VISCONTI, Giovanni (III). –
Nacque tra il terzo e l’ultimo quarto del XIV secolo da Vercellino di Antonio Visconti di Somma (figlio di Vercellino di Uberto, fratello di Matteo I) e da Giovanna di Gasparo Visconti (Litta, 1823-1828, tav. XVI, con il nome di Giovanni, di cui dà la biografia, errato in ‘Antonio’). Suoi fratelli furono Antonio e Beatrice.
Entrato a far parte del capitolo maggiore del duomo fra il 1398 e il 1402 (la Notitia cleri del 1398 non menziona Giovanni, ma solo Antonio Visconti, canonico del duomo e di S. Nazaro, ove si trovava una cappella della famiglia materna, indizio di un avvicendamento interno alla dinastia tra il 1398 e il 1402; Notitia cleri..., a cura di M. Magistretti, 1900, pp. 16, 20), in quell’anno ne divenne arciprete. La sua ascesa alla cattedra ambrosiana maturò nel contesto della crisi del ducato seguita alla morte di Gian Galeazzo (settembre 1402) e dello scisma della Chiesa.
Il giovane duca Giovanni Maria era ostaggio delle rinate fazioni: in quella ghibellina spiccavano gli ex fautori di Bernabò, quali Francesco e Antonio Visconti, discendenti da Uberto e cugini del padre di Giovanni. I condottieri chiamati ad arrestare il dissolvimento del Ducato, come Facino Cane e Pandolfo Malatesta, formarono anzi signorie personali. Sul fronte guelfo il fratello di Pandolfo, Carlo, già al servizio di Gian Galeazzo, poi sostenitore e protettore di Gregorio XII (sarà suo rappresentante al Concilio di Costanza), acquisì a sua volta influenza su Giovanni Maria, sino a divenire, dal 1406, la figura dominante a Milano. Fatta maritare con il duca la figlia del fratello Andrea, nell’agosto del 1408 ripartì lasciando quest’ultimo a Milano.
Nel novembre del 1408 Carlo Malatesta indusse Gregorio XII a eleggere arcivescovo Visconti, in assenza del cardinale Pietro Filargo, arcivescovo e amministratore della diocesi. L’elezione si inserisce in un’offensiva di Gregorio XII contro Filargo e altri vescovi ‘viscontei’, i quali propugnavano la via concilii che avrebbe portato nel 1409 al sinodo pisano. L’intervento del filoguelfo Malatesta fa inoltre ritenere che Visconti fosse estraneo alle iniziative dei cugini ghibellini (Canobbio, in Il ducato di Filippo Maria Visconti, 2015, pp. 285-289). Secondo il Liber primicerii, composto di lì a poco nell’ambito della cattedrale, Visconti entrò in sede con il consueto apparato il 12 febbraio 1409 (Cattaneo, 1982, p. 128). La data è esatta: in quell’occasione fu pronunciata l’orazione, conservata e datata, del giureconsulto e letterato Paolo Biumi, in gran parte una lode alla dinastia viscontea (Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. B 116 sup., cc. 113r-116v, Pauli Bimii Orationes..., 1612, pp. 17-31). Per la stessa occasione Uberto Decembrio compose il Carmen ad Iohannem Vicecomitum (ibid., c. 131r).
L’evoluzione dello scisma produsse tuttavia ulteriori conseguenze sulla situazione della chiesa milanese: al Concilio di Pisa, ‘deposti’ i due pontefici rivali, fu eletto Filargo (Alessandro V) che, non riconoscendo la nomina fatta da Gregorio XII, il 2 ottobre 1409 contrappose a Visconti il suo vicario, il frate minore Francesco Crepa.
L’esame degli atti del notaio Beltramino Carcano (Belloni, 1995, p. 22, e in Il ducato di Filippo Maria Visconti, 2015, p. 358) ha mostrato che fu il capitolo maggiore del duomo ad assicurare continuità nel governo diocesano: Filargo compare fino al 25 novembre 1408, poi agiscono vicari del capitolo fino al 3 febbraio 1409, sebbene dal 12 dicembre 1408 compaia, ancora solo electus, Visconti, che agisce come presule da febbraio, in accordo con la data di ingresso e consacrazione data dal Liber primicerii. Tale attività si prolunga sino al 27 agosto, di nuovo seguita da quella di vicari capitolari dal 1° ottobre 1409 al 15 aprile 1410 e poi saltuariamente; la successiva presenza di Crepa, tra il 1410 e il 1411, è intervallata e poi di nuovo sostituita, dal 3 agosto 1411 al 7 marzo 1414, da vicari sede vacante (ibid.).
Crepa (che a quanto sembra dimorava in Brianza e morì ‘esule’ nel 1414) dovette essere impedito da Visconti, che cedette invece a causa del prevalere di Facino Cane (1410-12): questi non riconobbe nessuno dei due presuli e il 23 febbraio 1411 ne fece insediare un terzo, il fidato Bartolomeo Capra (già vescovo ‘romano’ di Cremona, passato poi ad Alessandro V e Giovanni XXIII e tornato nel 1411 a Gregorio XII), che ebbe il possesso effettivo della sede. Visconti non era privo di sostenitori nella Chiesa milanese: secondo il Liber primicerii, durante la lettura in duomo della bolla di nomina di Capra da parte di Manfredo della Croce, abate di S. Ambrogio (e successivamente vicario generale di Capra, dal 1414 al 1417), un chierico, sostenuto da armati, gli avrebbe strappato di mano la pergamena lacerandola con una spada. Tuttavia Visconti non fece resistenza e fuggì prima al castello di Porta Giovia, poi verso Roma.
Nel prosieguo, perse ogni legittimità in quanto arcivescovo: dopo la morte di Cane e di Giovanni Maria (1412), Capra divenne stretto consigliere di Filippo Maria e fu confermato dal Concilio di Costanza nel 1414. Visconti non avanzò più pretese, ma la sua consacrazione non fu considerata invalida: sia il Concilio di Basilea nel 1433 (Concilium Basiliense, a cura di J. Haller, 1897-1903, p. 427), sia Eugenio IV nel 1440 lo qualificheranno archiepiscopus (Sassi, 1755, II, pp. 892-896) e il Liber primicerii lo ricorda due volte come presule, nel 1409-10 e nel 1450-53, mentre omette Crepa.
La marginalizzazione di Visconti, protrattasi per l’intero ducato di Filippo Maria, non fu probabilmente estranea a quella più generale dei Visconti di Somma, fautori di Cane e poi di Estorre di Bernabò Visconti. Uno degli assassini di Giovanni Maria, Ottone di Antonio, zio di Giovanni, era stato esiliato con altri familiari, tra cui Antonio, fratello di Giovanni (Del Tredici, in Il ducato di Filippo Maria Visconti, 2015, pp. 53, 59). Peraltro Giovanni e il fratello Antonio erano stati, all’opposto dei congiunti, fautori del guelfo Carlo Malatesta, ma ciò era motivo di altrettanto sfavore agli occhi del nuovo duca (i guelfi ‘estremisti’ furono proscritti proprio per il favore prestato a Carlo, non meno dei ghibellini bernaboviani, forze altrettanto centrifughe rispetto al centralismo statuale di Giangaleazzo ripreso da Filippo; ibid.).
Il duca, se non lasciò Visconti privo di prebende, in due casi favorì i suoi avversari quando queste furono contestate (Belloni, 1995, pp. 55 s., 166-168, e in Il ducato di Filippo Maria Visconti, 2015, pp. 329, 333 s., con indicazione della documentazione archivistica). Morto il generale degli umiliati Andrea Visconti, fu inizialmente dietro supplica di Filippo Maria che il 12 giugno 1433 i padri di Basilea assegnarono l’amministrazione dell’Ordine a Giovanni (Concilium Basiliense, cit., II, p. 427; il duca lo definì «consanguineo suo»: J. de Segovia, Historia gestorum..., a cura di E. Birk, 1873, p. 363). La nomina (in un periodo di tensione tra Eugenio IV e il Concilio) provocò l’accusa da parte del papa di avere concesso la commenda a un chierico secolare; il 16 ottobre il cardinale Giuliano Cesarini, dinanzi agli ambasciatori presenti a Basilea, replicò che si trattava di un arcivescovo privo di rendite e residente nella capitale del ducato di Milano, ove si concentravano le case umiliate, e che la calunnia era dovuta all’ostilità papale per Filippo Maria, mentre era al contrario opportuno non eleggere prelati ostili ai principi territoriali (ibid., p. 481). Visconti non fu mai al Concilio, ove si fece rappresentare da Francesco della Croce e Stefano Caccia (della Croce fu anche nominato, il 7 dicembre 1433, giudice sinodale per una controversia patrimoniale tra Visconti, come amministratore degli umiliati, e alcuni laici, poi delegata ai canonici del duomo Maffiolo Brivio e Aloisio della Strada). Nonostante Cesarini avesse affermato che la maggioranza dei prelati dell’Ordine aveva sostenuto la nomina, questa incontrò l’opposizione di una parte degli stessi e il capitolo generale di Siena (promosso dal papa, ora in tregua con il sinodo) elesse nel 1434 Stefano da Arsago (Concilium Basiliense, cit., III, p. 70: il 15 aprile 1434 la supplica per la conferma fu affidata al cardinale Branda Castiglioni). Visconti si oppose e la causa fu discussa a Basilea dal 9 luglio 1434 al 18 novembre 1435 (ibid., pp. 146 s., 180 s., 521, 563 s., 572 s.). La sentenza, a lui sfavorevole, ottenne il consenso di Filippo Maria.
Visconti ottenne anche da Eugenio IV la commenda del monastero di S. Ambrogio, dopo che nel 1434 era morto l’abate Antonio Ricci. Ora il duca apparve subito contrario a Visconti e i fatti si svolsero secondo la sua volontà (Tagliabue, 1988, pp. 339 s.). Nel 1435 Filippo nominò economo del monastero Andrea Ghilini. L’8 marzo 1436 il Concilio, annullando ogni eventuale commenda, designò amministratore Facino Stefano Ghilini, un protetto di Filippo Maria (Concilium Basiliense, cit., IV, p. 73; esecutore Francesco della Croce), e il 4 agosto, acconsentendo alla lettera ducale letta il giorno precedente, ne confermò l’avvenuta elezione ad abate da parte del capitolo (J. de Segovia, Historia gestorum..., cit., p. 899; Concilium Basiliense, cit., IV, pp. 231, 237; esecutore l’arcivescovo Francesco Pizolpasso), che non a caso aveva affidato la richiesta a Isidoro da Rosate, ambasciatore ducale a Basilea.
Entro l’agosto del 1440 Visconti (allora residente in Porta Ticinese, in parrocchia di S. Ambrogio in Solariolo) dotò una cappellania in S. Nazaro (all’altare eretto dall’avo materno Gaspare Visconti) e un canonicato in duomo, istituendo inoltre nel capitolo maggiore la nuova prebenda della prepositura (Sassi, 1755, pp. 892-896), affidata a Zanotto Visconti. Il 20 agosto Eugenio IV approvò la disposizione e nominò esecutore il canonico Giuseppe Brivio.
Brivio non riuscì però a farne la terza dignità capitolare (dopo arciprete e arcidiacono), in quanto nel 1441 quella di primicerio fu trasferita dal capitolo dei decumani a quello degli ordinari come terza (Belloni, 1995, pp. 48 s.): dal contrasto deriva forse l’accento negativo del profilo di Visconti nel Liber primicerii, che fu scritto appunto da della Croce, il quale nel 1441 era primicerio.
Solo dopo la morte del duca (1447), Visconti trovò spazio nella Chiesa ambrosiana. Francesco Sforza, che da Niccolò V aveva ottenuto ampi spazi nel campo della provvista beneficiaria (confermati poi da Callisto III e seguiti da una normativa più stringente), procurò la sua nomina ad arcivescovo (4 agosto 1450), sia che ciò fosse parte di una politica per ingraziarsi i vari rami viscontei, sia che giocasse in favore dell’eletto la non appartenenza alla classe dirigente di Filippo Maria. Dopo l’elezione favore ducis, il Liber primicerii riferisce di un nuovo ingresso con le solennità consuete. L’episcopato durò meno di tre anni, nei quali il presule, in accordo con il duca, diede impulso alla ripresa dell’edificazione del duomo, a partire da una processione indetta il 16 agosto 1452 (Annali della Fabbrica del duomo, 1877, pp. 146 s.). In ambito ospedaliero, nonostante un intervento per lo stipendio dei ministri, egli non proseguì invece l’impegno del predecessore Enrico Rampini verso l’unificazione, sicché la commissione creata nel 1448 per un’amministrazione centralizzata, composta dai rettori dei singoli ospedali e da laici, cessò di riunirsi. Si trattò forse di un tentativo di ricondurre gli ospedali sotto il controllo arcivescovile (Belloni, 1995, p. 182).
Morì il 3 marzo 1453 e fu sepolto in duomo.
La cattedrale fu al centro dei suoi interessi anche come privato. Nel testamento, rivisto il 7 settembre 1440 (dopo le citate disposizioni anteriori all’agosto, che sono nominate al passato), istituì esecutori i deputati della fabbrica del duomo: questi avrebbero dovuto garantire l’istituzione effettiva dei benefici in duomo e in S. Nazaro (con il giuspatronato assegnato ai discendenti del nonno paterno Antonio di Vercellino) e poi, mediante i redditi di vasti beni loro donati, stipendiarne i titolari e assicurare la celebrazione degli anniversari stabiliti, trattenendo il rimanente (Annali della Fabbrica del duomo, cit., pp. 89-91).
Le fonti non consentono di far uscire Visconti dall’oscurità dovuta a quattro decenni di marginalizzazione; tuttavia non dovettero mancargli i contatti con figure di una certa levatura, come mostrano gli scritti di Decembrio e Biumi che accolsero la sua elezione nel 1409; da presule ebbe poi per cancelliere della curia il letterato e officiale sforzesco Bernabò Carcano, di cui si conserva una lettera a lui indirizzata il 15 maggio 1438 contro l’umanista Tommaso Morroni (Troncarelli, 1976). Come molti altri ecclesiastici contemporanei, pur non essendo in prima persona uomo di lettere, Visconti coltivò dunque legami con l’ambiente dell’umanesimo lombardo.
Fonti e Bibl.: Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. B 116 sup., cc. 113r-116v, Pauli Bimii Orationes et poemata, Mediolani 1612, pp. 17-31; c. 131r, U. Decembrio, Carmen ad Iohannem Vicecomitum. J. de Segovia, Historia gestorum generalis synodi Basiliensis, a cura di E. Birk, in Monumenta Conciliorum Saeculi XV, II, Vindobonae 1873, pp. 363, 481, 899; Annali della Fabbrica del duomo, II, Milano 1877, pp. 89-91, 146 s.; Concilium Basiliense. Studien und Quellen zur Geschichte des Concils von Basel, a cura di J. Haller, II-IV, Basel 1897-1903, ad ind.; Notitia cleri Mediolanensis de anno 1398 circa ipsius immunitatem, a cura di M. Magistretti, in Archivio storico lombardo, XXVII (1900), pp. 10-57, 257-304.
G.A. Sassi, Archiepiscoporum Mediolanensium series historico-chronologica, III, Mediolani 1755, pp. 891-897; P. Litta, Famiglie celebri italiane, IX, Visconti di Milano, Milano 1823-1828, tav. XVI; G. Giulini, Memorie spettanti alla storia, al governo..., VI, Milano 1856, pp. 132, 187, 363, 487, 499; P. Pecchiai, L’Ospedale Maggiore di Milano nella storia e nell’arte, Milano 1927, passim; L. Prosdocimi, Il diritto ecclesiastico dello stato di Milano dall’inizio della signoria viscontea al periodo tridentino (sec. XIII-XVI), Milano 1941, passim; F. Cognasso, Il ducato visconteo da Gian Galeazzo a Filippo Maria Visconti, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, pp. 1-383; E. Cattaneo, Istituzioni ecclesiastiche milanesi, ibid., IX, Milano 1961, pp. 514-517; F. Ragni, Biumi Paolo, in Dizionario biografico degli Italiani, X, Roma 1968, s.v.; F. Troncarelli, Carcano Bernabò, ibid., XIX, Roma 1976, s.v.; F. Leverotti, Ricerche sulle origini dell’Ospedale Maggiore di Milano, in Archivio storico lombardo, CVII (1981), pp. 77-113; E. Cattaneo, Cataloghi e biografie dei vescovi di Milano dalle origini al secolo XVI, Milano 1982, pp. 25-32, 128-130; M. Tagliabue, Cronotassi degli abati di Sant’Ambrogio nel medioevo (784-1497), in Il monastero di Sant’Ambrogio nel medioevo, Milano 1988, pp. 336-340; C. Belloni, Francesco Della Croce. Contributo alla storia della Chiesa ambrosiana nel Quattrocento, Milano 1995, pp. 21 s., 48 s., 55 s., 59, 166-168, 180-182; A. Falcioni, Malatesta Carlo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXVIII, Roma 2007, s.v.; Il ducato di Filippo Maria Visconti, 1412-1447. Economia, politica, cultura, a cura di F. Cengarle - M.N. Covini, Firenze 2015 (in partic. F. Del Tredici, Il partito dello stato. Crisi e ricostruzione del ducato visconteo nelle vicende di Milano e del suo contado (1402-1417), pp. 27-69; E. Canobbio, Christianissimus princeps: note sulla politica ecclesiastica di Filippo Maria Visconti, pp. 285-318; C. Belloni, La politica ecclesiastica di Filippo Maria Visconti e il concilio di Basilea, pp. 319-364).