MAZZARINO, Giulio Raimondo
Cardinale italiano e primo ministro di Francia, nato a Pescina (Aquila) il 14 luglio 1602, morto a Parigi il 9 marzo 1661. Egli continuò, sviluppò e realizzò il programma politico del Richelieu: e a lui deve la Francia l'acquisto dell'Alsazia, di parte della Fiandra francese, della Cerdagna e del Rossiglione, nonché quel primato in Europa che prende il nome da re Luigi XIV, ma che è dovuto essenzialmente ai successi del M. nella politica estera e interna. Era il primogenito di Pietro Mazzarino (forma originale del nome, avanti che egli stesso la cambiasse in Francia con quella di Mazarini) originario di buona famiglia palermitana e impiegato nell'amministrazione dei feudi di Filippo Colonna gran contestabile del regno di Napoli. Sebbene nato nell'Abruzzo, egli si considerò sempre romano, essendo quasi subito venuto a Roma, dove il padre abitava abitualmente nel rione dei Ss. Vincenzo e Anastasio a Trevi, chiesa che il M. restaurò più tardi a sue spese e che ancora mostra nella facciata il fascio littorio che il M. volle posto nel suo stemma. Frequentò le scuole dei gesuiti al Collegio Romano, vivendo in familiarità con i figli del contestabile, che nel 1619 lo destinò quale compagno (non cameriere) del figlio Girolamo, più giovane di due anni, poi cardinale e arcivescovo di Bologna, all'università di Alcalà e a Madrid. Dalla Spagna lo fecero ritornare i Colonna, perché troncasse una pratica matrimoniale in cui si era invischiato in seguito a difficoltà economiche dovute alla sua passione per il gioco. A Roma entrò quale capitano tenente della compagnia colonnella del terzo (reggimento) di un Colonna, nel piccolo esercito che il papa mandava a presidiare la Valtellina, lui affidata nell'attesa che ne venisse decisa la sorte. Così, a circa vent'anni cominciÒ a farsi quella personale esperienza militare che gli fu così necessaria durante le guerre di Francia fra il 1643 e il 1659. Dal 1623 al 1626, in Valtellina e a Milano, dovette, per incarico del suo generale, Torquato Conti, e del commissario generale pontificio G.F. Sacchetti, compiere frequenti missioni e stendere relazioni. Sciolto dopo la pace di Monzone (1626) il piccolo esercito pontificio, il M. va a Roma, dove si laurea in legge nel 1628, ma per tornare subito dopo, col Sacchetti stesso, a Milano (sempre col grado di capitano, in realtà quale segretario, o consigliere, si direbbe ora, di legazione), perché Urbano VIII, prevedendo le nuove complicazioni della successione di Mantova, voleva mantenere in Italia la pace: perciò, l'anno dopo, richiamato il Sacchetti, il papa nominava legato il nipote card. Antonio Barberini, col nunzio mons Pancirolo, i quali solo nel novembre 1628 si mossero da Roma.
Nel frattempo, il M. rimaneva per molti mesi a Milano solo incaricato degli affari, e quando nell'estate del 1629 scesero in Italia le truppe imperiali del Collalto, per agire contro Mantova, tentò di mettere d'accordo il generale spagnolo Ambrogio Spinola, i duchi di Mantova e Savoia, il generale imperiale, il maresciallo francese C. de Créqui, per ottenere, sia nel Monferrato sia nel Mantovano, una sospensione d'armi che permettesse la riunione d'un congresso per la pace in Italia. Giunta la notizia che il Richelieu si avvicinava con l'esercito alle Alpi, venne mandato dal Barberini a Lione a fargli la stessa proposta; e il 29 gennaio 1630, ebbe con lui il primo incontro, ottenendo però solo che il maresciallo de Créqui fosse autorizzato ad abboccarsi con lo Spinola e il Collalto. Le pretese spagnole e imperiali, la condotta ambigua di Carlo Emanuele I, impedirono l'incontro: il Richelieu passò il Cenisio e con mossa improvvisa occupava, nel marzo, Pinerolo. Inutili abboccamenti del Pancirolo e del Barberini col Richelieu riportano al primo posto il M. che continua la sua fatica di combinare sempre nuovi progetti di pace che le intenzioni segrete e i puntigli personali altrui mandavano sempre a vuoto. Il 17 maggio, è di nuovo dal Richelieu a Grenoble ed è ricevuto a Chambéry da re Luigi XIII, riportandone un nuovo progetto di pace, a cui oppose difficoltà lo Spinola, che già assediava Casale. Il M. dopo vane corse a Collalto e a Mantova è ancora il 3 luglio dal Richelieu a S. Giovanni di Moriana, per avere una proposta più accettabile; ma, mentre riprende la sua fatica, Mantova cade il 28 luglio e pochi giorni dopo muore Carlo Emanuele. Col nuovo duca e col soddisfatto orgoglio imperiale, la situazione politica mutava: perciò il M., sebbene sconsigliato dal nunzio che era presso il Richelieu, osò ripresentarsi a questo il 2 agosto, resistere al suo sdegno e convincerlo della necessità per Casale della sospensione d'armi offerta dallo Spinola; sospensione che egli riuscì a concludere il 4 settembre sino al 15 ottobre, nell'attesa della pace che si negoziava a Ratisbona. Quando, scaduta la tregua, i Francesi marciano su Casale e il 26 stanno per dare l'assalto alle linee spagnole, il M. che all'ultimo momento ha concluso un accordo col generale spagnolo, si getta a cavallo fra le linee dei combattenti, fa sospendere le ostilità e firmare il trattato che non solo mette fine all'assedio, ma impedisce quella battaglia davanti a Casale che, impegnando l'onore delle due parti, avrebbe reso più lontana la pace. Pochi giornì dopo egli salvava l'esercito francese, che si ritirava verso le Alpi, da un attacco di sorpresa degli Spagnoli indignati che fossero stati lasciati in Casale 300 soldati francesi travestiti da Monferrini.
Nei mesi seguenti il M. fu uno dei negoziatori del trattato di Cherasco (6 aprile 1631) che ristabiliva la pace in Italia, e, più ancora di quello segreto tra Francia e Savo1a (Torino, 3 luglio 1632), che lasciava alla prima Pinerolo e le terre vicine. In ciò il M., non tanto mirava ad appagare il Richelieu, quanto a eseguire la volontà segreta di Urbano VIII. Il M. infatti, divenuto l'esecutore dell'aspirazione del papa a mantenere la pace in Italia e a frenare la prepotenza degli Spagnoli e Austriaci, doveva cercare di ritardare quanto era possibile l'azione di questi, impedire disastri francesi, favorire in ltalia un equilibrio fra le due potenze. Tutto questo, non potendosi accusare apertamente il papa, era attribuito dagli Spagnoli alla parzialità del M. per la Francia.
Dal Piemonte, nella primavera del 1632, il papa lo mandò a Parigi, per ottenere che il Richelieu favorisse l'occupazione sabauda di Ginevra, mentre questi la giudicava dannosa agl'interessi francesi. Là, essendogli stato conferito un canonicato di S. Giovanni Laterano (dipendente dal re di Francia), divenne, da capitano, monsignore e ricevette la tonsura: primo e unico grado dell'ordine clericale che ebbe anche da cardinale il M., il quale non solo non fu mai prete, ma non ebbe nessuno degli ordini maggiori. La trasformazione era necessaria per restare nella diplomazia pontificia; tuttavia, tornato a Roma, il M. non ebbe i premî che si aspettava dopo tanta attività. Entrò perciò al servizio del cardinale Antonio Barberini legato di Avignone; e così ottenne nel 1634 dal papa la nomina di vicelegato ad Avignone e di nunzio straordinario a Parigi per trattare lo sgombro della Lorena e la nomina dei plenipotenziarî per la pace. Nel novembre del 1634 era a Parigi, ove ottenne quasi solo di rendere più intima la sua familiarità col Richelieu e con Luigi XIII, ma di divenire anche più sospetto alla Spagna: sì che, nell'aprile del 1636, doveva ritirarsi ad Avignone e tornare nel novembre a Roma, dove invano aspettò la porpora a cui era stato proposto. La certezza che, stando a Roma, non avrebbe mai vinto l'ostilità spagnola, lo indusse ad accettare il servizio della Francia: il 7 giugno 1639 otteneva dal re la cittadinanza francese e nel dicembre s'imbarcava per la Francia. Il 4 gennaio del 1640 era a Parigi, ove sostituì il confidente del Richelieu, il padre Giuseppe Le Tremblay, morto il 15 dicembre 1638. Nei due anni che fu presso il cardinale, negoziò un accordo con Onorato II Grimaldi signore di Monaco e con la reggente di Savoia; ottenne dal duca di Bouillon la cessione di Sedan e sempre fu mediatore tra il re e il cardinale. Il 26 dicembre 1641, su richiesta del re, era alfine nominato cardinale e stava per venire a Roma, quando il Richelieu, aggravatosi, lo pregò di rimanere. Già da mesi il Richelieu l'aveva additato al re quale suo successore; e il 5 dicembre il giorno dopo la morte del Richelieu, il re lo nominò primo ministro.
L'influenza del nuovo ministro cominciò ad apparire nell'attenuazione che subito si ebbe dei rigori passati: la grazia a Gastone d'Orléans, ai marescialli chiusi nella Bastiglia, a molti esuli; il trasporto da Colonia della salma della regina madre. Quale fiducia egli godesse presso il re si vide quando venne designato primo nel consiglio dal re assegnato alla futura reggente. Contemporaneamente (21 aprile 1643) teneva a battesimo il Delfino, il futuro Luigi XIV. Appena morto il re (14 maggio), la reggente chiese al parlamento l'annullamento delle limitazioni poste al suo potere, aiutata in questo da coloro che speravano averne vantaggio: e certo, l'abile esecuzione di questa manovra fu suggerita dal M., a cui Anna d'Austria era già legata da un sentimento di fiducia e di affetto che non si smentì mai. Il M., rimasto nell'ombra, veniva la sera stessa del 18 maggio confermato nel consiglio.
L'opera politica del M., da quel giorno alla morte, si confonde con la storia politica della Francia e dei grandi avvenimenti di Lui fu l'artefice, come le paci di Vestfalia e dei Pirenei, o che ne misero in forse l'autorità, come la Fronda. Qui, importa solo rilevare l'azione specifica del M. e i suoi caratteri e moventi.
Difficili erano ancora le mete da raggiungere in fatto di politica estera. Ma per piegare l'impero e la Spagna alla pace, il M. capì che bisognava colpire più sodo e in campi più vasti. Abbiamo così in Germania e Fiandra, dopo la battaglia di Rocroy, vinta dal duca d'Enghien, nel 1643, la vittoria di Friburgo nel '44 e l'occupazione della riva sinistra del Reno, che arriva nel 1645 a Treviri dopo la vittoria di Nördlingen; nel '46, la conquista di Mardyck e Dunkerque; nel '47, la pace separata con la Baviera; nel '48, le vittorie di Zamarhausen e Lens che piegano l'impero finalmente alla pace. Contemporaneamente, si combatte in Catalogna e in Piemonte; nel 1646 una spedizione francese occupa Porto Longone nello Stato dei Presidî; nel 1647 da Modena, guadagnata all'alleanza, si sferra l'offensiva su Clemona: e fu grave minaccia alla Lombardia spagnola, stroncata dallo scoppio della Fronda. Ma oltre che colpire direttamente il nemico, si cerca d'isolarlo e di esaurirlo nella Transilvania, dove il voivoda Giorgio Rákóczy è spinto contro l'Ungheria austriaca; nella Danimarca e nella Svezia, fra le quali si negozia una pace che consenta a questa di rimanere in prima linea contro l'impero; nel Portogallo, dappertutto. A Münster e Osnabru̇ck, malgrado le difficoltà inteme, i plenipotenziarî francesì non hanno debolezze, e il 24 ottobre 1648, era firmata la pace, grande monumento della diplomazia moderna, che creava i nuovi rapporti dell'Europa, sulla base della vittoria francese sul Sacro Romano Impero, ridotto a vuoto sistema federativo.
Difficoltà maggiori incontrò il M. all'interno, per la reazione e lo spirito d'indisciplina di tutte le classi, scatenatosi dopo la morte del Richelieu e del re, in un paese esaurito e stanco da trent'anni di agitazioni e di guerre. Così, fra la resistenza sempre più proterva del parlamento di Parigi, sostenuto dal malcontento di tutte le classi, e le concessioni del governo, che cede sperando di riaversi col cessare della guerra e delle relative spese e tasse, si prepara la Fronda che prese di mira specialmente il M. al quale si facevano risalire tutti i malanni dello stato. I mestatori, che aspiravano al posto occupato dal ministro, interpretavano come segno di debolezza le sue forme concilianti, non sospettando quale energia ostinata, e quale fedeltà tenace ai proprî disegni esse celassero. È nota la storia della Fronda: le barricate di Parigi, il 26 agosto 1648, al primo atto di energia della corona (dopo la vittoria di Lens) verso il parlamento; l'umiliazione della reggente: la fuga della corte a Saint-Germain, il 6 gennaio 1649; e l'accordo col parlamento dopo il blocco di Parigi fatto dal Condé che, per le sue prepotenze e pretese quale salvatore della corona, viene poi arrestato il 18 gennaio 1650. La rivolta serpeggia in Francia, mentre avanza l'invasione straniera promossa dall'aristocrazia. Il M. accorre in persona a Rethel (dicembre 1650) col suo reggimento italiano contro il Turenne, che con gli Spagnoli aveva invaso la Champagne. Ma in quel momento, i frondisti parlamentari che l'avevano aiutato contro il Condé, emettono contro di lui un decreto di bando (febbraio '51), mentre la folla parigina trattiene prigioniera la reggente, perché non segua il suo presunto amante. Il M. si ritira a Brühl presso Colonia e di là dirige la condotta della regina, aspetta lo sfacelo delle coalizioni di tanti egoismi e respinge sdegnoso le offerte spagnole, mentre il Condé accoglie a Bordeaux sollevata gli aiuti del nemico. La tragedia volgeva alla fine. Nel Natale del'51, il parlamento mette una taglia di 50.000 scudi sul M. Il Condé dopo varî sforzi per conservare Parigi, passa al nemico, mentre il 21 ottobre rientra il re, già dichiarato maggiorenne l'anno prima. Ma il cardinale si tiene discretamente in disparte e solo il 3 febbraio 1653 torna in trionfo nella città che pareva ne volesse la testa. Apparve allora la bontà innata del M., che, per affrettare la ripresa dei grandi disegni che la Fronda aveva distrutti, dimentico di ogni offesa si riconciliò con i suoi avversarî. Gli anni dal 1653 al'59 segnano il ritorno alla grande politica per costringere la Spagna a quella pace che l'aristocrazia ribelle aveva impedito; ma molte conquiste del 1648 erano per sempre perdute. La guerra riarde in Lombardia; una forte azione in Germania costringe l'impero a un'effettiva neutralità; per impedire l'alleanza della Spagna con il Cromwell, il M. non esita, vincendo ogni scrupolo dinastico, a procurarsi quell'appoggio inglese che obbligherà la Spagna alla pace dei Pirenei (1659). Con essa, la Francia ha i confini naturali al sud, città preziose delle Fiandre al nord e il senso della sua netta vittoria sulla monarchia iberica. Durante queste trattative il M. si oppone risolutamente alla passione di Luigi XIV per la sua nipote Maria Mancini, che il re vorrebbe sposare rinunciando al matrimonio con l'infanta, Maria Teresa, mira costante del M. e della regina per preparare la grandezza della Francia. Nella pace di Oliva (1660) faceva la Francia garante della pace degli Stati Baltici, come già della Germania a Münster. Questa la situazione politica che il M. lasciava, morendo, al giovane re
La sua salma, sepolta nella cappella del Collegio Mazzarino (ora sede dell'Istituto), andò dispersa per il decreto di profanazione delle tombe regali emesso dalla Convenzione il 6 agosto 1793. La sua sostanza, calcolata di 125 milioni di lire oro, che il M. aveva già donata al re, andò divisa fra i nipoti Mancini e Martinozzi; ma in gran parte toccò al duca di Meilleraye, marito di Ortensia Mancini, che assunse il titolo di duca di Mazzarino. La linea si estinse nel 1731, e per via di donne l'eredità passò ai Grimaldi di Monaco.
Al Mazzarino anche i Francesi, scomparsa lentamente l'ostilità espressa nelle migliaia di Mazarinades e nelle Memorie contemporanee, ricoscono ora i randi servi i resi allo staio. i ammette che nessuno. nell: Francia d'allora, ebbe una visione alta e lungimirante degl'interessi francesi e una piena devozione alla grandezza della nazione, come questo ltaliano. Tuttavia non è esatto il iarne solo l'esecutore dei piani del Richelieu o il servitore appassionato di una regina. Vi era in lui, sotto semplicità di forme, originale grandezza di propositi, senso vivo della realtà politica europea, fomiatosi nel soggiorno in Spagna, nei contatti con le corti italiane, nella diplomazia pontificia, nello spettacolo della nuova forza dello stato francese guidato da un grande ministro. La sua devozione alla Francia era fondata sulla fede incrollabile nell'avvenire di questo grande paese, di cui voleva essere l'artefice mediante una nuova sistemazione dei rapporti fra gli stati europei. E questa altezza d'idealità egli la derivava appunto dalla sua qualità di straniero. Estraneo spiritualmente agli egoismi che avvelenavano l'anima della maggioranza dei Francesi, vedeva limpidamente le possibilità del regno. Italiano e diplomatico pontificio, non portava alcuna preferenza nazionale nella sua opera. Giacché anche per lui, come per il Richelieu, lo scacchiere italiano aveva, come esigeva l'interesse della Francia rivolto al Reno e alle Fiandre, importanza secondaria: solo che il M., con una più sicura conoscenza delle condizioni italiane, avrebbe, senza la Fronda, agito più energicamente per diminuirvi l'influenza spagnola. Non bisogna dimenticare poi che il M. si trovò di fronte non Urbano VIII, l'unico papa che giudicasse utile l'intervento francese in Italia, ma Innocenzo X e Alessandro VII, di tendenze spagnole, che gli crearono non pochi imbarazzi. La Fronda tarpò le ali alla politica estera del M., impedendo una più netta affermazione dell'egemonia francese; essa però, se fu fatale in tanto malcontento e stanchezza della Francia, contribuì anche a preparare il regno di Luigi XIV, sicuro all'interno dopo che le ultime resistenze erano state soppresse più che dalla forza, dalla rivelazione del rovinoso egoismo che le ispirava, facendo apparire benefico l'assolutismo regio. Il M. ha non poco merito delle manifestazioni migliori di questo grande periodo di storia francese; è invece estraneo alle prepotenze che indurranno l'Europa a collegarsi contro la Francia: egli non aveva potuto trasfondere la sua prudente moderazione nel suo regale allievo. Anzi a mano a mano che dall'animo di Luigi XIV spariscono i ricordi del maestro, e dal suo fianco i collaboratori che il M. aveva educati, il regno perde solidità e splendore e si avvia alla catastrofe che ne segnerà la fine.
È necessario, per conchiudere, fare un cenno delle relazioni del M. con la regina Anna. Che vi fosse tra i due un sentimento di tenerezza intenso e durevole, è innegabile; ma l'attribuzione al M. della paternità di Luigi XIV o del duca di Orléans è da escludersi per il fatto che il M. era lontano da Parigi quando furono concepiti. Del mecenatismo del M. basti ricordare che nel suo testamento ordinò la fondazione del Collegio delle Quattro Nazioni per 60 giovani delle quattro provincie da lui riunite alla Francia (Artois, Rossiglione, Alsazia, Pinerolo); ad esso lasciava la sua biblioteca, da tenere aperta agli studiosi.
Fonti Lettres du Card. Mazarin pendant son ministère, a cura di A. Chéruel, Parigi 1872; Lettres du Card. Mazarin, a cura di A. Chéruel e G. D'Avenel, voll. 9, Parigi 1879-905; Lettres du Card. Mazarin à la reine et à la princesse palatine, a cura di M. Ravenel, Parigi 1836; Epistolario inedito del card. M.. a cura di C. Morbio, Milano 1842; Les carnets de Mazarin, a cura di V. Cousin, in Journal des savants, settembre 1854 e segg., e a cura di Chéruel, in Revue historique, 1877. V. anche i Mémoires di Argenson, Bassompierre, Brienne, Gramoni, Molé, M. lle Montpensier, Motteville, Plessis-Praslin, Richelieu, la Rochefoucauld, Saint-Simon, Talon Omer, Turenne, ecc.
Bibl.: E. Benedetti, Raccolta di diverse memorie per scrivere la vita del cardinal G. M., s.a., sec. XVII; G. Priorato, Hist. del Ministerio del card. G. M. ecc., Colonia 1669, voll. 3; A. Aubery, Hist. du card. M., Parigi 1688; A. Bazin, Hist. de France sous le card. M., Parigi 1846, voll. 4; V. Cousin, La Jeunesse de M., Parigi 1865; A. Bazzoni, Un nunzio straord. alla corte di Francia nel sec. XVII, Firenze 1882; A. Chéruel, Hist. de la France pendant la minorité de Louis XIV, Parigi 1879; id., Hist. du ministère de M., Parigi 1882; F. Donaver, Il card. M., Genova 1884; L. Simeoni, Francesco I d'Este e la politica it. del M., Bologna 1922; U. Silvagni, Il card. M., Torino 1928 (con bibl.); M. Boulenger, M. soutien de l'État, Parigi 1930 (trad. ital., Milano 1932); Ponella, M., Bologna 1932.