GIUNTA PISANO
(o di Capitino)
Pittore attivo in Italia centrale tra Toscana, Umbria e, forse, Roma nella prima metà del 13° secolo.La vicenda biografica di G. è parzialmente ricostruibile soprattutto attraverso testimonianze documentarie, organicamente analizzate da Bacci (1922-1923). Particolare interesse rivestono anche due pergamene datate 4 e 26 maggio 1239, conservate nell'Arch. di Stato di Rieti, ma provenienti dall'Arch. Storico del Comune (Verani, 1958). Si tratta di atti rogati nella chiesa di S. Clemente a Roma e riguardanti una controversia per mulini e diritti d'acqua nel territorio di monte Albino, presso le cascate delle Marmore, tra l'abate e i monaci del monastero di S. Sebastiano ad catacumbas e il priore e il Capitolo di S. Maria Nova a Roma. In ambedue gli atti compare come testimone "Leopardo clerico nato Magistri Iuncte pictoris Pisani", mentre in quello del 26 maggio viene citato anche un certo "Iohanne Pisano famulo Magistri Iuncte".La presenza a Roma non solo del figlio del pittore, ma anche di un suo famulus - Giovanni, forse un lavorante di bottega - rende verosimile, se non addirittura probabile, l'ipotesi di un soggiorno di G. nell'Urbe sullo scorcio del quarto decennio del secolo. Le carte reatine permettono inoltre di tentare un calcolo relativo alla cronologia della vita dell'artista; essendo il figlio Leopardo testimone nel 1239, si può ipotizzare che questi fosse intorno ai venticinque anni di età e che fosse nato quindi prima del 1214-1215. Pensando G. almeno ventenne al momento della nascita del figlio, è ragionevole supporre per la sua data di nascita un arco cronologico che comprenda latamente gli ultimi due decenni del 12° secolo.Se questi documenti appaiono assai interessanti per la biografia del pittore, più avare di informazioni sono le altre testimonianze a lui relative, tutte conservate nell'Arch. Arcivescovile di Pisa (Bacci, 1922-1923). La più antica risale al 30 gennaio 1239: si tratta di un atto di vendita in cui compare come testimone un certo "Iunte q. Guidocti de Colle", senza alcun appellativo riguardante la sua attività di pittore. Come Iuncta pictor appare invece in un altro documento di vendita, datato 28 gennaio 1241. Il limite estremo delle attestazioni riguardanti G. si fissa al 28 agosto 1254, data in cui egli è ricordato come Iuncta Capitinus pictor - in una trascrizione trecentesca del documento originale - tra un gruppo di nobili pisani che giurarono fedeltà all'arcivescovo Federico Visconti (Bacci, 1922-1923, p. 154).Si sono conservate tre opere recanti la firma dell'artista: il crocifisso dipinto del Mus. della Basilica Patriarcale S. Maria degli Angeli ad Assisi, quello della chiesa di S. Domenico a Bologna e quello del Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo a Pisa, già nella chiesa del monastero di S. Anna e poi in quella dei Ss. Ranieri e Leonardo, solitamente detta croce di S. Ranierino. Nel crocifisso di S. Maria degli Angeli, l'iscrizione frammentaria, convincentemente integrata da Bacci (1922-1923, p. 156) in "(Iu)nta Pisanus (Cap)itini me f(ecit)", reca anche l'indicazione del patronimico, che concorda con la menzione presente nel già ricordato documento del 1254. Nella chiesa superiore di S. Francesco in Assisi si conservava inoltre, fino alla metà del sec. 17° ca., un grande crocifisso, commissionato al pittore da frate Elia, recante la seguente iscrizione, con la firma e la data 1236: "Frater Helias fieri me fecit / Iesu Christe pie / miserere precantis Helie / Iunta Pisanus me pinxit / A(nno) D(omini) MCCXXXVI / Indictione nona" (Wadding, 1625; Angeli, 1704; Nessi, 1982).Particolarmente controverse a livello critico sono sia la ricostruzione del corpus autografo di G. sia la successione cronologica delle opere firmate o comunque tradizionalmente a lui riferite (Boskovits, 1973; Tartuferi, 1991). Si devono in particolare a Lazarev (1936) e a Brandi (1936) i primi fondamentali contributi alla definizione della personalità artistica giuntesca. Lazarev (1936, p. 68; 1967, pp. 324-325) ne sottolineò i caratteri di derivazione bizantina, riscontrando affinità soprattutto tipologiche tra i crocifissi di G. e opere come gli affreschi di Sopočani o quelli della chiesa dell'Ascensione a Žiča, ambedue in Serbia, insieme a diversi esempi della produzione miniatoria, come per es. le illustrazioni dei vangeli armeni di Gerusalemme (Armenian Patriarchate, Lib. of St Thoros, 2563/8, 2568/13; Lazarev, 1967, p. 349, n. 196). Lo studioso proponeva nel contempo il crocifisso del Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo a Pisa (inv. nr. 20) - opera eccezionale per qualità e di nettissima matrice bizantina, databile intorno al quarto o al quinto decennio del Duecento - come il più probabile ascendente e modello delle successive tavole giuntesche (Lazarev, 1967, pp. 324-325). Brandi (1936), sulla base di confronti che oggi appaiono non del tutto convincenti, pensava invece a una probabile formazione del maestro nell'ambito della pittura lucchese, in particolare sotto l'influsso di Berlinghiero, autore, tra le altre cose, di un famoso crocifisso (Lucca, Mus. Naz. di Villa Guinigi), recante la 'vecchia' immagine del Cristo triumphans, fortemente compenetrata di stilemi di tradizione romanica.Con G. la pittura centroitaliana visse un fondamentale momento di viraggio verso una resa maggiormente realistica e intrisa di pathos dell'immagine sacra. Pur non essendo egli stato - come affermava un ormai superato luogo comune storiografico - il creatore dell'iconografia del Christus patiens, che è in realtà innovazione bizantina risalente alla metà del sec. 12° ca. (Brandi, 1936; Grondijs, 1941), la sua concezione di una resa più 'umanizzata' della sofferenza del Cristo crocifisso aprì la strada magistralmente percorsa, nei decenni successivi, da Cimabue prima e Giotto poi. Il tramite di tale resa è un ductus improntato a un serrato e coerente calligrafismo, comunque attento all'espressività dei volti dei personaggi e al loro trattamento in un tentativo di effettiva verosimiglianza. Il capo del Cristo, nelle crocifissioni giuntesche, appare reclinato, anzi abbandonato, sulla spalla destra, mentre il corpo, fortemente arcuato, esprime intensamente il senso della sofferenza e della morte. Tale resa formale suggerì a Longhi (1948, p. 8) una ormai celebre espressione che icasticamente sintetizzava la sua valutazione sostanzialmente negativa sull'opera di G.: il Cristo della croce di S. Domenico a Bologna appariva allo studioso come "uno squalo immane e untuoso inchiodato sull'ultimo strattone", e proseguiva poi definendo la pittura giuntesca come caratterizzata da una "fredda ferocia grafica".La vibrante e partecipata attenzione al tema del dramma della sacra morte presente nei tre crocifissi sottoscritti da G. mostra un vero e proprio percorso di approfondimento verso un sempre più accentuato espressionismo. La successione cronologica delle tre opere vede, secondo l'ipotesi di Boskovits (1973, pp. 339-340), la croce di S. Maria degli Angeli ad Assisi al primo posto, seguita da quella di Bologna e, infine, da quella di S. Ranierino a Pisa. Tartuferi (1991, p. 32) pensa invece che la croce di S. Domenico sia la più antica delle tre. Altri studiosi, per contro, hanno visto nel crocifisso bolognese l'opera della tarda maturità di G., da collocarsi intorno alla metà del Duecento (Brandi, 1936; Todini, 1986; Marquez, 1987; Toscano, 1990).Non si può, peraltro, non rilevare come la croce di Assisi sia caratterizzata da un tono drammatico più sommesso rispetto alle altre due e da una costruzione dell'immagine che mostra evidenti e diretti influssi dell'eleganza e fluidità lineare tipiche della pittura bizantina di età tardocomnena. Il pathos drammatico sembra accentuarsi nella croce di S. Domenico a Bologna: ne sono espressione il più deciso inarcarsi del corpo del Cristo, come pure le più intense ombreggiature che lo attraversano - in particolare nel volto e nella tripartizione dell'addome - e le nervose, intricate lumeggiature del perizoma, che si ritrovano anche nei panneggi della Vergine e di s. Giovanni, sulle espansioni alle estremità dei bracci della croce. Al più fluido e pacato linearismo di schietta marca tardocomnena della croce di Assisi, in sostanza, si sostituiscono, in quella di Bologna, un ductus più spezzato e un chiaroscuro più intenso. Nella croce di S. Ranierino, infine, un cromatismo più fuso e una maggiore attenzione a certi canoni di equilibrio e proporzione della figura umana testimoniano di un avvicinarsi più deciso da parte di G. a modelli neoellenistici, nel quinto decennio del Duecento ben conosciuti in Italia centrale, soprattutto grazie alla circolazione di prodotti miniatori provenienti dalla Terra Santa.Stretto sembra essere stato il rapporto tra G. e l'Ordine francescano, come attesta la committenza da parte di frate Elia della perduta croce dipinta per la basilica di S. Francesco ad Assisi, che recava, come si è detto, la data 1236, anteriore quindi di ben diciassette anni rispetto alla consacrazione della basilica stessa, avvenuta nel 1253. Da tale vicinanza con l'Ordine trae origine anche un'altra opera frequentemente riferita per via stilistica alla mano di G. (Boskovits, 1973; Tartuferi, 1991): il dossale raffigurante S. Francesco e sei Storie della sua vita, nel Mus. Naz. e Civ. di S. Matteo a Pisa. L'opera, anch'essa, come i crocifissi, di grande intensità emotiva, sicuramente deriva in modo diretto dalla lezione giuntesca, anche se l'autografia non appare asseribile con sicurezza, stanti una certa secchezza di tratto e un accentuato convenzionalismo grafico assenti nelle tre croci firmate dal maestro. Ancora due tavole di analogo soggetto - ma con solo quattro episodi della vita di Francesco - sono state assegnate a G.: una conservata ad Assisi (Tesoro Mus. della Basilica di S. Francesco), l'altra a Roma (Mus. Vaticani, Pinacoteca). Sull'autografia della prima concordano sia Boskovits (1973) sia Tartuferi (1991), datandola nella fase ultima dell'attività del maestro, mentre la tavola vaticana è ritenuta più convincentemente da Tartuferi (1991, p. 70) opera di un ignoto pittore pisano, seguace di G., del sesto decennio del Duecento.Vanno inoltre ricordate altre opere con scarso fondamento attribuite a G., tra le quali una croce a due facce conservata in Massachusetts, a Northampton (Smith College Mus. of Art), assegnata a G. da Longhi (1948, p. 33), un crocifisso di Venezia (Fond. Cini), due figure di dolenti a Washington (Nat. Gall. of Art; Coletti, 1941, p. XXIV) e due tavolette con la Flagellazione e Cristo deriso a Mosca (Gosudarstvennyj Muz. izobrazitel'nych iskusstv im. A.S. Puškina; Andreyeff, 1926).Grande fu l'influsso di G. sulla pittura centroitaliana in genere e umbro-toscana in particolare: da Ugolino di Tedice al Maestro del Crocifisso di S. Paolo a Ripa d'Arno, al Maestro dei Crocifissi blu, sino - con maggiori distinguo - al Maestro di S. Francesco, un'intera generazione di pittori sembra essersi formata direttamente sulla lezione giuntesca, interpretata non solo nei suoi caratteri di più manifesto patetismo, ma compresa nella sua più vera dimensione di umanizzazione dell'immagine sacra.
Bibl.:
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