MAZZARINO, Giulio
MAZZARINO (Mazzarini, Mazarin), Giulio. – Nacque a Pescina, nei pressi de L’Aquila, il 14 luglio 1602, primo figlio sopravvissuto di Pietro e di Ortensia Bufalini.
Fino alla morte continuò a firmarsi Mazzarini e, a partire dall’insediamento in Francia, anche Mazarin.
Il nonno paterno Girolamo aveva lasciato Genova, città d’origine della famiglia, per Palermo, dove nacquero Giulio nel 1554 e nel 1576 Pietro, che morì nel 1654. Giulio entrò nella Compagnia di Gesù, fu predicatore e teologo e morì nel 1622. Il padre del M. si trasferì nel 1590 a Roma, dove, entrato al servizio dei Colonna, ottenne in breve tempo un incarico di fiducia tra gli ufficiali della famiglia, equivalente a quello di un intendente o di un maggiordomo. Nel 1608 ottenne la cittadinanza romana. Nel 1600 aveva sposato Ortensia Bufalini (1575-1644), della quale il connestabile Filippo Colonna era stato padrino di battesimo. I Bufalini erano originari di Città di Castello; la madre di Ortensia, Diana, apparteneva alla famiglia romana dei Mancini. A Pescina lo zio materno del M. era priore dell’ospedale dei trovatelli. Queste origini relativamente modeste gli furono in seguito rinfacciate, così come il fatto che gli Abruzzi, in quanto regione del Regno di Napoli, erano dominio spagnolo. Perciò il M. tentò di accreditare la notizia che il suo battesimo, avvenuto a Pescina, fosse stato celebrato nella chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio, parrocchia romana dei genitori. Quando, tra il 1644 e il 1650, finanziò il restauro della chiesa, a opera di Martino Longhi il Giovane, fece apporre sulla facciata un’iscrizione commemorativa dell’evento.
Nel 1609 il M. entrò nel Collegio romano. Al termine di un eccellente corso di studi, presentò una dissertazione sulle comete sotto la guida del padre Orazio Grassi. Dal 1618 al 1622 accompagnò Girolamo Colonna, figlio del connestabile Filippo e futuro cardinale, in Spagna, dove Girolamo compì i suoi studi nell’Università di Alcalá de Henares. Al suo rientro a Roma, dovette affrontare i problemi familiari determinati dalla fuga del padre per un’accusa di omicidio: grazie alla protezione dei Colonna e di altri potenti la questione fu risolta e il M. poté proseguire gli studi di diritto alla Sapienza. Un po’ tardivamente, nel 1628, vi conseguì il grado di dottore in utroque iure.
Nel frattempo aveva deciso di seguire la carriera delle armi al servizio del papa. Colse l’occasione della leva di truppe indetta per costituire l’esercito da inviare a occupare le fortezze della Valtellina affidate al pontefice in virtù della sua mediazione tra gli Asburgo e i loro antagonisti (Francia, Savoia, Venezia). Nel 1623 gli fu affidata una compagnia del reggimento di Francesco Colonna, principe di Palestrina, con il grado di capitano di fanteria. Nell’aprile 1625, con lo stesso grado, era nella guarnigione di Loreto, dove conobbe il commissario apostolico Giovan Francesco Sacchetti. L’intervento francese nell’inverno 1625 sfociò nel trattato di Monzón del 5 marzo 1626. L’aprile successivo il M. partì nell’armata posta sotto il comando del maresciallo di campo Alessandro Sacchetti e rimase acquartierato a Monza fino al gennaio 1627, quando Urbano VIII richiamò le truppe pontificie. Abbandonò allora il mestiere delle armi per seguire G.F. Sacchetti quando questi accompagnò il proprio fratello Giulio a Ferrara, dove era stato nominato legato nel marzo 1627. Nel gennaio 1629 G.F. Sacchetti fu a sua volta nominato nunzio straordinario a Milano per preservare la pace dopo la morte del duca di Mantova Vincenzo II Gonzaga; il M. lo accompagnò in qualità di segretario, ma presto rimase solo, quando Sacchetti rientrò a Roma lasciandogli il carico delle trattative. Dinanzi all’aggravarsi del conflitto di Mantova e in preparazione della legazione di pace di Bologna, che avrebbe dovuto essere guidata da Antonio Barberini, nel settembre 1629 il M. fu inviato presso i diversi belligeranti al fine di sondare le loro intenzioni. Si trattava della sua prima missione diplomatica ufficiale.
Fu in quell’occasione che incontrò per la prima volta il cardinale A.-J. Du Plessis de Richelieu, a Lione il 29 genn. 1630. Come con gli altri interlocutori, egli fece intravedere i vantaggi di una pace onorevole, ma il negoziato, come gli altri colloqui tenutisi nel corso dell’anno, fu fallimentare. Tuttavia, alla fine di ottobre 1630 i belligeranti, stanchi d’una situazione militare stagnante, sembravano disponibili alla prospettiva di un armistizio. Una proposta in tal senso fu portata dallo stesso M. agli eserciti francese e spagnolo che si fronteggiavano a Casale Monferrato e l’armistizio fu firmato tra i generali delle due parti. Verso la metà di gennaio 1631 il M. fu inviato a Parigi per discutere in rappresentanza del papa la posizione della Francia nel regolamento definitivo della questione italiana. Infine, i trattati di Cherasco (6 aprile e 19 giugno 1631) segnarono l’epilogo della crisi di Mantova. Il M. si dedicò quindi per una buona parte del 1632 a negoziare l’attuazione delle garanzie di questi accordi: un nuovo trattato, concluso il 28 ott. 1632, sancì la cessione definitiva della fortezza di Pinerolo alla Francia. La missione del M. aveva esaurito così il suo scopo ed egli poté tornare a Roma dopo cinque anni di assenza.
Durante i negoziati in Francia, per mettersi nelle condizioni di ottenere benefici ecclesiastici dal papa, ricevette la tonsura dall’amico Alessandro Bichi, nunzio in Francia, il 18 giugno 1632 nel corso di un soggiorno della corte in Lorena, a Sainte-Menehould. Questo atto, che non lo impegnava negli ordini maggiori e gli lasciava la possibilità teorica di tornare allo stato laicale e di sposarsi, faceva di lui un chierico.
Gratificato del titolo di monsignore, dopo che il papa lo aveva nominato protonotario apostolico (15 nov. 1632), nel febbraio 1633 ricevette l’incarico di uditore presso il nipote di Urbano VIII, il cardinale Antonio Barberini iunior, che era stato appena nominato legato di Avignone. Non lasciò tuttavia Roma, dove frequentò con assiduità palazzo Barberini. Dopo la nomina da parte di Luigi XIII, il 30 dic. 1633, di Antonio Barberini coprotettore di Francia a Roma, Urbano VIII, irritato da questa iniziativa, allontanò il M. nominandolo vicelegato ad Avignone (1° luglio 1634) e affidandogli un delicato incarico in qualità di nunzio straordinario presso Luigi XIII. Il M., che arrivò a Parigi il 26 nov. 1634, doveva chiedere al re di lasciare i suoi alleati militari eretici, restituire la Lorena occupata nel 1632 al duca legittimo Carlo II e riconoscere il matrimonio di suo fratello Gastone con la sorella del duca. Tutti punti sui quali la posizione del re e di Richelieu era irremovibile. I sedici mesi di negoziato con Richelieu portarono progressivamente il M. ad allinearsi, contro la volontà del pontefice, alle posizioni francesi. Rientrato ad Avignone il 7 apr. 1636, vi restò fino al novembre successivo. Nel gennaio 1637 fu richiamato a Roma, dove fu accolto tra i «gentilhuomini» della famiglia di Antonio Barberini. Rimase in questa funzione di servizio domestico per tre anni, durante i quali il papa si rifiutò di cedere alle richieste del re di Francia, che reclamava il M. a Parigi come nunzio ordinario. Dopo la morte, nel dicembre 1638, di François Leclerc du Tremblay (padre Joseph), confessore ed eminenza grigia di Richelieu, il M. divenne subito il candidato ufficiale della Francia per una promozione cardinalizia. Divenuto, come mostra la sua regolare corrispondenza con Richelieu, punto di riferimento per la politica francese a Roma, la sua posizione divenne sempre più delicata. Il 13 dic. 1639 lasciò la città, dove non avrebbe più fatto ritorno.
Arrivato a Parigi il 4 genn. 1640, fu subito destinato a essere uno dei plenipotenziari francesi, al fianco di Claude de Mesmes conte d’Avaux, nel negoziato del futuro congresso di pace. In effetti, prima di aver potuto partecipare a una sola riunione, in settembre fu inviato in Savoia per soccorrere la reggente Cristina di Francia, che si trovava ad affrontare un’autentica guerra civile suscitata dal cognato Tommaso di Savoia principe di Carignano. Il M. fallì nell’assedio di Ivrea, che guidò dal marzo al maggio 1641, e non riuscì a ricondurre il principe ribelle nell’orbita francese. A dispetto dell’esito della missione, la promozione del M. al cardinalato rimase all’ordine del giorno e nel corso del 1641 divenne un elemento del negoziato tra Parigi e Roma; per il papa il richiamo dell’ambasciatore francese a Roma, François-Annibal d’Estrées marchese di Coeuvres, ne costituiva la condizione irrinunciabile. L’arrivo di un nuovo nunzio a Parigi, Girolamo Grimaldi, permise di rimpiazzare d’Estrées con François du Val, marchese di Fontenay-Mareuil. Il 16 dic. 1641 il M. fu finalmente elevato al cardinalato; la berretta gli fu consegnata a Valenza il 26 febbr. 1642. Accompagnò Richelieu in un lungo viaggio nella valle del Rodano fino alle porte del Rossiglione (primavera-estate 1642). Nel settembre 1642 fu inviato a Sedan per prendere possesso della città e della fortezza in nome del re dopo la ribellione di F.M. de la Tour d’Auvergne, duca di Bouillon. Conclusa questa missione senza colpo ferire, raggiunse di nuovo Richelieu, che non lasciò fino al rientro a Parigi. Il vecchio ministro di Luigi XIII, sentendo prossima la fine, raccomandò al re di servirsi del M. dopo la sua morte, che avvenne il 4 dic. 1642. Il giorno successivo il re chiamò il M. nel suo Consiglio.
La vita di quello che divenne d’ora in avanti il «Mazarin» si confonde con la storia politica della Francia. In pochi mesi consolidò il suo potere presso il re. Fece licenziare il segretario di Stato per la Guerra François Sublet des Noyers e lo sostituì con Michel Le Tellier, marchese di Barbezieux, che gli restò sempre legato da una fedeltà a tutta prova. Il 21 apr. 1643 fu scelto per essere il padrino del delfino, il futuro Luigi XIV, e alla vigilia della cerimonia fu designato dal re come capo del Consiglio di reggenza sotto l’autorità della regina. Dopo la morte di Luigi XIII (14 maggio 1643), il 18 maggio la reggente Anna d’Austria lo nominò primo ministro, come prima di lui era stato Richelieu.
Il M., straniero, per giunta di modesta nascita, presto accusato, senza fondamento, di essere l’amante della regina madre, dovette imporsi in una reggenza resa instabile dalle rivendicazioni nobiliari individuali e di gruppo. La sconfitta a opera del M. del complotto della «cabale des Importants» (27 maggio 1643) già all’inizio del settembre di quell’anno gli permise di imporsi rapidamente sul piano interno. In ottobre si fece rilasciare lettere di naturalizzazione con diritti più ampi di quelli che gli erano stati riconosciuti nell’aprile 1639 per conferirgli benefici ecclesiastici in Francia. Senza divenire in tutto e per tutto un suddito del re, ottenne tutti i diritti e i privilegi dei soggetti alla monarchia francese, in particolare la facoltà di esercitare uffici pubblici senza rischio di contestazione.
Liberatosi dai condizionamenti iniziali, il M. poté consacrare le sue energie alla prosecuzione della guerra e ai negoziati di pace. Quando le truppe francesi conseguirono importanti vittorie (Rocroi, 19 maggio 1643 e Nördlingen, 3 ag. 1645), enfatizzate da un’intensa propaganda, il M. diede un’impronta personale alla politica estera della Francia. Assumendo in pieno l’eredità diplomatica di Richelieu, che guardava alla Spagna come alla principale nemica, aprì un nuovo fronte in Italia. Le relazioni con il nuovo papa, Innocenzo X Pamphili, l’elezione del quale era stata con ogni mezzo impedita dal M., furono molto tese e giunsero fino al conflitto armato. Accogliendo in Francia al principio del 1646 i nipoti del papa defunto (Francesco e Taddeo Barberini) in fuga da Roma, il M. sfruttò il pretesto del conflitto personale con il papa, che lo minacciava della confisca del suo patrimonio di famiglia e persino di scomunicarlo se non fosse tornato a risiedere a Roma, per attaccare in realtà gli interessi spagnoli in Italia. La spedizione contro lo Stato dei Presidi in Toscana, non lontano dalle frontiere dello Stato ecclesiastico, si risolse però in un mezzo scacco (disfatta davanti a Orbetello, luglio 1646; presa di Piombino, ottobre 1646). Il M. approfittò anche della rivolta napoletana di Masaniello (luglio 1647) per tentare di sferrare un colpo più forte contro gli Spagnoli. Ben cosciente dei rapporti di forza in seno alla nobiltà napoletana, egli diffidava delle prospettive repubblicane e d’altro canto non si avventurò nel sostenere una soluzione che prevedesse un sovrano del partito francese sul trono di Napoli, fosse pure il fratello Michele. Per lui era sufficiente che il potere spagnolo fosse a lungo messo in discussione e che la rivolta impegnasse nella regione numerosi reggimenti spagnoli.
Sfruttando la posizione vantaggiosa che si era procurato, al congresso di pace apertosi nel 1644 a Münster in Vestfalia il M. poté negoziare gli interessi della Francia con grande flessibilità. Riuscì a far prevalere contro l’imperatore Ferdinando III d’Asburgo le rivendicazioni degli Stati che componevano l’Impero, mentre per la Francia richiese una sola compensazione territoriale: l’Alsazia. Il trattato di pace del 24 ott. 1648, senza mettere fine al lungo e costoso conflitto che la opponeva alla Spagna, ricompensò la Francia di più di un decennio di sforzi militari nel teatro tedesco. Nel momento stesso in cui conseguì questo importante successo diplomatico, il M. dovette affrontare una forte opposizione interna.
La pressione fiscale imposta dalle necessità di una guerra condotta su scala europea e in campi di battaglia numerosi e distanti (Catalogna, Italia, Fiandre, Germania) fu all’origine di un malcontento che precipitò nell’estate 1648. La Fronda parlamentare disorientò senza dubbio l’italiano M.: poco abituato a manovrare un’istituzione di magistrati come il Parlamento di Parigi, egli sottovalutò la gravità della crisi, che toccò l’acme nelle giornate delle barricate parigine del 26-28 ag. 1648. Il M. fece allontanare da Parigi la famiglia reale nella notte del 5-6 genn. 1649 e s’appoggiò al principe Louis (II) di Condé, il vincitore di Lens contro gli Spagnoli (20 ag. 1648), per domare la rivolta dei Parigini. Dopo un assedio di Parigi durato tre mesi, la pace di Rueil (11 marzo 1649) mise fine al conflitto armato, ma lo fece proseguire sul piano politico e sociale. Il M., sempre bersagliato da una massa impressionante di libelli (le mazarinades), rifiutò in effetti di assecondare le rivendicazioni di autonomia nobiliare di Condé, costringendolo progressivamente in un ruolo di opposizione alla monarchia, accresciuto dall’ostilità sempre più forte che questo principe di sangue nutriva per il M. in quanto capo del governo. Il M., il 18 genn. 1650, lo fece arrestare insieme con suo fratello Louis-Armand de Bourbon principe di Conti e il cognato Henri (II) d’Orléans duca di Longueville. Durante quell’anno la rivolta si estese alle province: in breve tempo si concentrò contro la persona del M. un’insurrezione generale.
L’unione delle fronde avvenne nel gennaio del 1651: si configurò come un’alleanza dettata dalle circostanze tra Gaston d’Orléans, fratello di Luigi XIII, i sostenitori di Condé, Jean-François-Paul de Gondi, coadiutore dell’arcivescovo di Parigi e futuro cardinale di Retz, e i parlamentari parigini. Allorché Anna d’Austria si risolse alla liberazione dei principi dal carcere, il M. effettuò di persona tale liberazione come estremo tentativo di sopravvivenza politica (10 febbr. 1651), ma invano. Poco dopo fu costretto ad abbandonare Parigi e il Parlamento lo bandì dal Regno, si rifugiò negli Stati dell’arcivescovo elettore di Colonia Massimiliano Enrico di Baviera, che gli mise a disposizione la residenza di Brühl, dove il M. giunse l’11 apr. 1651. Dall’esilio renano intrattenne una nutrita corrispondenza con Anna d’Austria, che si consigliava con lui per il governo politico e preparava il suo ritorno. La regina madre, che dovette affrontare una nuova rivolta di Condé, richiamò il M., sulla cui testa il Parlamento di Parigi mise una taglia (29 dic. 1651) finanziata con la vendita della biblioteca, che fu sequestrata nel gennaio-marzo 1652. Il 29 genn. 1652 il M. raggiunse la corte e il re, proclamato maggiorenne il 17 sett. 1651. Beneficiando immediatamente dell’appoggio militare, decisivo e senza condizioni, di Henri de La Tour d’Auvergne visconte di Turenne (febbraio 1652), il M. seppe approfittare dei dissensi tra i frondisti per mettere fine alla rivolta contro la monarchia (gli ultimi sussulti, a Bordeaux, si spensero nel luglio 1653), anche se la guerra civile di quei mesi pesò fortemente sull’economia e la società francesi.
Durante quest’ultimo periodo di governo (1653-61) il M. prese risolutamente la guida dell’educazione del giovane re. Dopo la consacrazione (7 giugno 1654), provvide personalmente a infondergli, al di là della tradizionale educazione affidata ai precettori, i principî d’azione politica che Luigi XIV avrebbe messo in pratica dall’inizio del suo regno.
La prosecuzione della guerra obbligava la monarchia a mantenere alta la pressione fiscale sulla popolazione, ma soprattutto a cercare ulteriori fonti di finanziamento. Il M. approvò una politica di prestiti da parte di finanzieri secondo modalità che aggiravano spesso le procedure contabili. In ciò era efficacemente assecondato da Nicolas Fouquet, sovrintendente delle Finanze insieme con Abel Servien dal 1653 e da solo dal 1659, dopo la morte di quest’ultimo. Fu in questo periodo che il M. accumulò la sua enorme fortuna grazie all’intreccio tra finanze pubbliche e profitti personali abilmente gestito tanto da Fouquet quanto da Jean-Baptiste Colbert, intendente degli affari del Mazzarino. Il carico fiscale era imposto ai sudditi attraverso gli intendenti provinciali, soppressi nel 1648 su richiesta dei frondisti e ripristinati dal M. nel 1653.
In questo periodo il M. dovette affrontare i dissidi che turbavano la Chiesa francese e che traevano origine dalla questione giansenista e dall’azione politico-ecclesiastica del cardinale di Retz. Il M. non nutriva a priori le prevenzioni di Richelieu contro i giansenisti e temeva piuttosto il partito cattolico dei devoti. La sua politica di tolleranza, che si estendeva ai protestanti così come agli ebrei, si arrestava non appena l’autorità reale veniva contestata. Il giansenismo, per le sue esigenze d’assoluto, poteva dunque rivelarsi incompatibile con l’obbedienza naturale dovuta al re; Retz, al contrario, con le sue manovre e il suo attivismo in seno al clero francese, e in particolare parigino, ma anche su scala internazionale, minacciava il potere reale di un’instabilità permanente e interferiva nella diplomazia del Mazzarino. Questi lo fece dunque arrestare il 19 dic. 1652 e la cosa non mancò di riacutizzare il rancore del papa contro di lui. Innocenzo X, però, malgrado tutto aveva bisogno del sostegno del M. per venire a capo delle resistenze dei giansenisti a sottomettersi all’autorità pontificia, come richiedeva la bolla Cum occasione del 31 maggio 1653. Il M. la fece ricevere in Francia e chiese ai vescovi di diffonderla nelle diocesi. Retz, divenuto arcivescovo di Parigi nel marzo 1654, raggiunse Roma dopo essere evaso dalla prigione (8 ag. 1654), ma Innocenzo X morì il 7 genn. 1655. Il M., agendo sul conclave, tentò di far eleggere l’amico cardinale Giulio Sacchetti ma, dinanzi ai ripetuti insuccessi, spostò il suo sostegno sul candidato che risultava favorito dallo scrutinio, Fabio Chigi, eletto, con il nome di Alessandro VII, il 7 apr. 1655. Il M. sollecitò l’appoggio del nuovo pontefice nella lotta che egli conduceva a distanza contro Retz, il quale provocava autentico disordine nella Chiesa parigina. Da parte sua, il nuovo pontefice contava sul M. per piegare la resistenza ostinata dei giansenisti, tra l’altro espressa dalle Lettres provinciales di B. Pascal. Il M. impedì così personalmente, il 7 apr. 1657, un’ultima offensiva dei giansenisti all’assemblea del clero, che aveva accolto senza una vera volontà di discutere la nuova bolla antigiansenista Ad sacram Beati Petri sedem.
Con il ritorno alla pace civile in Francia, il M. moltiplicò le aperture diplomatiche. La più importante fu quella offerta all’Inghilterra di O. Cromwell. Dopo lunghe e macchinose trattative in cui ciascuno degli interlocutori tentò di ingannare l’altro, Cromwell accettò di impegnare il suo paese nel conflitto che lacerava il continente (trattato di Parigi, 23 marzo 1657). Il M. gli offrì in cambio la città e il porto di Dunkerque. La vittoria di Turenne nella battaglia delle Dune (14 giugno 1658) concretizzò le aspettative dei due alleati: l’uno ebbe Dunkerque e l’altro la «strada» dei Paesi Bassi spagnoli. Poco dopo, sul fronte tedesco, il M. realizzò il suo capolavoro diplomatico. Il 14 ag. 1658 fu conclusa la Lega del Reno, che univa i principi renani contro l’imperatore, e la Francia vi aderì il giorno successivo. L’alleanza permise di contrastare con efficacia per una decina di anni l’influenza militare degli Asburgo di Vienna nel mondo germanico. Ormai in posizione di forza, il M. mirava non a una disfatta della Spagna, quanto piuttosto a condurla verso la pace in tempi più rapidi possibili. Concluse personalmente con l’inviato del re di Spagna Filippo IV, Luis Menéndez de Haro, i negoziati intrapresi per la parte francese dal suo fedele rappresentante Hugues de Lionne. Gli ultimi colloqui ebbero luogo tra i due uomini sul fiume Bidassoa, nell’Isola dei Fagiani, ai confini tra Francia e Spagna. Lì, il 7 nov. 1659, fu firmato il trattato di pace che stabilì l’unione alla Francia dell’Artois e del Rossiglione, oltre diverse piazzeforti delle Fiandre, dello Hainaut e del Lussemburgo. Soprattutto, il trattato fu seguito dal matrimonio di Luigi XIV con Maria Teresa d’Austria: il M. si era impegnato personalmente per arrivare a questa unione, non esitando a sacrificare sull’altare degli interessi di Stato la nipote Maria Mancini, della quale il re era innamorato. Il M. completò l’eredità diplomatica che lasciò al giovane re con il trattato di Oliva (3 maggio 1660), per mezzo del quale impose con la sua mediazione la pace nel conflitto che opponeva la Svezia alla Polonia e al Brandeburgo sulla base del rispetto della divisione confessionale stabilita dai trattati del 1648.
Il M. morì nel castello di Vincennes il 9 marzo 1661.
Ispirato dal suo confessore, il teatino italiano Angelo Bissaro, nominò Luigi XIV suo erede universale. Ma il re rifiutò il lascito e la fortuna del M. tornò alla famiglia, principalmente al nipote acquisito, Charles-Armand de La Porte, marchese de La Meilleraye, che assunse il nome di Mazarin.
Lo stato di chierico permise al M. una straordinaria accumulazione di benefici. Il primo che il papa gli conferì, con un breve di dispensa dagli ordini sacri dell’8 maggio 1632, fu un canonicato della basilica di S. Giovanni in Laterano a Roma. Dopo il suo arrivo definitivo in Francia e la concessione delle lettere di naturalizzazione, piovvero su di lui benefici ecclesiastici in gran numero. Rifiutò sempre i vescovati, che lo avrebbero obbligato a ricevere gli ordini maggiori: l’«elezione» (in realtà una nomina regia) che lo pose alla guida della diocesi di Metz nel 1652 non fu seguita dalla bolla d’investitura. Accumulò invece una quantità di abbazie e priorati molto prestigiosi, tra cui Cluny, St-Germain-des-Prés, Corbie, che gli procurarono, oltre a un potere disciplinare che mise talvolta al servizio della riforma auspicata dalla Congregazione di St-Maur, rendite considerevoli. Queste furono la base di una fortuna che la partecipazione agli affari di Stato, al grande commercio per l’armamento di navi e soprattutto la gestione tanto oculata quanto rigorosa del suo intendente Colbert accrebbero enormemente. Il suo patrimonio fu valutato tra i 30 e i 35 milioni di libbre e comprendeva celebri palazzi.
Il suo agente a Roma, l’abate Elpidio Benedetti, che era stato suo segretario durante la nunziatura straordinaria nel 1634-36, lo avvisò della vendita del palazzo Bentivoglio (futuro palazzo Rospigliosi-Pallavicini) sul Quirinale. Il M. lo acquistò il 23 marzo 1641: non lo vide né vi abitò mai, ma vi alloggiarono il padre e il fedele Benedetti con i suoi archivi. A Parigi acquistò il palazzo del presidente della Chambre des comptes, Jacques Tubeuf, che fece completare con diverse gallerie, la più celebre delle quali è quella cominciata da François Mansart nel 1645. Il M., che preferiva alloggiare nelle residenze reali (Louvre, Vincennes), utilizzò questo palazzo per sistemarvi le sue numerose, ricchissime collezioni di quadri, di antichità e di pietre preziose (tra cui i famosi mazarins, diciotto diamanti del valore di circa due milioni di libbre, tra i quali il Sancy e il Miroir de Portugal), oltre alla sua biblioteca. La celebre raccolta (che comprendeva, tra gli altri, il primo libro cinese posseduto in Francia) fu affidata in un primo tempo alle cure del brillante bibliotecario Gabriel Naudé. Poi il M. la aprì generosamente, e in maniera innovativa per l’epoca, agli studiosi. Stimata in circa 40.000 volumi, fu dispersa a seguito della vendita forzosa decretata dai frondisti nell’inverno 1652. Il M. la ricostituì e la lasciò al Collège des Quatre Nations (attuale sede dell’Institut de France e della Bibliothèque Mazarine), che aveva deciso di fondare nel testamento, allo scopo di accogliere allievi provenienti dai territori annessi alla Francia con i trattati del 1648 e del 1659 (Alsazia, Artois, i Catalani di Rossiglione e Cerdagna, Pinerolo).
Il grosso del patrimonio servì tuttavia a sistemare la sua numerosa famiglia, alla quale egli diede i mezzi per approfittare di un’ascesa sociale tanto rapida quanto inattesa. Oltre al fratello Michele, il M. aveva quattro sorelle. La seconda, Anna Maria (1608-69), prese il velo nel convento di Città di Castello, poi si ritirò nel monastero romano di S. Maria di Campo Marzio, di cui divenne priora nel 1657. La terza, Cleria (1609-49), sposò nell’aprile 1643 Pietro Antonio Muti, da cui non ebbe figli. La discendenza delle due altre sorelle diede al M. nipoti maschi e femmine, che egli seppe perfettamente utilizzare nella sua strategia di alleanze sociali mirata ad assicurare l’ingresso della famiglia nella migliore aristocrazia europea e a legare a sé personalità potenzialmente minacciose per l’avvenire della monarchia francese. La sorella Margherita (1606-85) il 16 luglio 1634 sposò Girolamo Martinozzi (morto nel 1639), figlio unico di Vincenzo, maggiordomo di casa Barberini, che fu corrispondente e agente molto fidato del cardinale. Dal matrimonio nacquero due figlie, Laura e Anna Maria. Laura Martinozzi sposò nel 1655 Alfonso IV d’Este, duca di Modena, e fu la madre, tra l’altro, di Maria Beatrice Eleonora (1658-1718), che nel 1673 sposò Giacomo II Stuart e fu regina d’Inghilterra dal 1685 al 1688; Anna Maria (1637-72) sposò nel 1654 Armand de Bourbon Condé, principe di Conti (1629-66). Infine, il 6 ag. 1634, la più giovane delle sorelle del M., Geronima (1614-56), sposò un cugino primo di sua madre, Lorenzo Mancini (morto nel 1654). I figli nati da questa unione intrecciarono alleanze prestigiose con la migliore nobiltà francese. Le sei figlie furono gratificate dell’epiteto di «mazarinettes». Laura Vittoria, detta Laure in Francia, sposò nel 1651 Louis de Vendôme, duca di Mercoeur (1612-68); Olimpia il 20 febbr. 1657 divenne moglie di Eugenio-Maurizio di Savoia Carignano, conte di Soissons, e fu la madre del principe Eugenio di Savoia; Maria, dopo essere stata amante del giovane Luigi XIV, fu costretta dallo zio a sposare nel 1661 Lorenzo Onofrio Colonna; Ortensia il 28 febbr. 1661 sposò Charles-Armand de La Porte, marchese di Meilleraye e futuro duca de Mazarin; Maria Anna sposò nel 1662 Godefroy-Maurice de La Tour d’Auvergne, duca di Bouillon, nipote del futuro maresciallo di Turenne. Un solo figlio di Geronima ebbe una discendenza: Filippo Giuliano ereditò il Ducato di Nevers acquisito dal M. nel 1659, e il 15 dic. 1670 sposò Diane Damas de Thianges, nipote della marchesa de Montespan (Françoise Athénaïs de Rochechouart de Mortemart) allora amante di Luigi XIV.
La storiografia ha volentieri accostato la figura e l’azione del M. a quella di Richelieu o di Colbert e ha attinto spesso alle mazarinades per sottolineare la sua inadeguatezza alla realtà politica e sociale francese, per denunciare il suo affarismo scandaloso o per stigmatizzare la sua pratica politica e diplomatica che ricorreva spregiudicatamente alla menzogna, alle promesse non mantenute nonché alle «combinazioni» che venivano di solito attribuite agli Italiani. Gli studi più recenti hanno dimostrato, al contrario, il senso dello Stato del M.; egli in effetti poteva essere talvolta ingrato e spregiudicato ma senza nutrire risentimenti ostinati verso i nemici politici, se si eccettua l’odio tenace per alcune personalità della corte pontificia tra cui lo stesso papa Innocenzo X. Della sua azione, oltre l’abilità nel manovrare gli ingranaggi sottili delle finanze personali che erano di grande entità e strettamente legate alla riuscita della manovra di governo, la storiografia ha voluto ricordare il suo intenso impegno al servizio di un mecenatismo fastoso, che privilegiava la cultura italiana nella pittura (Giovanni Francesco Romanelli al Palais Mazarin, 1646-47) e nella musica (rappresentazione dell’Orfeo di Luigi Rossi nel marzo 1647). Più in generale, la sua guida del governo della Francia durante quasi venti anni si iscrisse con continuità nell’azione intrapresa da Richelieu, che il M. proseguì con duttilità maggiore di chi l’aveva preceduto. Il M. non fu nemico dei «grandi» se non quando si ribellarono all’autorità del re: non perseguì l’obiettivo della loro eliminazione politica, piuttosto cercò di organizzare la loro coesistenza con la monarchia francese. Nelle relazioni internazionali seppe cogliere le opportunità che i successi militari o l’uscita di scena di questo o quel belligerante gli offrirono.
La politica estera della Francia sotto il M. conobbe qualche cambio di rotta, specie in direzione dell’Italia, di cui egli comprendeva meglio di Richelieu le complesse situazioni interne. Ma le sue istruzioni, che potevano sembrare avviluppate e tortuose, seguivano in realtà un indirizzo chiaro: garantire la sicurezza della Francia per il futuro senza lasciare motivi di rancore e di umiliazione nell’avversario. Il suo regale allievo e figlioccio non ebbe la stessa prudenza.
Fonti e Bibl.: I fondi che documentano la vita e l’opera del M. sono numerosissimi. Le carte prodotte durante il suo ministero furono trasmesse per testamento a Colbert e sono attualmente in Parigi, Archives du Ministère des Affaires étrangères, Mémoires et documents, France, specialmente bb. 259-285 e 846-910. Per la corrispondenza diplomatica Ibid., Correspondance politique, in diverse serie. La serie Rome, bb. 41-143 conserva le lettere del M. con la famiglia e con i suoi agenti a Roma. Si vedano anche le carte di Colbert: Parigi, Bibliothèque nationale, Cinq-cents Colbert; Mélanges Colbert, specialmente bb. 74 (testamento del M. e conti degli esecutori testamentari), 75 (inventario post mortem). Gli affari patrimoniali del M. sono documentati dalle minute di molti uffici notarili parigini, in particolare Parigi, Archives nationales, études XC, XCV et XCVI; Ibid., Bibliothèque nationale, Collection Baluze, 174 (autografi del M.); Londra, British Library, Eggerton 1902-1903 (registri del consiglio di amministrazione dei beni del M., 1654-59). La biblioteca del M. fu venduta all’incanto durante la Fronda e in seguito ricostituita: i testi a stampa hanno formato il nucleo originario della Bibliothèque Mazarine di Parigi; i manoscritti, invece, nel 1668 entrarono nella Bibliothèque royale. E. Benedetti, Raccolta di diverse memorie per scrivere la vita del cardinale G. M.… primo ministro di Stato nel Regno di Francia, Lyon s.d. [forse 1652]; [G. Ménage - J. Chapelain], Elogia Iulii Mazarini cardinalis, Parisiis 1666; G. Gualdo Priorato, Storia del ministerio del cardinale G. M., Cologne 1669; A. 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