Segantini, Giovanni
La poesia della luce
Come catturare la luce e la sua poesia? Alla fine dell’Ottocento, il pittore trentino Giovanni Segantini trovò una risposta nella tecnica divisionista, basata sulla meticolosa scomposizione dei colori, che vengono selezionati nelle tonalità più pure e accostati tra loro in tanti trattini e filamenti affinché possano esaltarsi a vicenda
Quando Giovanni Segantini nasce ad Arco (Trento) nel 1858, la città è ancora sotto il dominio austriaco; Trento, infatti, tornerà all’Italia solo con la Prima guerra mondiale. L’infanzia e la giovinezza di Segantini trascorrono tra Trento e Milano in una condizione di difficoltà economiche e psicologiche.
Rimasto orfano di entrambi i genitori, vive in solitudine e povertà, facendo anche l’esperienza del riformatorio prima di abbracciare, nel 1874, gli studi di pittura all’Accademia di Brera di Milano.
Nel giro di qualche anno inizia a essere considerato uno dei giovani più promettenti dell’Accademia, e già nel 1883 il mercante d’arte Vittore Grubicy acquista i diritti esclusivi sulla sua opera.
Dopo la nascita del quarto figlio, nel 1886 Segantini si trasferisce con la compagna Bice Bugatti a Savognino, paesino delle Alpi svizzere. È attratto dalla rappresentazione della realtà e della natura: ritrae infatti immagini della vita contadina, gli animali al pascolo, la vita delle montagne. In particolare, sente il desiderio di rendere in pittura la brillantezza della luce naturale, ancora più intensa e assoluta tra le cime alpestri.
Inizia così a sperimentare una nuova tecnica, il divisionismo, basata sull’accostamento di toni puri di colore accostati tra loro, in trattini o sottili filamenti, direttamente sulla tela.
Per Segantini, tuttavia, la luce non è solo un affascinante fenomeno naturale: l’artista gli attribuisce infatti un valore simbolico poetico, spirituale.
Nel 1891, l’anno in cui a Milano espongono per la prima volta insieme i pittori divisionisti – tra cui Gaetano Previati, Angelo Morbelli e lo stesso Segantini –, in Francia muore Georges Seurat, inventore del pointillisme, una tecnica che, per ricercare nei dipinti la massima intensità luminosa, applicava con rigore scientifico i principi sulla scomposizione dei colori elaborati nel corso dell’Ottocento da scienziati come Michel-Eugène Chevreul, Hermann von Helmholtz e Nicolas Odgen Rood.
Un’idea di base accomuna le due tecniche: la ricerca sulla luce. Entrambe infatti si fondano sulla scomposizione dei colori applicati puri direttamente sulla tela; sarà poi l’occhio umano a percepirli come se fossero mescolati, con un effetto di maggiore luminosità. Ma al divisionismo italiano manca, nell’applicazione pratica, quel carattere di rigidità scientifica tendente all’astrazione geometrica, tipico del pointillisme francese. Sono diversi – inoltre – i temi, perché Seurat si interessa della vita cittadina, mentre Segantini e i divisionisti italiani celebrano soprattutto la bellezza della natura o affrontano temi di rilevanza sociale. In più, come dice la parola stessa, il pointillisme («puntinismo») utilizza una miriade di punti accostati, non le linee, più o meno lunghe e sottili, tipiche di Segantini e di molti altri divisionisti.
Col tempo la fama di Segantini cresce anche al di fuori dei confini d’Italia e l’artista partecipa a importanti esposizioni internazionali, amato soprattutto dal pubblico tedesco.
La sua fonte di ispirazione è sempre il paesaggio montano, non soltanto come luogo incontaminato dove si manifesta la bellezza della natura, ma anche come ambientazione ideale per dipinti allegorici e simbolisti che raffigurano temi universali, umani e religiosi, come la morte, la vita, i vizi, la malvagità, l’annunciazione della parola divina. Un’opera come L’amore alla fonte della vita (1896) – conservata a Milano presso la Galleria d’arte moderna –, unisce tutte le caratteristiche tipiche di Segantini: la tecnica divisionista, il tema legato alla poetica del simbolismo, la grandiosità del paesaggio alpestre.
A soli quarantuno anni, nel 1899, Segantini muore sulla cima del monte svizzero Schafberg in Engadina, dove è occupato a lavorare al pannello centrale del suo grande Trittico della natura.