VASSALLI, Giuliano
– Nacque a Perugia il 25 aprile 1915 da Filippo (v. la voce in questo Dizionario) e da Maria Angeloni.
Trascorse i primi anni nella città umbra, dove viveva il nonno materno, Publio Angeloni, avvocato, repubblicano, antimonarchico e antifascista, e nella quale insegnava il padre. Oltre che dalla venerata figura del genitore, grande romanista-civilista, il giovane Vassalli fu fortemente ispirato dalla famiglia materna, in cui campeggiava, oltre al nonno, amico di Cesare Battisti, e allo zio Vittorio, professore di diritto commerciale a Roma, la figura, ammirata, dello zio Mario Angeloni, avvocato, antifascista militante, perseguitato dalla dittatura, caduto combattendo come volontario nella guerra di Spagna il 28 agosto 1936.
Lasciata Perugia per Genova, dove il padre era stato chiamato a insegnare nel 1918, Vassalli studiò all’Istituto privato Vittorino da Feltre. Quando la famiglia nel 1930 si trasferì a Roma, si iscrisse al liceo ginnasio Ennio Quirino Visconti, dove conseguì la maturità classica nel luglio del 1932. Il contatto con un ambiente culturale ricco anche di fermenti antifascisti lo segnò profondamente. Lo stesso anno scelse di iscriversi alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma, di cui era rettore e professore di diritto commerciale Alfredo Rocco, già ministro di Grazia e Giustizia del regime. Si laureò con lode il 1° luglio 1936, avendo optato, su consiglio di Francesco Carnelutti, per una tesi di diritto penale, relatore Arturo Rocco, su un tema suggerito dal suo mentore: Contributo alla determinazione della natura giuridica del reato di mancata esecuzione dei provvedimenti del giudice (art. 388 c.p.), poi rivista e pubblicata (Torino 1938). Negli anni universitari Vassalli, partendo da una posizione radicale di ‘comunista estremista’, si accostò al fascismo. Gli scritti episodici di questo periodo, tuttavia, dimostrano piena indipendenza di pensiero e forte avversione per il nazismo (è il caso della relazione ai convegni prelittoriali di politica estera e coloniale del 1935). Egli ripudiò tuttavia risolutamente il credo della dittatura il 18 luglio 1936, deluso dal sostegno reazionario del regime alla guerra di Spagna.
Dopo la laurea entrò a far parte della scuola del penalista Giacomo Delitala, giovane ma già affermato ordinario dell’Università cattolica di Milano, instaurando un rapporto di intensa comunanza e colleganza con il maestro sardo, liberale antifascista, e altri suoi allievi. Nell’estate del 1936 vinse una borsa di studio dell’Istituto italiano di studi germanici presso la Hegelhaus di Berlino, che gli permise di trascorrere due semestri (da novembre del 1936 a giugno del 1937) presso la cattedra di diritto penale di Eduard Kohlrausch alla Friedrichs-Wilhelms-Universität, frequentando corsi, esercitazioni, congressi, visitando penitenziari e conoscendo importanti giuristi avversi al nazismo, alcuni dei quali dolorosamente colpiti dalle leggi razziali. Al rientro in patria, assolti gli obblighi di leva, Vassalli fu nominato assistente volontario alla cattedra di diritto e procedura penale della Cattolica per il 1937-38 (e riconfermato per il 1938-39). Il 24 maggio 1937 s’iscrisse al Partito nazionale fascista, ma di fatto il suo impegno politico antifascista (e antinazista) aumentò. La sua attività didattica prese avvio nel 1938-39, con l’incarico per l’insegnamento di diritto penale e procedura penale a Urbino, rinnovato per gli anni 1939-40 e 1940-41, ma non svolto nel terzo anno, essendo stato richiamato alle armi il 9 giugno 1940. Nel 1939 aveva sostenuto il concorso per professore straordinario di diritto penale nell’Università di Sassari. La commissione, presieduta da Vincenzo Manzini e composta da Giuseppe Maggiore, Ottorino Vannini, Delitala e Biagio Petrocelli, lo aveva giudicato maturo, ma non lo aveva inserito nella terna dei vincitori. Nel 1941-42, su impulso di Giuseppe Ferri, Vassalli insegnò diritto penale a Pavia, come supplente di Giulio Paoli, professore antifascista, e procedura penale come incaricato. Era nel frattempo ufficiale a Torino, assegnato alla presidenza della Commissione italiana di armistizio con la Francia, sotto il comando del generale Pietro Pintor, a cui dedicò la sua prima monografia, La potestà punitiva (Torino 1942). Passò a Roma nel novembre del 1942, come tenente di complemento alla Procura generale militare presso il Tribunale supremo militare: incarico abbandonato dopo l’8 settembre 1943 alla vigilia del congedo (gennaio 1944) causato dalla sua netta presa di distanza dalla Repubblica sociale italiana.
Nell’aprile del 1942 una commissione presieduta da Filippo Grispigni e formata da Giulio Battaglini, Petrocelli, Delitala, Giovanni Leone gli conferì l’abilitazione alla libera docenza in diritto penale. In ottobre, appena ventisettenne, vinse il concorso per la cattedra di diritto penale a Sassari, primo nella terna decisa dalla commissione formata da Francesco Antolisei, Battaglini, Giuseppe Bettiol, Alfredo De Marsico, Leone. Egli non accettò, tuttavia, di andare a Sassari, benché la facoltà di giurisprudenza ne avesse proposto la chiamata il 6 novembre 1942 e la sua candidatura ricevesse il pieno sostegno di Antonio Segni. Optò invece per Padova, dove fu chiamato come straordinario dal 1° dicembre 1942. Ma nell’università patavina, tra le più allineate al regime, Vassalli, ancora sotto le armi, non tenne corsi. Riuscì invece a ottenere la chiamata all’Università di Genova nel maggio del 1943. In quella sede a lui più congeniale, tuttavia, non fu in grado di prendere servizio fino al 29 ottobre 1943, a causa della guerra e della sua partecipazione attiva alla Resistenza, quale capo della quarta zona romana e comandante delle brigate Matteotti nel Lazio: un evento che segnò indelebilmente la sua vita. Vassalli fu infatti militante attivo del Partito socialista, ricoprendo ruoli di primo piano.
Già aderente all’Unione proletaria italiana (UPI), il 25 agosto 1943 a Roma partecipò alla storica rifondazione del Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP) nella casa di Giuseppe Romita, entrando nella direzione del partito. Come esponente del PSIUP sostituì Sandro Pertini nella giunta militare centrale del Comitato di liberazione nazionale nel tempo della sua detenzione (dal 15 ottobre 1943 al febbraio 1944). La Resistenza Vassalli la fece anche sul campo, rischiando in prima persona, in diverse missioni delicate e pericolose, a Roma, nel Lazio e nelle Marche, una volta messa in salvo la famiglia (oltre alla moglie Carla Bartolini, sposata il 1° luglio 1939, i primi due figli, Filippo e Francesco). Di queste azioni la più celebre fu l’evasione di Pertini, Giuseppe Saragat e altri cinque compagni dal carcere di Regina Coeli il 14 gennaio 1944, di cui Vassalli fu la mente e il braccio, insieme a Massimo Severo Giannini e i coniugi Alfredo e Marcella Monaco. La sua partecipazione alla lotta di liberazione gli costò tra l’altro due mandati di cattura (Relazione per la promozione a ordinario, 5 novembre 1946), la sospensione dall’insegnamento e dallo stipendio, decretata dal ministro Carlo Alberto Biggini, e la condanna a morte. Qualche mese più tardi, infatti, dopo l’eccidio delle Fosse Ardeatine, il 3 aprile 1944 Vassalli cadde nelle mani delle SS, che lo arrestarono e lo rinchiusero nel carcere di via Tasso, dove subì interrogatori, vessazioni e torture fino al 3 giugno 1944, quando fu liberato grazie all’intercessione di Giovanni Battista Montini, allora sostituto della Segreteria di Stato di Pio XII, scampando così alla fucilazione. Il suo contegno di prigioniero, malgrado le violenze sofferte, era stato integerrimo e fedele alla causa, come accertato dalla commissione d’inchiesta del PSIUP il 2 ottobre 1944. Il ricordo delle gesta e del sacrificio dei tanti amici caduti accompagnò sempre Vassalli, che per i suoi meriti di combattente per la libertà fu decorato medaglia d’argento al valor militare e nel 1957 ricevette il premio di fedeltà alla Resistenza. Alla luce di queste esperienze, l’impegno di Vassalli all’interno delle istituzioni, vissuto come una missione, corrispose a un imperativo morale al quale l’uomo non volle sottrarsi.
Nell’ottobre del 1945 iniziò ufficialmente il felice periodo nella facoltà giuridica genovese, dove strinse amicizie durature con importanti colleghi, come il processualcivilista Salvatore Satta. Il 31 gennaio 1946 Vassalli tenne la famosa e antesignana prolusione I delitti contro l’umanità e il problema giuridico della loro punizione (ora in La giustizia internazionale penale. Studi, Milano 1995, pp. 9-60), con cui, contro gli scettici e i contrari, si espresse a favore della legittimità del processo di Norimberga e della costruzione del diritto internazionale penale. Il 20 dicembre 1946, a 31 anni, fu promosso ordinario da Delitala, Petrocelli e Bettiol. Quanto a Vassalli politico, dopo l’esperienza quale capo di gabinetto di Pietro Nenni alla vicepresidenza del Consiglio (1945), nel 1947, a seguito della scissione di Palazzo Barberini, seguì Saragat nel neonato Partito socialista dei lavoratori italiani (PSLI), divenendo segretario del partito e direttore del quotidiano L’Umanità. Passò poi nel Partito socialista unitario (PSU), ma solo fino al 1951, perché non volle accettare la tessera del nuovo partito nato dalla fusione tra PSU e PSLI.
Nell’«indimenticabile» 1956 (dal titolo dell’articolo, ora in Frammenti di storia, a cura di M. Lo Presti, Bari 2009, pp. 83-93), dopo undici anni trascorsi a Genova, Vassalli decise «quasi di sorpresa» (Una comune esperienza di insegnamento, in Salvatore Satta giuristascrittore, a cura di U. Collu, Cagliari 1990, p. 503) di trasferirsi all’Università di Napoli, per la pressante esigenza di avvicinarsi a Roma. Chiamato a succedere a Petrocelli (nominato giudice costituzionale), prese servizio il 1° febbraio 1957. Tre anni dopo, il 26 gennaio 1960, la facoltà di giurisprudenza della Sapienza di Roma, presieduta da Francesco Calasso, su ordine del giorno di De Marsico e Leone, deliberò all’unanimità il suo trasferimento alla cattedra di diritto penale, resasi vacante per la rinuncia di Delitala, che aveva fatto ritorno a Milano. Nella prolusione Funzioni e insufficienze della pena (ora in Scritti giuridici, Milano 1997, I, 2, pp. 1361-1413), tenuta il 14 dicembre 1960, trent’anni anni dopo quelle del padre Filippo e di Arturo Rocco, si professò sostenitore della polifunzionalità della pena, tra i cui scopi doveva rientrare anche la rieducazione, tracciando un programma di riforma del sistema sanzionatorio in linea con i dettami della Costituzione.
Il giovane Vassalli rivelava già come costante del suo pensiero la ricerca di un diritto penale più giusto: una cifra critica e riformistica che è presente in ogni suo scritto. Fu uno dei pionieri italiani della giustizia internazionale penale, in un tempo in cui essa muoveva i primi incerti passi: interventi come Bilancio di Norimberga del 1946 (ora in Scritti giuridici, cit., II, pp. 673-687) e altri (raccolti ora in La giustizia internazionale penale, cit.) mostrano una visione lungimirante, portata avanti in numerose missioni internazionali.
Gettò le basi del penale costituzionale, considerando irrinunciabile il divieto di analogia delle leggi incriminatrici, condannando senza mezzi termini lo svuotamento del principio attuato dal fascismo e ricavando spazi all’analogia in bonam partem (Limiti del divieto di analogia in materia penale, Milano 1942 e il saggio Leggi penali eccezionali e divieto d’analogia, 1944). Per la sua meticolosa analisi dei problemi sollevati dalle leggi incriminatrici del collaborazionismo, ivi compreso il vulnus al principio di irretroattività (Intorno al carattere retroattivo delle norme incriminatrici del collaborazionismo, 1956, ora in Scritti giuridici, cit., II, pp. 761-763), si accreditò come lo studioso più importante della giustizia penale di transizione. Vassalli, già in questa stagione, pur essendo assertore del principio di legalità, non racchiuse il diritto nell’orizzonte delle sole leggi statuali ed è il penalista che ragiona in modo più esaustivo nella dimensione costituzionale, oltre che internazionale e comparata. Dal 1948 in avanti non c’è un suo scritto che non faccia appello ai valori costituzionali. Perfino la sua monografia più complessa (La potestà punitiva, cit.) presenta una curvatura costituzionale ante litteram. Sfidando l’egemonia del tecnicismo giuridico, Vassalli non solo dimostrò di dominare dall’alto la teoria generale, ma anche di non esserne dominato, e di saper rifondare in chiave antiautoritaria i rapporti tra Stato e cittadino in materia penale, attribuendo la titolarità della potestà punitiva alla giurisdizione, anziché al potere esecutivo, configurando il pubblico ministero come organo di giustizia e sostenendo l’indipendenza della magistratura.
I diritti dell’uomo erano per Vassalli, conscio della svolta attuata con la Costituzione, il vero motore di un sistema giuridico democratico. Questo atteggiamento lo portò a criticare ogni sorda posizione di chiusura verso le libertà, comprese quelle della magistratura ordinaria e della Cassazione. La tensione verso un sistema di effettiva tutela dei diritti fondamentali, esposta a guisa di manifesto programmatico in uno scritto del 1950 (I diritti dell’uomo dinanzi alla giustizia penale, ora in Scritti giuridici, cit., III, pp. 17-30) si concretizzò negli anni in numerosi lavori di alto impegno civile volti a eliminare le incrostazioni anticostituzionali della parte generale e speciale del diritto penale, a scardinare le impalcature antiliberali del rito processuale inquisitorio, a coniare nuovi diritti. Tale missione andò di pari passo con la sua partecipazione attiva alle commissioni di riforma del codice penale (dal 1945 in poi) e del codice di procedura penale (dal 1962). Vassalli insegnò nell’ateneo romano per venticinque anni (dal 1° novembre 1960 al 1985 in ruolo; fu nominato emerito il 4 giugno 1991), ricoprendo anche la carica di direttore della Scuola di perfezionamento in diritto penale e criminologia.
Durante questo periodo continuò a ritmi serrati anche la sua attività di avvocato, tra i più esperti e richiesti del dopoguerra. La professione forense Vassalli la esercitò assiduamente dal 1944 al 1981 (quando optò per il tempo pieno universitario), sperimentando personalmente le strettoie del Codice di procedura penale Rocco anche nella fase del garantismo inquisitorio.
Ripresa l’attività politica (da lui comunque definita una parentesi rispetto alla missione di professore e avvocato) dalle fila del Partito socialista italiano (PSI), in cui rientrò nel 1959, fu eletto consigliere comunale a Roma dove svolse anche il ruolo di capogruppo (1962-66). Eletto deputato alla Camera per il PSI-PSDI nella V legislatura (1968-72), fu presidente della giunta per l’esame delle domande di autorizzazione a procedere. Eletto al Senato per il PSI nella IX legislatura (1983-87), fu capogruppo e presidente della commissione Giustizia (1983-86). Il 28 luglio 1987 fu nominato ministro di Grazia e Giustizia nel governo Goria, restando in carica fino al 1° febbraio 1991 nei successivi governi De Mita e Andreotti, e in tale funzione condusse al traguardo molte importanti riforme. Nell’ambito di questo compito, «il compimento più bello della attività di un giurista», come ebbe a definirlo (Colloquium, in Giuliano Vassalli, 2010, p. 212), l’impresa maggiore è rappresentata dal varo del nuovo codice di procedura penale, il 22 settembre 1988, dopo ben trent’anni di elaborazione, grazie al lavoro autonomo della commissione presieduta da Giandomenico Pisapia (in esecuzione della legge-delega del febbraio 1987). Del codice seguì poi con attenzione le tormentate vicende applicative, con giudizi sempre mirati (taluni taglienti) sulle varie controriforme. Altri significativi eventi alla guida del ministero di via Arenula furono la nomina della commissione di riforma del codice penale presieduta da Antonio Pagliaro (febbraio 1988), la l. 13 aprile 1988 n. 117 sulla responsabilità civile dei magistrati, la l. antimafia 19 marzo 1990 n. 55, il d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309 in materia di stupefacenti, la l. 30 luglio 1990 n. 217 sul gratuito patrocinio ai non abbienti. Fu per due volte candidato alla presidenza della Repubblica per il PSI: nel 1978, quando risultò eletto Pertini, e di nuovo nel 1992. Lasciato il dicastero della Giustizia, il 4 febbraio 1991 fu nominato giudice costituzionale da Francesco Cossiga, compiendo il mandato il 13 febbraio 2000, non prima di essere stato eletto, dopo tre anni di vicepresidenza, presidente della Corte l’11 novembre 1999.
Vassalli fu insignito di tre lauree honoris causa. La prima, meno nota, gliela conferì l’Università Mackenzie di San Paolo del Brasile nel 1969. La seconda l’Università di Bologna il 24 gennaio 2002, e per l’occasione pronunciò una lectio magistralis in cui rievocò senza giri di parole gli ostacoli del lungo e inattuato percorso verso un nuovo codice penale (Riforma del codice penale: se, come e quando, in Ultimi scritti, Milano 2007, pp. 67-102). L’ultima la ricevette dall’Università di Castilla-La Mancha, il 24 ottobre 2002: qui fu il giurista internazionale a parlare, nella sua lectio, di Luci ed ombre nello spazio giudiziario europeo (ibid., pp. 319-345).
Vassalli fu sempre prima di tutto uno scienziato del diritto, anche nei periodi di attività politica. Della sua vastissima produzione, raccolta nel 1997 nei cinque volumi di Scritti giuridici, occupano un posto di rilievo gli studi sulla giurisprudenza della Corte costituzionale, dall’anno della sua prima storica udienza, alla quale partecipò in veste di avvocato con Vezio Crisafulli e Piero Calamandrei. In questi acuti interventi, pungenti nel deplorare battute d’arresto, tecnicamente precisi, egli individuò nella Consulta la protagonista di molte battaglie di civiltà combattute per il riconoscimento dei diritti fondamentali nel campo della giustizia penale. Al vertice di questa riflessione stanno la relazione del 1991 ai Lincei, I principii generali del diritto nell’esperienza penalistica (in Scritti giuridici, cit., I, 1, pp. 449-499), nella quale riconobbe piena validità anche ai principi ‘inespressi’ del penale, scoperti dalla Corte costituzionale, e l’articolo Giurisprudenza costituzionale e diritto penale sostanziale del 2006 (in Ultimi scritti, cit., pp. 175-258), nel quale ricostruì le tappe di cinquant’anni anni di trasformazione dei cardini del penale.
Vassalli non volle cimentarsi come altri in vere e proprie opere letterarie, ma fu un testimone d’eccezione e non si risparmiò, lui che apparteneva alla categoria dei ‘salvati’, nel tenere vivo il ricordo dei ‘sommersi’ e degli eventi che avevano segnato la sua esistenza e insieme la storia italiana: il fascismo, la Resistenza e la lotta partigiana, la politica, i maestri del diritto (dagli illuministi a Giacomo Matteotti e Aldo Moro). Scritti importanti, dispersi in varie sedi, alcuni raccolti ora in Frammenti di storia (cit.) e con il titolo Penalisti italiani. Sessant’anni di ricordi (in Diritto penale XXI secolo, 2007, n. 1-2, e 2008, n. 1-2). All’inizio del terzo millennio Vassalli, sempre più icona di un penale costituzionalmente orientato, continuò a prendere incessantemente la parola sui problemi più urgenti della giustizia penale. Ne fa fede la straordinaria monografia Formula di Radbruch e diritto penale. Note sulla punizione dei ‘delitti di Stato’ nella Germania postnazista e nella Germania postcomunista (Milano 2001), quasi un testamento spirituale, nel quale il dibattito sulla punizione dei crimini commessi nella Repubblica Democratica Tedesca all’indomani della caduta del muro di Berlino diventa un osservatorio privilegiato per trattare i problemi del «superamento del passato attraverso il diritto penale» (ibid., p. XI). È il suo libro più forte e filosofico, ma sempre rigorosamente giuridico, sulla validità delle leggi ingiuste, sui limiti del principio di irretroattività delle leggi penali incriminatrici, sui confini dell’interpretazione giudiziale. Analogo clima si respira nel volume Ultimi scritti (cit.), specchio di un itinerario intellettuale lucido e coerente come pochi.
Morì a Roma il 21 ottobre 2009. Gli ultimi contributi non smentiscono il suo rigore. Nella relazione I diritti fondamentali della persona alla prova dell’emergenza (edita nell’omonimo volume a cura di S. Moccia, Milano 2009, pp. 13-35) smontò impietosamente le impalcature teoriche del diritto penale del nemico. Introducendo il Convegno L’inconscio inquisitorio. L’eredità del Codice Rocco nella cultura processualpenalistica italiana (ora nel volume a cura di L. Garlati, Milano 2010, pp. 9-22), non esitò a stigmatizzare la fase di regresso subita dal ‘suo’ codice di procedura penale, che aveva avuto il merito di dotare l’Italia di un rito accusatorio.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Istruzione Universitaria, I, Concorsi a cattedre nelle università (1924-1954), b. 239, f. Vassalli Giuliano; I, Liberi docenti, II (1930-1950), b. 502; Università La Sapienza, Presidenza della facoltà di giurisprudenza, verb. 26.1.1960; Archivio del Personale, Ministero della Pubblica Istruzione, Direzione Generale Istruzione Superiore, Div. I, f. Vassalli Giuliano, A-8467; H.-H. Jescheck, G. V. visto dalla Germania, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2002, n. 1, pp. 277-281; M. Gallo, V. e i suoi amici, in Critica del diritto, 2009, n. 1-4, pp. 7-22; F. Mantovani, Ricordo di G. V., in Diritto penale XXI secolo, 2009, n. 2, pp. 211-214; G. Marinucci, Ricordo di G. V., in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2009, n. 4, pp. 1585-1602; A. Pagliaro, V., molte vite in una, in Diritto penale XXI secolo, 2009, n. 2, pp. 209 s.; G. V.: il partigiano, l’uomo dello Stato, in Storia e memoria, 2009, n. 2, pp. 129-147 (scritti di G.M. Flick, M. Ferri, U. Intini, R. Ricci); E. Amodio, G. V. e il suo codice, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2010, n. 4, pp. 1808-1812; G. Marinucci, G. V. e la Rivista “italiana” di diritto e procedura penale, ibid., pp. 1801-1807; Atti della Giornata in ricordo del Presidente emerito della Corte Costituzionale G. V., Palazzo della Consulta, 16 giugno 2010, Roma 2010; G. V., a cura di F. Palazzo, Roma-Bari 2010; Raccolta di scritti in onore di G. V., Siracusa 2010; G.A. De Francesco, Giustizia penale e diritti fondamentali nel pensiero di G. V., in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, 2011, n. 2, pp. 1099-1108; G. Vasaturo, I princìpi del diritto penale nella dottrina di G. V., Roma 2011; G. Chiodi, Custodia preventiva e garanzie della libertà personale nel primo decennio repubblicano: il caso della scarcerazione automatica, in Diritti individuali e processo penale nell’Italia repubblicana, a cura di D. Negri - M. Pifferi, Milano 2012, pp. 233-263; F. Palazzo, G. V., in Il contributo italiano alla storia del pensiero. Diritto, Roma 2012, pp. 663-666; A. Manna, L’interpretazione analogica nel pensiero di G. V. e nelle correnti post-moderne del diritto penale, in Scritti in onore di Alfonso M. Stile, a cura di A. Castaldo et al., Napoli 2013, pp. 219-237; G. Chiodi, Legalità penale e punizione dei crimini contro l’umanità al processo di Norimberga: la visione di G. V., in Historia et ius, 10/2016, paper 29, pp. 1-15; G. V. nel centenario della nascita, Milano 2017 (scritti di A. Criscuolo, G. Frigo, P. Grossi, F.C. Palazzo, E. Amodio, G. Lattanzi); G. Dodaro, G. V. penalista partigiano. Lo scudo del diritto contro l’uso autoritario della legalità, Roma 2018.