FRIGIMELICA ROBERTI, Girolamo
Nacque a Padova il 10 genn. 1653 dal conte Antonio Frigimelica, appartenente a un'antica famiglia padovana, e da Giulia Negri.
Dopo la prematura morte dei genitori il F. fu affidato alle cure dello zio paterno Girolamo, noto scienziato e professore allo Studio di Padova, il quale aggiunse al cognome del F. quello del primo marito di sua moglie Anna Alvarotti. Interessato anche all'architettura, Girolamo avviò il F. allo studio della materia. Nel 1665, grazie ai rapporti amichevoli che intercorrevano fra lo zio e il duca di Modena - e che il F. continuerà a mantenere -, fu ammesso presso il collegio dei nobili di Parma (Tognolo, 1980). Il 5 ag. 1668, all'età di quindici anni, si sposò con Chiaretta Zacco, dalla quale avrà un figlio, Antonio: rimasto vedovo contrarrà un secondo matrimonio, con la nobile veronese Maddalena Falier.
Fu un erudito e un cultore di letteratura classica; la sua passione per le attività di tipo speculativo e letterario si riflette nell'adesione all'Accademia dei Ricovrati sin dal 1675 e nella costituzione a Padova di una propria accademia di architettura.
Tra il 1675 e il 1709 pubblicò molti suoi scritti, per lo più di carattere congratulatorio in onore di esponenti della vita politica veneziana e padovana (per un elenco, v. Vedova, 1832).
Nel 1677 fu certamente a Roma. Nel 1691 divenne conservatore della Biblioteca universitaria di Padova, in sostituzione di Tommaso Ercolani, con uno stipendio superiore a quello consueto, stanziato proprio in occasione della sua nomina, "per riguardo alla persona più che alla carica" (secondo il decreto dei Riformatori dello Studio padovano: Zaccaria, 1943, p. 89). Alla biblioteca rimase dal 1691 al 1720.
Nel 1694 fece il suo esordio in qualità di librettista, componendo la sua prima "tragedia per musica", Ottone, in cinque atti. Dedicata al duca Ernesto Augusto di Brunswick-Lüneburg, l'opera fu, in quello stesso anno, pubblicata a Venezia da Nicolini e rappresentata, per il carnevale, al teatro Grimani di S. Giovanni Grisostomo, con musica di C. F. Pollarolo.
Si tratta del primo di una serie di sei libretti che il F. compose fra il 1694 e il 1696, tutti - con l'eccezione della tragedia satirica Il ciclope (Padova 1695: rappresentata in primavera al teatro Obizzi) - pubblicati a Venezia presso l'editore Nicolini e messi in scena al teatro Grimani. Alcuni di essi ebbero risonanza anche fuori Venezia, sia in Italia - come lo stesso Ottone, messo nuovamente in scena a Udine nel 1696, e l'Irene, rappresentata, oltre che a Venezia nel 1694, a Napoli nel 1704 - sia Oltralpe, come la "tragedia pastorale" Il pastore d'Anfriso, rappresentato, dopo l'esecuzione veneziana del carnevale 1695, a Brunswick (1697) e Wolfenbüttel (1699). A Roma, dove dovette tornare varie volte dopo il 1677, andò in scena nel 1695 La clemenza di Salomone, che il F. compose per il cardinale Pietro Ottoboni con cui era in stretti rapporti.
Nel 1697 fu pubblicata a Padova una sua raccolta di poesie, Epigrammi italiani, che può considerarsi "uno dei primi esempi di poesia libera dalle eccessive leziosità araldiche" (Brunelli, 1958, col. 730).
Nel 1699 il F. divenne membro dell'Accademia dei Ricovrati di Padova, dove svolse per molti anni una vivace attività di studioso e di erudito, di letterato e poeta, assai apprezzata dai membri di quella istituzione, i quali per due volte lo elessero loro "principe".
Nel 1702 uscirono a Venezia presso l'editore Rossetti le Tragedie sacre per musica…, dedicate ad Alessandro Molino provveditor generale in Terraferma.
Si tratta di una raccolta di sette libretti di argomento biblico scritti fra il 1697 e il 1702. Prive in realtà di un carattere unitario, le Tragedie comprendono tre oratori, scritti per l'Ordine delle suore orsoline di Vienna, in due parti, con dialogo e cori, di argomento tratto dall'Antico (Il trionfo della Bellezza, della Grazia e della Virtù, Vienna 1699), dal Nuovo Testamento (Gesù nel pretorio, o sia L'Innocenza giudicata dalla Malizia, ibid. 1700) e dalle vite dei santi (La corte. Noviziato nel chiostro, ibid. 1700); tre tragedie sacre in cinque atti, con accompagnamento di cori, di argomento tratto dall'Apocalisse (Il combattimento degli angioli, Venezia 1697) e dall'Antico Testamento (Jefte, ibid. 1702); e infine una cantata di Natale (Pensieri devoti per la notte del Santissimo Natale, ibid. 1702).
Dopo avere sperimentato le proprie possibilità poetiche nel campo dell'oratorio, ritornò di nuovo al libretto d'opera, con sei lavori, rappresentati tra il 1704 e il 1708 a Venezia, sempre al teatro Grimani di S. Giovanni Grisostomo.
Si tratta di libretti con soggetto storico - con l'eccezione della tragedia satirica Il Dafni, di soggetto mitologico - sia a caratteri seri, come nel caso del Mitridate Eupatore e Il trionfo della libertà, scritti per musiche di Alessandro Scarlatti (ultimi due lavori sul genere della "tragedia per musica"), sia a carattere comico, come nel caso delle tragicommedie La fortuna per dote, Il selvaggio eroe e Alessandro in Susa.
Nei proemi dei suoi melodrammi il F. aspira a delineare con razionalità quali dovessero essere le nuove regole del teatro, sulla base delle nuove esigenze, inserendosi nelle discussioni arcadiche intorno alla tragedia. Il suo punto di partenza era ancora quello aristotelico, che manteneva una sua roccaforte nell'ambiente padovano; ma egli tendeva a raccomandare una moderata flessibilità che secondasse il carattere della tragedia, che permette di distinguere in quattro tipologie: due che insistono sul terrore (le tragedie "fiere" e le "appassionate"), due che prevedono il lieto fine (le "morate" e le "giocose"). Ma i canoni estetici sostenuti dal F., soprattutto nel Discorso poetico che accompagnò il suo Alessandro in Susa (1708), non ressero all'impatto con la realtà del teatro e furono presto dimenticati.
Negli anni immediatamente precedenti al suo trasferimento a Modena, avvenuto nel 1722, lasciò spesso Padova, per recarsi a Verona e a Venezia. Nel 1722 accettò di trasferirsi presso la corte del duca di Modena Rinaldo I d'Este, in qualità di precettore del giovane principe Gianfederico: lasciò allora l'incarico di bibliotecario, ricevendo dal governo veneto una pensione annua di 200 fiorini. Terminata la sua attività di precettore, rimase presso i duchi d'Este, dai quali venne insignito del titolo di "poeta cesareo" e, in riconoscimento del suo valore di architetto, della carica di "tenente al Magistrato delle acque".
Il F. morì a Modena il 15 nov. 1732.
Dei libretti del F., con musica di C.F. Pollarolo, si ricordano, oltre a quelli citati: La Rosimonda, tragedia per musica, Venezia, teatro Grimani di S. Giovanni Grisostomo, autunno 1696 (Venezia 1696, con dedica ad Alessandro Molino, "capitan generale da Mare"); Ercole in cielo, "tragedia per musica", ibid., carnevale 1696 (ibid. 1696, con dedica al margravio Giorgio Federico del Brandeburgo).
Altri libretti del F. sono stati musicati da C.A. Badia (Gesù nel pretorio…, Vienna 1700; La corte…, ibid. 1700; Pensieri devoti…, Venezia 1702); da A. Scarlatti (Mitridate Eupatore, ibid. 1707, con dedica al conte Adam Heinrich von Steinau; Il trionfo della libertà, ibid. 1707); da A. Caldara (Il selvaggio eroe, ibid. 1707); da L. Mancia (Alessandro in Susa, ibid. 1708).
A partire dal soggiorno parmense il F. ricevette un'istruzione teorica sul disegno e la progettazione lontana dai problemi pratici con i quali erano soliti cimentarsi i giovani apprendisti in uno studio professionale di architettura, tanto che tutta la sua attività fu improntata a un generale dilettantismo. Compì numerosi viaggi nelle città emiliane e a Roma, dove ebbe modo di osservare da vicino le opere dei maestri del barocco, e a questa esperienza è probabile si debba lo stile sperimentato nei suoi lavori di architettura, nei quali si nota un innegabile distacco dalla consolidata tradizione veneta di stampo palladiano. Della sua accademia di architettura facevano parte architetti più giovani, fra i quali i più noti furono Giovanni Gloria e Sante Benato, che lo aiutarono nella conduzione dei lavori per la costruzione della Biblioteca universitaria di Padova e della villa Pisani a Stra. L'incarico di conservatore presso la Biblioteca universitaria gli permise di ampliare le sue possibilità di misurarsi con la direzione di veri e propri progetti di architettura. Il primo di essi, probabilmente inviato in forma sommaria, fu quello per il duomo di Rovigo, che dovrebbe risalire a circa il 1697.
La pianta ha un andamento che richiama immediatamente lo schema del Gesù di Roma: a una nave centrale molto larga, conclusa da un luminoso coro allungato a terminazione circolare, sono affiancate due navate laterali suddivise in cappelle e interrotte da un ampio transetto sormontato al centro da una cupola. All'esterno la facciata è incompiuta, ma le volute laterali del rustico preludevano ugualmente a una fronte che aveva come modello diretto quella della chiesa romana cinquecentesca. Già in questa prova il F. dimostrò l'incidenza di un modello sempre attuale nell'architettura ecclesiastica della stessa Roma settecentesca e, quindi, la sua tendenza a elaborare quegli spunti progettuali che riteneva maggiormente in linea con la fase finale della grande architettura barocca della città.
Il dilettantismo professionale del F. si rivela nella mancanza di continuità a cui è soggetta la sua opera. Anche se fu attivo per il rifacimento interno della cattedrale di Padova fra il 1694 e il 1722 disegnando una pianta e una sezione per il progetto esecutivo (Padova, Sagrestia della cattedrale), si risolse in un nulla di fatto l'ipotesi per la nuova facciata, che dalle fonti scritte e dal disegno in pianta doveva apparire suddivisa in tre ordini di finestre con edicole neocinquecentesche e provvista di un portico terreno. Solo nel 1717 il F. ebbe modo di avviare una serie di iniziative di un certo rilievo, che seguì fino al 1722, quando, in lite con i figli Antonio e Gian Andrea, accettò l'offerta del duca Rinaldo I d'Este di trasferirsi a Modena come precettore del figlio Gian Federico, facendo ritorno nella città natale solo due volte, nel 1726 e nel 1727.
Il progetto per la nuova Biblioteca universitaria era stato affidato in un primo tempo all'architetto veneziano Domenico Margutti, il quale lo presentò ai riformatori il 18 ag. 1717 in cinque grandi tavole tuttora conservate presso l'Archivio dell'università di Padova. Ma esso, che prevedeva un atrio ovale giustapposto a una vasta sala di lettura rettangolare coperta da un'alta volta a botte, non piacque ai rettori dello Studio e soprattutto al F., che lo giudicò eccessivamente licenzioso in alcuni particolari decorativi. Al principio del 1718 il F. presentò una sua ipotesi progettuale accompagnata da una lunga relazione descrittiva conservata nella biblioteca del Museo civico di Padova, dove ne sottolineava l'aderenza ai più schietti dettami vitruviani.
In effetti, dai quattro disegni che ci sono pervenuti (Padova, Antico Archivio dell'università) si nota la scarna struttura del corpo di fabbrica scatolare, la cui disposizione in pianta doveva essere stata ideata dal F. seguendo strettamente le esigenze di gestione di una biblioteca. Con la sua partenza per Modena il progetto non fu più eseguito.
Il F. ebbe maggior fortuna con le commissioni conferitegli negli stessi anni dai fratelli Almorò e Alvise Pisani, quest'ultimo riformatore allo Studio di Padova. In seguito a un primo incarico affidato al F. per una nuova ala aggiunta al palazzo veneziano su campo S. Stefano, dove avrebbe dovuto trovare posto la loro grande biblioteca, i Pisani decisero di evitare un completo rifacimento della facciata sul Canal Grande e di concentrare il loro sforzo economico sulla ricostruzione della villa di Stra, che già apparteneva alla famiglia. Inoltre, fra il 1714 e il 1719, Alvise Pisani finanziò la ricostruzione della chiesa parrrocchiale di Biadene, diretta da un architetto identificabile con largo margine di probabilità nel F., considerati gli stretti rapporti di fiducia e collaborazione che questi intratteneva con la famiglia veneziana e la stretta somiglianza fra la facciata della chiesa di Biadene e quella posteriore progettata dal F. per la chiesa di S. Giovanni Battista a Modena. L'ampiezza di vedute e l'elevato grado sociale dei commmittenti fu causa determinante per le soluzioni previste dal F. per i vari edifici della villa di Stra, dei quali, prima della sua partenza per Modena, ebbe modo di realizzare solo quelli minori e non il palazzo principale, che fu costruito secondo il progetto successivo di Francesco Maria Preti, ma per il quale il F. fece intagliare un grande modello finito nel 1728 (Venezia, Civico Museo Correr).
I primi lavori per la grande villa risalgono al 1718, ma si protrassero fino al 1735. La vastità dell'insieme è sintomo immediato di come il F. avesse mirato a riproporre lo schema distributivo di un castello del barocco francese. Perpendicolare al palazzo, posto al centro di un'ansa formata dal fiume Brenta, una lunga vasca costituisce l'asse principale della composizione planimetrica, concluso dall'edificio delle scuderie. Il palazzo, come lo vediamo nel modello ligneo del Correr, ha pianta quadrangolare con due cortili interni e quattro contrafforti angolari che gli conferiscono un aspetto fortificato, enfatizzato anche dal piano basamentale bugnato sul quale si elevano i due piani superiori. Le due facciate principali sono molto diverse l'una dall'altra. Probabilmente quella provvista di un avancorpo centrale sormontato da un timpano avrebbe dovuto essere rivolta verso il fiume, mentre verso le scuderie avrebbe dovuto trovarsi l'altra fronte, caratterizzata da un'imponente loggia architravata su colonne che si sviluppa al centro di entrambi i piani nobili. In asse con le aperture centrali di tali logge, più ampie di quelle laterali, si trova un grande orologio a coronamento del prospetto, una soluzione ornamentale che rievoca innegabilmente quello del palazzo di Montecitorio a Roma e i numerosi esemplari presenti su molti disegni attribuiti a Carlo Fontana e alla sua scuola di giovani architetti romani. L'eclettismo stilistico del F. è palese nell'accostamento di motivi francesi, romani e veneti, fra i quali ultimi spicca il pronao su colonne delle scuderie, posto al centro fra due ali concave rivestite a bugnato che rimandano alle tradizionali barchesse palladiane. Degli altri edifici minori del giardino, dei quali si conservano ugualmente modelli lignei presso il Museo Correr, si ricordano la singolare esedra, a pianta centrale e di chiara reminiscenza borrominiana, e il portale del Belvedere, dove traspaiono alcune ingenuità compositive, come le scale a chiocciola che si avvitano intorno alle due grandi colonne laterali e conducono alla terrazza superiore.
Al 1718 e al 1721 risalgono rispettivamente i progetti per le chiese di S. Maria del Torresino a Padova e di S. Gaetano a Vicenza. La prima, preceduta da un atrio, fu edificata a pianta circolare con tre absidi tonde estradossate dal muro perimetrale.
L'altare maggiore si trova al centro dell'edificio, in uno spazio ottagonale limitato da una peristasi colonnare, che all'esterno corrisponde alla singolare torretta che spicca al centro della copertura, in ricordo del tracciato delle antiche mura che in origine passavano per il sito della chiesa. La chiarezza compositiva di questa fabbrica, terminata nel 1722, riecheggia ancora una volta modelli romani antichi e moderni, come il Pantheon e la chiesa berniniana dell'Assunta ad Ariccia.
Alla comunità religiosa dei teatini il F. lasciò invece il progetto per la chiesa vicentina di S. Gaetano, ad aula con cappelle laterali, realizzata in anni susseguenti il 1720. Qui le caratteristiche dell'interno sono la presenza tutta barocca di colonne libere disposte a coppie lungo i muri laterali, a sostegno della trabeazione superiore, e soprattutto la serliana monumentale, anch'essa sorretta da colonne, che inquadra l'altare maggiore. Lo stile magniloquente proprio del tardo Seicento romano influenza anche la fronte della chiesa, a sua volta tripartita in tre settori delimitati da colonne al centro e da paraste murarie sui lati. A Modena, dove rimase fino alla morte, il F. in qualità di luogotenente al Magistrato delle acque ebbe modo di progettare e dirigere, oltre ad opere d'ingegneria, anche la costruzione della chiesa di S. Giovanni Battista, iniziata nel 1723, che con la sua pianta ovale orientata in senso trasversale richiama ancora una volta un esempio berniniano, S. Andrea al Quirinale, i cui contrafforti laterali sono ugualmente presenti nella chiesa modenese.
Fonti e Bibl.: La fonte principale per le notizie sulla vita del F. è l'Archivio Frigimelica Selvatico, conservato all'Archivio comunale di Padova: si segnalano in particolare le buste 65, 128, 218, 407, 489. Un'altra fonte di rilievo sono le Memorie dell'architetto G. F. di P. Selvatico (ms. 1823), Padova, Biblioteca del Museo Civico (ms. B.P. 5327 I A). Si veda inoltre: P. Chevalier, Memorie architettoniche sui principali edifici della città di Padova, Padova 1831, pp. 114 s., 157 s.; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, I, Padova 1832, pp. 433-436; G. Campori, Artisti italiani negli Stati Estensi, Modena 1855, pp. 219, 499; N. Pietrucci, Biografie degli artisti padovani, Padova 1858, p. 121; P. Estense Selvatico, Guida di Padova e dei principali suoi contorni, Padova 1869, pp. 215 ss.; D. Alaleona, Studi sulla storia dell'oratorio in Italia, Torino 1908, pp. 15 ss.; M. Zaccaria, L'architetto G. F. e il suo progetto della Biblioteca universitaria, Padova 1943; Catalogo delle cose d'arte e di antichità d'Italia, E. Arslan, Vicenza, I, Le chiese, Roma 1956, pp. 94 s.; B. Brunelli, in Encicl. dello spettacolo, V, Roma 1958, col. 730; R.S. Freeman, Opera without drama: currents of change in Italian opera, 1675 to 1725…, Ph.D. Diss., Princeton University, 1967; K. Leich, G. F. R. Libretti (1694-1708): ein Beitrag insbesondere zur Geschichte des Operlibrettos in Venedig, München 1972; G. Soli, Chiese di Modena, II, Modena 1974, p. 147; G. Bresciani Alvarez, La cattedrale. La chiesa del Torresino, in Padova. Basiliche e chiese, a cura di C. Bellinati - L. Puppi, I, Vicenza 1975, pp. 91-96; Id., L'architettura civile del Barocco a Padova, in Padova. Case e palazzi, a cura di L. Puppi - F. Zuliani, Vicenza 1977, p. 172; Id., Le fasi costruttive e l'arredo plastico-architettonico della cattedrale, in Il duomo di Padova e il suo battistero, Padova 1977, pp. 87-136; R. Zanetti, La musica italiana nel Settecento, I, Busto Arsizio 1978, pp. 37, 59, 79, 114, 118, 148; B.M. Tognolo, Nuovi contributi sulla formazione e sulle esperienze romane di G. F., in Bollettino del Museo civico di Padova, LXVIII (1979), pp. 69-92; Id., Documenti inediti per la biografia di G. F., in Padova, XXVI (1980), 4, pp. 3-9; A.L. Bellina - B. Brizi, Il melodramma, in Storia della cultura veneta, 5, Il Settecento, I, Vicenza 1985, pp. 339, 342-347, 350, 362; E. Bassi, Villa Pisani, in Ville della provincia di Venezia, Milano 1987, pp. 232-283; A. Mariuz - G. Pavanello, La chiesa settecentesca di Biadene e il primo affresco di Giambattista Tiepolo, Biadene 1988, p. 10; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XVI, pp. 486 s.; The New Grove Dict. of music and musicians, VI, pp. 853 s.
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