Giovanni Manna
L'influenza di Giovanni Manna sugli sviluppi della scienza del diritto amministrativo italiano è stata marginale. L'indirizzo che a quell'ambito di conoscenze giuridiche fu impresso dai suoi cultori a partire dalla seconda metà del 19° sec. si orientò decisamente verso l'affermazione di un rigoroso metodo giuridico, e non avrebbe quindi potuto coniugarsi alla pur feconda metodologia di Manna. E però la teoresi di questo autore, intimamente legata al farsi storico del diritto e alle relazioni di esso con la politica e l'economia, recupera oggi interesse, in una fase di profonda crisi della dogmatica, segnalando un'originaria opzione abbandonata per motivi di carattere sociologico-culturale.
La formazione di Manna (nato a Napoli il 21 gennaio 1813) inscrisse nella sua personalità tracce che non è difficile riconoscere nei suoi contributi al diritto amministrativo. Dopo gli studi giuridici egli si dedicò a quelli economici, che daranno luogo a numerosi scritti, prevalentemente di economia politica e credito bancario, in parte suggeriti dalle incombenze che gli sarebbero venute dalle funzioni parlamentari e di governo nell'Italia unita.
Frequentò la scuola privata di Basilio Puoti, dove incontrò Giuseppe Pisanelli e Giuseppe De Vincenzi, un liberale napoletano influenzato dall'eclettismo francese, la cui opera trovò eco nel pensiero di Manna e che, come questi, avrà un ruolo nei governi unitari. Manna non fu versato nella pratica del diritto, e abbandonò precocemente lo studio legale di Giuseppe Poerio. Fu vicino ad ambienti del neoguelfismo e al circolo di Carlo Troya. Partecipò ai moti liberali del 1848 a Napoli e, quando Troya fu a capo del governo di quella esperienza rivoluzionaria, egli, che già aveva pubblicato tra il 1840 e il 1847 (e forse, in dispense, già a partire dal 1839) i tre volumi de Il diritto amministrativo del Regno delle Due Sicile: saggio teoretico, storico e positivo, assunse l'incarico di direttore delle Finanze e poi di ministro del relativo dicastero. Nel 1848 pubblicò Il diritto costituzionale d'Europa, ossia raccolta delle principali costituzioni politiche d'Europa dal 1791 fino ai nostri giorni comparate ed illustrate, dimostrando di avere ben compreso le strette correlazioni tra dimensione costituzionale e agire amministrativo, sottaciute nella sua opera principale per le evidenti implicazioni politiche recate dal tema.
Dopo il rientro a Napoli del re Ferdinando II, fu estromesso dalle cariche pubbliche e si dedicò esclusivamente all'attività pubblicistica in materia economica e letteraria. Durante l'ultima fase del Regno delle Due Sicilie, nel governo presieduto da Antonio Spinelli ottenne l'incarico di ministro delle Finanze, e fu anche incaricato di una disperata missione diplomatica a Torino.
Dopo l'unificazione d'Italia, fu associato all'Accademia delle scienze di Napoli e insegnò amministrazione pubblica nell'ateneo di quella città, attività interrotta per assumere, dopo la nomina nel 1862 a senatore, l'incarico di ministro dell'Agricoltura, industria e commercio (1862-64).
Nonostante la piena adesione al governo unitario, Manna non dimenticò la propria formazione storicista e la diffidenza ampiamente manifestata nei confronti del potere legislativo già nel suo primo lavoro, Della giurisprudenza e del foro napoletano dalla sua origine fino alla pubblicazione delle nuove leggi (1839); cosicché, in un saggio pubblicato nel 1862 su Le provincie meridionali del Regno d'Italia, censurò le scelte istituzionali piemontesi, già visibilmente intese all'estensione uniforme del proprio modello all'intero territorio del nuovo Stato.
Nel 1865 tornò a Napoli, dove insegnò economia politica all'Università, ma lo stato di debilitazione lo spinse a cercare sollievo a Torre del Greco, dove si spense il 23 luglio di quell'anno.
Discostandosi marcatamente dal metodo esegetico che dominava nella dottrina amministrativistica francese e, sull'esempio di essa, nella giuspubblicistica napoletana, Manna adotta un percorso che si potrebbe definire sociologico-politico. La sua tensione è alla costruzione di seri principi regolatori dell'azione amministrativa, vista nei suoi rapporti con la politica e con la società. A due decenni dalla prima edizione de Il diritto amministrativo, forte di una più profonda maturazione di idee e con un'esperienza politica alle spalle ben diversa da quella aurorale dei suoi ventisette anni, Manna vede chiaramente un problema che sarà, a Ottocento inoltrato, centrale nei dibattiti giuridici e politici. Introducendo la ristampa dell'opera (con titolo modificato), destinata al nuovo insegnamento universitario, egli spiega in questi termini la sua visione:
Quando la politica, la quale è per sua natura ambiziosa, incostante, fantastica, è costretta a camminare sopra un terreno apparecchiato e coltivato dalla saggia amministrazione, essa si trova nella necessità di procedere misuratamente ed ha meno voglia di far strepiti e rovine così come i torrenti fanno poco danno quando cadono sopra falde e terreni bene arborati (Il diritto amministrativo nelle sue relazioni col diritto privato e col diritto politico, in Principii di diritto amministrativo, 1° vol., 1860, p. XX).
Il suo linguaggio è ancora quello metaforico con chiare ascendenze letterarie, il che non poco concorrerà alla sua emarginazione dai successivi percorsi della scienza amministrativistica; ma il concetto è invece anticipatore dei problematici rapporti tra pubblica amministrazione e politica. Chiara è per lui l'esigenza di delimitare compiti e rispettivi territori, e dunque di stabilire l'azione amministrativa su solide basi, al fine di porla al riparo dalle ingerenze del potere, in questo modo servendo anche le ragioni della politica.
Questo ambizioso obiettivo scientifico egli non avrebbe potuto perseguirlo dedicandosi al commento degli ordinamenti positivi. Non privo di venature idealistiche, il suo metodo cerca di prescindere, almeno nella parte più teorica della sua opera, dal diretto confronto con la frammentaria e per forza di cose alluvionale legislazione amministrativa. Egli investiga le regole dell'azione pubblica risalendo direttamente ai compiti dello Stato e identificando coordinate funzionali capaci di definire un corretto ambito per la sua attività.
L'oggetto o per così dire la materia dello Stato è l'umanità nella sua natura progressiva e perfettibile; lo scopo è la conservazione di questa medesima natura progressiva e perfettibile (Il diritto amministrativo del Regno delle Due Sicilie, 1° vol., 1840, p. 28).
Dunque, la forza attribuita ai poteri pubblici e l'uso che essi possono farne è teleologicamente commisurata ai compiti di conservazione e sviluppo della comunità. È qui chiaramente leggibile l'opzione lockiana, mediata da molte pagine dell'Illuminismo meridionale, a partire da Delle lezioni di commercio o sia d'economia civile (1765-1767) di Antonio Genovesi e da La scienza della legislazione (1780-1791) di Gaetano Filangieri; ma in Manna le premesse filosofiche sono immediatamente declinate per la ricerca di regole generali dell'azione amministrativa. Per lui, l'attività dello Stato si caratterizza in un doppio movimento:
In concentramento, ed una diffusione di forza fisica e morale. La doppia forza si attinge dagli individui e ritorna su di essi (Il diritto amministrativo del Regno delle Due Sicilie, cit., p. 32).
In queste essenziali osservazioni è già presente in modo chiaro un concetto embrionale di funzione pubblica: una sovranità che consente allo Stato di chiedere prestazioni ai cittadini, però in termini strettamente funzionali alla redistribuzione delle risorse in vantaggio della comunità. Sono le regole che egli scolpisce molto chiaramente in apertura della sua opera:
I. Che tanta forza si raccolga al centro quanta è strettamente necessaria allo scopo dello Stato, e rispondente alle possibilità degli individui onde si attinge. II. Che tutta quanta la forza raccolta piombi direttamente al centro, e tutta altresì dal centro si riversi sulla società. III. Che il doppio cammino della forza che si raccoglie e si diffonde sia quanto più possibile breve e spedito (pp. 32-33).
Non sembra una forzatura riconoscere in queste espressioni l'affacciarsi di uno statuto autonomo per l'azione amministrativa: il centralismo amministrativo proprio dell'individualismo liberale, contrario ai corpi intermedi, l'economicità e la speditezza dell'azione amministrativa, presidii dallo sviamento di potere e dell'efficienza nell'azione pubblica, sono tutti presenti e chiari a Manna. Il quale, vedendo bene, mette sull'avviso quando ricorda che «quanto più s'allenta il passo dell'azione dello Stato, tanto più cresce la difficoltà ed il dispendio delle forze e tanto più diventa facile l'agguato degli interessi individuali» (p. 34).
Manna ha insomma ben chiaro che «tutta l'amministrazione di Stato [come egli definisce il movimento concentrativo] nella sua essenza non è un fine ma un mezzo» (p. 72), e questa stella polare lo guida nella definizione del campo di legittimità delle decisioni assunte dal potere esecutivo.
Tali espressioni non devono però indurre il lettore in una prospettiva eccessivamente moderna, nel senso di tradurle immediatamente in termini di pretesa giustiziabile nei confronti dell'amministrazione. Manna ricorda anche come l'interpretazione che la burocrazia fa delle norme frequentemente «versa in un campo così vago da rassembrare un esercizio di bassa legislatura» (p. 72). Sono questi i casi in cui il cittadino, non disponendo di un «diritto acquistato» e cioè «precisamente ed individualmente significato sia dal legislatore sia dall'amministratore» (p. 431), è privo della possibilità di tutelarsi adeguatamente, meno che mai nella sede contenziosa, a Napoli pur molto sviluppata.
In Manna, in altri termini, il rigore delle regole amministrative non è, come nell'attualità, costruito in una prospettiva prevalentemente garantista; i principi dell'azione pubblica sono anzitutto strumento per realizzare un'amministrazione efficiente e capace di rispondere ai suoi compiti, una macchina che abbia al suo interno gli stimoli perché l'apparato si ponga in adeguato rapporto con la comunità e sia autonomamente rispondente a quanto a esso viene richiesto dai tempi e dallo sviluppo economico.
E, del resto, è comprensibile a pieno che il contributo alla costruzione di un sistema di regole autonomo per l'azione del pubblico potere ci avrebbe messo poco ad assumere incurvature spiccatamente autoritarie, in questa direzione naturalmente svolgendosi l'abusato luogo della prevalenza dell'interesse pubblico. Un'inclinazione che già nella scienza amministrativistica napoletana si sarebbe registrata con la figura di un altro notevole giurista, Giuseppe Rocco. Sono ondeggiamenti propri di costrutti teorici ancora in fase di avvio, che non hanno raggiunto limpidezza di orientamenti: risultato, peraltro, che nelle architetture istituzionali è sempre difficile ottenere, a ragione delle inevitabili mediazioni.
Analoghe incertezze appaiono anche quando lo sguardo del giurista si rivolge a settori specifici dell'ordinamento, nel tentativo di sistemarli intorno a criteri orientatori. Quella du pouvoir municipal, per es., era una faticosa tematizzazione intorno a cui anche la dottrina d'oltralpe andava cimentandosi con alterne conclusioni, a seconda che prevalesse un'impostazione centralista o autonomista. E Manna non manca di cogliere la delicatezza del tema nelle dialettiche istituzionali: in nome «della desiderata unità nazionale», egli ritiene che il potere centrale «giustamente possa imporre de' sacrifici e de' pesi alle associazioni minori», anche al fine di «sopprimer tutti i germi nocivi alla sociabilità nazionale e per guarentire l'interesse nazionale» (p. 329). Lessico perciò forte e autoritario, supportato da sintagmi come ‘interesse nazionale’, che resteranno presenti nella storia quali contenitori di concezioni spiccatamente centraliste.
Ma si farebbe torto all'intelligenza di Manna pensando che egli abbia potuto lasciar per aria tutte le premesse liberali. Contrastando teorizzazioni ampiamente diffuse nella dottrina francese, egli dà voce alla propria concezione, asserendo che
la tutela de' comuni non può esser per niente rassomigliata alla tutela civile esercitata verso le persone incapaci d'intendere e governare i propri interessi (p. 331).
Al contrario, egli percepisce la tutela in un campo semantico ristretto, funzionale all'interesse dei comuni «per modo che la lor vita ed azione interna rimanga libera e spedita da ogni altro legame» (p. 331). E qui evidentemente torna il fondamentale compito dello Stato: conservare e promuovere le condizioni perché le soggettività operanti al suo interno abbiano agio di esprimersi al meglio, evitando di cadere in egoismi e sviamenti.
Il settore in cui Manna esprime però al meglio le proprie convinzioni liberiste è quello delle attività economiche. Un ambito in cui a Napoli in quei decenni era presente un forte dibattito, che opponeva mercantilisti accesi, e tra questi l'autorevolissimo Lodovico Bianchini, a convinti assertori della mano invisibile. Manna, lo si è accennato, aveva condotto ampi studi economici, ed era convinto che l'autonomia dell'impresa fosse un valore decisivo per lo sviluppo sociale: «Le società anonime e le banche sono a questo momento il più potente istrumento di trasformazione sociale» (La Borsa ed i titoli commerciali, 1840, p. 1); e anche negli anni successivi a Il diritto amministrativo non mancherà di professare la sua fede nelle virtù del mercato:
Ogni industria crea e promuove l'altra: ogni operosità industriale [...] si moltiplica, si riproduce, si dilata e piglia tutte le forme possibili (Del credito immobiliare, 1856, pp. 10-11).
È naturale quindi che egli non potesse avere simpatia per l'invadenza e l'iniziativa dell'amministrazione in questi settori. Manna considera radicalmente distinti i due mondi, «perché lo scopo della conservazione del diritto è essenzialmente diverso dallo scopo della produzione industriale» (Il diritto amministrativo del Regno delle Due Sicilie, cit., p. 257). Il compito dello Stato torna a essere quello suo generale, di conservatore delle condizioni perché l'industria possa prosperare senza intervenire nelle scelte del capitale. Dovrà quindi assicurare la «perfetta guarentigia della proprietà», e soprattutto dovrà assicurarsi
la vigilanza sopra ogni specie di simili associazioni, in modo che lo Stato per via di norme e regolamenti generali e non a titolo di speciali concessioni definisca i requisiti necessari perché un'associazione di questa natura esista e sia riconosciuta come persona morale capace di diritti ed obbligazioni (p. 353).
Quello della distinzione tra le sfere di competenza è dunque un faro nella teorica di Manna, perché egli vi coglie la preservazione degli spazi della comunità rispetto agli apparati. Scrivendo in un'epoca di intensi rapporti tra religione e Stato e all'interno di un regno a carattere confessionale, egli non esita ad affermare che
la religione non è opera dello Stato né istrumento di politica[;] ne seguita che son condannevoli tutti i modi per i quali lo Stato tentasse di ravvicinare a sé le persone e le cose del culto, non a fine di difenderle e guarentirle, ma a fin di farle sentire i suoi interessi (p. 375).
Andrebbe al di là dello scopo di questo saggio dare analitica contezza di tutti gli apporti di Manna. Più utile segnalare, in conclusione, una sua presa di posizione che bene ne mostra l'intenso interesse per gli aspetti qualitativi e funzionali dell'organizzazione amministrativa. Convinto che, al di là di ogni possibile perfezione nell'architettura del potere, è molto importante un'adeguata mentalità dei funzionari, Manna si rende conto che la complessità dei compiti assegnati alla pubblica amministrazione è tale che solo una formazione diversificata a seconda del tipo di competenze possa rispondere alla bisogna. Egli afferma che
nella persona [del funzionario] ci debba essere tale sviluppo di facoltà intellettuali tale notizia di fatti e tale attitudine d'ingegno che possa utilmente collocarsi nella gerarchia interpretatrice delle leggi (p. 161).
La qualità che dev'essere posseduta in misura crescente, via via che dalla semplicità degli interessi locali si ascenda alla sintesi compiuta al centro del potere, è la moralità, e cioè, secondo Manna, quell'attitudine a superare culturalmente gli egoismi e gl'interessi particolaristici, così che «la persona voglia adempiere il suo ufficio e non voglia tradire la società» (p. 166). Non manca, si vede, una sorta di identificazione etica tra funzionario e Stato, su basi però concrete e pragmatiche.
Mai è agevole in poche righe definire una personalità articolata e complessa, soprattutto quando si tratti, come nel caso di Manna, di un antesignano; di un intellettuale, cioè, a metà del guado, ancora intrattenuto dalle nebbie di un sapere nascente e privo di riconosciute definizioni, ma allo stesso tempo capace di tematizzare questioni che effettivamente si dimostreranno nodi duraturi per i successivi sviluppi della scienza.
Manna fu proprio in questa condizione. La sua cultura, aperta ai fecondi influssi di una conoscenza letteraria, storica ed economica, gli permise di affrontare vischiosità e incertezze di un materiale legislativo disordinato e congiunturale, che aveva sino ad allora trovato solo intelligenti esegeti ed efficaci ordinatori, pur con qualche ragguardevole eccezione. Il tentativo di Manna è invece più ambizioso. Distaccandosi dal legame con una qualsivoglia legislazione territoriale, egli si provò a leggere oltre il materiale normativo, per attingere a criteri ordinatori che servissero da chiave di lettura e strumento di attraversamento, potenzialmente fruibile in ogni ambito dell'agire amministrativo: un agire che comportava costantemente il confronto tra interessi di dimensione molto diversa tra loro, e che quindi richiedeva mezzi ermeneutici più spregiudicati e dinamici, rispetto a quelli del sedimentato diritto privato.
Il suo maggior contributo fu forse proprio in ciò, oltre che nell'identificazione di puntuali principi: nel contribuire all'apertura verso un metodo d'analisi non esegetico, nel segnalare la possibilità che la scienza amministrativa potesse anch'essa aspirare a porsi su solide basi, nella convinzione – in lui presente – che, se pur lo Stato è un male necessario, è sempre possibile per lo studioso responsabile contribuire a limitarne le deviazioni e a mantenerlo legato ai propri compiti ideali.
Della giurisprudenza e del foro napoletano dalla sua origine fino alla pubblicazione delle nuove leggi, Napoli 1839.
Il diritto amministrativo del Regno delle Due Sicilie: saggio teoretico, storico e positivo, 3 voll., Napoli 1840-1847.
La Borsa ed i titoli commerciali, Napoli 1840.
Il diritto costituzionale d'Europa, ossia raccolta delle principali costituzioni politiche d'Europa dal 1791 fino ai nostri giorni comparate ed illustrate, Napoli 1848.
Il Veltro, o dalla interpretazione storica della Divina commedia: dialogo, Napoli 1850.
Del credito immobiliare, Napoli 1856.
Della Cassa di risparmio in Napoli, Napoli 1857.
Del miglioramento ed abbellimento delle grandi città, Napoli 1858.
Principii di diritto amministrativo, 2 voll., Napoli 1860.
I goti della Gallia e della Spagna, Napoli 1861.
Le provincie meridionali del Regno d'Italia, Napoli 1862.
Nuova Banca d'Italia: progetto di legge, presentato al Senato del Regno dal commendatore Giovanni Manna, ministro d'agricoltura, industria e commercio, nella tornata del 3 agosto 1863, Torino 1863.
Discorsi di Gius. Pisanelli, R. Conforti e P. E. Imbriani sul feretro di Giovanni Manna, il 25 luglio 1865, Napoli 1865.
A. Ciccone, Elogio storico del cavalier Giovanni Manna, «Atti dell'Accademia di scienze morali e politiche di Napoli», 1867, 2, pp. 133-66.
G. Lomonaco, Del foro napoletano e della sua efficacia nella legislazione e in generale nell'opera della civiltà dell'intera nazione, Napoli 1877, pp. 286-88, 296-97.
L. Russo, Francesco De Sanctis e la cultura napoletana (1860-1885), Venezia 1928, Firenze 19593, pp. 162 e segg. e passim.
L. Martone, La scienza del diritto amministrativo nel Regno delle Due Sicilie (1815-1848). Diritto e politica, «Rivista trimestrale di diritto pubblico», 1980, 3, pp. 1052-78.
G. Rebuffa, La formazione del diritto amministrativo in Italia: profili di amministrativisti preorlandiani, Bologna 1981, pp. 33-71.
O. Abbamonte, Potere pubblico e privata autonomia. Giovanni Manna e la scienza amministrativa nel Mezzogiorno, Napoli 1991.
M. Di Napoli, Manna Giovanni, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 69° vol., Roma 2007, ad vocem.