GIOVANNI XXII papa
Jacme Duesa (Jacques Duèse, Jacobus de Osa), nato intorno al 1245 a Cahors, di ricca famiglia borghese. Laureato in ambe le leggi, maestro di diritto civile forse a Parigi, aveva tenuto, per il favore di Carlo II d'Angiò, uffici civili in Provenza, era stato vescovo di Fréjus (1300), cancelliere del regno di Sicilia (1308), vescovo di Avignone (1310); Clemente V l'aveva creato cardinale (1312) e vescovo di Porto (1313). Dopo tempestosa vacanza di oltre due anni, fu eletto papa a Lione (7 agosto 1316), certo con l'appoggio dei re di Francia e di Sicilia; si disse anche, probabilmente a torto, per simonia. Andò ad Avignone, terra angioina, e non ne uscì mai più.
L'opera sua fu in ogni campo vastissima. Oltre alla pubblicazione delle Clementine, settimo libro delle Decretali già compiuto sotto Clemente V, e a venti costituzioni Extravagantes, si hanno col suo nome più che sessantamila lettere, non poche composte o ispirate da lui. Pronunziò discorsi sacri, pieni di fervore; compose preghiere ancora oggi diffuse; impose l'obbligo del canto sacro; incoraggiò con indulgenze la recita dell'Ave la sera. Amante della cultura, nemico del verbalismo scolastico, dell'alchimia, delle arti magiche, protesse gli studî e le università, canonizzò Tommaso d'Aquino (18 luglio 1323), fondò ad Avignone una ricca biblioteca. Fece per la crociata sacrifici non lievi, sebbene non sapesse resistere ai re, che volgevano a loro profitto decime e navi; appoggiò l'evangelizzazione dell'Oriente e dell'Africa, promovendo missioni e creando vescovati.
Energico difensore dell'ortodossia, fu severo con eretici ed ebrei, ma agl'inquisitori ordinò giustizia e misura e protesse gli ebrei dal fanatismo popolare. Particolarmente operoso nel rafforzare il potere papale, riorganizzò la Cancelleria, la Camera apostolica, l'ufficio degli uditori, richiedendo moralità e capacità; si adoperò ad accentrare nella curia il potere e le rendite ecclesiastiche, allargando la cerchia dei benefici di provvisione papale e delle "riserve", rivolgendo a favore della Camera le "annate", organizzando abilmente la riscossione delle somme dovute alla curia. Ma non seppe vedere il pericolo dell'eccessiva fiscalità, del lusso crescente della corte, dell'asservimento, vero o apparente, del papato alla Francia: di 28 cardinali, creò 23 Francesi e arricchì questi e i loro protetti; una sua decretale (19 novembre 1317) contro la pluralità dei benefici rimase lettera morta.
Clamorosa fu la sua duplice contesa francescana. Nella lunga disputa fra conventuali e spirituali prese partito per i primi, che rappresentavano a suo giudizio la misura, l'autorità, la possibilità di un apostolato efficace; dei secondi riprovò le singolarità, lo spirito d'indipendenza, le dottrine (1317-18); i ribelli furono perseguitati lieramente. Ma con i capi stessi della comunità francescana venne in contrasto, quando condannò come eretica la dottrina della povertà assoluta di Cristo e degli Apostoli (bolla Cum inter nonnullos, 12 dicembre 1323). Accusato d'eresia dal Bavaro, probabilmente per istigazione dei minori (appello di Sachsenhausen), spiegò e dimostrò con bolle assai elaborate (Quia quorumdam, 10 novembre 1324; Quia vir reprobus, 16 novembre 1329) la dottrina sua e della Chiesa, affermando essere divino il diritto di proprietà, la povertà consistere non nella rinunzia, ma nel distacco dai beni terreni. La maggior parte dei minori si sottomise, e il papa continuò a favorire questo, come gli altri ordini religiosi, e a difenderli dalle pretensioni del clero secolare. Ma fra Michele da Cesena, già generale, Guglielmo di Occam e altri stettero uniti all'imperatore contro "l'eresiarca". E il papa stesso parve dare nuovo pretesto all'accusa, negando nei suoi discorsi che i giusti entrino nella visione di Dio prima della resurrezione; la quale dottrina, che del resto affermava essere opinione sua personale e non definizione dogmatica, ritrattò, ancora con qualche riserva, soltanto sul letto di morte.
Forse le circostanze, piuttosto che la volontà sua, trassero G., che pure si adoperò attivamente per la pace fra i principi cristiani, ad attizzare la guerra. Aveva trovato, salendo alla tiara, presso che distrutta in Italia la potestà temporale della Chiesa e fiere lotte tra i ghibellini preponderanti e i guelfi: gli parve necessario ristabilire, anche con le armi, la pace per agevolare il ritorno della Sede apostolica; forse anche pensò alla creazione di un più vasto e solido stato papale. E nell'Impero aveva trovato contrastare Lodovico il Bavaro e Federico d'Austria; secondo la tradizione medievale, riconosciuta dagli stessi competitori, attribuì a sé, come investito da Dio del "diritto di comandare nel cielo e sopra la terra" (In nostram, 31 marzo 1317), il giudizio sull'elezione e il governo in sede vacante. La questione italiana e l'imperiale s'intrecciarono. Matteo Visconti, uno dei più potenti capi ghibellini d'Italia, fu scomunicato (ottobre 1317) e condannato come eretico (20 febbraio 1321, 14 marzo 1322); Roberto d'Angiò confermato dal papa vicario imperiale in Italia; il cardinale Bertrando del Poggetto, soldato e politico più che ecclesiastico, mandato come paciere (1320). Fallita "vituperosamente" una campagna di Carlo di Valois (1320), il papa bandì la crociata contro i Visconti e si accostò a Federico per averne aiuto. Ma il Bavaro fece prigioniero costui (28 settembre 1322); Galeazzo Visconti batté (1322-24) l'esercito crociato, e, sebbene il cardinale legato riuscisse ad avere in suo diretto dominio le città di Emilia e di Romagna (1322-27), rimasero i Visconti in Lombardia potentissimi. Il papa non volle riconoscere Ludovico, fautore di "eretici"; e questi si strinse ai minoriti ribelli, accusò G. di eresia, fece proprie le teorie di Marsilio da Padova e di Giovanni di Jandun, che, quasi annullando l'autorità del pontefice e della Chiesa, sottomettevano in tutto questa allo Stato. Dopo molti processi e condanne, il papa lo dichiarò formalmente eretico (28 ottobre 1327) e, scomunicati già (9 aprile) Marsilio e Giovanni, confutò e condannò le dottrine anticattoliche del loro Defensor pacis (Licet iuxta doctrinam, 23 ottobre 1327). Il Bavaro, disceso in Italia col favore dei ghibellini, si fece incoronare in S. Pietro (17 gennaio 1328) per mano di Sciarra Colonna rappresentante del popolo romano, mettendo cosi in atto le ben note dottrine della Monarchia di Dante e del Defensor pacis. E, deposto con atroci ingiurie "il prete Giacomo di Caorsa", fece eleggere dal popolo il frate minore Pietro da Corvara, Nicolò V (12 maggio 1328), mentre il papa bandiva la crociata contro di lui. Partito l'imperatore, Roma tornò (agosto 1328) e rimase nell'obbedienza del papa, che fu mite verso i ribelli e si adoperò a calmare le continue turbolenze; l'antipapa si sottomise (25 agosto 1330); il Bavaro stesso tentò di conciliarsi col papa, il quale esigeva la rinunzia di lui all'Impero, sebbene non pensasse né a deprimere questo, né a smembrarlo, come fu creduto sulla fede di una bolla (Ne praetereat), probabilmente apocrifa. Nell'Italia settentrionale fino i Visconti ottennero dal papa l'assoluzione e il vicariato di Milano (1329-30); e il cardinale Bertrando del Poggetto andava organizzando intorno a Bologna un forte dominio e faceva sperare il ritorno del papa. Ma il sospetto per gli accordi tra Giovanni di Boemia e il legato e l'insofferenza per il dominio di questo straniero condussero al crollo fulmineo della potenza dell'uno e dell'altro (1333-34): l'opera di restaurazione dello stato papale in Romagna fu interamente distrutta. Solo nel Patrimonio, dopo lunghe guerre, fu ristabilita, fuorché in Todi, l'obbedienza al pontefice. Anima energica in piccolo ed esile corpo; giovanilmente combattivo fin nell'età più tarda; pio, modesto nella vita privata, benefico, e tuttavia amante dell'esterno splendore, autoritario, impulsivo, tenace; assertore dell'autorità assoluta del pontificato, e pure fondatore del doloroso papato avignonese, G. ebbe fama contrastata. Morì "orans et psallens" il 4 dicembre 1334, quasi novant'anni. Riposò in un monumento nella cattedrale d'Avignone, che, guasto, rimane tuttavia meraviglioso.
Lettere: G. Mollat, Lettres communes, in Bibl. des éc. franç. d'Athènes et de Rome, ser. 2ª, Parigi 1904-20; A. Coulon, Lettres secrètes et curiales rélatives à la France, ibid., ser. 3ª, Parigi 1900-1913; A. Fayen, Lettres de ean XXII, Roma 1909-12; i documenti relativi al Bavaro in M. G. H., Const. et acta, V e VI; C. Cipolla, Lettere di G. XXII, riguardanti Verona e gli Scaligeri, in Atti e Mem. dell'Acc. di Verona, ser. 4ª, VIII (1908).
Bibl.: N. Valois, Jacques Duèse, in Hist. litt. de la France, XXXIV (1915); G. Mollat, Les papes d'Avignon, 6ª ed., Parigi 1930; G. Schnürer, Kirche u. Kultur im Mittelalter, Paderborn 1930, III; L. Pastor, St. dei papi, I, e suppl. a cura di A. Mercati, Roma 1931, e le opere ivi citate; art. in Neues Arch., XLVI (1926), p. 490 segg. Per l'Italia: H. Otto, Zur ital. Politik Johanns XXII., in Quell. u. Forsch., XIV (1911), p. 140 segg.; G. Biscaro, Le relaz. dei Visconti di Milano con la Chiesa, in Arch. stor. lomb., XLVI (1919); cfr. anche Arch. d. R. Soc. Rom. di st. patr., XXV (1902), p. 363 segg.; XXVI (1903), p. 249 segg.; Arch. stor. per la Sicilia Orient., XVIII (1921), p. 32 segg.