LEGRENZI, Giovanni
Nacque a Clusone, presso Bergamo, dove fu battezzato il 12 ag. 1626, da Giovanni Maria e da Angela Rizzi.
Il padre era violinista ed esercitò la sua professione a Clusone, dove la Comunità cittadina gli corrispondeva 50 lire annue "perché suoni il violino sull'organo della chiesa plebana ogni domenica a gloria e lode di Dio" (in Fogaccia, p. 19). Nel 1660 e nel 1661 risulta tra i "sonatori" pagati per la festa dell'Assunta in S. Maria Maggiore a Bergamo. Una sua sonata (La Justiniana) per due violini e basso continuo fu inclusa nella raccolta Sonate a due e tre, op. II (Venezia 1655) del Legrenzi.
Ricevuta probabilmente una prima formazione musicale dal padre, il L., fra il 1639 e il 1643, fu accolto nell'Accademia Mariana di Bergamo, istituzione in cui gli avviati al sacerdozio dovevano affrontare anche rigorosi studi musicali, così da costituire "un vivaio per poter supplir alli bisogni della chiesa" di S. Maria Maggiore e della sua rinomata cappella musicale (Padoan, 1994, pp. 12, 19 s.). La cappella di S. Maria Maggiore, dopo le difficoltà incontrate in seguito alla peste del 1630, proprio in quegli anni conobbe un significativo rilancio, per merito di maestri (quali Giovanni Battista Crivelli e Maurizio Cazzati) che provvidero a rinnovarne il repertorio, sostanzialmente fermo al 1628, con l'acquisto di numerose stampe di musica sacra concertata, a voci sole e con strumenti, di recente pubblicazione. Fra i possibili insegnanti del L. vi furono gli organisti B. Fontana e F. Rogantino e il maestro di cappella Crivelli; non trova, invece, fondamento documentario l'ipotesi di un suo apprendistato con C. Monteverdi, Giovanni Rovetta e Carlo Pallavicino.
Il 30 ag. 1645 il L. fu nominato organista di S. Maria Maggiore a Bergamo con contratto triennale, puntualmente rinnovato a ogni scadenza con decisioni unanimi o quasi dal Consiglio della Misericordia, la Confraternita cittadina da cui dipendeva la gestione e il mantenimento di questa chiesa. Nel 1651 fu ordinato sacerdote, e nel maggio di quell'anno ottenne l'elezione a "cappellano semplice", senza obblighi di coro, nella stessa chiesa. Il 30 dic. 1654, tuttavia, il Consiglio della Misericordia lo licenziò dall'incarico di organista per gravi motivi non meglio specificati nei documenti (forse - secondo quanto scoperto da W.S. Newman e riferito da Pressacco, p. 157 - per essere stato sorpreso a giocare d'azzardo in locali malfamati). Reintegrato nel posto il 23 febbr. 1655 soltanto grazie a un difetto di procedura, nel successivo dicembre il L. chiese ai presidenti della Misericordia "grata e benigna licenza" dal servizio che aveva tenuto "per lo continuo corso di dieci anni e più […] in riguardo all'assistenza" che doveva prestare alla sua famiglia (Meli, pp. 6-8; Emans, 1984, pp. 14 s.).
Negli ultimi due anni trascorsi a Bergamo, forse in cerca di una migliore sistemazione, il L. diede alle stampe le sue quattro prime raccolte a stampa: due di mottetti per poche voci - i Concerti per uso di chiesa, op. I (Venezia 1654, dedicata a C. Nembrini, vescovo di Parma) e l'Harmonia di affetti devoti, op. III (ibid. 1655, dedicata ad Alessandro Farnese) - e due strumentali - Sonate a due e tre, op. II (ibid. 1655, dedicata a G.C. Savorgnan, nobile friulano e podestà di Bergamo) e Sonate da chiesa, da camera, correnti, balletti, alemane e sarabande a tre, due violini e violone, op. IV (ibid. 1656, con dedica a Giorgio Guglielmo ed Ernesto Augusto di Brunswick).
È presumibile che già dall'epoca delle sue dimissioni da S. Maria Maggiore il L. avesse intravisto la possibilità di ottenere un migliore incarico lontano da Bergamo e le dediche a personalità di alto rango nelle sue opere a stampa sembrano confermare le ambizioni del musicista. Verso la fine del 1656, infatti, fu nominato maestro di cappella dell'Accademia dello Spirito Santo a Ferrara. Nei mesi di settembre e ottobre 1656 alcuni nobili veneziani come G. Grimani, F. Badoer e un Foscarini avevano raccomandato al marchese Cornelio Bentivoglio, protettore dell'Accademia dello Spirito Santo, il L. come maestro di cappella. È ipotizzabile che la nomina - di cui non è nota testimonianza documentaria - sia stata fatta nel novembre 1656, subito dopo l'emanazione di un nuovo regolamento della cappella musicale dell'Accademia. Più ancora del posto ottenuto nell'Accademia dello Spirito Santo, una Confraternita laica fondata nel 1597 che promuoveva una discreta attività di musica sacra, ad attirare il L. verso Ferrara fu probabilmente la prospettiva di stringere rapporti con i Bentivoglio e altre nobili famiglie della città, come i Pio di Savoia, i Bonacossi e i degli Obizzi, che gestivano o erano implicati nell'attività di alcuni teatri ferraresi. Ad alcuni di questi nobili, il musicista dedicò altre sue opere a stampa: i Salmi a cinque, tre voci e due violini, op. V (Venezia 1657) al cardinale Carlo Pio di Savoia vescovo di Ferrara, e le Compiete con lettanie e antifone della beata Vergine, op. VII (ibid. 1662) al marchese Ippolito Bentivoglio. Sebbene dedicate a Giorgio Guglielmo e Ernesto Augusto di Brunswick, anche le Sonate a due, tre, cinque e sei, op. VIII (ibid. 1663) sono collegate all'ambiente ferrarese: i brani recano un'intitolazione palesemente derivata dai cognomi di alcune nobili famiglie della città emiliana (la Bentivoglia, la Pia, la Mosta, la Obizza, la Rossetta, la Bevilacqua, la Bonacossa, la Boiarda, la Squarzona ecc.). A Ferrara il L. fece il suo esordio come operista: nel 1662, nel teatro S. Stefano, fatto edificare proprio in quell'anno dal conte P. Bonacossi, andò in scena Nino il giusto, primo dramma per musica del L., il cui libretto di autore ignoto è da attribuire forse a E. Bonacossi (Morelli, 1994, p. 51). Fondamentale per la carriera del L. fu tuttavia il rapporto che lo legò al marchese Ippolito Bentivoglio, figlio di Cornelio e in quegli anni principe dell'Accademia dello Spirito Santo; non per caso il L. iniziò la sua carriera di operista mettendo in musica due drammi su libretto di I. Bentivoglio, Achille in Sciro (1663) e Zenobia e Radamisto (1665), entrambi andati in scena al teatro S. Stefano.
L'esperienza maturata in campo operistico e, soprattutto, le relazioni intraprese con I. Bentivoglio e altri influenti aristocratici lo spinsero probabilmente ad aspirare a un posto di maggiore prestigio e meglio remunerato. Già in una lettera da Venezia del 12 luglio 1664 il L. si rivolgeva a Lucrezia Bentivoglio, moglie di Ippolito, perché compatisse "i riguardi necessarij di pensare in gioventù all'occorrenza della vecchiaia" (ibid., p. 49). Nel frattempo, durante la stagione carnevalesca del 1664, il L. aveva fatto il suo debutto come operista a Venezia, al teatro S. Salvatore, riproponendo l'Achille in Sciro di Bentivoglio, sia pur in una versione "tutta bastardata" da librettisti locali (ibid., p. 55).
Non è chiaro fino a quando il L. abbia mantenuto l'incarico a Ferrara: in una supplica scritta nel 1671 per ottenere il posto di maestro di cappella in S. Petronio a Bologna, egli dichiarava di avere tenuto il posto a Ferrara per "dieci anni", forse approssimando per eccesso la durata dell'incarico. È probabile, tuttavia, che all'inizio del 1665 il L. ottenne dal marchese I. Bentivoglio il permesso di lasciare il posto di maestro di cappella dell'Accademia dello Spirito Santo, sia pur adducendo le ragioni, solitamente impiegate con diplomazia in simili frangenti, "di non puotervi più abitare per l'intemperie dell'aria [di Ferrara]" (in De Florentiis, p. 86), come scrisse poi un suo patrocinatore, e "in riguardo al nocumento che riceveva da quell'aria" (in Gambassi, pp. 458 s.), come dichiarò più tardi lo stesso musicista. In una lettera del 14 apr. 1665 alla corte di Modena, il L. scriveva infatti di avere cessato "da tre mesi e più" il suo rapporto con l'accademia ferrarese, pur avendo "assai stentato" a ottenere la licenza da I. Bentivoglio (in Fogaccia, p. 32); forse per evitare un atto potenzialmente offensivo nei riguardi del suo precedente patrono o perché sperava in qualcosa di più rilevante, il L. non volle però accettare l'offerta di assumere l'incarico di maestro di cappella presso la corte modenese. Nel luglio 1665, il duca di Mantova, Carlo II Gonzaga Nevers, raccomandava il L. per il posto ben più prestigioso di vicemaestro di cappella alla corte imperiale a Vienna, ma l'ambiziosa manovra non ebbe successo. Da quel momento, a parte un fallito tentativo di impiego presso la corte dei Farnese a Parma con la mediazione del cardinale G. Buonvisi, il L. preferì cercare incarichi presso istituzioni civiche o statali piuttosto che di corte, tanto che, a quanto pare, avrebbe declinato l'offerta di un posto di sous-maître nella cappella reale di Luigi XIV, forse nel 1668 alla morte di T. Gobert, adducendo i consueti motivi di salute cagionevole.
Rifiutata l'offerta di ritornare a lavorare in S. Maria Maggiore a Bergamo, nel 1669 il L. si candidò al posto di maestro di cappella al duomo di Milano, come successore di M. Grancini. Ottenuti nel giudizio del 29 nov. 1669 lo stesso numero di voti di G.A. Grossi, il L. fu invitato a sottoporsi a un secondo concorso, ma preferì ritirarsi per non dover competere di nuovo con candidati già "giudicati […] non abili" nelle precedenti valutazioni (De Florentiis, pp. 83-86; Ghiglione, p. 263). Nel settembre 1671, e di nuovo nell'ottobre 1673, avanzò la sua candidatura per il posto di maestro di cappella in S. Petronio a Bologna come successore di M. Cazzati, ma anche questo tentativo rimase senza successo.
Agli sforzi per ottenere il posto in S. Petronio è verosimilmente da collegare la pubblicazione di sue musiche a Bologna presso lo stampatore Monti negli anni '70: dapprima una sua composizione fu inclusa nella raccolta Canzonette per camera a voce sola di diversi autori date in luce da Marino Silvani (1670), dedicate a Giovanni Paolo Colonna, organista della basilica petroniana; poi apparvero due raccolte: la prima, una ristampa delle sue Sonate, op. VIII (1671), è dedicata a Lorenzo Perti, mansionario in S. Petronio, musicista, nonché zio e insegnante del noto musicista Giacomo Antonio Perti; la seconda, la raccolta Cantate e canzonette a voce sola, op. XII (1676), è dedicata al marchese Giovanni Giuseppe Orsi e a sua moglie Anna Maria Castracani. Ancora a Bologna, in casa del conte Astorre Orsi, nel marzo 1676, in onore del duca di Modena Francesco II, fu eseguito l'oratorio del L., Gli sponsali di Ester, interpolato da "sinfonie" e "cori" di altri autori.
Al più tardi dal 1670, il L. doveva essersi stabilito a Venezia, città nella quale visse e operò per il resto dei suoi giorni. In quell'anno o al più tardi nel seguente era stato nominato maestro di musica presso l'ospedale dei Derelitti (o dei Poveri) noto più comunemente come l'Ospedaletto. Oltre all'insegnamento della musica alle "putte" dell'ospedale veneziano, il L. svolse un'intensa attività di maestro di cappella e compositore a beneficio di questa istituzione. Nel 1676, nella lettera con cui rassegnò le dimissioni dal suo incarico, il L. scrisse di aver composto "nel corso continuo di cinque anni e più […] quattro messe, settanta e più salmi, ottanta e più mottetti, cinque compiete, hinni, sonate da arco, sonate da tasto ed ogn'altra cosa che è stata bisognosa al servitio sì da chiese come per le annuali ricreationi delle putte" (Arte e musica all'Ospedaletto, pp. 123 s.; Ellero, p. 166; Emans, 1984, p. 32). Negli stessi anni, a partire dal 1671, il L. era stato nominato anche maestro di coro della locale congregazione dei filippini, i quali dal 1667 avevano avviato una regolare attività musicale legata alle riunioni oratoriali presso S. Maria della Fava. Per i filippini di Venezia furono rappresentati diversi oratori del L. quali Sedecia (1671), Sisara (1672), Il giudizio (1672, su testo di I. Bentivoglio, già eseguito a Vienna nel 1665), La vendita del cuore umano (1673), S. Giovanni Battista (1673), La morte del cuor penitente (1673), Heli (1674) e Gli sponsali di Ester (1675).
Quasi tutti questi oratori circolarono e furono eseguiti anche fuori Venezia: a Ferrara presso la Congregazione dei filippini (Sisara e La decollatione di S. Giovanni Battista, entrambi nella quaresima 1678) e presso l'Accademia della Morte (Sedecia, La vendita del cuore umano, 1676); a Bologna presso la Congregazione dei filippini (Heli, Sedecia, La vendita del cuore umano, prima del 1682) e in casa del conte A. Orsi (Gli sponsali di Ester, 1676); a Vienna presso la cappella imperiale (La vendita del cuore umano, 1692, e La morte del cor penitente, 1705).
Il 30 apr. 1676 il L. tentò di ottenere il posto di maestro di cappella in S. Marco, ma per un solo voto gli fu preferito N. Monferrato; il 7 luglio fu tuttavia nominato maestro di coro all'ospedale dei Mendicanti, e succedette poi a Monferrato come maestro di cappella di tale istituzione il 26 genn. 1683. L'insuccesso del 1676, tuttavia, non pregiudicò la carriera del L. in S. Marco: il 5 genn. 1683 il L. divenne infatti vicemaestro della cappella marciana e soltanto due anni dopo, il 23 apr. 1685, fu nominato maestro della prestigiosa istituzione e mantenne l'incarico fino alla morte.
Sotto la sua direzione l'organico stabile della cappella di S. Marco raggiunse il massimo della consistenza, fino a comprendere 36 cantanti e 34 strumentisti.
Non meno importante fu la sua attività di operista, particolarmente intensa nel decennio 1675-85. Dalle prime due opere degli anni '60 - la già ricordata Achille in Sciro (1664) e il Tiridate (1668), entrambe su libretto di I. Bentivoglio -, a Venezia il L. lavorò principalmente per il teatro di S. Salvatore, di proprietà della famiglia Vendramin.
In quegli anni il L. produsse per il teatro di S. Salvatore almeno altre dieci opere, andate in scena tra il 1675 e il 1684: La divisione del mondo (1675, libretto G.C. Corradi), Eteocle e Polinice (1675, T. Fattorini), Adone in Cipro (1676), Germanico sul Reno (1676, G.C. Corradi), Pausania (1681; G. Frisari), Lisimaco (1682, G. Sinibaldi, revisione di A. Aureli), I due Cesari (1683, G.C. Corradi), Giustino (1683, N. Beregan), L'anarchia dell'imperio (1683, T. Stanzani), Publio Elio Pertinace (1684, P. d'Averara). Sue importanti opere furono rappresentate anche in altri teatri di Venezia - Totila (Ss. Giovanni e Paolo, 1677, M. Noris), Antioco il grande (S. Giovanni Grisostomo, 1681, G. Frisari) e Creso (S. Giovanni Grisostomo, 1681, G.C. Corradi) - e in alcuni teatri di corte italiani: Ottaviano Cesare Augusto (Mantova, 1682, N. Beregan) e Ifianassa e Melampo (Pratolino, 1685, G.A. Moniglia).
"Aggravato da cruciosissimo male" fin dal 1687 (Selfridge-Field, 1985, p. 197), il L. continuò, sia pure in misura ridotta, la sua attività di maestro di cappella in S. Marco e in altre chiese e istituzioni cittadine in occasione di solenni celebrazioni, come si legge fra le notizie riferite dal periodico Pallade veneta: nel 1687, per esempio, compose la musica per la festa di S. Cecilia in S. Martino; in questa chiesa i musicisti di Venezia avevano da poco dato inizio a una loro "scola" (una confraternita di mutuo soccorso) denominata "Sovvegno de' signori musici sotto l'invocatione di santa Cecilia", ufficialmente approvata dal Consiglio dei dieci nel 1690, di cui il L., insieme con G.D. Partenio e altri importanti musicisti, era stato promotore (ibid., p. 197; Vio, p. 120). Nel marzo 1688 il L. diresse la "messa di requie" per il defunto collega C. Pallavicino. Sorprendente è poi la notizia che nel marzo 1688 "si fece […] una superba accademia d'instrumenti e di voci in casa del signor Legrenzi", dove "intervennero tre signore francesi […] che cantarono duetti e terzetti in lingua francese, compositione del signor Giovanni Battista Lulli di Parigi" (in Selfridge-Field, 1985, p. 214). Il 10 luglio 1689 il L. ottenne dai Procuratori di S. Marco, per "la composizione de' responsorii della settimana santa", un regalo di 200 ducati "che servirà non solo a memoria del pubblico godimento delle sue virtuose fatiche, ma anche per qualche ricompensa alle spese da lui fatte nell'opera musicale sudetta" (Arch. di Stato di Venezia, Procuratori di S. Marco, Procuratia de supra, Terminazioni, reg. 147, c. 283v; in Scarpetta, p. 177).
Il L. morì a Venezia il 27 maggio 1690 e fu sepolto in S. Maria della Fava.
Fra i molti allievi che vengono attribuiti al L., vanno annoverati con sicurezza M.A. Gasparini, A. Lotti, A. Biffi e G. Varischino, suo nipote, che dopo la morte del L. mandò alle stampe alcune sue opere: i Balletti e correnti a cinque stromenti… libro quinto, op. XVI (Venezia 1691), i Mottetti sacri a voce sola con tre stromenti, op. XVII (ibid. 1692) e le Sonate da chiesa e da camera a 2, 3, 4, 5, 6 e 7 stromenti con trombe e senza overo flauti, libro sesto, op. XVIII (ibid. 1693, perduta; Fétis, p. 256).
Compositore versatile e prolifico, il L. mostrò le sue capacità in tutti i generi musicali; la sua vasta e variegata produzione riflette bene gli ambienti e le istituzioni per le quali si trovò a lavorare - dalla chiesa al teatro, dalle accademie agli oratori - e non rivela squilibri qualitativi fra un genere e l'altro. La sua copiosa produzione di musica sacra mostra esempi degli stili praticati nel Seicento: mottetti e salmi concertati per poche voci, anche in forma di "dialogo"; mottetti concertati con un maggior numero di voci (anche a doppio coro) per voci e ripieni, con e senza strumenti; messe e salmi policorali nello stile veneziano, come il Dies irae a otto voci in due cori con quattro viole (conservato manoscritto a Parigi nella Bibliothèque nationale e pubblicato nella Prosa pro mortuis del L. a cura di J. De Clerck, Louvain 1981), forse eseguito per la messa di requie in suffragio di C. Pallavicino, o il mottetto a 20 voci Intret in conspectu Tuo Domine gemitus populi Tui, eseguito in S. Marco durante il vespro del 1° genn. 1687; composizioni nello stile antico a cappella senza organo, come la Missa Lauretana a cinque voci (1689) dedicata alla Madonna di Loreto, e conservata in un voluminoso manoscritto, in formato libro-corale, presso l'archivio del santuario lauretano. Non è del L., invece, la Messa a 4 cappella in canone a lui attribuita in un manoscritto oggi a Vienna (Minoritenkonvent, Mss., XII.619) ma di Francesco Turini, che la pubblicò nelle sue Messe a cappella…libro primo, nel 1643 (Emans, 1989, p. 261).
Abbondante e significativa la produzione di musica strumentale del L., in gran parte pubblicata a stampa in sei raccolte, di cui due postume, a cura del nipote G. Varischino; cinque (op. 2, 4, 8, 10 [recte 11] e 18) contengono sonate (ma l'op. 4 presenta anche delle danze) e una (op. 16) balletti e correnti a cinque. Alcune di queste raccolte ebbero anche delle riedizioni: tre l'op. 8 (Venezia 1664 e 1677; Bologna 1671); e una l'op. 11 (Venezia 1682). Poco meno della metà delle sonate sono del genere "a tre", cioè due violini e uno strumento basso (violone o fagotto); circa un terzo sono "a due" - parte per due violini, parte per un violino e basso -; poco meno di un quarto sono per organici più grandi a quattro, cinque e sei strumenti. Benché nella sua raccolta Sonate da chiesa, da camera, op. IV (1656) non sia stato il primo a distinguere terminologicamente generi strumentali ecclesiastici e cameristici - essendo stato in questo preceduto dalle Canzoni overo Sonate per chiesa e camera (Venezia 1637) di Tarquinio Merula -, il L. fu, se non il primo, tra i primi a fissare una chiara distinzione stilistica tra i due generi di sonata. Nell'op. IV le sonate da chiesa, comprendono da tre a sei sezioni, differenti per lunghezza, metro e agogica (alternando un tempo veloce a uno lento), e contengono almeno una sezione fugata in tempo veloce, condotta su due o tre cellule motiviche, posta in apertura o nel secondo tempo. Le sonate da camera, invece, si presentano in un unico breve movimento e sono forse da intendersi come "preludi" ai brani di danza che seguono nella raccolta. Un poco diversa sul piano stilistico appare l'ultima raccolta strumentale pubblicata in vita dal L., La cetra… libro quarto di sonate a due, tre e quattro stromenti, op. X [recte XI] (Venezia 1673), dedicata all'imperatore Leopoldo I. Queste sonate mostrano una maggiore libertà nella successione delle diverse sezioni, più numerose che nelle precedenti sonate, e si rivelano più fantasiose e imprevedibili nei loro rapidi contrasti dinamici.
Di buon livello anche la produzione di musica vocale da camera del L., che conosciamo soprattutto attraverso le raccolte da lui date alle stampe: oltre alle già ricordate Cantate e canzonette a voce sola, op. XII (Bologna 1676), le Idee armoniche estese per due e tre voci (Venezia 1678, dedicata a Carlo II re di Gran Bretagna), e gli Echi di riverenza di cantate e canzoni… libro secondo, op. XIV (Bologna 1678, dedicata all'arciduchessa Marianna d'Austria e al consorte Giovanni Guglielmo futuro elettore del Palatinato-Neuburg; ristampata a Venezia nel 1679).
"Avezzo a cose studiate e sode" - come scrisse di lui il poeta T. Fattorini nella premessa al libretto dell'Eteocle e Polinice - il L. "aveva superato la comune aspettatione, violando il proprio genio, […] alla vaghezza e all'amenità" (Dubowy, pp. 458 s.); in altre parole, il compositore, con grande maestria, riusciva altrettanto bene quando, invece della musica sacra e della scrittura contrappuntistica di molte sue sonate, si trovava ad affrontare generi in cui si ricercava piacevolezza ed effetto immediato, come nel caso delle arie di un'opera da portare sulle scene di un teatro pubblico. In campo teatrale il L. eccelse nell'opera eroicomica, un genere caratterizzato dall'alternarsi di scene serie e scene comiche, da trame complicate, liberamente tratte dalla storiografia antica o, meno spesso, dalla mitologia, da un gran numero di personaggi e macchine spettacolari. Ne è esempio il Totila, opera in cui il barbaro guerriero eponimo figura nel duplice ruolo di conquistatore e di tenero innamorato, mentre gli scenari di guerra vengono mitigati dal librettista Noris "con tocchi d'irridente ironia e di commedia grottesca" (Wolff, p. 55). Di altro genere La divisione del mondo, una parodia della vita degli dei i quali, pur rappresentando lo splendore dell'aristocrazia veneziana, "altercano ignobilmente tra di loro per l'amore di Venere" (ibid., p. 59). Le opere legrenziane degli anni Settanta presentano un eccezionale numero di arie (90 circa ognuna) e di cambi di scena, forse conseguenza "della politica teatrale mirata a contrastare la concorrenza dell'altro grande teatro veneziano, il Santi Giovanni e Paolo della famiglia Grimani" (Dubowy, p. 462), messa in atto dalla famiglia Vendramin proprietaria del S. Salvatore. Dagli anni Ottanta, in linea con le tendenze del momento, il numero d'arie nelle sue opere andò tuttavia riducendosi a una sessantina al massimo. Degna di nota è pure la particolare cura che il L. riserva alle parti orchestrali sia nelle sinfonie, sia nei ritornelli prima e dopo le arie, in ciò rivelando la sua perizia di compositore di musica strumentale. Le opere del L., pur essendo scomparse dal repertorio dopo la sua morte, ebbero influenza sulla produzione di molti operisti, fra i quali A. Scarlatti e G.F. Händel.
Temi del L. furono utilizzati anche da sommi compositori quali J.S. Bach e G.F. Händel. Il primo compose una fuga in do minore per organo su tema del L. "elaboratum cum subjecto pedaliter" (BWV 574), che mostra analogie con due temi della sonata op. II, n. 11 del L., mentre il controsoggetto sembra simile a uno della sonata op. XI, n. 15 (Hill, pp. 105-107; Swale, 1985; Williams, pp. 192 s.). Händel utilizzò un tema del L. sulle parole "To Thy dark servant" nel coro O first created beam dell'oratorio Samson (1743). È probabile che il mottetto a sei voci e basso continuo Intret in conspectu Tuo Domine gemitus populi Tui, conservato fra gli autografi di Händel (Londra, British Library, Mss., R.M.20.g.10), sia da identificare con l'omonimo mottetto del L. eseguito in S. Marco nel 1687, sia pur con un organico più ampio (Selfridge-Field, 1985, p. 133). Per l'elenco completo delle opere del L. si rimanda a Passadore - Rossi.
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