GIULIANO da Rimini (Giuliano di Martino)
Non si conosce la data di nascita di questo pittore riminese attivo tra la fine del XIII secolo e la prima metà del secolo successivo.
Secondo l'ipotesi avanzata da Delucca (1992) sulla base di testimonianze documentarie, fu fratello dei pittori Giovanni e Zangolo da Rimini; a tal proposito la notizia più antica che riguarda G. potrebbe risalire al 22 marzo 1292, quando Giovanni di Martino, pittore e fratello verosimilmente più anziano di "Zangolus" e di "Julianus", paga un canone d'affitto anche a nome dei fratelli (ibid., p. 49). G. è menzionato, ancora in compagnia dei fratelli, in altri due documenti rispettivamente del 4 genn. 1300 e del 9 apr. 1316 (ibid., p. 78). In un altro documento del 25 marzo 1323 "Magister Julianus […] de contrata Sancti Johannis Evangeliste" versa al convento di S. Giuliano di Rimini un denaro come canone d'affitto per una casa (ibid., p. 88). In un'altra carta riminese del 19 marzo 1346 è ricordata "domina Catalina, filia magistri Carbonis, uxor quondam magistri Zuliani pictoris", e ciò attesta che il pittore a quella data era già morto (Tonini). Secondo una fonte del 1527 (cfr. Moschetti), il nome di G. ("Iuliani […] de Arimino") compariva in calce a un polittico, oggi perduto, nella chiesa degli Eremitani a Padova, all'interno di un'iscrizione recante anche la data del 1324.
La circostanza è confermata dagli importanti frammenti di affreschi, staccati, con Storie di Cristo conservati nel Museo civico di Padova, purtroppo giunti a noi in pessime condizioni di conservazione, provenienti dalla sala capitolare dello stesso convento degli Eremitani (Cozzi; Pellegrini); in essi all'interno di un contesto stilistico che sembra orientato in prevalenza verso Pietro da Rimini, si possono cogliere alcuni accenti più consoni all'arte di G. come già sottolineato da alcuni critici (Volpe; Bettini). È assai probabile, a nostro avviso, che un'analoga collaborazione sia avvenuta anche nell'ambito - assai più articolato e complesso sul piano dello stile - della vasta decorazione del cappellone di S. Nicola a Tolentino (Zeri; Tambini, 1993), che tuttavia è invece decisamente respinta da una parte della critica (Benati, G. da R., p. 807).
Per lunghissimo tempo la personalità artistica di G. - insieme con il fratello Giovanni "padre fondatore" della florida e affascinante cultura pittorica trecentesca di Rimini - è stata studiata esclusivamente sul grande dossale (cm 164 x 300) firmato e datato 1307, che in origine si trovava sull'altare della chiesa della Confraternita di S. Giovanni Decollato, detta anche dei Morti, annessa al cimitero dei frati minori francescani di Urbania. L'opera fu studiata e commentata da Giovan Battista Cavalcaselle (1883) quando si trovava già nella sacrestia del duomo di Urbania, per essere venduta poi all'inizio del Novecento (Leonardi) e ricomparire dal 1903 presso l'Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, dove si trova ancora oggi. Lungo il bordo superiore del dipinto si legge la seguente iscrizione: "Anno Dni MLLO CCC Settimo Julianus pictor de Arimino fecit och (sic) opus tempore Dni Clementis Pape Quinti".
L'autenticità dell'iscrizione e l'attendibilità della data in essa riportata, sono state poste in dubbio con argomenti inconsistenti, a giudizio di chi scrive, da parte dello Stubblebine, mentre un altro studioso americano si è soffermato più utilmente sulla splendida veste "a sgraffito" della Vergine (Muller). Al centro del dossale è raffigurata la Madonna col Bambino in trono fra due angeli turiferari e otto devote genuflesse ai suoi piedi. Ai lati, su due registri sovrapposti e racchiuse entro edicole gotiche sostenute da variopinte colonne tortili d'ispirazione "assisiate", quattro figure di santi per parte. A sinistra: S. Francesco che riceve le stigmate, S. Giovanni Battista, S. Chiara, S. Caterina d'Alessandria. A destra: S. Giovanni Evangelista, S. Maria Maddalena nel deserto, S. Agnese, S. Lucia.
Nel dossale la critica ha sottolineato per tempo (White; Meiss) una serie di citazioni dagli affreschi della cappella Orsini nella basilica inferiore di S. Francesco ad Assisi. D'altra parte, la profonda conoscenza dell'arte giottesca dimostrata in maniera assai spiccata dai principali esponenti della prima generazione artistica riminese presuppone, con ogni verosimiglianza, un soggiorno assisiate e sarà stata approfondita e corroborata "in presa diretta" sulle opere eseguite in Rimini dal grande maestro fiorentino, in bilico fra XIII e XIV secolo. In tale dipinto è possibile inoltre cogliere i tratti fondamentali dell'arte di G. presenti in massima parte nelle opere che gli sono state assegnate dalla critica. In primo luogo, uno spiccato sentimento lirico e narrativo che non disdegna di accogliere sparsi elementi di cultura giottesca, che tuttavia non condurranno mai l'artista a porre in primo piano istanze spaziali o plastico chiaroscurali, cui rimarrà sostanzialmente estraneo durante tutto il suo percorso. Questa prevalente ispirazione sembrerebbe determinare anche un interesse relativamente modesto nell'approfondire la caratterizzazione emotiva dei personaggi che animano i suoi dipinti: altra diversità di fondo che lo distingue nettamente - almeno durante il corso del primo decennio del Trecento - da Giovanni da Rimini, ritenuto a ragione dai critici il più alto esponente della prima generazione artistica riminese nonché fratello di Giuliano.
Nell'ambito della controversa ricostruzione dell'attività di G. gode il riconoscimento unanime dei critici l'attribuzione al periodo più antico della sua attività la frammentaria Crocifissione ad affresco nel convento dei Servi di Maria di S. Pellegrino a Forlì (Volpe), appartenente all'antica decorazione della sala capitolare che, in base a indizi storici, dovrebbe risalire giusto allo stesso momento esecutivo del dossale oggi a Boston (Boskovits, 1993, pp. 100, 110 s. n. 29). Ancora in fecondo rapporto di stile con il dossale appare la bella Madonna col Bambino in trono affrescata nella chiesa del Carmine di Urbania, già riconosciuta a G. da Zeri, mentre assai più dibattuto appare il riconoscimento della paternità di G. per altre due importanti imprese nella stessa regione. Si tratta della vasta Crocifissione affrescata nel lunettone absidale della chiesa di S. Marco a Jesi e della bella Crocedipinta appesa sopra l'abside della chiesa di S. Francesco a Sassoferrato. Queste opere sembrerebbero inseribili nel percorso di G. verso il 1310-15 - come ritenuto dalla maggior parte dei critici (Tambini, 1988; Pasini, 1990; Benati, Disegno…) - lungo una linea di sviluppo che certamente è sostenuta da un concreto rapporto dialettico con il più dotato fratello, ma con caratteristiche di stile non facilmente compatibili con il naturalismo più incisivo e i forti accenti patetici di quest'ultimo, cui queste opere dovrebbero tuttavia spettare secondo l'opinione di Boskovits (1993).
L'ipotesi relativa alla quasi certa parentela fra i due artisti ha indotto più di un critico a prospettare l'esistenza di una bottega comune di Giovanni e Giuliano da Rimini (Benati, Disegno…; Tambini, 1995), che tuttavia potrebbe fungere inopportunamente come giustificazione nel rinunciare a distinguere la loro opera. Così non sembrerebbe di poter intravedere un intervento diretto di G. nel Giudizio universale (cfr. Tambini, 1992) affrescato in origine sul timpano della chiesa di S. Agostino a Rimini - conservato oggi nel locale Museo (Pinacoteca comunale e Museo civico) dopo il distacco del 1917 e il conseguente trasporto su tela -, che Boskovits (1993) propone in maniera più convincente d'inserire nel percorso di Giovanni.
Un consenso pressoché unanime ha incontrato invece la restituzione a G. della decorazione ad affresco della cappella a destra di quella maggiore nella chiesa di S. Francesco a Fermo, con l'Annunciazione, l'Incoronazione della Vergine e altri frammenti, operata da F. Arcangeli e G. Vitalini Sacconi (cfr. Dania). In questi brani pittorici superstiti, databili verso il 1315, G. ripropone le sue caratteristiche tipologie fisionomiche e, tuttavia, si cimenta in articolazioni spaziali più complesse: si veda in particolare il coro angelico circolare posto sotto l'Incoronazione. Anche in questa impresa risulta comunque piuttosto evidente il legame stilistico con il dossale di Boston, certamente l'opera più programmatica del pittore riminese, legame che invece risulta sensibilmente affievolito nell'importante polittico con l'Incoronazione della Vergine che pure gli è stato a ragione restituito da Boskovits (1993), già appartenente alla collezione del duca di Norfolk a Carlton Towers e ora di proprietà della Cassa di Risparmio di Rimini.
Nell'elemento principale è raffigurata l'Incoronazione della Vergine, sormontata dalla Crocifissione; nell'elemento laterale sinistro sono raffigurati una Santa martire di non facile identificazione e S. Giovanni Battista, tre Santi nei tondi intermedi e la Derisione di Cristo nella cuspide. A metà del secolo XIX l'opera si trovava nella collezione Diotallevi di Rimini (Tambini, 1992), ma la provenienza originale del dipinto da una delle maggiori chiese del capoluogo romagnolo - la chiesa domenicana di S. Cataldo o la stessa cattedrale di S. Colomba, demolite entrambe al principio dell'Ottocento - è attestata dalle proporzioni della carpenteria e dalla finezza dell'esecuzione.
Se indubbiamente i caratteri stilistici dell'opera sono ancora quelli tipici di G., non è difficile ammettere che il dipinto rappresenta per certi aspetti una svolta nel percorso piano e assai regolare dell'artista: non a caso Boskovits (1993) ha sottolineato il "classicismo gotico" delle figure principali, caratterizzate da proporzioni singolarmente allungate e avvolte in ampi panneggi percorsi da pieghe fitte e sottili. Ma soprattutto G. sembra mettere da parte il carattere accostante e gradevolmente narrativo della sua arte, fondato su di un'interpretazione "ornata" dal giottismo assisiate, proponendo un linguaggio solenne e aulico che sembrerebbe recuperare anche il timbro arcano e neobizantino delle opere più antiche di Giovanni da Rimini. È probabile che a questi sviluppi in senso gotico non sia estranea l'affermazione imminente della forte personalità di Pietro da Rimini, a una data che ormai è da porre intorno al 1320, unita al consueto rapporto problematico con la cultura più complessa e impegnata del fratello Giovanni. È legittimo interrogarsi anche su un possibile influsso della cultura pittorica di Paolo Veneziano e dei suoi seguaci, che parrebbe confermato anche da un'ulteriore tavola riferita a G. da Boskovits (1993), un tempo in una raccolta privata americana ma in epoca recente presso la Galleria Moretti di Firenze (Parenti). Si tratta della figura frammentaria di una S. Caterina d'Alessandria, appartenente o a un laterale di polittico oppure al centro di una tavola autonoma, che sembra riproporre in una versione aggiornata, forse all'inizio del terzo decennio del secolo, gli stilemi del dossale di Boston, illustrando gli esiti finali del pittore al culmine di un percorso che certamente appare ancora da definire sotto molti aspetti.
Di G. non si conosce la data di morte, comunque collocabile, come già detto, tra il 1324 e il 1346.
Tra le molte attribuzioni a G. avanzate in passato dai critici che poi non hanno trovato seguito, si possono ricordare almeno - fra quelle non discusse qui sopra - quella di Gioseffi relativa agli affreschi nella cappella del campanile in S. Agostino a Rimini, generalmente riconosciuti a Giovanni, ma che tuttavia conservano soprattutto per alcune parti - in particolare l'Annunciazione - una certa suggestione lirica. Gli affreschi del refettorio dell'abbazia di Pomposa, attribuiti a G. da Brach sono oggi ritenuti un caposaldo dell'attività di Pietro da Rimini, al pari del dittico con la Crocifissione e la Dormitio Virginis, un tempo nella collezione Wedells di Amburgo e oggi nella locale Kunsthalle, riferito a G. da Van Marle (1933).
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