SALVATORE, Giovanni
SALVATORE, Giovanni. – Nacque a Castelvenere, piccolo centro agricolo appartenente alla diocesi di Telese-Cerreto, nel Sannio, da Diocleziano e Rovenza Stramazzo e fu battezzato il 3 ottobre 1611 nella chiesa parrocchiale di S. Nicola. Di agiata famiglia di piccoli proprietari terrieri, Giovanni e il fratello Giulio Cesare, alla morte del padre (ante dicembre 1634), furono avviati alla carriera ecclesiastica con un patrimonio di 700 ducati tra beni mobili ed immobili, formandosi presso il seminario di Cerreto. Nel maggio 1637, ricevuta la prima tonsura e diventato chierico, Giovanni chiese di essere ammesso ai quattro ordini minori, e nel settembre successivo di formarsi come suddiacono – il primo dei tre ordini sacri, conseguito entro il 15 febbraio 1638 –, indi di essere promosso al diaconato e al presbiterato in anticipo, non essendo trascorso un anno dal suddiaconato; ottenuta la dispensa apostolica, entro fine luglio divenne diacono e dopo il 15 settembre fu ammesso al presbiterato: venne consacrato sacerdote probabilmente entro la Pasqua del 1639. Già come suddiacono Giovanni aiutava il parroco della vicina Guardia Sanframondi nello svolgere le funzioni pastorali a Castelvenere, occupandosi anche della musica.
Ormai sacerdote, nel 1641 don Giovanni Salvatore era organista e fors’anche direttore di coro nella chiesa del monastero benedettino dei Ss. Severino e Sossio di Napoli (oggi sede dell’Archivio di Stato), pubblicando i Ricercari a quattro voci, canzoni francesi, toccate et versi per rispondere nelle Messe con l’organo al choro (ed. mod.: G. Salvatore, Collected keyboard works, a cura di B. Hudson, s.l. 1964, rist. Neuhausen-Stuttgart 1977): caso eccezionale di stampa musicale patrocinata da una musicista donna, la cantante e arpista Adriana Basile, e realizzata dallo stampatore Ottavio Beltrano in un suntuoso in folio a caratteri mobili e in partitura su quattro righi. Il mecenatismo della Basile rivela che in un paio d’anni Salvatore aveva saputo inserirsi nell’ambiente musicale napoletano, facendosi apprezzare anche come «maestro di musica» dei rampolli del ceto civile e aristocratico, come attestano pagamenti bancari del 1646-47 (D’Alessandro, in corso di stampa). Nel medesimo 1641 Salvatore contribuì alla terza edizione del trattato sulla direzione corale di don Giovan Battista Olifante, Porta Aurea sive directorium chori (1a ed. Napoli 1616), dedicata dal curatore Onofrio Cepollaro ai «Signori Ebdomadari della Catedral Chiesa di Napoli»; Salvatore vi aggiunse «una breve regola per rispondere con l’organo al choro […] per comodità degli organisti».
Il ms. autografo di una sua messa a 5 voci, datato 4 ottobre 1640 e conservato nell’Archivio musicale dei padri della Congregazione dell’Oratorio, detti a Napoli Girolamini, reca un’annotazione con la quale egli sottoponeva la composizione al giudizio del proprio maestro Erasmo di Bartolo (1606-1656): «Jam mi, Erasme, tua adimplevi mandata; corrige nunc quaeso quod fieri jussisti». Conosciuto in seguito come 'padre Raimo', Di Bartolo aveva cantato come basso nella Cappella reale dal 1626, e nel 1636 era stato ammesso tra i seguaci napoletani di s. Filippo Neri. A riprova delle relazioni tra don Salvatore e la congregazione dei Girolamini il citato Archivio musicale conserva un esemplare a lui appartenuto («Ad usum d. Joannis Salvatore Castri Veneris») della raccolta di salmi vespertini a 5 voci (Selectio concentica psalmorum), pubblicata a Napoli da Beltrano nel 1645 (poi ristampata nel 1647 col titolo Ghirlanda di varii fiori e nel 1650 col titolo Sacra animorum pharmaca) a cura del francescano Bartolomeo Cappello: tra le composizioni, in massima parte di frati minori conventuali, figurano anche un Nisi Dominus e un Beati omnes di Salvatore. Lo stesso archivio conserva quasi tutta la sua musica ecclesiastica sopravvissuta: Inni sacri (1643); Canticum trium puerorum a 4 chori concertati con due violini per la festa di s. Filippo Neri (autografo, maggio 1657), un omaggio alla policoralità filippina inaugurata dal suo maestro Di Bartolo, defunto nella pestilenza dell’anno precedente; Salmi di compieta a 4 voci con 2 violini (1658); diversi manoscritti copiati nel 1693, dopo la morte dell’autore, ad usum dell’organista regio Gaetano Veneziano; e tanta altra musica ancora cantata e suonata a fine Settecento nella chiesa dei Girolamini e pertanto ricopiata nel 1780 dall’oratoriano Camillo Franco.
A detta di Giuseppe Ottavio Pitoni che però non fornisce alcuna data, il «molto valoroso» don Giovanni Salvatore sarebbe succeduto al citato Cappello come maestro di cappella in S. Lorenzo Maggiore, il principale convento minorita in Napoli. Dall’ottobre 1662 Salvatore fu maestro di cappella nel conservatorio della Pietà dei Turchini, ruolo che mantenne fino all’aprile 1673, quando fu sostituito da Francesco Provenzale: s’inaugurava così un’illustre serie di maestri, dopo alcuni anni di didattica non all’altezza di un conservatorio che all’inizio della sua storia musicale aveva potuto vantare il magistero di don Giovanni Maria Sabino (1622-1626). Salvatore fu in amicizia con il nipote di questi, Francesco, del quale, come padrino, il 28 giugno 1657 tenne al fonte battesimale il figlio Giovanni Maria Antonio. Nel dato biografico dell’amicizia con Francesco Sabino si potrebbe vedere una traccia di precedenti rapporti di Salvatore con lo zio don Giovanni Maria Sabino, che fu fors'anche uno dei suoi maestri (Prota-Giurleo, 1962).
Lasciato il conservatorio dei Turchini, nel 1674 Salvatore andò a insegnare 'contrapunti' al conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, e almeno dal 1675 fu prefetto della musica e poi maestro di cappella nel Carmine Maggiore, ruolo che teneva ancora nel 1684 (D’Alessandro, in corso di stampa); nello stesso 1675 fu eletto maestro di cappella dei Poveri di Gesù Cristo, sostituendo l’eunuco procidano don Domenico Arcucci, specialista soprattutto di canto. Il musicista sannita diede quindi un’impronta compositiva specifica alla didattica di quell’istituto, rivolgendo il suo magistero soprattutto alla polifonia ecclesiastica e alla musica per tastiere: se ne valsero allievi come Gaetano Greco, futuro insegnante di musicisti che ebbero un ruolo fondamentale per il Settecento musicale napoletano.
Morì, si presume, nell’agosto 1688 a Napoli. Le ultime notizie su di lui risalgono al luglio precedente, quando venne pagato «per sua provisione delli mesi di gennaro e febraro prossimi passati»; dal settembre successivo fu sostituito dal suo 'aggiutante' don Gennaro Ursino nel ruolo di maestro di cappella (Archivio storico diocesano di Napoli, fondo Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, D 17, pp. 301-303).
Antimo Liberati, nella lettera indirizzata a Ovidio Persapegi a proposito delle prove concorsuali per il posto di maestro di cappella nel duomo di Milano (Roma 1685), lo menziona tra i pochi compositori napoletani «valorosissimi nell’una e nell’altra scienza», abile sia nel «comporre per sonare di tasto o d’altri stromenti» sia nella «scienza harmonica vocale», della qual virtù «pochi musici ne sono capaci». Liberati formulò il giudizio basandosi sulla stampa del 1641 dei Ricercari a quattro voci di Salvatore, di cui possedeva l’esemplare che ora si conserva in unicum nella British Library di Londra.
Altre sei composizioni da tasto sono contenute nel florilegio manoscritto redatto nel 1675 dal suddiacono Donato Cimino, allievo di Salvatore nel conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, col titolo posticcio Toccate per Organo di varj Autori, conservato nella biblioteca del Conservatorio di Napoli (34.5.28, olim Mus. Str. 73): due toccate, un capriccio del primo tono, durezze e ligature, due correnti (ed. nei cit. Collected keyboard works, 1964), inserite tra composizioni di Giacinto Ansalone, Francesco Antonio Boerio, lo stesso Cimino, Giovanni de Macque, Frescobaldi ed Ercole Pasquini. Questa antologia colloca Salvatore in una tradizione di musica da tasto napoletana che da Macque discende appunto fino ai suoi Ricercari del 1641 passando per Scipione Stella, Ascanio Maione e Giovanni Maria Trabaci. Le analogie tra i ricercari di Trabaci e quelli di Salvatore avvalorano l’ipotesi di un rapporto didattico tra i due, senza peraltro escludere influenze di Maione (Apel, 1985). Nei ricercari Salvatore dimostra la sua padronanza del contrappunto all’antica, mettendo in evidenza l’aspetto più conservatore della sua produzione tastieristica: scrisse ricercari negli otto toni ecclesiastici costruendoli su uno o più soggetti, trasformati nelle più diverse soluzioni. Le toccate hanno invece una piena libertà formale e ritmica presentando «tutti gli artifici idiomatici sperimentati in precedenza da Macque, Mayone e Trabaci con dissonanze, bruschi cambiamenti ritmici, ascese e discese melodiche rapide, cadenze improvvise su toni lontani» (Cannizzaro, 2002-2004), alternando episodi improvvisativi o virtuosistici a momenti di raccoglimento e a movenze di danza. Le quattro canzoni del 1641 rappresentano l’aspetto più innovativo della produzione tastieristica di Salvatore, che va forse considerato, col lucano Gregorio Strozzi, l'artefice a Napoli della definizione formale del genere sonata: in tre casi le sue canzoni sono articolate in tre parti anziché in «una grande quantità di sezioni brevi che spesso si accavallano tra loro» (Apel, 1985), di cui quella centrale in ritmo ternario e due di esse presentano una ripresa del primo soggetto.
Fonti e Bibl.: Archivio storico diocesano di Cerreto Sannita “Eugenio Savino”, Ordinazioni, vol. IV, 1634, processetto 428; Lettera scritta dal sig. Antimo Liberati in risposta ad una del sig. Ovidio Persapegi, Roma 1685, pp. 55 s.; G.O. Pitoni, Notitia de’ contrapuntisti e compositori di musica (1695-1713), a cura di C. Ruini, Firenze 1988, p. 306; S. Di Giacomo, Il Conservatorio di S. Onofrio a Capuana e quello di S. M. della Pietà dei Turchini, s.l. 1924, pp. 295, 300; Id., Il Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo e quello di S. M. di Loreto, s.l. 1928, pp. 86 s., 146, 150, 156, 158; C. Sartori, Bibliografia della musica strumentale italiana stampata in Italia fino al 1700, Firenze 1952, pp. 377 s.; U. Prota-Giurleo, Due campioni della scuola musicale napoletana del XVII secolo, in L’Organo, III (1962), pp. 115-118; W. Apel, Storia della musica per organo e altri strumenti da tasto fino al 1700, Firenze 1985, II, pp. 718-721; La musica a Napoli durante il Seicento. Atti del convegno internazionale..., Napoli... 1985, a cura di D.A. D’Alessandro - A. Ziino, Roma 1987 (in partic. D. Fabris, Generi e fonti della musica sacra a Napoli nel Seicento, pp. 434-436; H.B. Dietz, Sacred music in Naples during the second half of the seventeenth century, pp. 513-515; R. Pozzi, Osservazioni su un libro contabile del conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo in Napoli (1673-1678), pp. 630 s.); B. Hudson, G. S., in The new Grove dictionary of music and musicians, London 2001, XXII, pp. 184 s.; D. Cannizzaro, La musica per organo e clavicembalo nei regni di Napoli e di Sicilia tra XVI e XVII secolo, tesi di dottorato, Roma, Università “La Sapienza”, 2002-2004, vol. I, pp. 146-166; G. S., in Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XIV, 2005, col. 879 s.; C. Iovino, L’organista dimenticato, in La provincia sannita, 2005, 2, pp. 39 s.; D. Fabris, Music in seventeenth-century Naples: Francesco Provenzale (1624-1704), Aldershot 2007, pp. 52-55; D. Cannizzaro, Il manoscritto del 1675 di Donato Cimino: un’inedita fonte musicale tra G. S. (1641) e Gregorio Strozzi (1687), in Informazione organistica, XXIII (2011), pp. 3-30; D.A. D’Alessandro, Mecenati e mecenatismo nella vita musicale napoletana del Seicento e condizione sociale del musicista. I casi di Giovanni Maria Trabaci e Francesco Provenzale, in Storia della musica e dello spettacolo a Napoli. Il Seicento, a cura di F. Cotticelli - P. Maione, Napoli, in corso di stampa.