VILLANI, Giovanni
– Nacque a Firenze in un anno compreso tra il 1275 e il 1280. Il padre, Villano di Stoldo di Bellincia, apparteneva a una famiglia originaria di Borgo San Lorenzo nel Mugello, era immatricolato nell’arte della lana e nel 1300 ricoprì il priorato. La madre era Fia (Sofia), figlia di Ugolino da Coldaia, membro di una famiglia proveniente dal Mugello e di tradizione signorile (già vassalla dei Cadolingi e degli Alberti, era infine entrata nella clientela degli Ubaldini).
Sono noti i nomi di tre suoi fratelli, Francesco, Filippo e Matteo (v. la voce in questo Dizionario); e di due sue sorelle: Bertola e Lapa, moglie di Vanni Buonaccorsi.
Dal primo matrimonio, contratto probabilmente verso il 1310 con Bilia (Sobilia), Villani ebbe la figlia Francesca; dal secondo matrimonio con Monna di Francesco Pazzi, sposata tra 1323 e 1327, nacquero tre maschi, Francesco, Villano e Matteo, e le femmine Giacoma e Ghetta. Villani ebbe anche due figli illegittimi: Bernardo, prete e notaio, nato prima del 1310, e Maria.
Villani è attestato nella documentazione fiorentina dal 1299, quando collaborava con la compagnia dei Peruzzi della quale divenne socio dal maggio 1300. In tale veste fu a Roma nel 1300 e nel 1301 presso papa Bonifacio VIII; poi nelle Fiandre, tra il 1302 e il 1304 a Bruges e quindi a Gand sino al 1307. Nel 1308 tornò definitivamente a Firenze, ma sino al 1322 mancano informazioni sulla sua attività professionale, mentre sappiamo – grazie anche a studi recenti (Albanese - Figliuolo - Pontari, 2019, pp. 309-315) – che in quegli anni intraprese una carriera di un certo rilievo negli uffici cittadini.
Fu priore del Comune di Firenze per il sestiere di porta di San Piero (la residenza di Villani era in quel sestiere, nel popolo di San Procolo) una prima volta tra il dicembre del 1316 e il febbraio del 1317; ufficiale della Moneta nel 1317; ancora priore tra il dicembre del 1321 e il febbraio del 1322. In quell’anno fu anche tra gli otto consiglieri eletti per la conservazione dei privilegi commerciali dei fiorentini a Pisa.
Dal 1322 si può tornare a ricostruire anche la sua attività: Villani è tra i soci della compagnia Buonaccorsi di cui, dopo la riorganizzazione del 1324, prese la direzione insieme al cognato Vanni. Gli anni che seguirono furono ricchi di soddisfazioni per Giovanni che, mentre vedeva la compagnia espandersi con successo sino a diventare una delle principali tra le fiorentine, continuò il proprio impegno negli uffici cittadini.
Nel 1324 fu membro del Consiglio delle Capitudini; l’anno seguente fu ufficiale alla costruzione delle nuove mura; al tempo della guerra contro Castruccio Castracani (1325-26) fu tra i Dodici sull’ordinamento delle entrate. Nel 1327 fu membro della commissione dell’Estimo; divenne sovrintendente alla moneta d’oro e d’argento in rappresentanza dell’arte di Calimala nel 1327-28, fu priore per la terza e ultima volta da agosto a ottobre del 1328, e nello stesso anno venne incaricato del calcolo delle spese sostenute per Carlo di Calabria. Fu poi membro del collegio dei magistrati del Biado nominati per affrontare la carestia del 1329-30; compare tra i fiorentini che trattarono per l’acquisto di Lucca nel 1329 e in quell’anno fu pure ambasciatore a Bologna presso il legato papale Bertrand du Pouget. Nel 1330 fu supervisore delle fortificazioni presso Montecatini; in quel periodo fu anche tra i delegati a trattare la resa di Lucca e nel 1331 partecipò al Consiglio del podestà Iacopo Gabrielli, al quale nella Nuova cronica non avrebbe risparmiato severi giudizi (cfr. per un esempio XII, 98, G. Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, 1990-1991, III, p. 232).
La carriera pubblica di Villani conobbe una battuta d’arresto nel 1331 quando, terminato il mandato di camerario degli ufficiali delle mura, fu accusato di baratteria. Benché riuscisse a dimostrare la propria innocenza, dopo quella data egli ebbe solo incarichi di piccolo rilievo.
Nel 1334, ad esempio, fu consigliere adiunctus della Mercanzia per Calimala e fece parte della commissione per la revisione degli statuti mercantili; nel 1335 fu tra i capitani di Orsanmichele, e nello stesso anno venne incaricato con altri di fissare i confini tra alcuni centri del pistoiese e di stabilire i confini tra Firenze, San Gimignano, Poggibonsi, Colle Valdelsa, Prato e Montemurlo. Nel 1336 fece parte di un’ambasceria inviata a Pisa con lo scopo di far rispettare gli accordi commerciali tra le due città; nel 1338 fu più volte fideiussore dei Priori delle Arti e del gonfaloniere di Giustizia, mentre nel 1341 ebbe il dubbio onore di essere inviato ostaggio a Mastino II della Scala.
La minor rilevanza degli uffici ricoperti dopo il 1331 ridimensionò solo in parte il prestigio di Villani a Firenze, poiché coincise con l’avvio di un periodo fortunato nella sua vita professionale. Proprio gli anni Trenta, infatti, furono il momento di maggior espansione della compagnia dei Buonaccorsi nella quale egli aveva assunto un ruolo apicale. La situazione però precipitò nel 1341 quando la compagnia fallì e Villani, che la rappresentava durante la bancarotta e che contemporaneamente era in contenzioso da oltre dieci anni con i suoi fratelli Francesco e Filippo per motivi d’affari, nel 1346 fu incarcerato, insieme ad alcuni suoi parenti, perché sospettato di voler risolvere la situazione tramite la frode.
Morì nel 1348, contagiato dalla peste nera come racconta, senza indicare la data precisa del decesso, il fratello Matteo suo continuatore (I, 1, ibid., I, p. 7).
Il ridimensionamento del profilo pubblico di Villani sin dagli anni Trenta e la bancarotta che segnò il decennio successivo non sembra abbiano avuto effetto sulla larga fortuna che arrise alla sua cronaca. L’opera circolava già mentre Villani ancora vi stava lavorando, come egli stesso affermò narrando i fatti avvenuti nel 1341 (XII, 135, ibid., III, p. 269), e continuò a essere molto letta per tutto il Trecento – grazie anche all’impegno del figlio Matteo e del fratello e continuatore, al quale una recente ipotesi vorrebbe fosse dovuta la realizzazione del codice miniato ora Vaticano Chigiano L.VIII.296 (Gebhard, 2009) – e durante i due secoli seguenti.
Il lungo testo di Villani ebbe una rapida diffusione, sia compendiato sia messo in versi da Antonio Pucci nel Centiloquio; forse già nel Trecento, inoltre, migrò a Napoli, dove alcuni capitoli (tratti dai libri dal terzo al decimo) confluirono nel corpus della Cronaca di Partenope costituendone la cosiddetta Terza parte. È tramandato da oltre cento manoscritti e già nella prima metà del Cinquecento l’opera era giunta alle stampe.
In molti manoscritti che la conservano completa (numerosi però hanno solo i primi dieci libri) e nelle edizioni fino all’Ottocento la Nuova cronica è divisa in dodici libri; solo l’edizione critica approntata da Giuseppe Porta presenta un testo costituito da tredici libri perché, a parere dell’editore, quello che tradizionalmente era considerato il primo libro in realtà nella versione definitiva dell’opera, conservata da una parte della tradizione manoscritta, è costituito da due libri, il primo dei quali si ferma al capitolo 37. L’interpretazione di Porta si fonda sulla sua convinzione che, terminata una prima stesura dell’opera con la chiusura del libro undicesimo (decimo secondo la divisione classica) nel 1333, in conseguenza dell’alluvione di Firenze, o forse nel 1336 – in corrispondenza del punto in cui il testo della Nuova cronica (XII, 51) presenta una chiara frattura nella narrazione, evidenziata dalle prime righe del capitolo 52, una sorta di piccolo prologo, e si interrompono sia alcuni testimoni, sia il Centiloquio del Pucci sia i compendi studiati da Vittorio Lami e Annibale Tenneroni –, Villani sarebbe ritornato sul suo scritto che intanto già circolava, per rivederlo in maniera sistematica e poi condurlo sino al 1342 e infine, dopo una nuova interruzione di qualche tempo, riprenderlo nell’ultima fase della sua vita.
Anche se quello allestito da Porta è il testo ormai destinato a rimanere in uso, le tesi dell’editore sono state contestate da altri studiosi che si sono occupati della tradizione della Nuova cronica: in particolare Arrigo Castellani ha proposto uno stemma codicum ben diverso, in base al quale la supposta ‘prima redazione’ di Porta risulta una rielaborazione tardiva non sempre d’autore (sui problemi dell’edizione Porta fa il punto Pezzarossa, 1993).
La proposta di ricostruzione delle fasi di lavoro di Villani avanzata da Porta prevede anche che si prenda in considerazione il momento in cui egli iniziò a scrivere. In un passo della cronaca Villani dichiara di essersi messo all’opera dopo essere tornato a Firenze da Roma, dove si era recato nel 1300 in occasione del giubileo di Bonifacio VIII: la vista delle rovine romane e la lettura di Virgilio, Sallustio, Lucano, Valerio Massimo, Orosio e Livio l’avrebbero spinto a raccontare la storia di Firenze «figliuola e fattura di Roma» (IX, 36, Nuova cronica, cit., II, p. 58).
Gli studiosi che si sono occupati nella Nuova cronica sono concordi nel ritenere che Villani ne abbia intrapreso la stesura molto più tardi – non prima degli anni Venti –; alcuni però, anche tra i più recenti, ritengono che già a inizio secolo egli avesse cominciato a raccogliere il materiale per la sua impresa. L’ipotesi che Giovanni abbia messo in atto il suo progetto proprio a partire dall’anno 1300 o poco dopo sembra da escludere per più ragioni: in primo luogo sino al 1308 egli si trovò quasi sempre lontano da Firenze e non gli sarebbe stato agevole raccogliere le sue fonti che sono quasi tutte fiorentine; poi negli ultimi anni del Duecento e nei primi del Trecento a Firenze si compilarono alcune cronache universali in latino e in volgare che costituiscono le basi della Nuova cronica, e di conseguenza non erano necessari un viaggio a Roma e la lettura dei classici per richiamare l’attenzione su queste tematiche evidentemente già presenti nella cultura cittadina; inoltre, probabilmente, Villani non conosceva abbastanza il latino per leggere gli autori su menzionati, i quali – a parte Orosio già volgarizzato prima del 1300 – furono tradotti solo negli anni successivi, alcuni dal notaio Andrea Lancia, di cui Villani risulta amico; infine la descrizione del mondo proposta in Nuova cronica (I, 5, ibid., I, pp. 8-10) trova corrispondenza solo nella cartografia di metà Trecento.
Negli anni Trenta Villani possedeva anche un codice della Divina commedia – è stato ipotizzato che l’avesse ottenuto grazie ai suoi contatti con Pietro Alighieri – e, pure se le citazioni del poema nella Nuova cronica sono solo nove, l’influenza dantesca nell’identificazione del 1300 come anno cruciale non può essere esclusa. Di certo, mentre proseguiva nella stesura della propria opera, Villani maturò una serie di competenze che lo portarono a superare di molto il livello della precedente cronachistica universale fiorentina, mettendolo in grado di allestire un testo nel cui ordinato scorrere dei capitoli trovano posto innumerevoli informazioni, mentre si interrompono per poi riprendere a distanza i fili di molti racconti intrecciati tra loro. Inoltre, l’anno 1300 – che coincide con l’ingresso di Villani nella vita adulta – ha agli occhi del cronista un ruolo periodizzante e segna una frattura nello svolgimento della vicenda fiorentina per cui la Nuova cronica ospita negli ultimi due libri alcuni passaggi dedicati a evidenziare i mutamenti avvenuti in città durante i decenni del XIV secolo (un esempio di questa consapevolezza è in XII, 2, ibid., III, p. 24, prima della frattura nel testo identificata all’altezza di XII, 51). È quindi probabile che – come ha rilevato Louis Green – Villani si fosse messo all’opera alla metà degli anni Venti e, si può aggiungere, abbia dedicato alla cronaca maggiori attenzioni dopo il 1331, quando la sua carriera negli uffici subì una brusca interruzione: come per altri cronisti medievali, forse anche per Villani l’allontanamento dalla vita pubblica costituì una spinta decisiva per la riflessione storiografica.
Una puntuale ricostruzione delle fonti utilizzate da Villani potrebbe permettere di datare con più precisione i tempi di stesura dell’opera, quantificando meglio la mole del suo impegno.
Green ha individuato il ricorso ai seguenti scritti: una versione in volgare della fiorentina Chronica de origine civitatis, la cronaca universale di Martino Polono già disponibile in volgare a Firenze alla fine del Duecento, i Gesta Florentinorum noti anche al cronista domenicano Tolomeo da Lucca che visse a Firenze nei primi anni del Trecento, forse la cronaca duecentesca del notaio Sanzanome, la cronaca anonima tradizionalmente attribuita a Brunetto Latini, la Cronichetta magliabechiana, la sezione di storia universale che fa parte del Tresor di Brunetto e la Legenda di messer Gianni da Procida (Green, 1972, pp. 155-164). Si tratta di pochi testi che però non esauriscono la biblioteca di Villani.
Ulteriori ricerche hanno mostrato la sua dipendenza dal cronista francescano Tommaso Tosco attivo a Firenze verso il 1275 e della cui storia universale ricompaiono nella Nuova cronica brani interi e anche qualche nota metodologica sull’uso delle fonti (Zabbia, 2012, pp. 149-161). Per dichiarazione di Villani sappiamo essergli note una vita del monaco Giovanni Gualberto (V, 17, Nuova cronica, cit., I, p. 189) e una non ancora meglio individuata storia delle prime crociate (V, 24, I, p. 208, e VI, 28, I, p. 254). Conosceva il Milione di Marco Polo (IX, 35, II, p. 57) e la La Flor des estoires de la terre d’Orient (1307) del monaco armeno Hayton da Korykos, vissuto tra Due e Trecento (VI, 29, I, p. 256; IX, 35, II, pp. 55 s.). Villani aveva letto alcuni romanzi: tra di essi, cita quello di Bovo d’Antona destinato a larga fortuna nel tardo Medioevo (II, 18, I, p. 81). Infine, un confronto con la cosiddetta Cronaca napoletano-gaddiana, una compilazione fiorentina di storia universale risalente all’inizio del Trecento, rivela tratti comuni con la Nuova cronica e mostra come Villani avesse buona conoscenza delle compilazioni elaborate a Firenze alle soglie del Trecento (Brilli, 2017, pp. 356-361).
Si tratta comunque, nell’insieme, di un numero limitato di fonti, che Villani utilizzò talvolta volgarizzandole, ma sempre senza sensibili rielaborazioni, e che poté raccogliere e ordinare nella sua compilazione in breve tempo. La rapidità della stesura della ricostruzione delle vicende di storia universale si coglie anche dal disegno che sta alla base dell’opera di Villani che (qualora si escluda la sistematica riscrittura dei primi undici libri dell’opera proposta da Porta) non mostra tracce di ripensamenti e conferisce unità alla cronaca. Scopo del cronista, dichiarato in più occasioni, era inserire le vicende fiorentine nel contesto di storia universale per spiegarne lo svolgimento («molto si mischia» la storia del Papato, del Regno di Francia e di quello di Napoli con la storia di Firenze: V, 3, Nuova cronica, cit., p. 166).
La Nuova cronica, divisa in libri a loro volta formati da un numero variabile di capitoli tutti introdotti da una breve rubrica, prende le mosse con la riproposizione del racconto della Torre di Babele e – provando a districarsi tra fonti che non sempre riportano la stessa versione dei fatti (I, 6 e I, 13: esempi di critica delle testimonianze discordanti) – arriva rapidamente sino alla fondazione di Firenze, dedicando un certo rilievo alla materia troiana per poi soffermarsi sulla congiura di Catilina per la quale si rimanda a Sallustio. Il secondo libro ha inizio con la fondazione di Firenze cui sono associate alcune note sull’origine e le più antiche vicende delle città toscane. Ma della remota storia fiorentina non si hanno che poche memorie perché le sue testimonianze sono andate perdute al tempo di Totila che distrusse la città: con questo episodio ha inizio il terzo libro dell’opera in cui compaiono rimandi ai romanzi (III, 4) e il racconto ripercorre le vicende del regno longobardo e dei Franchi sino ad arrivare al secolo X. La narrazione deve poi tornare «alquanto adietro»; il libro quarto inizia parlando di Firenze e Carlomagno, e prosegue giungendo sino al tempo di Ottone I. A questa altezza cronologica – siamo all’inizio del libro quinto –, Villani comincia a proporre tradizioni di memorie locali poiché è al tempo degli Ottoni che, a suo dire, risalgono le più antiche famiglie nobili di Firenze, mentre altre sono attestate dal tempo di un imperatore di nome Corrado: ma in questa pagina la Nuova cronica è particolarmente confusa perché Villani (riproponendo un errore che trovava nella cronaca di Martino Polono) dice che il papa Benedetto VIII ha incoronato l’imperatore Corrado I nel 1015, mentre si trattava di Enrico II cui successe Corrado II. Ed è appunto dagli anni di Corrado II (incoronato nel 1027 e morto nel 1039) che si cominciano ad avere notizie su Firenze. Il libro sesto inizia con gli anni di Federico Barbarossa e da questo periodo la Nuova cronica è via via sempre più ricca di informazioni. Da questo momento Villani inaugura l’uso – che poi sarà di tutta l’opera – di aprire un discorso per poi interromperlo in modo da seguire altre vicende e quindi di riprenderlo più avanti (cfr. per un esempio VII, 25, Nuova cronica, cit., p. 309). Il libro settimo si apre nel 1220 con Federico II incoronato imperatore e, mentre ci si avvicina al tempo del cronista, compaiono nel racconto le prime informazioni provenienti da fonti orali (VII, 2, ibid., p. 279: «sapemo il vero da antichi nostri cittadini che i loro padri furono presenti a queste cose e ne feciono loro ricordo e memoria»); il testo ospita, inoltre, un inserto documentario (una lettera di Pier della Vigna: VII, 25, ibid., p. 309). Da questo momento il racconto diventa sempre meno sintetico e compare nella pagina di Villani il gusto per l’inserto di sapore novellistico (un esempio: VII, 53, ibid., p. 346: «una bella novelletta è da dovere notare») che diventerà più marcato nel libro ottavo. Giunta al tempo del regno di Carlo I d’Angiò, l’esposizione si dilata e accoglie pure novelle e fattarelli di cui l’autore stesso ammette l’irrilevanza (VIII, 116, ibid., p. 580). Il nono libro inizia con la fondazione del secondo popolo a Firenze (1292); dal 1301 Villani menziona se stesso come presente ai fatti (IX, 49, ibid., p. 77, e soprattutto IX, 58, p. 107, e IX, 78, p. 154). Il ritmo della narrazione diventa sempre più lento così che il decimo libro ha inizio con l’incoronazione imperiale di Enrico VII al quale nella Nuova cronica è dedicata una sorta di sezione monografica la cui riconosciuta necessità prevede l’alterazione del regolare svolgimento cronologico (X, 53, ibid., p. 257). Dopo la morte di Enrico VII si apre la stagione dei tiranni inaugurata da Cangrande della Scala e Castruccio Castracani, alla quale tanto spazio è riservato nel libro undicesimo che inizia con l’arrivo di Carlo di Calabria a Firenze nel 1327. Per la stesura di questo libro Villani, che disponeva di moltissime informazioni, volle mantenere largo l’orizzonte geografico; ma a tratti sembra che il controllo della materia gli sfugga e che pure ai suoi occhi la narrazione appaia troppo prolissa (cfr. XI, 6, ibid., p. 529; XI, 109, p. 661; XI, 119, p. 672). Nel testo compaiono con maggiore frequenza i rimandi ai documenti ufficiali; si inaugura la prassi di inserire nella pagina i ritratti dei personaggi menzionati nel racconto (cfr. quello di Marco Visconti: XI, 133, ibid., p. 689); e in un paio di occasioni Villani – che forse conosceva il De vulgari eloquentia di Dante Alighieri – si sofferma a segnalare le differenze tra la parlata fiorentina e quella di Siena e Lucca (rispettivamente XI, 81, ibid., p. 616, e XI, 87, p. 627). Le pagine conclusive del libro undicesimo sono dense di anticipazioni e rimandi a fatti che saranno raccontati nel libro seguente; non è detto quindi che la dettagliata descrizione dell’inondazione di Firenze nel 1333, con cui si apre il dodicesimo libro, indichi la ripresa dell’attività del cronista dopo un’interruzione, come qualche studioso ritiene. Accanto a sensibili novità – per la prima volta si trascrive un documento (ma assai particolare: la lunga lettera-sermone di Roberto d’Angiò a Firenze, XII, 3, ibid., III, pp. 26-40) –, tornano infatti aspetti formali che erano stati impiegati nel libro precedente come la prassi, prima inusuale, di rivolgersi esplicitamente al lettore. Hanno l’aspetto di note conclusive dell’opera il celebre capitolo XII, 94, dedicato a glorificare la grandezza presente di Firenze a beneficio dei futuri governanti, e quelli immediatamente precedenti (XII, 91, 92, 93): si può quindi ipotizzare che alla fine del 1338 Villani avesse completato la sua ricostruzione della storia di Firenze e si accingesse ad aggiornarla mentre l’opera già circolava. Nei capitoli seguenti del dodicesimo libro, che portano velocemente il racconto al 1341, Villani stesso pare affermare che a quel tempo stava continuando un testo dopo avere già ripercorso la storia cittadina (XII, 135, ibid., p. 268: «hai fatto e fai memoria de’ nostri fatti passati»). Il tredicesimo libro ha l’aspetto dell’aggiunta: si apre con un resoconto della signoria di Gualtieri di Brienne duca d’Atene su Firenze negli anni 1342-43, scritto a breve distanza dallo svolgimento della vicenda, che ha la forma della monografia e che circolò anche indipendentemente dal testo della cronaca. Villani dichiara di avere preso la penna – sembrerebbe, dopo una pausa – perché quanto accaduto doveva essere annotato in quanto pareva incredibile persino a lui che lo aveva visto (XIII, 1, ibid., p. 291). Ma, conclusa la signoria del duca d’Atene, il racconto appare stanco, la forma meno curata, aumenta il rilievo delle parentesi dedicate all’astronomia (forse una passione della maturità per il cronista), ci sono più citazioni documentarie e compaiono per la prima volta alcuni versi della Divina commedia riproposti alla lettera nel testo della cronaca (XIII, 118, ibid., p. 559, sembrano già una locuzione proverbiale i celeberrimi versi di Purgatorio VI, 143-144). La narrazione termina con fatti del gennaio del 1348 (la peste di cui non si fa menzione sarebbe arrivata a Firenze ad aprile, ma in Italia già era presente). Villani tuttavia pensava di continuarla e, a proposito del terremoto del 25 gennaio 1348, avvisava il lettore che sulle conseguenze di quell’episodio «leggendo più avanti si potrà trovare» (XIII, 122, ibid., p. 562).
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