Verga - M.A. Visceglia, Firenze 2003, pp. 547-558.