Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Giovanni Pisano è tra i protagonisti del rinnovamento dell’arte gotica italiana, degno erede del padre Nicola Pisano, presso la cui bottega comincia a lavorare. Personalità esuberante e talvolta contraddittoria, anticipa molti dei caratteri tipici dell’artista moderno rivelando una piena coscienza di sé e del proprio lavoro, come confermano le complesse firme autobiografiche apposte ad alcune delle sue opere importanti, realizzate a Siena, Pistoia, Pisa.
Il nome di Giovanni, figlio di Nicola Pisano, compare per la prima volta, affiancato a quello di altri collaboratori del padre, nel contratto stipulato nel 1265 per la realizzazione del pergamo del Duomo di Siena, affidata a Nicola. A questa data Giovanni, probabilmente non ancora ventenne, gode già di una certa notorietà, come attesta il suo ruolo all’interno della bottega, retribuito con un salario giornaliero più alto rispetto a quello degli altri aiuti. L’apprendistato di Giovanni avviene presso i più importanti cantieri del padre, a cominciare ovviamente da quello del pergamo senese e del Battistero di Pisa. Dalla decorazione esterna di quest’ultimo provengono alcuni colossali busti con Profeti, Evangelisti e la Madonna col Bambino (Pisa, Museo dell’Opera del Duomo), riconosciuti, per via dello stile immediato ed espressivo, al giovane Giovanni. Questi, come ricorda Giorgio Vasari, in ““pochi anni divenne non solo eguale al padre, ma in alcuna cosa superiore; onde essendo già vecchio, Nicola si ritirò in Pisa e lì vivendo quietamente lasciava d’ogni cosa il governo al figliuolo””. Già in queste prime prove si coglie quella ““estremizzazione in senso gotico e drammatico”” che caratterizza l’arte del nostro artista, sempre più lontano dai modelli classicheggianti del padre Nicola, presso la cui bottega continua a lavorare, in posizione preminente, fino alla morte di questi avvenuta prima del 1284.
Un rapporto, quello con Nicola, molto intenso ma al tempo stesso caratterizzato da una certa conflittualità. Lo dimostra la Fontana Maggiore di Perugia, realizzata insieme al padre tra il 1277 e il 1278, dove la collaborazione tra i due artisti ha modo di manifestarsi sotto una luce completamente diversa. Ciò è provato dall’aggiunta alla duplice firma di una seconda iscrizione recante esclusivamente il nome Giovanni, a volere rivendicare un suo ruolo specifico e una sua diversità, ravvisabili nelle formelle e nelle sculture che decorano il monumento. In effetti la decorazione della fontana rivela nell’insieme uno stile più incisivo e vibrante che, non a caso, ha fatto pensare a un maggiore coinvolgimento di Giovanni. A lui spettano alcune delle sculture della vasca superiore, connotate, nell’uso veemente del trapano, da un piglio energico ed espressivo. Taluni hanno voluto vedere in questa precoce maturazione gotica dell’artista il risultato di un suo possibile soggiorno presso qualche grande cantiere francese, ma è più verosimile che siano stati i modelli d’oltralpe importati, anche di piccole dimensioni, a favorire tale aggiornamento nell’arte di Giovanni. Lo dimostra il suo precoce impegno nell’intaglio eburneo, come testimoniano alcuni suoi pezzi tra cui il Crocifisso databile intorno al 1270 (collezione privata).
L’importante impresa di Perugia costituisce il momento più alto della prima attività di Giovanni e lo consacra ufficialmente come maestro autonomo, affrancato dai modi paterni. Tornato a Pisa, Giovanni lavora in qualità di capomastro della Fabbrica del Battistero fino al 1284, quando, dopo la morte del padre, forse anche a seguito delle vicende politiche della città, si trasferisce a Siena, ottenendone la cittadinanza e il conseguente obbligo di residenza.
Qui viene incaricato di progettare la facciata del duomo, per il quale esegue l’imponente ciclo statuario (Filosofi ed Eroi dell’Antico Testamento), cui lavora per diversi anni senza tuttavia riuscire a portarlo a termine. I lavori condotti sotto la sua direzione si fermano infatti alla quota delle ghimberghe (frontoni) dei portali, e molte delle statue realizzate vengono collocate soltanto in un secondo tempo, a costruzione ultimata, quando Giovanni ha già fatto ritorno a Pisa (1296-97). In questa prima grande impresa plastico-architettonica l’artista ha modo di esprimere compiutamente la sua creatività, pervenendo, nell’uso prevalente della statuaria monumentale, a una realizzazione che non ha precedenti in Italia. Slegate dal contesto architettonico, le sculture si impongono per la loro vigorosa struttura e per la veemenza espressiva dei gesti, allontanandosi dalle caratteristiche della statuaria gotica d’oltralpe, ai cui esempi si è voluto in parte collegare il modello senese di Giovanni. Per quanto mai portata a termine tale impresa permette all’artista di accrescere la propria fama e il prestigio personale, come conferma il particolare trattamento a lui riservato dalle istituzioni cittadine, con le quali non mancano tuttavia dissapori e contrasti. Sono forse questi a indurlo a lasciare la città per fare rientro a Pisa nel 1297.
Il 14 dicembre 1297 Giovanni Pisano è nuovamente documentato a Pisa. Il suo rientro viene a coincidere con l’effettiva ripresa economica della città e quindi con il nuovo avvio delle sue più importanti fabbriche: il duomo, il camposanto e il campanile, di cui l’artista viene nominato caput magister. Durante questi anni è impegnato in numerose imprese, anche lontano dalla città d’origine.
Nel marzo del 1298 è incaricato, insieme a un altro magister lapidum e al falegname Orsello, di valutare l’inclinazione della torre; forse in quello stesso anno hanno inizio i lavori di quello che è considerato il capolavoro della maturità, il pergamo della chiesa di Sant’Andrea a Pistoia, terminato nel 1301. Memore degli esempi del padre, egli progetta una struttura non dissimile da quella dei pulpiti di Pisa e di Siena, di cui ripropone la pianta poligonale (esagonale come a Pisa), l’ordinamento orizzontale in tre zone, nonché il modo di raccordare le varie specchiature con gruppi scultorei. Diversa è invece l’attenzione riservata alla parte plastica, che qui pare avere il sopravvento sull’agile struttura architettonica, caratterizzata da esili colonne e da archi ogivali trilobati che contribuiscono a dare all’insieme un aspetto più slanciato. Quanto già arditamente sperimentato nella facciata del duomo senese trova ora pieno svolgimento, esibendo nelle varie storie della cassa e nelle altre sculture un fare concitato e mosso, ricco di contrasti chiaroscurali, che fanno emergere con maggiore vigore le figure, originariamente colorate e dorate. Le scene della Strage degli Innocenti, della Crocifissione, del Giudizio finale si animano di un popolo brulicante di figure scorciate e gesticolanti, non prive, come appare negli episodi della Natività e dell’ Adorazione dei Magi, di una loro sinuosa eleganza, a ricordarci della costante attenzione rivolta da Giovanni ai modelli della cultura gotica francese. Ai primi anni pisani risale la committenza del piccolo polittico a scomparti dell’altare maggiore della cattedrale, il cui tabernacolo centrale era destinato a contenere la Madonna col Bambino intagliata in avorio oggi al Museo dell’Opera del Duomo, realizzata con l’intento di emulare gli esempi gotici francesi.
Conscio del proprio ruolo e della propria abilità, Giovanni si spinge addirittura a rivendicare nell’iscrizione dedicatoria del pulpito pistoiese la propria superiorità nei confronti del padre (““Scolpì Giovanni, che non intraprese cose vane, figlio di Nicola ma felice per una migliore sapienza, che Pisa generò dotto più di ogni cosa mai veduta””), rivelando una piena coscienza di sé e della propria professione, che avrà modo di ribadire di lì a poco anche nelle iscrizioni del pulpito del Duomo di Pisa.
A un anno di distanza dalla realizzazione del pergamo di Pistoia, gli viene commissionato da parte dell’operaio del Duomo di Pisa, Burgundio di Tado (XIII-XIV sec.), un altro pulpito, in sostituzione di quello già esistente realizzato da Guglielmo. I lavori si protraggono per circa un decennio, a causa non solo dei numerosi impegni dell’artista, ma anche delle incomprensioni e dei contrasti sorti durante la lavorazione.
È quanto emerge anche dal tono della lunga iscrizione che corre sul pulpito, dove l’autore esprime la sua amarezza per le difficoltà incontrate durante la realizzazione dell’opera, e ne rivendica l’assoluta grandezza, in una sorta di personale apologia che esalta l’individualità dell’artista secondo una prassi del tutto inusuale per il mondo medievale. Del resto la difficoltà ad apprezzare le novità di questo monumento, in parte alterato nella sua struttura a seguito dei numerosi spostamenti e ricostruzioni (quella attuale risale al 1926), risulta anche dal parere negativo espresso nel Cinquecento da Giorgio Vasari. In effetti si tratta del più complesso e grandioso pulpito concepito in età medievale, nel quale Giovanni Pisano, ripercorrendo le precedenti esperienze, perviene a una nuova e originalissima fusione tra elementi architettonici e scultorei, dimostrando un’estrema versatilità di linguaggio, solo in parte attribuibile alla collaborazione di numerosi aiuti. Rispetto al pergamo di Pistoia, qui prevale la struttura, divenuta più complessa nel connubio con l’elemento plastico. Alcuni dei sostegni sono ora formati da monumentali gruppi figurati e da statue (Evangelisti, Virtù teologali, Sette Arti liberali, Virtù cardinali, Michele e Ercole) connotate, nel loro turgore formale, quasi da una sorta di classicismo. Questo contrasta con quanto esprimono le nove formelle della cassa, le cui scene, lontane dalla salda intelaiatura compositiva degli esempi pistoiesi, vengono rese con una maggiore vitalità, per via delle arditissime deformazioni espressionistiche.
Il protrarsi dei lavori del pergamo pisano non impedisce all’artista di impegnarsi in altre commissioni, ad esempio la Madonna col Bambino per la lunetta del portale centrale del battistero e la Madonna realizzata insieme a due angeli reggi-candela tra il 1305 e il 1306 per conto di Enrico degli Scrovegni per la cappella dell’Arena a Padova, da poco affrescata da Giotto.
Anche negli anni successivi l’attività dell’artista continua senza soste: tra il 1312 e il 1313 realizza un gruppo scultoreo per la porta di San Ranieri a Pisa, di cui rimangono oggi soltanto la frammentaria Madonna col Bambino e l’ Allegoria di Pisa conservate al Museo dell’Opera, mentre perduta è l’immagine dell’imperatore Enrico VII originariamente a fianco della Vergine. Una presenza, quella di Enrico VII, da leggere come omaggio politico nei confronti di colui che avrebbe potuto liberare la città, di fede ghibellina, dal pericolo espansionistico della lega guelfa toscana.
A Pisa lo stesso imperatore ha modo forse di ammirare le varie sculture del portale, dal momento che poco dopo commissiona a Giovanni il monumento funebre dell’amatissima moglie Margherita di Brabante, morta di peste a Genova nel 1311 e subito oggetto di una particolare venerazione. Di quest’ultima impresa scultorea, un tempo nella chiesa di San Francesco di Castelletto a Genova, sono pervenuti soltanto pochi frammenti sulla base dei quali, in tempi recenti, è stata proposta una ricostruzione. Anche in questo caso l’artista, ormai settantenne, dà prova di grande libertà, proponendo un monumento funebre dalla struttura del tutto originale, sia per la presenza delle quattro Virtù cardinali poste a sorreggere il sarcofago, sia per il gruppo dell’ Elevatio, con la raffigurazione, purtroppo oggi mutila, della sovrana elegantemente abbigliata.
Attraverso i pochi elementi superstiti è possibile cogliere l’altissima potenza dell’estremo approdo stilistico del maestro, intento si direbbe a ricomporre l’espressività veemente delle precedenti opere secondo ““una concezione più armonica e pacificata delle forme””. A quest’ultimo periodo risalgono anche alcune Madonne col Bambino in marmo, tra cui la cosiddetta Madonna della cintola del Duomo di Prato e quella degli Staatliche Museen di Berlino, nelle quali l’artista reinventa ancora una volta il tema, già ampiamente sperimentato anche nella produzione in avorio. Del resto la capacità di Giovanni di cimentarsi in diverse tematiche risulta anche dall’iscrizione del pergamo pisano, nella quale si fa esplicito riferimento ad un suo impegno nell’ambito della scultura lignea. Sono numerosi i crocifissi a lui attribuiti che ci sono pervenuti. L’artista si presenta come uno dei maggiori innovatori, ““creatore del canone del Crocifisso gotico toscano, così importante per il seguito della scultura trecentesca””.
Probabilmente Giovanni muore pochi anni dopo avere realizzato il monumento funebre per Margherita di Brabante. In un documento del 1319 l’artista risulta essere già defunto.