NANNI, Giovanni (Annio da Viterbo). – Nacque a Viterbo da famiglia artigiana (sappiamo solo di un nonno macellaio, che occupò per una volta il priorato)
, e la regolare assenza nei documenti del nome paterno lascia supporre una nascita illegittima.
La data di nascita, 5 gennaio 1437 (non, come talora scritto, 1431 o 1432) è comprovata da un documento notarile (Fumagalli, 1980, p. 195). Assunse il nome Annio da Viterbo, appartenente a una mitica gens Annia, in funzione delle Antiquitates, la sua opera di gran lunga più celebre.
Entrò nell’Ordine domenicano verso il 1448 nel convento viterbese di S. Maria in Gradi, al seguito del cugino Tommaso di Pietro, di poco maggiore d’età, che avrebbe poi ricoperto cariche autorevoli nell’Ordine. Sulla scorta di Tommaso, compì gli studi per conseguire il titolo di magister theologiae, ma, a differenza del cugino, che si recò presso lo Studio di Padova, compì il suo tirocinio in quello di Firenze, presso il convento di S. Maria Novella, dove, in qualità di baccelliere, lesse il libro delle Sententiae. A tale periodo di apprendistato risalgono probabilmente le postille autografe e sottoscritte («Iohannes Nannis Viterbiensis») alla Summa theologica di s. Tommaso (Vat. lat. 729).
Una traccia sicura degli orientamenti tomistici dei suoi studi si trova nell’intervento in risposta al quesito posto dal ricco e colto cittadino fiorentino Giovanni Rucellai «se sia più facile bene o male operare». In ossequio all’interpretazione aristotelica di Tommaso, secondo Nanni l’uomo, nell’ambito della razionalità del creato, è naturalmente volto «a viver secondo il bene della ragione». Era in ciò contraddetto dal giovane Donato Acciaiuoli, anch’egli studioso di Aristotele, secondo il quale il filosofo aveva negato la virtù «essere in noi da natura» e bisogna quindi acquisirla con l’affrontare le difficoltà che vi si oppongono (Perosa, 2000, pp. 136-138).
Conseguì i gradi di magister theologiae a Roma, nel convento di S. Maria sopra Minerva, dove si era ricongiunto con il cugino Tommaso ad legendum sacram theologiam. Entrambi il 31 luglio 1466 indirizzarono una supplica a Paolo II per ottenere il titolo magistrale, ma non conseguirono mai quello dottorale: il titolo di professor theologiae, con cui Nanni talora è indicato, è termine generico per insegnante, come possiamo vedere dalla sottoscrizione della supplica: «Iohannes Nannis Viterbiensis Ordinis praedicatorum et theologiae professor». Con il titolo di magister Nanni e il cugino sono indicati come membri del capitolo agli atti del convento di S. Maria in Gradi di Viterbo nel 1466, e sempre a Viterbo Nanni presiedette una disputa teologica durante il capitolo provinciale del 1469. Con il conseguimento del grado magistrale o poco dopo Nanni e il cugino ritornarono nel convento d’origine per insegnare teologia. Nanni non aveva tuttavia mancato di farsi conoscere in Curia per tutt’altre ragioni; in occasione del capitolo generale dell’Ordine in S. Maria sopra Minerva Gaspare da Verona, il biografo di Paolo II, lo presenta così: «quem aperte intellexi esse philosophum et eum quidem physicum elegantem, acutum, audacem, promptum» (Fumagalli, 1982, p. 198).
Non si trattava dunque soltanto di studi teologici, ma filosofico-naturalistici, che lasciano supporre un rapporto con i circoli dell’Accademia Romana. A tale ambito di interessi va ricondotto l’inedito trattato di alchimia: Opera del R.do padre maestro Giovanni Nano da Viterbo… in alchymia chiamata arte minore o vero pietra, secondo l’intitolazione del testimone unico Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, Arch. Buonarroti, 125, cc. 141-206. È particolarmente notevole il proemio dell’opera, sia per l’atteggiamento di sfida alla dottrina volgata («i cerretani et ignoranti physici»), sia soprattutto per le cautele che l’autore dice di assumere per proteggersi da intenzioni censorie: «et io ti parlerò alcuna volta con vocaboli obscuri, acciò che se venisse questo libro alle mani di altri, non intenda questo tratato » (Mattiangeli, in Annio da Viterbo…, 1981, pp. 271 s.).
Alla chiamata di Nanni come predicatore quaresimale a Genova nel 1471 concorse verisimilmente il cardinale Niccolò Forteguerri, il quale, nominato legato per la provincia del Patrimonio, aveva edificato un palazzo gentilizio a Viterbo, godendo altresì del beneficio di abate commendatario del monastero di S. Stefano a Genova. A Forteguerri, organizzatore a suo tempo della flotta per la crociata di Pio II e nell’occasione della nuova crociata progettata in seguito alla caduta di Negroponte in mano dei turchi (1470), Nanni indirizzò il trattatello profetico-astrologico De imperio Turchorum secundum astronomos, in cui preconizzò il trionfo del re di Napoli Ferdinando d’Aragona, in predicato per il comando della spedizione. Il testo confluì poi nella più ampia trattazione De futuris Christianorum triumphis in Saracenos edito in occasione della spedizione navale preparata da Sisto IV nel 1480 in soccorso di Otranto occupata dai turchi. Nanni prese presumibilmente spunto dal discorso che aveva tenuto a Roma, dove era giunto al seguito del suo nuovo patrono, l’arcivescovo di Genova Paolo Fregoso, capitano della spedizione, nell’occasione della messa solenne officiata in S. Pietro da Giovan Battista Cibo (orazione così criticata dal diarista di Curia, Iacopo Gherardi: «ornatu multo et copia refertam, quae nihilominus indigna habita est religioso viro: etenim non tam Evangelii verba declarabat, ut erat officii sui, quam militarem disciplinam pontificem et patres docere conatus est», Baffioni, in Annio da Viterbo…, 1981, p. 236).
Il De triumphis fu pubblicato a Genova l’8 dicembre 1480 e acquistò in breve ampia popolarità, non soltanto in Italia. Del contenuto vanno indicati alcuni punti essenziali. Per prima cosa, Nanni si ricollega alla Postilla in Apocalypsim di Niccolò da Lira, che pure poneva in primo piano, nell’attesa escatologica, la lotta contro Maometto. Nanni irrigidisce ulteriormente il discorso: l’Anticristo si identifica senz’altro in Maometto; la caduta di Costantinopoli inaugura l’età nuova, il trionfo sui turchi della Chiesa d’Occidente segnerà l’avvento del millennio. Niccolò da Lira aveva rimproverato gli esegeti della Bibbia per avere trascurato il senso letterale a vantaggio di quello mistico. Di seguito a Niccolò, ma anche a differenza da lui, Nanni segue il senso letterale quale fondamento stesso della sua profezia. Non avendo Niccolò da Lira potuto conoscere l’evento epocale della caduta di Costantinopoli, per quel che riguarda le età future era ricaduto egli stesso nel ricorso al senso mistico, al pari dei riprovati predecessori. Tale critica alle Postillae di Niccolò, ed estensivamente a «omnis glossa ei similis» diverrà poi, nelle Antiquitates, motivo di aspra polemica, che ispirò la contraffazione del De temporibus dello Pseudo-Filone, un’esposizione meramente cronologica, concepita come alternativa alla fallace sapienza teologica: «quia haec non sapientiam praestant parvulis, sed eorum animos in confuso relinquunt» (Fubini, L’ebraismo…, 2003, p. 322). È precisamente in tale intenzione antiteologica che Nanni abbraccia il senso letterale, contaminando la previsione apocalittica con la scienza astrologica, secondo il primitivo assunto del trattato dedicato al cardinale Forteguerri. Gli eventi in questione non toccano la pienezza dei tempi e il Giudizio universale, ma si svolgono nell’ambito naturale «subter omne coelum» e sono quindi soggetti al giudizio astrologico. La vittoria su Maometto-Anticristo segnerà il trionfo della Chiesa di Roma; la quale non è la Civitas Deidi Agostino, ma la «monarchia giuridica» del sommo pontefice. Eppure, anche tale celebrazione dell’umanità pacificata sotto il pontefice non è immune da ambivalenza. La Chiesa attende la sua riforma nel nome della cristiana povertà. Una volta che tale speranza fosse andata delusa, il governo del mondo sarebbe rimasto affidato «alle tante regalità particolari cioè nazionali di una Cristianità corrotta, molteplice, falsamente cristiana» (Rizzo, 2011, p. 95): il che è esattamente lo sfondo, stavolta in senso positivo, delle Antiquitates e per esse del falso Beroso, dove lo sguardo si rivolge stavolta, non già alle profezia corrente, ma, regressivamente, al messaggio di Noè, ripopolatore del mondo, secondo il fondamento di giustizia della biblica «Tavola delle nazioni» (Gen., 10).
Nanni fu assunto dal comune di Genova come maestro di grammatica e continuò a istruire i cittadini dal pulpito di S. Domenico anche oltre lo scadere della condotta (1471-76). Ma le sue mire si estendevano oltre. Ambendo a ricchi benefici ecclesiastici e a una posizione di prestigio a corte, trasmise al duca Galeazzo Maria Sforza, allora signore di Genova, due oroscopi (1473, 1475), preceduti da un’operetta, ora smarrita, di argomento magico-esoterico: De gemmarum et anulorum sculptura. A dispetto tuttavia di tali ambizioni secolari, nel 1474 fu reso organico (o transfigliato) per decreto del generale dell’Ordine al convento di S. Domenico in Genova, dove risulta essere stato priore. Nella guerra del 1478-80, che vide il ducato di Milano opposto al re di Napoli e alla Chiesa, Genova riconquistò la propria indipendenza grazie a un accordo fra i casati rivali dei Fregoso e degli Adorno. Nanni, che come già si è detto, si era legato all’arcivescovo Paolo Fregoso, protagonista di quegli eventi, contribuì dal pulpito alla sollevazione cittadina, dando enfatica lettura, l’8 agosto 1478, a una grida ducale che minacciava il sacco della città. Di qui in poi il soggiorno genovese fu contrassegnato dal vincolo clientelare col Fregoso, nel 1483-87 nuovamente doge, prima del ristabilimento, nel 1488-89, del governo milanese.
È a tale legame che si deve l’affermazione di Nanni di avere ritrovato a Mantova alcuni dei suoi «scriptores antiquissimi», e cioè le contraffazioni antiquarie, che rivelavano i primordi italici: Mantova infatti, nonché città capitale di fondazione etrusca, era la sede scelta da Fregoso nei suoi periodi di esilio per mantenervi la famiglia. Analogamente, a Genova Nanni incontrò dei confratelli armeni, che gli avrebbero consegnato le Antiquitates di Beroso, il testo che più direttamente serbava le memorie postdiluviane: l’Armenia infatti era la nazione che custodiva per tradizione diretta le memorie di Noè, sbarcato dall’Arca sul monte Ararat (donde l’idea del linguaggio primordiale ararateo, che in Annio tiene trasgressivamente il luogo dell’ebraico biblico).
Particolare significativo della rilevante posizione di Nanni a Genova sotto il dogato di Paolo Fregoso è la sua partecipazione alla solenne ambasciata dei dodici più rilevanti cittadini per porgere l’obbedienza al nuovo pontefice Innocenzo VIII: alcuni suoi versi compaiono infatti a introduzione del celebre discorso pronunciato dal giurista Ettore Fieschi il 27 aprile 1485, e subito pubblicato in un rarissimo incunabolo (ora in Bayerische Staatsbibliothek, 4 inc. s.a., 810, Oratio ad Innocentium VIII; cfr. anche Semeria, 1838, p. 377).
La fondazione, nel 1488, del Monte di Pietà di Genova da parte del francescano Angelo da Chivasso fu probabilmente l’occasione per Nanni di occuparsi dell’ancora controversa questione, essendo la nuova istituzione di prestito caritativo sostenuta dai francescani, e viceversa osteggiata, fra gli altri, dai domenicani. Tuttavia la trattazione di Nanni è di poco più tarda, essendo datata Viterbo, 8 maggio 1492, sotto il titolo Quaestiones duae disputatae super mutuo Iudaico et civili et divino. Fu dedicata al vescovo di Padova, Pietro Barozzi, che, avendo ispirato il Monte dei poveri cittadino, aveva richiesto l’appoggio del parere di teologi e canonisti; sicché anche lo scritto di Nanni trovò ospitalità nella raccolta Pro Monte pietatis. Consilia sacrorum theologorum ac collegiorum Patavii et Perusii…, Cum bulla ac brevi dato fratri Bernardino Feltrensi sacratissimi papae Innocentii octavi (Venezia senza data e tipografo), intesa a ottenere l’approvazione esplicita del papa (che tuttavia tardò fino al 1515). Come ha osservato Savelli (1991, pp. 556 s.), il trattato di Nanni contiene aspetti sorprendenti, e non soltanto perché opera di un domenicano. L’argomentazione è infatti di carattere insolitamente sociale e politico, piuttosto che giuridico e canonistica. Distinguendo fra indigenti (cui era destinata la pubblica carità) e poveri, concepiti come parte attiva, ancorché bisognosa, della società, per Nanni il Monte – o, come preferisce designarlo, la providentia civilis et economica – assume i connotati di un «contratto societario tra poveri e monte di pietà», nel fine di farne dei bonos cives, sì che la città apparisse simile a una «operosa società di api».
La partenza, che ci viene detta precipitosa, di Nanni da Genova non avvenne tanto per il restaurato potere milanese, quanto, come hanno chiarito le ricerche di Fioravanti, 1980, per un contrasto interno all’Ordine domenicano. Nanni, a suo dire, aveva in cuor suo aderito da qualche tempo alla credenza nell’Immacolata Concezione di Maria, sostenuta dai francescani ma fieramente avversata dai domenicani, nell’assenza di un pronunciamento della S. Sede. Confortato dalla favorevole inclinazione manifestata dal defunto pontefice, il francescano Sisto IV, e da una guarigione a suo dire miracolosa, Nanni abbracciò pubblicamente come articolo di fede la credenza, mediante la predicazione e gli scritti, o addirittura mediante un formale rogito notarile, da depositare presso l’arcivescovado di Genova (26 dicembre 1488): ragion per cui, sul principio del 1489, per la decisa reazione dei superiori fu allontanato dal convento e rimandato a Viterbo.
Trasferito d’autorità nel convento d’origine di S. Maria in Gradi di Viterbo (dove si ricongiunse al cugino Tommaso, dal 1482 vicario generale dell’Osservanza della Provincia romana; cfr. La «Cronaca» ..., 1990, p. 164). Quivi trovò calda accoglienza presso i concittadini, che gli offrirono la pubblica condotta per l’insegnamento di grammatica, da lui tramutata in una sorta di cattedra di antichità patrie.
Promotore principale fu il notaio Tommaso Veltrellini, a capo fin dal 1472 di una commissione cittadina incaricata della designazione dei maestri condotti. Ritroviamo il personaggio nel 1491 come verbalizzatore di una riunione capitolare del convento (là dove Nanni è nominato come «celeberrimus sanctae theologiae professor magister Iohannes Nanii»; Baffioni, in Annio da Viterbo…, 1981, p. 165; Rizzo, 2011, p. I); ma soprattutto, in qualità di oratore ufficiale del Comune, al passaggio di Carlo VIII di Francia da Viterbo gli si rivolse con un discorso intessuto di concezioni anniane, e per esse di rivendicazioni municipali. Fu appunto Veltrellini a preservare in redazione autografa, corredata di una sua composizione latina in distici elegiaci, la Viterbiae historiae epitoma di Nanni (1491). Si tratterebbe, a detta dell’autore, dell’ultimo capitolo, il VII, riassuntivo di una storia più ampia, molto verisimilmente mai esistita. Fa parziale eccezione il libro VI, che «viros et feminas illustres Viterbias exprimit» (p. 78). Il tema è forse suggerito dall’opuscolo De Viterbiis viris et factibus illustribus, di cui Nanni fece omaggio a Pierluigi Farnese, patrono dei luoghi nonché padre di Giulia, amante notoria di Alessandro VI, asceso al papato l’11 agosto 1492. Nell’Epitoma la storia patria era posta sotto la tutela della divinità egizia di Osiride, padre fondatore e capostipite della «teogonia degli eroi», comprovata da «autori antichissimi». Sicché la Viterbo italica ed etrusca si congiungeva senza soluzione di continuità con l’età cristiana, vantando la fedeltà alla Chiesa, ma anche insieme una non sottaciuta rivalità con Roma.
Con il nuovo pontificato, verisimilmente attraverso i Farnese, Nanni fu chiamato a tracciare il programma degli affreschi (eseguiti dal Pinturicchio), celebrativi del casato dei Borgia. L’illustrazione degli appartamenti vaticani gioca sul tema dell’insegna araldica, la testa di bue, e di qui sulla «misteriografia egizia», secondo la quale «la dea Iside» va sposa al «benefico dio Osiride, che, ucciso… dal fratello Sifone…, riemerge nella reincarnazione di Apis» (Paolucci, 2010), il tutto in gloria di Alessandro VI e della sua gente, nonché nel quadro di un pronunciato sincretismo di religione e di mito.
Ma, al di là dell’occasione celebrativa, ben altri furono gli stimoli che a Nanni provennero dal nuovo pontificato. Due su tutte in particolare: l’influsso della storiografia propagandistica della recente monarchia unificata di Spagna, e la cultura ebraica, confluita evidentemente nella Curia di papa valenzano. Ai «Talmudistae caballarii», gli esegeti del Talmud cultori della Cabbala, fanno frequente riferimento le Antiquitates. Di uno di costoro viene anche fatto il nome, «rabi Samuel talmudista noster», per il quale è da ritenersi corretta l’identificazione, proposta da François Secret, con l’archiatra pontificio Samuel Zarfati (con l’appellativo noster Nanni designa infatti personaggi di pubblico rilievo). Ma vi è un’altra particolarità saliente. A partire dal 1493 Nanni, seguito nei suoi rogiti dal fedele Veltrellini, sostituisce alla dizione corrente, Viterbium, Viterbienses, quella di Viterbum, Viterbenses (Fumagalli, 1984, p. 346). A motivazione, Nanni adduce l’etimo cabbalistico di «veterum verbum», il verbo degli antichi, pari al pronunciamento intangibile di un sinedrio ebraico, di un «paleologo» greco, di un senato romano. L’antichità inviolata del nome corrisponde dunque al ristabilimento cabbalistico dell’oggettività del vero. Tale è il senso delle epigrafi marmoree arcane, fatte disseppellire da Nanni al cospetto dei dignitari di Curia, e in modo particolare del Decretum Desiderii. Era questo il dispositivo con cui l’ultimo legittimo re che l’Italia avesse avuto decretava l’inviolabilità dei nomi delle antiche città etrusche, e cioè a dire, fuor di metafora, ne confermava l’intangibile autonomia statutaria. Ora, a monte di tale rivendicazione, e con essa del ricorso del principio idealizzato della tradizione diretta, sta la difesa che delle antichità giudaiche aveva compiuto Flavio Giuseppe nel Contra Apionem. Contro l’arbitrarietà della reinterpretazione soggettiva degli storici ellenici, questi si appella alla testimonianza esterna dell’annalistica sacerdotale d’Oriente, di autori quali Beroso caldeo e Manetone egiziano: sono questi appunto gli autori che, primi fra gli altri, Nanni reinventa quale fonte originale, rispetto a quella alterata dalla storiografia di tradizione grecoromana, ma anche dall’esegesi biblica e dalle esposizioni storico-cronologiche della letteratura patristica.
Prima dell’avvento di papa Borgia è assente in Nanni il riferimento a un autore, poi di peso in lui così determinante, come Flavio Giuseppe. Il biasimo della proverbiale Graecia mendax in historia, secondo un verso di Giovenale, su cui ha insistito Tigerstedt, 1964, sottintende in realtà il riferimento a Giuseppe: «Immo et semper falsa [Graeca historia], ut scribit Josephus contra Apionem grammaticum…, et ideo non iniuria dixit noster Juvenalis Aquinas: “et quicquid Graecia mendax audet in historia”» (Fubini, L’ebraismo…, 2003, p. 310). S’intende che i Greci secondo Nanni vanno intesi in senso ampiamente metaforico. Il bersaglio più diretto sono i moderni storici umanisti d’Italia, quali Leonardo Bruni, che nelle Historiae Florentini populi aveva definito gli Etruschi soggetti a Roma come «marcescente otio oppugnati»; e soprattutto Biondo Flavio, che nell’Italia illustrata, in riferimento alla tardiva acquisizione della sede vescovile (nel 1194), aveva definito Viterbo come «urbem parum vetustam»: un’offesa la cui riparazione costituisce una delle motivazioni primarie della produzione antiquaria di Nanni.
L’uso di Flavio Giuseppe come testimone privilegiato della più remota antichità, e con ciò dell’autoctonia di una nazione, non è di tradizione italiana, ma spagnola. La monarchia unificata di Spagna mirava a liberare la memoria patria dal suo passato di colonia romana, e sollecitava i suoi storici a ritrovarne le origini. Era stato appunto Flavio Giuseppe nelle Antiquitates Iudaicae a indicare nel re Tubal, di stirpe noachica come figlio di Jafet, il primo colonizzatore degli Iberes, ed era stato per questo adottato nella letteratura iberica come storico nazionale. Parallelamente ad Antonio de Nebrija, professore a Salamanca, che in quegli stessi anni lavorava alle Antigüedades de España (annunciate fin dal 1495), anche Nanni mirò a rivelare sotto gli auspici di Giuseppe le antichità etrusche, contro gli storici mentitori (e cioè ispirati da poteri politici arbitrari) così del presente come del lontano passato. Sicché, non avendo ottenuto, come sperava, un finanziamento per l’edizione dalla Comunità di Viterbo, si rivolse a Roma all’ambasciatore di Spagna Garcilaso de la Vega, componendo un ulteriore libro, De primis temporibus et quatuor et viginti regibus Hispaniae; di modo che l’intero corpus uscì a Roma, dedicato ai sovrani Ferdinando e Isabella, presso lo stampatore Eucherio Silber, il 3 agosto 1498, munito del privilegio papale per un decennio.
Il corpus antiquario di Nanni si compone di testi contraffatti, presentati come sensazionali riscoperte, corredati di fitti commentari dove risiede l’ideologia dell’intera costruzione. Di qui l’intitolazione originale: Commentaria fr. Ioannis Annii Viterbenis theologiae professoris super opera diversorum auctorum de antiquitatibus loquentium. Un primo libro, a imitazione di come Plinio il Vecchio aveva elencato nella Naturalis historia la bibliografia adoperata, fornisce le autorità vere o fasulle alla base della costruzione, ma anche spiega concisamente il senso dei libri seguenti. I libri II e XVII, rispettivamente De institutionibus Annianis de aequivocis, e Annianae XL quaestiones (con dedica, quest’ultimo, al cugino Tommaso) riproducono i temi della scuola viterbese, contraffazioni epigrafiche comprese. Seguono gli auctores, nell’ordine: Super Vertumnianam Propertii (commento a El., IV, 2, nell’intento di dimostrare l’identità di Noè con Giano e con altre denominazioni delle divinità primordiali d’Italia); Super aequivoca Xenophontis (sui nomina aequivoca, le omonimie per cui i Greci identificarono in un solo personaggio il nome che apparteneva in realtà a molti); Fabio Pittore, De aureo saeculo et origine urbis Romae (contro la menzogna di Livio, che aveva oscurato la gloria etrusca); Mirsilo Lesbio, De origine Italiae et Turrenae (contro la menzogna erodotea e l’origine etrusca dell’Italia); Fragmentum Catonis (su cui Fumagalli, 1984); Fragmentum «Itinerarii» Antonini; C. Sempronio, De Chorographia sive descriptione Italiae (testi tutti più o meno implicitamente posti a controparte dell’Italia illustrata di Biondo, per la fedeltà alle incorrotte tradizioni dei luoghi); Archiloco, Epithetum de temporibus; Metastene, De iudiciis temporum (dove è abusivamente mutato il nome di Megastene, storico greco dell’India, menzionato da Flavio Giuseppe); Filone, De temporibus (testi tutti che pretendono stabilire, dopo le coordinate spaziali, quelle cronologiche fondate sull’inalterabile tradizione sacrale delle Quattro Monarchie, contro gli arbitri di Eusebio di Cesarea e dei commentatori biblici); Beroso caldeo, Quinque libri Antiquitatum (il nome di Beroso è suggerito da Giuseppe, e costituisce il pezzo forte della raccolta, unica opera a recare l’intitolazione sacrale di antiquitates, trasmettendo le dirette memorie di Noè dopo il diluvio); Manetone egiziano, Supplementum pro Beroso (il nome è pure suggerito da Giuseppe, e vale a saldare l’età aurea dell’antichità primordiale con le epoche di decadenza, così come attestate dalla storiografia greco-romana).
I testi contraffatti di Nanni non equivalgono a semplici falsi, di tipo documentario o letterario che siano. Si tratta della reinvenzione simbolica di tradizioni, che la vasta e tenace fortuna che incontrarono in tutta Europa dimostra quali e quante corde avessero toccato della sensibilità del tempo. La celebrazione dell’antichità di Viterbo corrisponde all’idealizzazione in chiave antipolitica della città piccola rispetto alla prevaricazione di quella grande, e cioè in concreto al configurarsi dello Stato. Il Noè-Giano di Beroso, memore della dottrina di Aristotele circa la giusta misura della polis, condanna la grandezza, fomite di corruttela: «Ergo Ianus docuit humiles urbes et coetus et communionem politicam, non ad pompam et dominationis libidinem» (Fubini, Gli storici…, 2003, p. 35). Le memorie del diluvio e di Noè sono direttamente trasmesse da Beroso, mentre Mosè è inficiato di parzialità per il popolo ebraico. Noè fu rifondatore di città e di popoli, da cui trassero con pari dignità origine le stirpi della moderna Europa, alle quali Nanni segnatamente si rivolge accanto agli Etruschi: gli Iberi, i Galli, i Germani («pro patria et Italia, immo et Europa tota», come è scritto in capo alla raccolta). Padre fondatore, come si è detto, è Noè, che però non corrisponde al Noè costruttore dell’arca, prefigurazione nell’esegesi cristiana del papa e della sua Chiesa. La sacralità infusa da Noè nelle sue fondazioni è, per dir così, disseminata, e soggiace alle dirette memorie di ciascuna città e popolo. Il Noè fondatore, identificato nelle divinità primordiali di Giano, Ogige e Cielo, è maestro di scienza naturale, astrologia e magia, secondo specifiche tradizioni leggendarie ebraiche. La sua eredità si trasfonde nella religione e nel culto cristiano, al modo in cui il fuoco di Vesta (identificata con Terra, sposa a Noè-Cielo) si conserva a dire di Nanni nel convento di S. Maria in Gradi, così come egli aveva udito per tradizione diretta e come aveva osservato egli stesso: «observatum vidi et a maioribus traditum audivi» (Fubini, L’ebraismo…, 2003, p. 328).
Che non si tratti solo di affermazioni immaginose è indicato da episodi oscuri, che videro al loro centro il convento domenicano di Viterbo. Anche dopo la cessazione della pubblica condotta di insegnamento (nel 1493 il Comune assumeva, si suppone in suo luogo, Giovan Battista Valentini, detto Cantalicio), Nanni aveva continuato a impartire nella sede conventuale la sua dottrina antiquaria, non priva, come egli stesso asserisce, di implicazioni teologiche («quae non abest a theologiae annexis», scriveva al cugino Tommaso nell’epistola prefatoria alle Annianae quaestiones, cfr. Fubini, L’ebraismo…, 2003, pp. 322 s.). Nel 1496, partì una denuncia da parte del magistrato di Viterbo per lo scandalo che offrivano certi frati del convento domenicano; ragion per cui fu inviato in ispezione il procuratore in curia dell’Ordine. Secondo la coeva Cronica magistrorum Ordinis praedicatorum (Panella, 1995, pp. 202 s.), questi poco dopo morì nel convento viterbese con sospetto di avvelenamento. Va aggiunto che fin dall’anno precedente Nanni, probabilmente nell’attesa di ottenere, come già aveva sperato a Milano, ricchi benefici ecclesiastici, aveva preso gli ordini del clero secolare (diacono nella chiesa di S. Salvatore a Thermis, presbitero in quella d S. Pantaleone, ambedue in Roma; cfr. Mattiangeli, in Annio da Viterbo…, 1981, p. 266). Di fatto, poco dopo l’ispezione suddetta, insieme con alcuni confratelli ebbe licenza il 26 dicembre di lasciare l’ordine e passare ai canonici regolari di S. Agostino, ciò che può essere interpretato come un allontanamento d’autorità dal convento e un trasferimento presso tale congregazione romana (era allora priore Tommaso Nanni, che non fu toccato). Furono questi gli anni della frequentazione di personalità eminenti in Curia (oltre al già menzionato ambasciatore di Spagna, Garcilaso de la Vega, il cardinale Bernardino Lopez di Carvajal); finché, evidentemente reintegrato nell’Ordine domenicano (sempre che ne fosse stato effettivamente rimosso), il 1° febbraio 1499 fu nominato dal papa maestro del Sacro Palazzo, una carica sulle cui prerogative egli abbozzò un trattatello ora perduto (Quedam quodlibeta de dignitate officii magistri Sacri Palatii, Weiss 1962B, p. 436); rimane inoltre una sua supplica al papa, per essere nominato all’ufficio, da lui immaginato, di «conservatore delle antichità del Viterbese» (ibid.).
Morì a Roma il 13 settembre 1502, non senza voci di veneficio da parte di Cesare Borgia. Fu sepolto in S. Maria sopra Minerva.
Opere: il De futuris Christianorum triumphis in Saracenos, Genova 1480 riunisce interventi precedenti di varia intitolazione; il ms. Pistoia, Biblioteca Forteguerri, D.46 (descritto in Weiss, 1962B, p. 429) raduna: Super Apocalypsim opusculum, De futuris Christianorum triumphis in Saracenosepistola (a Sisto IV); De imperio Turchorum secundum astronomos; excerptum ex expositione Apocalypsis eiusdem magistri Johannis. Tali intitolazioni hanno una qualche analogia con quelle della stampa di Colonia del 1507: Glossa… super Apocalypsim; De statu Ecclesiae ab anno salutis 1480 usque ad finem mundi; De praeclaris… triumphis Christianorum in Turcos. Fra l’editio princeps delle Antiquitates, e le edizioni parigine di Iodoco Badio Ascensio, Antiquitatum variarum volumina XVII del 1512 e 1515, dopo lo scadere del privilegio pontificio, sussistono delle varianti che non possono essere addebitate solo ai curatori esterni dei volumi. Un caso è di particolare interesse. Più volte Nanni si richiama a suoi presunti scritti, per esempio di commento scritturale, al fine di giustificare affermazioni ardite, e per questo dobbiamo a dir poco dubitare della loro effettiva esistenza (un elenco in Baffioni, in Annio da Viterbo…, 1981, p. 24). Diverso è invece il riferimento alla Historia Etrusca pontificia, intesa a congiungere le sacre memorie dell’Etruria con il pontificato di Roma. Nell’incunabolo l’opera è indicata come progetto a seguire, e il verbo è quindi al futuro: «reliqua subsequemur in Historia Etrusca pontificia»; nell’edizione parigina il proposito è dato come compiuto: «reliqua tractavimus in Historia Etrusca pontificia… sic in ea excurrimus omnia tempora» (Fubini, L’ebraismo…, 2003, p. 328). L’opera in effetti fu nelle mani del conterraneo Egidio da Viterbo, che la elaborò per proprio conto (Weiss, 1962B, p. 437). È quindi probabile che Nanni stesso avesse atteso a una riedizione, il cui testo fu raccolto postumamente dall’editore parigino. È importante al riguardo il ms. di Firenze, Biblioteca nazionale, II.IV.418, su cui Weiss, ibid., p. 435: «ha varie correzioni ed ha tutta l’apparenza di un autografo», databile «verso il 1500». La Viterbiae historiae epitoma è edita a cura di G. Baffioni, in Annio da Viterbo…, 1981. Per il testo e commento delle contraffazioni epigrafiche, cfr. R. Weiss, 1962A.
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