PREVITALI, Giovanni
PREVITALI, Giovanni. – Nacque a Firenze il 4 marzo 1934 da Fernando (1907-1985), direttore d’orchestra, e da Oriana Gui (1912-1997), traduttrice, figlia di Vittorio, anch’egli direttore d’orchestra e fondatore del Maggio musicale fiorentino.
Crebbe a Roma, dove frequentò il liceo Mamiani, conseguendovi la maturità classica nel 1952.
Nell’estate successiva decise di iscriversi alla facoltà di lettere, superando un’inclinazione precedente: «ad ogni modo, penso che Legge proprio non mi piaccia, in fondo non mi interessa affatto la criminalità umana (e viverci sopra mi piace anche meno)», scriveva alla madre il 18 agosto 1952 (in Galansino, 2013, p. 19). Il caos dell’Università di Roma («i professori continuano ad assentarsi con la massima indifferenza»: alla stessa, 11 marzo 1953) lo persuase presto a cambiare sede. Firenze era la scelta più ovvia, sia per i legami familiari, sia per la risonanza dell’insegnamento di Roberto Longhi, il maggiore storico dell’arte italiano del secolo: Previtali aveva sostenuto velocemente molti esami, ma non quelli di storia dell’arte, insoddisfatto soprattutto dell’insegnamento del vecchio Lionello Venturi (Bellosi, 1991, p. XXI). Nel 1954 Previtali conobbe a Roma Enrico Castelnuovo (1929-2014), perfezionatosi con Longhi a Firenze. Il 4 dicembre di quell’anno Longhi poté scrivere a Castelnuovo: «Qui ho appena cominciato le lezioni. Alla prima si è affacciato Previtali, che tu conosci e che passa a Firenze» (Castelnuovo, 1989a, p. XVI).
Quell’incontro fu determinante per entrambi; Previtali si rivelò, tra tutti, l’allievo più capace di tenere insieme e sviluppare le due inseparabili facce della medaglia longhiana: la conoscenza profondissima del linguaggio figurativo, con la conseguente eccelsa padronanza dello strumento dell’attribuzione; e l’aderenza strettissima alla storia, che era stata enunciata come un programma nelle Proposte per una critica d’arte che Longhi aveva pubblicato nel 1951. Non per caso proprio Previtali è stato l’unico longhiano capace di coltivare anche la terza, fondamentale, dimensione dell’impegno civile a favore del patrimonio, e della sua dimensione ‘politica’.
Già nel 1955 un Previtali ancora studente iniziò a scrivere su Paragone, la rivista appena fondata da Longhi. L’avvio di questo stretto rapporto con il maestro non lo vincolò a Firenze: dalla metà di giugno del 1956 egli risiedette a Milano, dove lavorò come apprendista alla casa editrice Electa. È in questo periodo di ricerca di indipendenza, e di relativa bohème, che egli contrasse (il 12 dicembre 1956) il suo «primo, avventato matrimonio […] con la fidanzata Annamaria Incoronato» naufragato circa tre anni dopo (Galansino, 2013, p. 42).
Allo stesso periodo risale anche l’inizio di un’attiva militanza politica, che Previtali non abbandonò poi mai. Nel 1956, ventiduenne, s’iscrisse al Partito radicale, appena nato da una scissione del Partito liberale consumatasi anche intorno agli scontri sul piano regolatore di Roma.
Era, infatti, la preoccupazione per l’integrità del paesaggio e del patrimonio storico e artistico italiani a spingere Previtali verso la politica: «un giovane intellettuale anticlericale in cerca di una posizione politico-culturale avanzata, e sensibile alle problematiche di tutela e conservazione, non poteva che appassionarsi fino all’attivismo a questa prima stagione radicale, a queste battaglie di civiltà e progresso, e ai discorsi sulla tutela dei nostri patrimoni culturali» (Galansino, 2013, p. 46).
In una lettera scritta due anni dopo alla madre egli metteva in fila le principali minacce che incombevano su Roma: «l’albergo Hilton, la lottizzazione di Villa Torlonia, lo scioglimento della commissione per il piano regolatore e altre quisquilie del genere» (p. 50 n. 7). Dopo il 1961, Previtali avrebbe aderito a Italia Nostra, da poco fondata grazie a Umberto Zanotti Bianco, Antonio Cederna, Giorgio Bassani.
Il 15 marzo 1957 discusse, a Firenze, la sua tesi di laurea in lettere sulla Fortuna critica dei primitivi italiani nel Settecento, relatore Roberto Longhi, correlatore Francesco Arcangeli. Nello stesso anno ottenne – da una commissione presieduta da Giulio Carlo Argan – l’abilitazione all’insegnamento della storia dell’arte nei licei.
È alla fine del 1958 che risale – con la singolare esperienza di redattore del periodico radicale Il Progresso meridionale – l’avvio di un’altra attività poi sempre centrale nella biografia e nella vita intellettuale di Previtali: quella giornalistica.
Nella primavera del 1960 si recò a Parigi, ospite della Maison d’Italie guidata da Ruggero Romano. Qui, oltre a lavorare alla pubblicazione della tesi di laurea e all’edizione delle Vite di GiorgioVasari per il Club del libro (commissionatagli da Luigi Grassi e Paola Della Pergola), egli condusse un’intensa vita culturale, dividendo il suo tempo libero «tra un’opera di Milhaud e un romanzo di Sartre, una pièce di Anouilh e uno strip-tease della celebre Rita Renoir, una cena da Vitale Bloch e uno scontro di piazza con la polizia» (Galansino, 2013, p. 54). Le lettere provenienti da Parigi documentano scoperte intellettuali (la pittura di Nicolas Poussin, conosciuta grazie alla celebre mostra del 1960, tenutasi al Museo del Louvre), la nascita di amicizie poi durature (quella con Michel Laclotte, tra le altre), una precoce maturità di giudizio (su Art et humanisme à Florence di André Chastel, scriveva, per esempio: «il libro al primo assaggio non mi pare cattivo, ma, siamo giusti, nemmeno niente di straordinario»).
Il ritorno in Italia coincise con il radicamento a Firenze. Nella primavera del 1961 Previtali entrò nella redazione di Paragone, di cui dal 1962 fu segretario. Nello stesso periodo divenne membro del Consiglio direttivo del Circolo di cultura presieduto da Ernesto Ragionieri.
Nel 1962, nella cerchia di Longhi, incontrò Evelina Borea, che gli sarebbe stata fino alla fine compagna di vita e di studi. Dopo dieci anni, la loro convivenza venne ufficializzata con il matrimonio, il 15 giugno 1972.
Del 1963 è l’iscrizione al Partito comunista italiano, rinnovata fino al giorno prima della morte.
Il rapporto tra ideologia politica e ricerca storica sarebbe stato sempre centrale nella vita di Previtali: mai risolto in senso dogmatico, o astratto, e anzi inteso come potente spinta verso un’attenzione al dato concreto dell’opera, in primo luogo al suo stile: «Gramscianamente non accettò mai che l’arte fosse riducibile a semplice ‘sovrastruttura’, ma le riconobbe sempre una specificità di linguaggio e una notevole autonomia» (Bellosi, 1991, p. XXXII). In un appunto manoscritto della seconda metà degli anni Sessanta egli così rifletteva: «Evidentemente l’arte e la sua storia non possono essere neutre. Soprattutto non può essere neutro il pensiero che le giudica» (in Galansino, 2013, p. 127).
Nel 1964 uscì da Einaudi il libro derivato dalla tesi, La fortuna dei primitivi, e subito fu vastissimo il successo di questo testo davvero fondamentale per la storia della critica d’arte, che «non somigliava agli altri libri di storia dell’arte» (Ferretti, 2014, p. 56), con le sue tavole straordinariamente innovative. Nel 1966 Previtali conseguì la libera docenza in storia della critica d’arte, commissari Cesare Brandi, Stefano Bottari, Umberto Eco, Giovanni Macchia, Mario Praz.
Allo stesso anno risale la feroce polemica con Carlo Ludovico Ragghianti, che reagì con una querela per diffamazione, poi ritirata, alle forti (e fondate) critiche espresse da Previtali, su Paragone, circa la sua condotta di commissario per il patrimonio artistico fiorentino all’indomani dell’alluvione.
Nel 1967, con la sontuosa monografia su Giotto (dedicata a Longhi), avvenne il salto di Previtali verso una storia dell’arte integrale. L’attribuzione era divenuta lo strumento principe per ricostruire una storia complessa, in una «concreta materializzazione dell’anti-monografia perché la figura del grande maestro trecentesco viene studiata non certo nel suo aureo, geniale, isolamento ma, al contrario, in mezzo agli altri maestri e in particolare in mezzo ai suoi collaboratori di bottega; perché è proprio la ‘bottega’ la vera protagonista del libro, più che Giotto stesso. La bottega come fabbrica di tavole, come luogo di produzione artistica, o artigianale diciamo pure, tardomedievale» (A. Angelini, in Bullettino senese di storia patria, in corso di stampa).
Allo stesso 1967 risale l’avvio di un progetto di ricerca – diretto da Previtali per conto del Consiglio nazionale delle ricerche, ma mai concluso – sulla Pittura olandese del Seicento nella storia delle idee.
Alla fine del 1967 l’inizio della carriera di professore universitario (al Magistero di Messina) lo costrinse a lasciare la segreteria di redazione di Paragone. Il conseguimento della libera docenza in storia dell’arte medioevale e moderna avvenne nel 1969. L’anno seguente il comitato ordinatore della neonata facoltà di lettere di Siena lo chiamò sulla cattedra di storia della critica d’arte.
Nel 1970 uscì l’articolo su Il Bambino Gesù come immagine devozionale, e nel 1972 quello sul sepolcro fiorentino di Bruno Beccuti, riconosciuto come opera importantissima di Tino di Camaino: «due interventi in cui appare particolarmente evidente la robustissima armatura filologica di Giovanni Previtali, e il serrato incalzare delle argomentazioni» (Bellosi, 1991, p. XXV).
Attraverso il suo ruolo in collane come I maestri del colore e L’arte racconta, ambedue dei Fratelli Fabbri, nello stesso periodo Previtali dimostrava di voler indirizzare la storia dell’arte a un pubblico vasto. Un proposito che si rafforzò nel 1971, con la cura dei due volumetti sull’arte dell’Enciclopedia Feltrinelli Fischer, progettati – sono parole sue – per fare uscire «la maggior parte delle persone colte» da «una condizione di semi-analfabetismo figurativo, imbottito di pregiudizi; con gravi conseguenze perfino sulla conservazione e la sopravvivenza di un patrimonio artistico unico al mondo» (in Galansino, 2013 p. 137).
Nel 1975 vinse il concorso di professore ordinario in storia della critica d’arte (presidente di commissione Paola Barocchi), cui dette ancora un decisivo contributo con l’introduzione all’edizione critica delle Vite di Giovan Pietro Bellori (1976), che restituì al più importante scrittore d’arte dell’Italia del Seicento un posto credibile nel suo tempo storico.
Nel medesimo anno, da una relazione con Bernardina Sani, gli nacque l’unica figlia, Margherita.
Negli anni trascorsi a Siena Previtali ebbe modo di dispiegare tutta la sua «energica intelligenza», connettendo «università, soprintendenza, enti pubblici e privati» (Barocchi, 1998, p. 9) e coinvolgendoli in una stagione culturale che – caso quasi unico nella storia repubblicana – seppe appassionare la cittadinanza alle ragioni, ai percorsi e ai risultati della ricerca scientifica della storia dell’arte. La catalogazione del patrimonio di Casole d’Elsa, le mostre su Jacopo della Quercia (1975), Rutilio Manetti (1978), L’arte a Siena sotto i Medici (1980), Il Gotico a Siena (1982), Simone Martini e ‘chompagni’ (1985) furono gli snodi di questa altissima esperienza didattica e civile, il cui valore fu anche formalmente riconosciuto con la consegna a Previtali della medaglia d’oro del presidente della Repubblica ai benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte (1979). Nello stesso anno venne eletto accademico delle Arti del disegno, a Firenze.
È in questo clima che va collocata l’impresa più feconda di Previtali: la fondazione, nel 1975, con l’archeologo Mauro Cristofani, della rivista Prospettiva, pubblicata – con i contributi dell’Università di Siena e della Regione Toscana – dal Centro Di di Ferruccio e Alessandra Marchi, presto divenuta la principale rivista scientifica italiana di storia dell’arte, e tale rimasta sotto la direzione di Fiorella Sricchia Santoro.
Non ebbe l’approdo sperato, invece, un’altra grande impresa avviata da Previtali, la Storia dell’arte Einaudi, pensata a partire dal 1972 e poi uscita dal 1979.
Qui la determinazione di Previtali a tenere insieme la discussione sul metodo (per esempio, sulla cruciale questione della periodizzazione) e la concreta tessitura di una storia dell’arte la più integrale possibile si scontrò con la litigiosità degli storici dell’arte italiani, e con quella intestina della stessa scuola longhiana. A impedire che il progetto originario andasse in porto furono le divisioni interne alla Einaudi: se Paolo Fossati lo sosteneva (ma non fino in fondo), Giulio Bollati propendeva invece per un progetto alternativo, presentato da Federico Zeri. Il risultato di compromesso fu una Storia dell’arte divisa in due parti tra loro difficilmente componibili.
Ma l’esperienza einaudiana indusse Previtali a riflettere ancor più profondamente sul valore storico della complessa geografia dell’arte italiana. A offrirgli l’occasione per verificarne sul campo uno degli aspetti più irrisolti, la «questione meridionale della storia dell’arte», arrivò – nel 1983 – la chiamata alla cattedra di storia dell’arte medioevale e moderna dell’Università di Napoli: «era un riconoscimento per l’attività ‘meridionalista’ di Previtali, iniziata con il rinvenimento del Tanzio nella Sala Capitolare di S. Restituta a Napoli, continuata con i contributi apparsi nella Storia di Napoli (1972), nel saggio su Teodoro d’Errico (1975), e culminati ne La pittura del Cinquecento a Napoli e nel vicereame (Einaudi 1978)» (Scritti in ricordo di Giovanni Previtali, 1989-1990, p. 9). L’insegnamento napoletano non fu meno dinamico di quello senese, anche se la disastrosa situazione economica e istituzionale della città non consentì iniziative pubbliche paragonabili: tuttavia, nel 1986 Previtali curò la mostra di Andrea da Salerno alla certosa di Padula.
Nel 1984 Previtali entrò nel Comitato scientifico della neonata Fondazione Napoli Novantanove, che iniziava allora la sua battaglia per la conservazione materiale e per la funzione civile del patrimonio artistico napoletano.
Quelli che poi si sarebbero rivelati come gli ultimi anni della breve, e intensissima, vita di Previtali furono dedicati allo studio della scultura medioevale. Del 1983 è il superbo saggio che ricomponeva il disperso corpus di statue del grande Marco Romano, concepito come una lezione esemplare su come si debba intendere il ‘contesto’, in storia dell’arte: contro derive iconologiche e contro la retorica della cosiddetta cultura materiale. Un saggio particolarmente fecondo, come ha dimostrato l’esemplare mostra su Marco Romano e il contesto artistico senese fra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento (Casole d’Elsa, 2010), curata da Alessandro Bagnoli, allievo e collaboratore di Previtali.
Intorno a questo nucleo si addensarono altri importanti contributi, che sarebbero stati poi riuniti nel postumo Studi sulla scultura gotica in Italia (a cura di Luciano Bellosi, Torino 1991) e che portarono alla «bellissima» (Barocchi, 1998, p. 10) mostra sulla Scultura dipinta. Maestri di legname e pittori a Siena, 1250-1450 (Siena 1987, curata dagli allievi Alessandro Bagnoli e Roberto Bartalini). In questi anni Previtali estese alla scultura «gli studi prepotentemente innovatori di Roberto Longhi sull’Umbria trecentesca»: quelli volti «all’indagine dell’Umbria, alla destra e alla sinistra del Tevere, un impegno che percorre, come un filo rosso, tutta una vita di studi, dal 1965 al 1986» (Bartalini, 1988-1989, p. 164), e che portarono a distinguere «l’entusiastica adozione della nuova norma toscana da parte di Perugia e Orvieto» dal «tenace attaccamento a più antiche e autonome tradizioni artistiche (assisiati, eugubine, spoletine) e una vigorosa capacità di elaborare valori alternativi, alla cui espressione anche il linguaggio moderno veniva piegato, alterato, costretto, deformato, reinventato» (G. Previtali, Due lezioni sulla scultura ‘umbra’ del Trecento, in Prospettiva, 1982, n. 31, p. 30).
Nel 1986, nei suoi ultimi mesi vissuti in piena salute, Previtali fu visiting senior fellow al Center for advanced studies in the visual art (CASVA) della National Gallery of art di Washington dove abbozzò il progetto di un corpus della pittura di Simone Martini e seguaci.
All’inizio del 1987 Previtali scoprì di avere un tumore.
Morì a Roma il 3 febbraio 1988.
Ancora attualissimo il lucido giudizio complessivo di Giovanni Romano (1998): «Hanno dell’incredibile la quantità e la qualità di lavoro svolto nella breve vita che gli è stata concessa (1934-1988) segnata dalla costante fedeltà a un modello di studioso sempre meno corrente: un filologo con le carte in regola, ma disponibile a riesaminare il proprio statuto professionale confrontandosi con le esperienze di altri maestri e di altre discipline; un grande animatore di iniziative culturali (libri, mostre, convegni) che davano ritmo incalzante a una fattiva politica culturale, subito allargata a coinvolgere colleghi e amici. Non aveva un carattere facile, anzi era propenso alla rissa e alla provocazione, estremizzando posizioni proprie e altrui, ma a pochi anni dalla morte l’assenza delle sue polemiche di fuoco fa intravedere il sopravvento di una routine accademica per la nostra disciplina; assumono così il tono di una generosa ammonizione le parole scritte per la prefazione alla Pittura del Cinquecento a Napoli e nel vicereame (Torino, 1978, p. XII): “lavorare più perché altri possa continuare a studiare […] che non per preservare il proprio buon nome di ‘scienziato’ che non-può-essere-colto-in-fallo”» (1998, p. 95).
Opere. La bibliografia completa è elencata in Scritti in ricordo di G. P., in Prospettiva, 1989-1990, nn. 57-60, pp. 10-15. Si aggiunga: Recensioni, interventi, questioni di metodo. Scritti da quotidiani e periodici, 1962-1988, a cura di A. Zezza - R. Naldi, Napoli 1999.
Fonti e Bibl.: L’archivio di Previtali è stato donato da Evelina Borea all’Università degli studi di Siena, cui sono destinate anche la biblioteca e la fototeca comuni.
Sulla sua biografia: Scritti in ricordo di G. P., in Prospettiva, 1989-1990, nn. 57-60, pp. 7-9; e soprattutto l’importante volume di A. Galansino, G. P., storico dell’arte militante, in Prospettiva, 2013, nn. 149-152, monografico. Sul pensiero e sull’opera: E. Castelnuovo, Nota introduttiva a G. Previtali, La fortuna dei primitivi. Dal Vasari ai neoclassici, Torino 1989a (nuova edizione riveduta e ampliata), pp. XV-XXVIII; Id., G. P., in The Burlington Magazine, 1989b, vol. 131, p. 298; E.H. Gombrich, Due lettere di G. P., in Scritti in ricordo di G. P., I, in Prospettiva, 1988-1989, nn. 53-56, pp. 6-8; M. Laclotte, G. P., ses rapports avec la France, ibid., pp. 11 s.; R. Bartalini, Andrea Pisano a Orvieto, ibid., pp. 164 s.; L. Bellosi, P. e la scultura, in G. Previtali, Studi sulla scultura gotica in Italia: storia e geografia, Torino 1991, pp. XXI-XXXII; P. Barocchi, Rileggendo G. P., in Prospettiva, 1993, n. 70, p. 94; Ead., Prefazione ad A. Angelini, Gian Lorenzo Bernini e i Chigi tra Roma e Siena, Cinisello Balsamo 1998, pp. 9-15; G. Romano, G. P. e la storia dell’arte, in Id., Storie dell’arte. Toesca, Longhi, Wittkower, P., Roma 1998, pp. 93-107; R. Barzanti, Una feconda eredità, in Giornate di studio in ricordo di G. P., a cura di F. Caglioti, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di lettere e filosofia, s. 4, Quaderni 1-2, 2000, pp. 5-7; F. Barbagallo, Ricordo di G. P., ibid., pp. 9-13; O. Rossi Pinelli, L’art italien et sa périodisation selon G. P. et Ferdinando Bologna, in Perspective, 2008, n. 4, pp. 671-682; D. Minutoli, G. P.: didattica militante a Messina, in Horti Hesperidum, III (2013), pp. 287-302; M. Ferretti, Un libro di cinquant’anni fa, in La fortuna dei primitivi. Tesori d’arte dalle collezioni italiane fra Sette e Ottocento, a cura di A. Tartuferi - G. Tormen, Firenze 2014, pp. 55-65.