SOTTOCORNOLA, Giovanni
SOTTOCORNOLA, Giovanni. – Di umili origini (anche se non si conosce l’identità dei genitori), Giovanni Sottocornola nacque a Milano il 1° agosto del 1855, nel decennio che dette i natali a tutta la generazione divisionista: Vittore Grubicy, Gaetano Previati, Angelo Morbelli, Giovanni Mentessi, Giovanni Segantini, Emilio Longoni. Solo Giovanni Pellizza sarebbe nato nel decennio successivo.
Rimasto presto orfano di padre, poté avviarsi a studi regolari relativamente tardi: nel 1875 s’iscrisse all’Accademia di belle arti di Brera, dove per tre anni frequentò i corsi di Raffaele Casnedi e di Giuseppe Bertini, custodi del tradizionale magistero accademico attento alle regole del disegno e della prospettiva: suoi compagni di corso furono Previati, Segantini e Longoni.
Gli inizi lo portarono a eseguire ritratti e nature morte di gusto divisionista.
Fu, questo, un periodo particolarmente significativo per la cultura italiana e lombarda proprio per quello sparuto gruppo di innovatori che vide nel divisionismo la strada per un rinnovamento tecnico e linguistico della pittura, giunta a una sorta di esausto naturalismo.
All’Esposizione nazionale di belle arti che si tenne a Milano nel 1881, Filippo Carcano, lo ‘scapigliato’ allievo di Francesco Hayez, aveva esposto L’ora del riposo ai lavori dell’Esposizione del 1881, una sorta di incunabolo dell’iconografia del lavoro. Pur non presentandosi come vera e propria opera di «contenuto sociale» tesa a rappresentare le condizioni delle classi più umili e a denunciare soprusi e miserie a esse imposte, questa ‘istantanea’ del mutamento urbano testimonia pur sempre il sorgere di un atteggiamento più attento a quel realismo che si ispirava a Gustave Courbet, atteggiamento che nel volgere di pochi anni avrebbe condizionato non poco l’espressione artistica dei giovani pittori lombardi.
Erano gli anni de I Malavoglia di Verga, di Malombra di Fogazzaro, della prima puntata della Storia di un burattino – nucleo originario di Pinocchio – di Collodi; gli anni in cui a Milano si assisté alla fondazione della Società per le belle arti ed esposizione permanente, che nel 1886 inaugurò la propria attività di mostre.
Se gli anni Ottanta sono quelli in cui a Milano si assisteva alla prima radicale modificazione del tessuto urbano, con la demolizione del Lazzaretto e la conseguente lottizzazione per far sì che – come recita l’opuscolo Milano Diamante proprio nel 1881 – «dove erano tuguri e ortaglie ora è vita e splendido commercio», i fasti delle sorti mirabolanti del progresso recarono sempre più evidenti le ferite di un’industrializzazione che generava disoccupazione, miseria, ignoranza. I temi sociali, legati all’adozione di tecniche artistiche originali, diventarono il teatro più caro ai giovani pittori lombardi attenti agli aspetti più miseri della società. Le prime opere di Sottocornola, ancora vicine agli insegnamenti accademici, lo dimostrano. E la Frutera (collezione Fondazione Cariplo), dipinta verso la metà degli anni Ottanta, ne è una prova inequivocabile: la giovane fruttivendola, presentata in occasione della prima esposizione della Società per le belle arti ed esposizione permanente del 1886, è circondata da ceste di frutta e ortaggi.
Le nature morte scandiscono l’intera produzione del decennio, mentre si affacciava, sempre più dominante, la passione per il ritratto, nel quale Sottocornola effigiò spesso la stessa modella. Così è per la Venditrice di zucche (ubicazione ignota), mentre altri ritratti del primo periodo raffigurano Angela Cendali Crespi, benefattrice lombarda, oppure la moglie e le figlie del pittore, Anita (nata nel 1885) e Maria (nata nel 1897). Nel tempo Anita fu affettuoso e frequentatissimo soggetto di disegni e tele.
Quando l’artista trovò un impiego alla Tesoreria comunale, la sua situazione famigliare poté migliorare, soprattutto rispetto alle fatiche dei suoi colleghi.
Erano gli anni in cui il tema del lavoro diventava dominante in tutta la pittura europea. Nell’opera di Sottocornola non ci sono intenti di denuncia evidenti, e il tema del lavoro minorile è appena sfiorato.
Come ha scritto Agostino Mario Comanducci ne I pittori italiani dell’Ottocento (1934), Sottocornola «fu di quei pittori della scuola lombarda che nell’ultimo scorcio dell’Ottocento sentirono la suggestione del fenomeno segantiniano. Ma pur andando in un certo modo sulla scia del grande pittore di Arco riuscì personale in quanto seppe non forzare il proprio temperamento portato ad un’introspezione gentile e patetica così della natura come del mondo infantile» (ibid., p. 399).
Il decennio compreso fra il 1888 e le cannonate di Bava Beccaris (1898) costituì probabilmente il periodo creativamente più intenso di Sottocornola: i temi sociali si moltiplicarono con una nuova consapevolezza. Il vero e proprio esordio pubblico, tuttavia, fu la partecipazione alla fondamentale esposizione di Brera del 1891, considerata l’esordio del simbolismo italiano, dove il pittore espose Fuori porta, Il muratore e Uva, opere in cui sperimentò una delle infinite varianti della tecnica divisionista. Non si tratta del «divisionismo ideologico», di antica ispirazione socialista, come quello che animava Morbelli e le sue tele dedicate al Pio Albergo Trivulzio, bensì del «divisionismo ideista», una sorta di spiritualità panteista i cui capofila furono Segantini e Previati.
Battesimo anche del divisionismo italiano, la prima Triennale di Brera vide nella stessa sala il forte Muratore di Sottocornola (collezione Fondazione Cariplo), lontana eco dello Spaccapietre di Courbet, perfino nell’espressione del viso e nella forte tensione della materia, e L’oratore dello sciopero di Longoni, opere simili per stile e carattere, dove il tema sociale diventava coraggiosamente prevalente.
L’attenzione al sociale, alla vita dei subalterni, come testimoniano i tanti disegni – a sanguigna o a carboncino – eseguiti in questi anni, era destinata ad accrescersi nel tempo: da Le operaie alle Chiacchiere a Corso Garibaldi e all’Alba dell’operaio, vero e proprio capolavoro di questo periodo e di queste tematiche, esposto in occasione della Terza triennale (1897) e oggi presso la Galleria d’arte moderna di Milano.
In molti la figura femminile è centrale, poiché centrale stava diventando l’occupazione delle donne nelle fabbriche milanesi. Come ha scritto Giovanna Ginex, autrice della prima monografia sull’artista (1985), la sua peculiarità risiede proprio in questa attenzione al lavoro femminile, esercitata con estrema cura ma priva di eccessi sociologici.
La pratica della pittura divisionista, mai veramente abbracciata con la pervicacia dei Segantini o dei Previati, rimase comunque tutta incentrata sulla luce, sulle sue incerte vibrazioni tonali, come accade nell’Interno di stalla (ubicazione ignota), realizzato verso il finire degli anni Ottanta, nelle nature morte dei primi anni Novanta, e, infine, nei chiarori dei paesaggi montani e nella serenità delle pastorelle e dei ritratti che accompagnarono l’autore all’inizio del nuovo secolo.
«Per ora è certo», scriveva Sottocornola a Morbelli nel 1895, «sono convinto non esservi altra pittura più atta a rendere certe sensazioni che questa; la pittura tutta di pasta non mi basta […]. Insomma mi pare che volendo essere sinceri in pittura non ci sia altro mezzo che la decomposizione, forse cambierò, per ora come ho detto sopra sono convinto. Il più si è che sento il bisogno non della sola tecnica in un quadro, ma bensì dell’idea, supremo scopo, a cui tutti i mezzi pittorici devono tendere» (lettere del 4 e dell’8 luglio 1895, da Milano, pubblicate in Angelo Morbelli, 1982, pp. 79 s.).
Raffinato disegnatore, superbo pastellista, Sottocornola assistette con partecipazione disincantata alla grande mutazione che l’industria impose al Paese e a Milano in particolare. La stagione che portò Prospero Moisè Loria a destinare parte cospicua del proprio patrimonio alla nascita della Società umanitaria nel 1893 (dove l’aggettivo intendeva rivendicare la necessità di superare le vecchie forme di beneficenza a favore di un’assistenza operativa capace di «mettere i diseredati, senza distinzione, in condizione di rilevarsi da sé medesimi, procurando loro appoggio, lavoro ed istruzione») non lo lasciò certo indifferente.
Alle opere su tela e ai disegni, fino dalla metà degli anni Novanta, Sottocornola affiancò la pittura a fresco, tecnica che lo avviò anche a una brillante carriera di restauratore (per esempio sugli affreschi barocchi della chiesa di S. Antonio a Milano e su quelli luineschi della chiesa del Monastero Maggiore, lavoro poi interrotto dalla morte). Tra il 1891 e il 1895 lavorò al fregio che ancor oggi corre lungo la casa di Angelo Morbelli, villa Maria alla Colma di Rosignano; alcuni anni dopo divise con Longoni gli spazi di una cappella funeraria nel cimitero di Velate, alle porte di Varese.
Dopo le repressioni del 1898, Sottocornola privilegiò sempre di più l’intimismo familiare, il rinnovato contatto con la natura, il piacere di aderire all’incanto del paesaggio. Le figlie Anita e Maria continuarono ad accendere la sua fantasia, in casa, in giardino, in terrazza; leggono, cuciono, suggerendo dipinti che rappresentano le immagini di Serenità(1900, ubicazione ignota) o di Gioie materne (collezione Fondazione Cariplo). La sua tavolozza si schiarì progressivamente, intensificò l’uso del pastello e la predilezione per i toni indaco e aranciati, la stesura del colore si ammorbidì trasformando il suo stile in un divisionismo sempre più delicato, come testimoniano La rosa bianca (Galleria d’arte moderna di Novara) e Luce e lavoro (esposto a Brera nel 1914).
L’ultimo dipinto a noi noto ritrae Nonna Ercolina, ovvero Ercolina Radossi contessa Massazza, ed è firmato e datato 1916. Madre di Vittoria Massazza, l’effigiata proveniva da una ricca famiglia di proprietari terrieri della Lomellina, e nel 1905 sposò Norberto Sacchi, figlio unico di un’altra ricca stirpe di proprietari terrieri. Più che collezionista, Sacchi fu un vero e proprio mecenate di Sottocornola, arrivando ad acquistare più di ottanta lavori, tra cui molti studi e abbozzi.
Sottocornola morì a Milano il 12 febbraio 1917, ed è sepolto nel Cimitero monumentale.
Subito dopo la morte, la Famiglia artistica di Milano gli dedicò una mostra composta da un centinaio di opere, commentate da Ugo Bernasconi, autore anche del Necrologiopubblicato su Emporium (1917).
Fonti e Bibl.: Prima esposizione triennale... (catal.), Milano 1891, pp. 15, 31, 34, nn. 89, 207, 242; U. B[ernasconi], Necrologio di G. S., in Emporium, XLV (1917), 267, pp. 236-238; A.M. Comanducci, I pittori italiani dell'Ottocento, Milano 1934, p. 399; F. Bellonzi - T. Fiori, Archivi del Divisionismo, I, Roma 1968; A.M. Damigella, La pittura simbolista in Italia. 1885-1900, Milano 1981; Angelo Morbelli (catal., Alessandria), Milano 1982, pp. 79 s.; Mostra di Emilio Longoni (1858-1932) (catal.), Milano 1982, pp. 93 s.; G. Ginex, G. S.: dal realismo sociale al quotidiano familiare, Milano 1985; B. Buscaroli Fabbri, G.S.: immagini da una collezione (catal.), Milano 1991; L. Casone, G S., in Fondazione Cariplo Artgate, in rete.