SEGANTINI, Giovanni
Pittore, nato ad Arco (nelle vicinanze di Riva di Trento) il 15 gennaio 1858, morto sullo Schafberg (Svizzera, Engadina) il 28 settembre 1899. Grande pittore e singolare figura che subito dopo la morte apparve circonfusa non soltanto dalla luce della gloria, ma anche da un alone di leggenda. Il ragazzo, abbandonato a sé stesso per il vergognoso disinteressamento di una sorellastra, fu, a seguito di una sentenza, rinchiuso a Milano nell'Istituto Marchiondi. Vi rimase un paio di anni, dal dicembre 1870 al gennaio 1873, tentando anche di evaderne. Un fratellastro che viveva a Borgo Valsugana lo prese con sé. Dopo un soggiorno di qualche anno nel villaggio trentino dove lavorò anche come fotografo, ritornò a Milano, occupandosi poveramente. Frequentò qualche tempo l'accademia di Brera, conobbe artisti, letterati, giornalisti dell'ultima scapigliatura lombarda, si legò di profonda amicizia con i pittori Mentessi e Longoni, col decoratore Bugatti del quale sposava, anni dopo, la sorella, Bice. Ma la fortuna e la determinante nella giovinezza e nell'arte segantiniana fu l'incontro con Vittore e Alberto Grubicy, i quali gli assicurarono un modesto mensile che gli permise di abbandonare la città affrontando i problemi sommi dell'arte e perseguendoli nella solitudine dei campi e dei monti e gli consentirono di seguire un ideale artistico umano e panteistico che concordava con alcuni indirizzi e atteggiamenti dello spirito poetico, filosofico, sociale in quella fine di secolo europea. Dal 1882 al 1885 trascorse la sua vita in Brianza, (a Pusiano, a Carrella) e a Caglio; dal 1885 al 1894 a Savognino (nei Grigioni) e dal 1894 al 1899 al Maloia (Engadina).
Giovanni S. pur avendo imparato tardi e imperfettamente (quanto a ortografia e a sintassi) a scrivere l'italiano, si compiaceva di scrivere lettere, di teorizzare intorno alla propria arte e aveva anche incominciato a tracciare la propria biografia. L'arte segantiniana spunta nel fiorire della pittura cremoniana e ne riflette qualche grazia; ma presto si svincola per assumere caratteristiche veriste, prendendo lo spunto da un personaggio del Porta "La Ninetta del Verzée", o per rappresentare paesaggi dei dintorni di Milano (il Naviglio, il Redefossi) e qualche natura morta. Il primo quadro che lo fece conoscere e notare a un'esposizione milanese fu Il coro di Sant'Antonio dove, per rilevare gli effetti luminosi prodotti da un raggio di sole irrompente in una chiesa, sono applicati in embrione e istintivamente alcuni contrasti di colori puri che saranno poi la base scientifica del divisionismo. Le conversazioni di Vittore Grubicy con S. durante gli anni meditativi del soggiorno in Brianza e a Savognino, i confronti con la pittura del belga Mauve e del francese Millet lo avviano quanto alla tecnica verso il divisionismo e quanto all'ispirazione verso la contemplazione degli spettacoli naturali e della vita campestre. Sono famosi del periodo brianzolo i quadri: Ave Maria a trasbordo (1833), Temporale sulle Alpi, Il Reddito del pastore, Messa prima. L'opera che lo afferma in Italia (le altre avevano già avuto successo all'estero) è Alla stanga (subito acquistato dalla Galleria d'arte moderna di Roma dove trovasi tuttora). Segantini è già in questo momento (1885) un grande pittore, un completo pittore; la poesia del paesaggio, la potenza della tavolozza, l'interpretazione lirica della montagna raggiungono, anche prima del periodo tipicamente e decisamente divisionista, una grande altezza d'arte. "Il pensiero dell'artista moderno - egli scriveva - deve liberamente correre alle limpide e sempre fresche sorgenti della natura eternamente giovane, eternamente bella, eternamente vergine". Ma tale tendenza, pur riconducendo il pittore davanti alla natura, era decisamente antiverista: "Non è arte quella verità che sta e resta fuori di noi: questa non ha e non può avere alcun valore come arte: questa non è e non può essere che cieca imitazione della natura quindi semplice riproduzione materiale. La materia deve essere invece elaborata dal pensiero per salire a forma durevole". Mentre così si definiva lo scopo della sua arte, il mezzo tecnico cercava nuove vie. E il S. convertito alla teoria scientifica della scomposizione dei colori, mentre mandava alle esposizioni di Parigi e di Londra i primi saggi della sua famosa maniera, Ragazza che fa la calza e Caprette al sole, la definiva e la giustificava così: "Il mescolare i colori sulla tavolozza è una strada che conduce verso il nero; più puri saranno i colori che getteremo sulla tela meglio condurremo il nostro dipinto verso la luce, l'aria e la verità. Pochi pittori sanno rendersi conto di tutta l'estensione di diversità che esiste tra il mescolare i colori puri sulla tela e il mescolarli sulla tavolozza". Si capisce come la sensibilità pittorica del S. educata alla limpidezza atmosferica, alla nitidezza cristallina dell'alta montagna, inebriata della intensità coloristica del paesaggio alpestre cercasse di tradurre le emozioni visive con un nuovo mezzo pittorico. In lui e nella sua arte, emozione e divisionismo erano legati da un necessario rapporto di causa e di effetto e poterono creare capolavori appunto nel periodo che va dal 1887 all'anno della morte, 1899. Tra i più significativi e quelli che diedero al S. una fama mondiale sono: Vacche aggiogate, Alti pascoli, Alpe di maggio, Aratura, Mezzogiorno sulle Alpi, Pascoli alpini, dipinti nel periodo di Savognino e Ritorno al paese natio, Amore alla fonte della vita, Il dolore confortato dalla fede e il trittico La natura, La vita e La morte, destinato all'Esposizione universale di Parigi e rimasto interrotto, dipinti in Engadina. (Del trittico: La morte dipinta al Maloia, La vita dipinta a Soglio, La natura dipinta allo Schafberg). Accanto a queste opere divisioniste il pittore inconsciamente contraddicendo la sua teoria, astraendo dalla maniera divisionista dipingeva capolavori come: Le due madri e Ritratto di Vittore Grubicy. Inutile la discussione se il divisionismo abbia giovato o nociuto all'arte del S.: certo tale maniera fu sentita da lui come indispensabile all'espressione della sua arte, nacque direttamente dalla sua sensibilità e non da una provvisoria e voluta moda. Taluni dei suoi discepoli videro soltanto l'"esteriorità meccanica" del sistema divisionista e lo ridussero a una meticolosa punteggiatura o tratteggiatura, più vicina al ricamo e al musaico che alla pittura. D'altra parte il simbolismo, che era sincero in un uomo provato cristianamente da tutte le durezze della vita o commosso dalle affrettate letture, dalle paniche solitudini sugli alti monti, inclinato verso le trasfigurazioni del vero, divenne, ad opera di incauti e freddi discepoli, un'esercitazione accademica.
Dei figli, Gottardo, nato a Pusiano il 5 maggio 1882, studiò pittura all'Accademia di Brera, e pur dedicandosi al paesaggio di alta montagna, ha saputo liberarsi dall'influenza paterna.
V. tavv. LVII e LVIII.
Bibl.: Per la biografia rimandiamo principalmente a Scritti e lettere di G. S., a cura di B. Segantini, Torino 1910; G. Segantini, G. S. L'arte e la vita, Milano 1909; R. Calzini, S.: Romanzo della montagna, Milano 1934; F. Servaes, G. S. sein Leben und sein Werk, a cura del Ministero austriaco per la pubblica istruzione, Vienna 1902; L. Villari, G. S. The story of his life, Londra 1901.
Per l'arte: P. Levi, S., in Riv. d'Italia, 1900; R. de la Sizeranne, Il pittore dell'Engadina, G. S., in Revue des deux Mondes, 15 marzo 1898; L. Beltrami, Giovanni Segantini, in Nuova Antologia, 1899; R. Muther, Studien und Kritiken, Vienna 1900.