SAVONAROLA, Girolamo
– Nacque a Ferrara il 21 settembre 1452, terzogenito di Niccolò, mercante, e di Elena Bonacossi, e fu battezzato con il nome di Girolamo Maria Francesco Matteo. Il nonno paterno era il celebre medico Michele, trasferitosi da Padova a Ferrara alcuni anni prima per lavorare alla corte degli Este.
Fu proprio il nonno il primo insegnante di Savonarola, per il quale venne inizialmente prospettata la strada dello studio della medicina. Fu in quest’ottica che il giovane Savonarola si dedicò allo studio di lettere latine, logica e filosofia. Un agiografo a lui vicino racconta di una sua infatuazione giovanile per una tale Laudomia Strozzi, che lo avrebbe rifiutato perché la sua famiglia non era abbastanza nobile (Luschino, 2002, pp. 22 s.). Appena ventenne, nel 1472, compose il primo scritto di cui abbiamo notizia, il De ruina mundi, una canzone in versi nella quale riflette sulla corruzione morale del mondo, dando prova del travaglio interiore che lo scuoteva già in quel periodo. E nel 1475 fu il turno di un’altra breve opera in versi, il De ruina Ecclesiae, incentrata sul degrado della Chiesa dell’epoca, nostalgicamente paragonata a una Chiesa primitiva contraddistinta da umiltà e virtù.
La svolta della sua vita si consumò però il 24 aprile 1475, quando decise di fuggire dalla casa paterna e percorrere a piedi la strada che lo separava da Bologna per entrare nel convento domenicano di S. Domenico. Con una lettera indirizzata al padre, spiegò che il suo gesto era dovuto alla volontà di abbandonare un mondo dominato dal vizio, dall’ingiustizia e dal peccato. Presi i voti e completato l’anno di noviziato, il giovane Savonarola emise la professione, per poi iniziare a studiare teologia e avviare la sua formazione da predicatore. Divenne diacono nel 1477 e a circa due anni di distanza con tutta probabilità iniziò a insegnare logica ai novizi del convento domenicano di S. Maria degli Angeli a Ferrara.
Risale a poco più tardi il suo primo incarico fiorentino, datato aprile 1482: Savonarola, all’epoca quasi trentenne, fu assegnato allo stesso convento di S. Marco che alcuni più tardi lo avrebbe visto recitare un ruolo da protagonista. Firenze era all’epoca la culla del Rinascimento, dominata dalla figura di Lorenzo il Magnifico e caratterizzata da una singolare commistione di sacro e profano. S. Marco gravitava nell’orbita della famiglia Medici ed era frequentata dai letterati dei circoli laurenziani. In questo contesto, Savonarola fece fatica ad affermarsi e ad essere apprezzato dal pubblico, in parte per il suo accento forestiero e in parte per uno stile predicatorio ancora acerbo e fortemente legato al formalismo scolastico medievale. Stando a quanto raccontato da lui stesso anni dopo, risale a questo periodo (1484) la prima illuminazione divina sui flagelli che si sarebbero dovuti abbattere sulla Chiesa. Un episodio che non rimase senza seguito, se è vero che quando Savonarola predicò a San Gimignano, per i due quaresimali del 1485 e 1486, il suo pubblico ebbe occasione di assistere non solo ai consueti richiami contro il degrado morale, ma anche alle prime predizioni delle future tribolazioni.
Completato nel 1487 l’incarico fiorentino, contrariamente alle aspettative Savonarola non continuò il percorso accademico già avviato nello Studio di Bologna. Riprese invece l’attività predicatoria, iniziando dalla sua Ferrara, ancora una volta a S. Maria degli Angeli. Non è noto moltissimo della sua predicazione negli anni immediatamente successivi, ma certamente tra i pulpiti che lo videro protagonista ci furono quelli di Brescia, di altre città lombarde, e di Genova. Nel corso della predicazione bresciana (30 novembre 1489) avrebbe predetto un terribile flagello in arrivo sulla città, una profezia poi avveratasi con il sacco francese del 1512, ma si tratta di un racconto post eventum di cui non esistono conferme.
Si arriva così al maggio-giugno 1490, quando Savonarola approdò per la seconda volta, e definitivamente, a Firenze, ancora in qualità di lettore nel convento di S. Marco. Nella sua assegnazione furono determinanti le pressioni di Lorenzo il Magnifico, signore de facto della città, probabilmente consigliato dal filosofo Giovanni Pico della Mirandola, che aveva conosciuto Savonarola anni prima.
A Firenze il 1° agosto 1490 avviò un ciclo di lezioni sull’Apocalisse con uno stile diverso da quello del suo primo soggiorno cittadino: sermoni ininterrotti, secondo il modello del sermo modernus, una voce più sicura e autorevole, maggiore maturità ed esperienza, e tematiche più radicali basate sull’idea di un impietoso castigo divino contro i peccatori. Queste lezioni, non prive di una marcata connotazione sociale legata all’attacco contro i potenti corrotti e alla difesa dei più deboli, furono molto più fortunate della precedente predicazione fiorentina, e non tardarono a fare breccia nel pubblico, che accorreva sempre più numeroso.
Nella primavera del 1491 la considerazione di cui godeva Savonarola venne ulterormente comprovata dalla sua elezione a priore del convento di S. Marco (16 maggio) e dalla decisione di mettere a sua disposizione la chiesa più grande e prestigiosa della città: il duomo di S. Maria del Fiore. Fu questo il teatro delle prediche del quaresimale, la più nota delle quali è la cosiddetta terrifica praedicatio (27 febbraio), che conteneva un veemente attacco contro i peccati della Chiesa, di Firenze e dell’Italia accompagnato dall’annuncio di un’imminente flagello purificatore. Il quaresimale successivo, quello del 1492, si tenne nella basilica di S. Lorenzo, altra chiesa strettamente legata alla famiglia Medici, e fu incentrato sul libro della Genesi. Il 6 aprile, dopo una notte insonne per la caduta della lanterna della cupola del duomo colpita da un fulmine, Savonarola avrebbe pronunciato dal pulpito, per la prima volta, una frase che sarebbe diventata celebre: «Ecce gladius Domini super terram cito et velociter», evocando genericamente un flagello divino che si sarebbe abbattuto molto presto su Firenze e l’Italia. L’uditorio sarebbe rimasto profondamente scosso da quella profezia, e quando, soltanto due giorni più tardi, morì il signore di Firenze Lorenzo il Magnifico, i fiorentini non avrebbero esitato a ricollegare l’evento alla spada del Signore appena annunciata. Stando a quanto raccontato in seguito, Savonarola avrebbe anche predetto l’arrivo di un Nuovo Ciro, destinato ad attraversare le Alpi per rinnovare la Chiesa e castigare l’Italia.
Il crescente seguito di cui godeva Savonarola si tramutò ben presto in maggiore potere. Il 22 maggio 1493, dopo un lungo braccio di ferro, venne portato a termine il processo che poneva il convento di S. Marco alle dirette dipendenze dell’Ordine, rendendolo indipendente dalla Congregazione lombarda a cui prima apparteneva. Il provvedimento, fortemente voluto da Savonarola, affrancava S. Marco dalla dipendenza da altri conventi, accrescendone notevolmente i margini di autonomia. Inoltre, nello stesso mese il priorato di Savonarola venne eccezionalmente prolungato (la carica non sarebbe dovuta durare più di due anni) e in novembre il frate – che godeva del sostegno del nuovo signore di Firenze Piero de’ Medici e del generale dell’Ordine Gioacchino Torriani – venne anche nominato provinciale della neonata Congregazione romana. In seguito, nel 1495, l’autonomia di S. Marco venne ulteriormente accresciuta dalla nascita della congregazione omonima, di fatto guidata da Savonarola.
L’intensa attività predicatoria e diplomatica di quel periodo non distolse Savonarola dalla redazione di scritti minori, caratterizzati da temi diversi ma dall’intento comune di indicare a religiosi e laici la strada per la salvezza. Tra gli altri, vale la pena di ricordare il Libro della vita viduale, il Trattato in defensione e commendazione dell’orazione mentale, e il Trattato dell’amore di Gesù Cristo (tutti pubblicati in edizione moderna in G. Savonarola, Operette spirituali, a cura di M. Ferrara, Roma 1976).
Si era ormai a ridosso degli eventi che avrebbero cambiato la storia di Firenze. Nel 1494 il re di Francia Carlo VIII di Valois si risolse a invadere l’Italia alla testa di un esercito per occupare il Regno di Napoli: varcate le Alpi a settembre, iniziò a discendere la penisola e a novembre arrivò alle porte di Firenze. Piero de’ Medici, il figlio del Magnifico non all’altezza del suo predecessore, fu incapace di gestire adeguatamente la delicatissima situazione che si venne a creare: scavalcando le istituzioni repubblicane, concesse al re denaro e piazzeforti, suscitando l’ira di un popolo infiammato dalle prediche di Savonarola. Agli occhi dei fiorentini, Carlo VIII era la spada del Signore e il Nuovo Ciro profetizzati dal frate, e quell’esercito spietato era la materializzazione dell’annunciato flagello che si stava abbattendo sull’Italia per punirla dei suoi peccati.
La Signoria di Firenze si rifiutò di ratificare gli accordi firmati da Piero, che il 9 novembre fu cacciato dalla città mentre il popolo si sollevava contro i Medici. Nello stesso giorno Savonarola incontrò Carlo VIII a capo di una delegazione diplomatica, voluto a furor di popolo dai fiorentini che dovevano percepirlo come un intermediario tra Firenze e Dio e ritenerlo più affidabile di qualsiasi altro rappresentante istituzionale. E quando, il 17 novembre, il re entrò in Firenze, dove si trattenne per dodici giorni, fu ancora il frate il protagonista delle negoziazioni.
Nei giorni successivi Savonarola fu abile a ridefinire il suo ruolo di fronte a una città nel caos: non più solo guida spirituale ma anche guida politica. Il successo delle trattative, con Firenze uscita indenne dal passaggio del temutissimo esercito francese, venne comprensibilmente ascritto a Savonarola, riconosciuto ora non soltanto come il vero profeta che aveva previsto l’arrivo di un terribile flagello, ma anche come colui che aveva saputo miracolosamente sventarlo. L’alleanza politica tra Firenze e la Francia suggellata in quell’occasione era legata a doppio filo alle profezie savonaroliane e al ruolo che il monarca ricopriva nel quadro apocalittico tracciato dal frate.
Forte di un credito politico inimmaginabile soltanto pochi giorni prima, Savonarola fu il punto di riferimento al quale i fiorentini, orfani dei Medici, guardarono per capire come uscire da quella fase di impasse istituzionale.
E Savonarola non esitò a indicare la strada da percorrere attraverso le sue prediche, con il ciclo dell’avvento 1494 ispirato al profeta Aggeo (Prediche sopra Aggeo, con il Trattato circa il reggimento e governo della città di Firenze, a cura di L. Firpo, Roma 1965). In questi sermoni l’aspetto apocalittico, quello politico e quello religioso sono praticamente inscindibili: la cacciata dei Medici è un’opera di Dio, mentre Firenze è la Nuova Gerusalemme, la città eletta destinata a essere ricca e gloriosa, ma a condizione che i suoi cittadini seguano le indicazioni di Savonarola.
Le indicazioni di Savonarola riguardavano, tra le altre cose, nuovi provvedimenti legislativi da emanare e il nuovo assetto istituzionale da dare a Firenze. A questo proposito, si schierò apertamente in favore di un governo popolare ‘largo’, contrapposto al modello ‘stretto’ dei Medici, in cui l’accesso alle cariche istituzionali era riservato a una ristrettissima élite di ottimati. L’organo che incarnava questa nuova visione dello Stato era il Consiglio grande o Consiglio maggiore (istituito il 23 dicembre), la nuova assemblea legislativa fortemente voluta da Savonarola, estesa a un numero di cittadini talmente grande che per le sue assemblee si rese necessaria la costruzione di una nuova sala (il salone dei Cinquecento in palazzo della Signoria).
Nel frattempo, Firenze si andava dividendo sempre più nettamente tra sostenitori e oppositori di Savonarola, una figura divisiva che imponeva una scelta di campo radicale. I primi consideravano il frate un vero profeta e un santo dalla vita esemplare, mentre per i secondi Savonarola era un subdolo impostore che ingannava i seguaci per la sua sete di potere. I sostenitori del frate vennero dispregiativamente etichettati come ‘piagnoni’ o ‘frateschi’, mentre gli oppositori si articolavano in ‘bigi’ o ‘palleschi’ (filomedicei) e in ‘arrabbiati’ (antimedicei, fautori di uno Stato senza Medici e senza Savonarola).
Nella visione di Savonarola, la riorganizzazione dello Stato passava anche per una pacificazione generale, che superasse la rivalità tra fazioni che da sempre minava il dibattito politico. Predica dopo predica, il frate riuscì faticosamente a far votare la lex pacis et appellationis (19 marzo 1495), che implicava un’amnistia per i precedenti reati politici e prevedeva la possibilità di fare appello contro le decisioni della Signoria. Con questo controverso provvedimento Savonarola mirava a ridurre la conflittualità politica, appianare i contrasti del passato e limitare lo strapotere dell’organo esecutivo, scongiurando il rischio di decisioni arbitrarie legate alla partigianeria dello schieramento al potere. Tra i cardini attorno ai quali ruotava il programma politico e sociale di Savonarola erano anche il concetto di bene comune – contrapposto all’idea di una precedente ‘tirannide’ medicea – e una maggiore giustizia sociale, da perseguire soprattutto attraverso la riduzione della sperequazione fiscale. Rientrano in quest’ottica l’introduzione della decima (febbraio 1495), un’imposta fondiaria che gravava sui cittadini in base alla loro ricchezza, e l’istituzione del Monte di pietà (dicembre 1495), un banco dei pegni creato per sottrarre i più poveri alla morsa dell’usura.
Le riforme istituzionali si inserivano però in un quadro molto più ampio, che partiva dalla renovatio Ecclesiae: la purificazione di una Chiesa corrotta e il ritorno a una Chiesa semplice e povera sul modello dei primi cristiani. I flagelli che dovevano abbattersi su papa e prelati erano parte integrante di questo disegno. Ma il profondo rinnovamento immaginato da Savonarola non riguardava solo i religiosi e passava per la moralizzazione di ogni sfera dell’agire individuale e collettivo, dalle pratiche sessuali al gioco, dall’arte all’abbigliamento alla musica. Nella visione del frate, tutti questi ambiti dovevano essere improntati a una rigida purificazione spirituale finalizzata alla gloria di Dio; solo così Firenze avrebbe percorso il cammino di redenzione che le avrebbe consentito di ottenere le felicità promesse. Con la celebre predica «della renovazione della Chiesa» del 13 gennaio 1495 (Prediche sopra i salmi, a cura di V. Romano, Roma 1969-1974, I, pp. 37-62), Savonarola rivendicò l’avveramento delle sue profezie passate e rilanciò l’immagine della spada del Signore pronta ad abbattersi su coloro che non avessero aderito all’imminente renovatio Ecclesiae.
Le critiche di Savonarola a papato e prelati non potevano lasciare indifferente il pontefice dell’epoca, Alessandro VI Borgia, allarmato anche per le ingerenze politiche del frate e per le sue riforme sociali. Più di tutto, però, la divergenza tra pontefice e frate riguardava la politica estera: Alessandro VI premeva per l’entrata di Firenze nella lega antifrancese contro Carlo VIII, mentre Savonarola non poteva schierarsi contro il monarca francese senza compromettere irrimediabilmente la sua stessa credibilità profetica. Il 21 luglio 1495 Alessandro VI emise un breve con il quale convocava Savonarola a Roma per un chiarimento sulla sua predicazione. Il frate, consapevole dei rischi che quel viaggio comportava, si rifiutò di obbedire e rispose adducendo delle scuse e suggerendo la lettura del suo Compendio di rivelazioni per qualsiasi delucidazione sulla sua missione profetica.
Nel Compendio di rivelazioni (Compendio di rivelazioni e Dialogus de veritate prophetica, a cura di A. Crucitti, Roma 1974), una delle sue opere più note, Savonarola ripercorre la storia della sua missione profetica e offre una sintesi delle sue principali illuminazioni. La visione della spada del Signore e quella del Nuovo Ciro, poi adempiutesi con l’arrivo di Carlo VIII, sono solo due delle molte profezie di cui Savonarola vanta l’avveramento in base a recenti avvenimenti.
Il Compendio venne pubblicato nell’estate del 1495 sia in latino sia in volgare, e conobbe poi una straordinaria diffusione anche al di fuori dei confini italiani.
L’affronto di Savonarola non poteva essere perdonato: l’8 settembre Alessandro VI emanò un altro durissimo breve, nel quale accusava fra Girolamo di disobbedienza e di propagare un «dogma perverso», mentre la sua rivendicazione profetica era condannata senza appello. Ancora più grave, per i suoi riflessi pratici, era il divieto di predicare contenuto nel breve, che costrinse Savonarola al silenzio per quasi tutto l’avvento del 1495, silenzio solo in parte compensato dalla stesura di alcuni scritti polemici e dalle prediche del suo braccio destro fra Domenico Buonvicini da Pescia. Con la sua successiva lettera al papa, il frate cercò di gettare acqua sul fuoco, pur senza cedere all’ingiunzione relativa al viaggio a Roma, e anche il successivo breve papale (16 ottobre) era caratterizzato da toni meno intransigenti del precedente.
Complici le manovre diplomatiche e le pressioni della Signoria, nella Quaresima del 1496 a Savonarola fu consentito di tornare a predicare. Il frate incentrò i suoi sermoni sui libri dei profeti Amos e Zaccaria (Prediche sopra Amos e Zaccaria, a cura di P. Ghiglieri, I-III, Roma 1971-1972) ed ebbe a sua disposizione la platea più grande della città: quella del duomo. Reduce da diversi mesi di silenzio forzato, non esitò a rilanciare la sua polemica contro i tiranni, i dissoluti e i tiepidi, senza risparmiare gli attacchi al clero corrotto e l’immancabile menzione delle future tribolazioni.
Il maggio 1496 fu segnato dalla fine del priorato di Savonarola a S. Marco, anche se egli rimase vicario generale della Congregazione omonima. Egli aveva saputo introdurre nel convento un modello di vita religiosa particolarmente austero e rigoroso, attraendo un gran numero di novizi – inclusi molti noti uomini di cultura – e facendo a tutti gli effetti di S. Marco non soltanto l’epicentro del suo modello di riforma, ma anche un importante polo spirituale, culturale e politico della vita cittadina.
Un nuovo colpo di Alessandro VI al potere di Savonarola arrivò nell’autunno successivo. Il 7 novembre 1496 il pontefice emanò un nuovo breve, con il quale decretava, sotto pena di scomunica, la soppressione della Congregazione di S. Marco e l’annessione del convento fiorentino alla neonata Congregazione tosco-romana. Per tutta risposta Savonarola, ben consapevole delle implicazioni di un provvedimento che ridimensionava fortemente la sostanziale autonomia di cui S. Marco aveva goduto fino a quel momento, scrisse e fece circolare l’Apologeticus fratrum Congregationis Sancti Marci, nel quale argomentava la sua ferma opposizione al breve papale.
Il 30 novembre Savonarola diede inizio a un nuovo ciclo di sermoni, quello sul profeta Ezechiele, poi protrattosi fino al maggio del 1497 (Prediche sopra Ezechiele, a cura di R. Ridolfi, I-II, Roma 1955). I primi due mesi del 1497 furono caratterizzati dal gonfalonierato di Francesco Valori, savonaroliano radicale e risoluto, nel corso del quale l’attuazione dell’agenda di riforma di fra Girolamo conobbe una netta accelerazione. In conformità con quanto richiesto da Savonarola, leggi furono approvate dal Consiglio Grande per regolamentare l’abbigliamento femminile, per punire più severamente sodomia e gioco d’azzardo, e per accordare maggiori poteri ai ‘fanciulli’ fiorentini.
I cosiddetti fanciulli di Savonarola erano bande di giovani di cui il frate si servì (secondo alcuni aiutandoli, secondo altri sfruttandoli) per operare un capillare controllo sul territorio con riferimento a tutti quei comportamenti che venivano ritenuti immorali, dal gioco alla prostituzione, dagli ornamenti femminili alle bestemmie.
I primi mesi del 1497 furono anche segnati dall’episodio che forse più di tutti è rimasto legato all’immagine di Savonarola nella memoria collettiva. In occasione del Carnevale, decise di organizzare uno spettacolare evento per celebrare visivamente l’idea di riforma morale che da tempo andava promuovendo dal pulpito. Si trattava del cosiddetto falò delle vanità, che completava la trasformazione del Carnevale da festa pagana e trasgressiva in festa religiosa, già avviata da tempo da fra Girolamo. Il 7 febbraio, giorno di martedì grasso, una grande struttura lignea fu edificata in piazza della Signoria, dove venne accatastata e bruciata un’enorme moltitudine di oggetti che Savonarola riteneva lascivi, immorali o peccaminosi: ornamenti femminili, strumenti musicali, opere d’arte, libri, specchi e carte da gioco. Non si poteva trovare una rappresentazione più efficace per la rinuncia ai beni superflui e a ogni forma di dissolutezza che per Savonarola era parte integrante del processo di redenzione destinato a trasformare Firenze nella Nuova Gerusalemme. L’evento fu seguito da una folla enorme e accompagnato da un grande entusiasmo di popolo, oltre che da un rituale religioso – messa, processione e laudi – che ne rendeva ancora più chiaro il significato.
Ma se il falò delle vanità, pur non scevro da critiche, fu un indiscusso successo, quel clamoroso spettacolo di piazza doveva costituire l’apice della parabola savonaroliana, subito prima dell’inizio di un declino irreversibile. Molte erano le ragioni di scontento dei fiorentini verso il frate, soprattutto perché i loro sacrifici non sembravano essere ripagati dalla gloria e la ricchezza annunciate per la loro città. Un crescente malumore era provocato dall’opera di moralizzazione forzata, che comportava un asfissiante controllo su moltissimi aspetti della vita pubblica e privata. A questo vanno aggiunti l’insoddisfazione degli ottimati per il succedersi di riforme fiscali e istituzionali che li danneggiavano economicamente e politicamente, e una carestia che portò con sé crisi economica e disoccupazione. Un peso determinante lo ebbero anche le tensioni con il pontefice – la cui minaccia di interdetto era vista con terrore, in particolare dai mercanti – e la delusione verso Carlo VIII, che sembrava avere dimenticato le promesse fatte a Firenze.
Il mutato clima politico fu certificato, a partire dal marzo 1497, dall’elezione di gonfalonieri antisavonaroliani per due consecutivi mandati bimestrali. Fu quello un periodo irto di difficoltà per Savonarola, che dovette fronteggiare un tentativo di colpo di mano militare organizzato da Piero de’ Medici alle porte di Firenze e un nuovo divieto della predicazione. Durante la celebre predica dell’Ascensione (4 maggio), fu addirittura ridotto al silenzio dal tumulto di un gruppo di oppositori e dovette lasciare la chiesa. Nel frattempo a Firenze si combatteva un’aspra battaglia libellistica condotta a colpi di scritti pro e contro Savonarola.
Era l’inizio della fine, sancito inequivocabilmente dal provvedimento che cambiò per sempre la storia di Savonarola: il breve di scomunica emanato da Alessandro VI il 12 maggio 1497. Nel testo si accusava il frate di avere divulgato una «pernitiosa dottrina» e di avere ignorato le ingiunzioni del pontefice relative alla convocazione a Roma, al divieto di predicare e all’istituzione della Congregazione tosco-romana. E il provvedimento puntava non soltanto a colpire personalmente Savonarola, ma anche a fare terra bruciata attorno a lui, in quanto la scomunica sarebbe stata estesa a chiunque avesse intrattenuto rapporti con il frate o seguito le sue prediche. Fra Girolamo rispose prontamente con due lettere pubbliche, Contro la escomunicazione surrettizia e Contra sententiam excommunicationis, difendendo la sua disobbedienza di fronte alle precedenti ingiunzioni papali e provando a spacciare il breve di scomunica per uno dei flagelli da lui profetizzati.
In seguito alla scomunica, com’era prevedibile, il solco che divideva piagnoni e arrabbiati si fece ancora più incolmabile. Quel provvedimento poneva i seguaci di fronte a un bivio: restare con Savonarola voleva dire mettersi contro il capo della Chiesa di Roma, ed erano sempre di meno quelli disposti a compiere una scelta così radicale. Quei pochi, tuttavia, erano straordinariamente determinati e vedevano le crescenti difficoltà come la conferma del fatto che le profezie di fra Girolamo si stavano avverando e che quelle tribolazioni erano il preludio a ricchezza e felicità. La peste, che nell’estate del 1497 si aggiuse a tutti gli altri problemi, aggravò la situazione generale, ma fu vista da molti come l’ennesimo flagello profetizzato da Savonarola. Fu in questo clima che apparvero due petizioni pubbliche in difesa del frate, prodotte rispettivamente dai domenicani di S. Marco e da cittadini laici di Firenze. Savonarola, ridotto al silenzio, si dedicò alla stesura di una lunga serie di scritti di argomento molto diverso, incluse due tra le sue opere più importanti, il Triumphus crucis e il De veritate prophetica.
Si tratta di due scritti dottrinali redatti in latino, sofisticati e non polemici. Con il primo Savonarola intendeva ribadire la sua ortodossia celebrando la dottrina cristiana e la vittoria della croce sul peccato. Con il secondo cercava di dimostrare la sua ispirazione profetica su basi scritturali, patristiche e giuridiche.
Pochi mesi dopo, nel Trattato circa il reggimento e governo della città di Firenze, Savonarola offrì una sintesi della sua visione politico-istutuzionale, spiegando come il perseguimento del bene comune e l’interesse della collettività potessero essere assicurati soltanto da un «governo civile» di tutti i cittadini.
Fallito ogni tentativo di ricucire lo strappo con Alessandro VI, l’11 febbraio 1498 Savonarola tornò sul pulpito per il suo ultimo quaresimale, quello sul libro dell’Esodo (Prediche sopra l’Esodo, a cura di P.G. Ricci, I-II, Roma 1955-1956), trasgredendo platealmente l’ordine comminato dal pontefice. Dopo un silenzio durato nove mesi, il frate decise di abbandonare qualsiasi moderazione e di alzare il livello dello scontro, attaccando non solo la scomunica ma tutti coloro che la rispettavano, e trasformando la contrapposizione tra lui e il pontefice in una lotta tra bene e male. La reazione di Roma non si fece attendere. Preceduti da ulteriori schermaglie, gli ultimi due brevi papali – datati 8 e 9 marzo 1498 – facevano capire che il tempo delle parole era finito. Ormai era chiaro che il pontefice pretendeva non soltanto che Savonarola smettesse immediatamente di predicare e si umiliasse al suo cospetto, ma anche che Firenze aderisse alla Lega antifrancese, il che avrebbe certificato il fallimento del frate sul piano sia politico sia profetico. L’interdetto, un provvedimento con conseguenze devastanti per l’intera città, era la terribile minaccia che pendeva su Firenze in caso di inadempienza. A questo punto la pressione si fece insostenibile: anche la Signoria finì per voltare le spalle a Savonarola e il 17 marzo ordinò al frate di cessare la predicazione. Una delle ultime, disperate mosse di un fra Girolamo sempre più isolato fu quella di scrivere ai principali sovrani europei – dall’imperatore ai re di Francia e Spagna – per convocare un concilio e deporre Alessandro VI, ma le lettere non vennero mai spedite.
L’episodio che sbloccò una situazione paralizzata dall’irremovibilità di entrambe le parti fu la cosiddetta prova del fuoco, in cui Savonarola fu coinvolto suo malgrado. Lo zelante e ingenuo braccio destro di Savonarola, fra Domenico da Pescia, non esitò ad accettare la sfida lanciata dal francescano Francesco di Puglia a entrare nel fuoco per comprovare la verità della dottrina savonaroliana. La contesa finì ben presto per polarizzare l’attenzione dell’intera città, al punto che la Signoria dovette intervenire per regolamentarne lo svolgimento. I sette punti della dottrina savonaroliana che erano al centro della disputa – dalla rinnovazione della Chiesa all’invalidità della scomunica – vennero addirittura certificati con regolare atto notarile. Il 7 aprile una folla immensa confluì in piazza della Signoria per assistere allo spettacolo di due francescani e due domenicani che entravano nelle fiamme provando a uscirne incolumi. La posta in gioco era la credibilità di Savonarola. La contesa si chiuse con un nulla di fatto perché nessuno dei quattro contendenti era realmente intenzionato a entrare nel fuoco: lo svolgimento della prova fu ritardato da pretesti e cavilli sollevati da entrambe le parti, e definitivamente compromesso dal maltempo. Tuttavia, fu Savonarola a uscirne sconfitto: era da lui che i fiorentini si aspettavano un miracolo e fu su di lui che si riversò la delusione generale.
I suoi oppositori, naturalmente, non tardarono ad approfittarne e il giorno successivo (8 aprile) il convento di S. Marco venne preso d’assalto da alcune centinaia di uomini armati. Poco distante, l’ex gonfaloniere Francesco Valori e la moglie vennero impietosamente uccisi dalla folla. Savonarola non volle approfittare dell’opportunità offertagli dalla Signoria: sette ore di tempo per lasciare il territorio fiorentino prima di essere dichiarato ribelle. A S. Marco si consumò uno scontro molto violento che si protrasse per diverse ore, al termine del quale Savonarola venne arrestato dai commissari inviati dalla Signoria. La stessa sorte venne riservata a due suoi strettissimi collaboratori, i fidati confratelli Domenico da Pescia e Silvestro Maruffi.
Savonarola fu sottoposto a tre processi distinti: due civili (9-19 aprile, 21-25 aprile) celebrati da una commissione di diciassette membri nominati dalla Signoria, e uno ecclesiastico (20-22 maggio) condotto da due commissari apostolici inviati da Alessandro VI: il maestro generale dell’Ordine domenicano Gioacchino Torriani e il giurista domenicano Francisco Remolines. Appare evidente che entrambe le autorità coinvolte – quella fiorentina e quella romana – non soltanto intendevano ottenere una sentenza di condanna, ma miravano anche a screditare l’imputato di fronte ai seguaci. Gran parte degli interrogatori fu incentrata su aspetti di scarsa rilevanza penale ma cruciali per la credibilità del frate: attraverso il ricorso alla tortura, Savonarola fu costretto ad ammettere che non era un vero profeta e che l’unica ragione della sua azione politica e della sua offensiva contro il papa era la sua sete di potere e di gloria terrena. Il disegno politico che aveva come obiettivo la demolizione dell’immagine pubblica del frate fu completato quando il testo del primo processo fu letto nel Consiglio Grande (19 aprile) e ne fu fatta circolare un’edizione a stampa.
Anche molti seguaci di Savonarola vennero sottoposti a interrogatorio in quegli stessi giorni, mentre il frate, prigioniero in una cella di Palazzo della Signoria denominata beffardamente Alberghetto, trovava ancora la forza di scrivere le sue ultime opere, tra le quali le due meditazioni sui salmi Miserere mei Deus e In te Domine speravi.
Il 22 maggio Savonarola e i due confratelli arrestati insieme con lui, Domenico e Silvestro, furono giudicati colpevoli di eresia e scisma e condannati a morte. Privati dell’abito religioso e degradati, il giorno successivo, 23 maggio 1498, vennero impiccati e arsi sul rogo in piazza della Signoria. Le ceneri vennero gettate nell’Arno nel vano tentativo di impedire la raccolta delle reliquie e il culto postumo, anche se il tempo si sarebbe incaricato di dimostrare che la memoria del frate e della sua predicazione non poteva essere spenta così facilmente.
Opere. Quasi tutte le opere sono apparse dal 1955 al 1996 nella serie dell’Edizione nazionale delle Opere di Savonarola, pubblicata dall’editore Belardetti di Roma. La stessa serie contiene l’edizione più recente e aggiornata delle lettere del frate: Lettere e scritti apologetici, a cura di R. Ridolfi - V. Romano - A.F. Verde O.P., Roma 1984. Tra le più recenti edizioni di scritti: Verità della profezia. De veritate prophetica dyalogus, a cura di C. Leonardi, Firenze 1997; Contro gli astrologi, a cura di C. Gigante, Roma 2000; Il quaresimale del 1491, a cura di A.F. Verde O.P., Firenze 2001; Inter omnes Plato et Aristoteles. Gli appunti filosofici di Girolamo Savonarola. Introduzione, edizione critica e commento, a cura di L. Tromboni, Turnhout 2012.
Fonti e Bibl.: La bibliografia su S. è sterminata; si presenta qui una selezione degli studi più significativi. La principale biografia di riferimento è il recente D. Weinstein, S. The rise and fall of a Renaissance prophet, New Haven-London 2011 (trad. it., Bologna 2013); altra biografia recente è L. Martines, Fire in the city: S. and the struggle for Renaissance Florence, Oxford-New York 2006 (pubblicato anche come Scourge and fire: S. and Renaissance Italy, London 2006, trad. it. S. Moralità e politica nella Firenze del Quattrocento, Milano 2008); restano valide alcune biografie precedenti, pur se datate e contraddistinte da un marcato approccio agiografico: P. Villari, La storia di G. S. e de’ suoi tempi, I-II, Firenze 1859-1861; G. Schnitzer, S., I-II, München 1924 (trad. it. Milano 1931); R. Ridolfi, Vita di G. S., Firenze 1997. Molto critica verso Savonarola è invece l’anticonvenzionale e ponderosa biografia di F. Cordero, S., I-IV, Torino 2009 (prima ed., I-IV, Roma-Bari 1986-1988). Questi alcuni dei molti volumi miscellanei realizzati in occasione del quinto centenario della morte: Studi savonaroliani. Verso il V centenario, a cura di G.C. Garfagnini, Firenze 1996; Savonarole. Enjeux, débats, questions, a cura di A. Fontes - J.L. Fournel - M. Plaisance, Paris 1997; Frate G. S. e il suo movimento, in Memorie domenicane, n.s., XXIX (1998); G. S. L’uomo e il frate. Atti del XXXV Convegno storico internazionale, Todi 1998, Spoleto 1999; G.C. Garfagnini, «Questa è la terra tua». S. a Firenze, Firenze 2000; R. Ridolfi, Prolegomeni ed aggiunte alla Vita di G. S., Firenze 2000; The world of S. Italian elites and perceptions of crisis, a cura di S. Fletcher - C. Shaw, Aldershot 2000; Una città e il suo profeta. Firenze di fronte al S., Atti del Convegno internazionale di studi, a cura di G.C. Garfagnini, Firenze 2001; G. S. da Ferrara all’Europa, a cura di G. Fragnito - M. Miegge, Firenze 2001; La figura de Jeronimo Savonarola y su influencia en España y Europa, a cura di D. Weinstein - J. Benavent - I. Rodriguez, Firenze 2004. Sul movimento savonaroliano: L. Polizzotto, The elect nation. The Savonarolan movement in Florence 1494-1545, Oxford 1994; T. Herzig, S.’s women: visions and reform in Renaissance Italy, Chicago 2008 (trad. it. Le donne di S. Spiritualità e devozione nell’Italia del Rinascimento, Roma 2014); S. Dall’Aglio, S. and Savonarolism, Toronto 2010 (trad. it. Bari 2005). Importanti raccolte di documenti su S. e il savonarolismo: V. Marchese, Lettere inedite di fra Gerolamo S. e documenti concernenti lo stesso, in Archivio storico italiano, App. VIII (1850), pp. 73-203; L. Passerini, Nuovi documenti che concernono a frate G. S. e ai suoi compagni, in Giornale storico degli archivi toscani, II (1858), pp. 79-101, 193-238; III (1859), pp. 46-65, 111-120; C. Lupi, Nuovi documenti intorno a G. S., in Archivio storico italiano, s. 3, III (1866), pp. 3-77; A. Portioli, Nuovi documenti su G. S., in Archivio storico lombardo, I (1874), pp. 325-354; A. Gherardi, Nuovi documenti e studi intorno a G. S., Firenze 1887. Le più significative edizioni di fonti primarie sulla vita di Savonarola: La vita del Beato Ieronimo Savonarola scritta da un anonimo del sec. XVI e già attribuita a fra Pacifico Burlamacchi, a cura di P. Ginori Conti, Firenze 1937; L. Violi, Le giornate, a cura di G.C. Garfagnini, Firenze 1986; G. Pico della Mirandola, Vita Hieronymi Savonarolae, a cura di E. Schisto, Firenze 1999; I processi di G. S. (1498), a cura di I.G. Rao - P. Viti - R.M. Zaccaria, Firenze 2001; B. Luschino, Vulnera diligentis, a cura di S. Dall’Aglio, Firenze 2002. Altri importanti studi sulla vita e le opere di Savonarola: E.C. Bayonne, Étude sur Jérôme Savonarole des frères prêcheurs d’après de nouveaux documents, Paris 1879; M. Ferrara, S., Firenze 1952; G. Soranzo, Il tempo di Alessandro VI papa e di fra G. S., Milano 1960; R. De Maio, S. e la curia romana, Roma 1969; D. Weinstein, S. and Florence. Prophecy and patriotism in the Renaissance, Princeton (N.J.) 1970 (trad. it. Bologna 1976); G. Cattin, Il primo S. Poesie e prediche autografe dal codice Borromeo, Firenze 1973; P. Macey, Bonfire songs. S.’s musical legacy, Oxford 1998; L. Sebregondi, L’iconografia di G. S., Firenze 2002. Per un ulteriore consuntivo storiografico e bibliografico si rinvia a: Bibliografia delle opere del S., a cura di P. Ginori Conti, Firenze 1939; M. Ferrara, Nuova bibliografia savonaroliana, Vaduz 1981; D. Weinstein, Hagiography, demonology, biography: S. studies today, in The Journal of modern history, LXIII (1991), pp. 483-503; L. Tanzini, Dieci anni di studi savonaroliani. Tra celebrazione e ricerca, in Archivio storico italiano, CLXIII (2005), pp. 761-780.