Cecchi, Giovanni Maria
Commediografo, nato a Firenze nel 1518 e morto a Monteorlando (Firenze) nel 1587, C. considerò M., insieme con Ludovico Ariosto, il modello per la commedia in volgare, come si ricava dal prologo della sua Stiava. Nell’ambito dell’ampia produzione di C., la più nota e riuscita fra le sue commedie, l’Assiuolo, presenta anche nell’intreccio somiglianze con la Mandragola: entrambe rielaborano lo spunto della beffa di Ricciardo Minutolo a Catella in Decameron III vi; così come i Rivali si avvicinano alla Clizia per il tema della contesa amorosa tra giovane e vecchio (sebbene nei Rivali non si tratti di padre e figlio). Nell’Assiuolo la citazione più evidente dalla Mandragola è nelle parole che Oretta, la «mal maritata», rivolge al giovane innamorato («Poiché la pazzia sua, la gelosia mia, e l’astuzia vostra», V i) che ricalcano quelle pronunciate da Lucrezia, secondo il racconto di Callimaco in Mandragola V iv. Un’altra battuta rievoca la Mandragola: «anzi un ben grande, che ella potrebbe essere cagione di fare acquistare una animuccia a messer Domeneddio» (I 2), che rinvia alle parole di Timoteo (III xi). Il vecchio dell’Assiuolo, Ambrogio, che ricorda Nicia anche per l’uso frequente dell’imprecazione «cacasangue», riprende il Nicomaco della Clizia quando dichiara di essere andato «dallo speziale, e [avere] tolto una presa di lattovaro [...] per [...] ringagliardirmi la natura» (III iv, da confrontare con Clizia IV ii).
La commedia dei Rivali ripresenta numerosi modi di dire di cui è infarcita la lingua ribobolaia di Nicia: «in quell’abito, né pur Vaquatù lo penserebbe!» (I iii; un’altra occorrenza anche negl’Incantesimi V ix e in un altro testo di C., Lezione o vero Cicalamento di Maestro Bartolino [...]); «Sì, la botta all’erpice» (II iii), che rinvia a Mandragola III vi (ma cfr. anche la lettera di M. a Guicciardini del 16-20 ott. 1525). Quest’ultimo proverbio (per cui cfr. anche altre commedie di C.: Il figliuol prodigo V ii; Gli sciàmiti IV x) chiude la breve raccolta di C., Dichiarazione de’ proverbi, dove figura anche «tu vuoi di me il giambo» presente in Mandragola V ii.
Le commedie di C. nel loro insieme si presentano come «un inventario di motti e di proverbi» dove tutti i personaggi «parlano come altrettanti messer Nicia» (Martelli 1988, p. 174). Tra gli altri proverbi e modi di dire possiamo segnalare: «di cosa nasce cosa, e il tempo la governa», Il figliuol prodigo IV iv (cfr. Mandragola I i); «entrar in [...] cetere», Il diamante II i e V iv, Il Martello III ii, Le cedole V xv, La Maiana II vii, Il donzello V iii (cfr. Clizia II iii); «gli farei un manichetto», Gli sciàmiti II iv (cfr. Clizia V ii); «vendere vesciche», Gli sciàmiti IV xii (cfr. Mandragola II i); l’allusione a «Mona Ghigna» [sic], Le pellegrine II vii (cfr. Mandragola IV viii); «I’ non credo che e’ sia oste [...] che le togliesse quattrin mai di letto», Le pellegrine III viii (cfr. Mandragola IV viii); «Non si può avere il mèl senza le mosche», Le pellegrine IV iv (cfr. Mandragola III iv); «tu m’hai [...] fracido», Il martello IV iii e V iii, La Maiana I iii e II iii, I dissimili III ii, Lo spirito III vi (cfr. Mandragola II v); «dottorarsi nel buezio», Le cedole I iii (cfr. Mandragola, prologo v. 14); «hanno [...] i paperi menato l’oche a bere», Il martello V viii, La Maiana V iv (cfr. Clizia III i); «nuova [...] da calze», Le cedole V xv (cfr. Clizia III vii); «tu hai ancora il latte in bocca», Lo sviato II i (cfr. Mandragola I ii); «non ha perduto la cupola di vista», Le maschere prologo, Il donzello I i (cfr. Mandragola I ii); «la carne mi tirava», Le maschere V vii (cfr. Mandragola III iii); «aveva più fede in lui, che gli Ungheri nello Spano», La dote II v e IV v, Gl’incantesimi III ii, La Maiana IV ii (cfr. Mandragola II ii); «Potta di Giuda», La moglie V v, I dissimili V ii e con varianti in L’ammalata IV iv, e La dote III vi (cfr. Mandragola II vi); «Dio fa gli uomini, e’ si appaiano», Gl’incantesimi II iv (cfr. Mandragola I iii); «e’ m’hanno posto a piuolo come un zugo», Gl’incantesimi IV i (l’espressione è registrata anche nella Dichiarazione de’ proverbi; cfr. Mandragola III vii); «se egli l’ha per male, scingasi», La stiava III i, La dote I i, I dissimili V ii (cfr. Mandragola II i); «rimettere un tallo in su ’l vecchio», Lo spirito I i (cfr. Mandragola V vi).
Fra i termini connotati machiavellianamente, oltre alle imprecazioni «cacasangue» (presente in tutte le commedie di C., per cui cfr. Mandragola II vi e III iv) e «affogaggine!» (Il figliuol prodigo III iv, Le pellegrine V xi, Le cedole III iv, per cui cfr. Mandragola V vi), da segnalare tra i sostantivi: «suzzacchera», Il figliuol prodigo V i, Il diamante IV vi e IV xi (cfr. Mandragola II vi); «naccherino», I rivali I iv, Le maschere II i (cfr. Mandragola V ii); «lecceto», I rivali V vi, La stiava V vi, I dissimili III i (cfr. Mandragola II i, Clizia V ii); «uccellaccio/i», Il martello IV iv, Le maschere I iii, II ii, La moglie III iv, IV vii e ix, V iv, Gl’incantesimi II iv, I dissimili II iii (cfr. Mandragola I ii e II iv). Tra gli aggettivi: «ferrigno», Le pellegrine I iii (cfr. Mandragola II ii); «moccicone», Le maschere II i, Gl’incantesimi IV v (cfr. Mandragola III xi); «rubizzo», Il donzello IV vi (cfr. Mandragola II ii).
Vi sono poi altri puntuali rinvii in diverse battute delle commedie di C. che rievocano parole di Nicia o Timoteo. Nel primo caso: «Ma [...] Queste non sien mie parole» (L’ammalata I iii) che rimanda alla paura di Nicia che si risappiano in giro le sue parole in Mandragola II iii); «O domine magister, / Bona dies», il saluto del medico Ambrogio in L’ammalata I iv che ricalca quello di Nicia in Mandragola II ii. Nel secondo caso tre battute che rievocano il discorso di Timoteo a colloquio con Lucrezia in Mandragola III xi: «ho studiato tutta notte / Sopra di questo caso» (L’ammalata I iii); «Diceva già un dottor: il fine èquello, / O vuoi la intenzion, che fa che l’opra / È o buona o cattiva» (Cedole II v); «debb’io anco / Lasciare un ben certissimo per uno / Incerto male?» (Le maschere III ii).
Sul versante contenutistico, invece, sono da osservare alcune tracce di machiavellismo nel dramma spirituale Morte del re Acab: nel dialogo (I i) sull’utilità della guerra e sul binomio principe-armi, o nella battuta della regina Jezabel (III viii) sull’uso della forza per «stabilir l’obbedienza» della «gente avvezza a viver libera», o ancora nella battuta del profeta Sedechia (III ix) sulla necessità dell’inganno per regnare.
Di una singolare messa in scena fiorentina con rappresentazione simultanea di Mandragola e Assiuolo parla Anton Francesco Doni nel II dialogo del Ragionamento quarto della prima parte dei Marmi.
Bibliografia: Dei proverbi toscani. Lezione di Luigi Fiacchi [...] con la Dichiarazione de’ proverbi di Gio. Maria Cecchi [...], Milano 18383; Commedie, Milano 1850; Commedie inedite, a cura di G. Tortoli, Firenze 1855; Commedie, a cura di G. Milanesi, Firenze 1856; Assiuolo, in Commedie del Cinquecento, a cura di N. Borsellino, 1° vol., Milano 1962; I Contrassegni, commedia inedita a cura di B. Ferraro, Bologna 1986; L’andazzo, a cura di B. Ferraro, Roma 1989.
Per gli studi critici si vedano: C. Mutini, Cecchi Giovan Maria, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 23° vol., Roma 1979, ad vocem; G. Inglese, Contributo al testo critico della Mandragola, «Annali dell’Istituto italiano per gli studi storici», 1979-1980, 6, pp. 129-73; M. Martelli, Firenze, in Letteratura italiana, a cura di A. Asor Rosa, 2° vol., L’età moderna, t. 1, Torino 1988, pp. 25-201 (in partic. pp. 172-75); C. Scavuzzo, Machiavelli. Storia linguistica italiana, Roma 2003; M.C. Figorilli, Il teatro di Machiavelli in alcune commedie fiorentine della prima metà del Cinquecento (2005), in Ead., Machiavelli moralista. Ricerche su fonti, lessico e fortuna, premessa di G. Ferroni, Napoli 2006, pp. 112-36.