Abstract
La voce assume ad oggetto il giuramento come strumento tipico, nella sua duplice e alternativa dimensione decisoria e suppletoria, dell’istruzione probatoria nel processo civile, cercando in particolar modo di sconfessarne lo stereotipo di relitto storico che nessun diritto di cittadinanza avrebbe nel moderno sistema dei mezzi di prova.
All’interno della nozione generale, assunta a priori, del giuramento come attestazione, ad opera dell’una o dell’altra delle parti, della verità (o della conoscenza che essa abbia) di determinate circostanze fattuali, asseverata per il tramite di una distinta dichiarazione – la cd. dichiarazione o formula giuratoria – consacrante l’impegno della parte medesima a dire la verità nella consapevolezza delle responsabilità giuridiche e morali che vi si connettono, la legge enuclea, contrapponendole, le figure specifiche del giuramento decisorio e del giuramento suppletorio. Dove con la prima di queste locuzioni si designa il giuramento «che una parte deferisce all’altra per farne dipendere la decisione totale o parziale della causa» (art. 2736, n. 1, c.c.). Mentre la seconda rinvia, a sua volta, a due distinte sottospecie di giuramento accomunate sotto il profilo della delazione d’ufficio, da parte del giudice, a fini integrativi degli elementi che risultano a sua disposizione per la decisione della controversia: a) quella che può definirsi come giuramento suppletorio in senso stretto, che il giudice è legittimato a deferire ad una delle parti «al fine di decidere la causa quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma non sono del tutto sfornite di prova»; b) e quella comunemente nota sotto l’etichetta di giuramento estimatorio, utilizzabile «al fine di stabilire il valore della cosa domandata, se non si può accertarlo altrimenti» (art. 2736, n. 2, c.c.).
A dispetto dell’appartenenza al medesimo genus e della convergente vocazione decisoria, quale espressamente riflessa nel testo normativo, è da escludere che gli istituti testé evocati partecipino di un’identica natura giuridica. In particolare, se la concezione, oggi più largamente invalsa, che il giuramento vuole a pieno titolo ascrivibile al sistema dei mezzi di prova, quale espressione, giusta i suoi tipici effetti pienprobanti (arg. ex artt. 2738 c.c. e 239 c.p.c.), della più specifica categoria delle prove legali (Allorio, E., Il giuramento della parte, Milano, 1937, 151 ss.; Liebman, E.T., Manuale di diritto processuale civile. Principi, VIII ed., a cura di Colesanti e Merlin, Milano, 2102, 373 s.; Andrioli, V., Giuramento (dir. civ. e dir. proc. civ.), in Nss. D.I., VII, Torino, 1961, 946 s.; Balena, G., Giuramento, in Dig. civ., IX, Torino, 1993, 107), appare in grado di esaurire il problema nell’ottica del giuramento suppletorio, non altrettanto è a dirsi con riguardo alla distinta e primaria species del giuramento decisorio. Di quest’ultimo, infatti, è lecito ritenere che la concezione probatoria testé rammentata si presti a fotografare la realtà esclusivamente dal punto di vista funzionale e non anche da quello strutturale, dove, trattandosi di spiegare il fondamento degli effetti pienprobanti di cui appena si è detto, inevitabile è far capo all’atto di delazione, inteso non come istanza istruttoria (così invece, secondo i postulati della concezione probatoria, Allorio, E., op. cit., 243; Mandrioli, C.-Carratta, A., Diritto processuale civile, I, XXV ed., Torino, 2016, 283), bensì come atto di autentica indole dispositiva-negoziale, con cui la parte si dichiara previamente disposta a riconoscere (nei termini vuoi della rinuncia ai relativi poteri di contestazione e controprova vuoi di un vero e proprio negozio unilaterale di accertamento) la verità della ricostruzione dei fatti di causa proposta dall’avversario in quanto quest’ultimo, a sua volta, sia disposto a ribadire quella ricostruzione sotto il vincolo, e conseguenti responsabilità, del giuramento (diffusamente Montanari, M., Del giuramento, in Della tutela dei diritti, I, a cura di G. Bonilini e A. Chizzini, in Comm. c.c. Gabrielli, Torino, 2016, 693 ss.; v. pure De Marini, C.M., Giuramento e disposizione del diritto, in Giur. it., 1956, I, 1, 793; Provinciali, R., Giuramento decisorio, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 113). Resta fermo, comunque, il divario di questa impostazione rispetto alle tradizionali prospettazioni in chiave negoziale dell’istituto, accomunate, pur nell’estrema varietà delle rispettive sfumature, dalla configurazione del giuramento decisorio come strumento di definizione della controversia alternativo o sostitutivo delle prove stricto sensu intese (Satta, S., Commentario al codice di procedura civile, II, 1, Milano, 1959/60, 227 ss.; Luiso, F.P., Diritto processuale civile, II, VIII ed., Milano, 2013, 151 s.; Patti, S., Prove, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2015, 770 ss.).
Risultano in questo modo superate le ragioni di quel filone di pensiero che, deducendo il carattere irrazionale ed anacronistico dell’istituto – quale ricollegante effetti di piena prova ad una declaratio pro se la cui attendibilità è affidata al timore di sanzioni in gran parte non più avvertite nella moderna società –, da decenni, ormai, ne va propugnando l’abrogazione (Liebman, E.T., Manuale, cit., 372; Taruffo, M., La semplice verità. Il giudice e la ricostruzione dei fatti, Bari, 2000, 164; Comoglio, L.P., Le prove civili, III ed., Torino, 2010, 718): ed invero, la caratterizzazione in senso obiettivamente antiepistemico dello strumento non può essere più un problema nel momento in cui la forza pienprobante dello stesso sia raccordata ad un atto negoziale e la rappresentazione della realtà che ne scaturisce sia quella imposta dalla parte nell’esercizio di un suo potere di disposizione dei diritti.
Non altrettanto è a dirsi degli effetti vincolanti che promanano, a segno invertito, dalla ricusata prestazione del giuramento (art. 239 c.p.c.). Ma ben lungi da una mera declaratio pro se, si ha nella specie a che fare con un comportamento altamente significante e apprezzabile alla stregua di vera e propria confessione implicita, come quella di chi, vistasi offerta l’opportunità di vincere la causa ribadendo nelle forme solenni del giuramento la propria versione dei fatti di causa, non coglie tale opportunità riconoscendo così, di fatto, la veridicità dei fatti ex adverso dedotti (v. amplius Montanari, M., op. cit., 705 s.).
Di un’intrinseca debolezza epistemica è il caso di tornare a parlare con riguardo al giuramento suppletorio. Ma non per questo, né per la mancanza del supporto negoziale che assiste il giuramento decisorio, deve assumersi la mancanza di un adeguato fondamento logico-sistematico dei relativi effetti di piena prova: sul punto v. infra, § 4.
La vocazione decisoria che, per espressa definizione normativa, contrassegna entrambe le specie di giuramento si estrinseca nella preordinazione dello strumento a mettere in condizione il giudice di limitarsi al semplice riscontro dell’an iuratum sit al fine di provvedere alla definizione della lite: a favore del delato, in caso di effettiva prestazione del giuramento; a favore del suo avversario, nell’ipotesi di giuramento ricusato (Cass., 7.5.2014, n. 9831; Cass., 23.2.2006, n. 4001; Cass., 11.10.2004, n. 20124; Consolo, C., Spiegazioni di diritto processuale civile, II, X ed., Torino, 2015, 332; Luiso, F.P., op. cit., 151): tutto questo, a meno che non si tratti di giuramento de scientia o de notitia, ossia deferito sulla conoscenza che la parte abbia di un fatto altrui (quale definito per negationem rispetto al fatto proprio, sul quale verte l’opposta figura del giuramento de veritate), dove, almeno secondo la communis opinio giurisprudenziale, la dichiarazione di non conoscere o non ricordare i fatti capitolati non importerebbe rifiuto di giurare (come sarebbe in caso di giuramento de veritate), bensì giuramento in senso negativo, così che la lite debba comunque essere decisa a favore del delato (Cass., 22.1.1987, n. 598; Cass., 12.10.1984, n. 5118; Cass., 14.2.1983, n. 1148; in senso critico avverso questa impostazione, Balbi, C.E., La dichiarazione di «ignorare» nel giuramento di scienza, in Jus, 1975, 63 ss.; Balena, G., op. cit., 114).
Scontato come la predetta valenza decisoria si raccordi agli effetti di irretrattabile fissazione del fatto che il giuramento, ai sensi dei predetti artt. 2738 c.c. e 239 c.p.c., è idoneo a produrre, è da ritenersi che essa non rappresenti una qualità intrinseca del mezzo istruttorio in questione, bensì una qualità mediata o riflessa della decisorietà, o decisività, del fatto che ne costituisce l’oggetto, rectius, della decisorietà, o decisività, che deve contraddistinguere, a pena di inammissibilità del giuramento, quel fatto medesimo (Balena, G., op. loc. cit.; Montanari, M., op. cit., 688 s.). Questo non comporta che il giuramento debba contestualmente avere ad oggetto tutti i fatti rilevanti per il giudizio, ma certo tutti quelli che, alla data del deferimento, appaiano tuttora controversi, con esclusione, quindi, soltanto di quelli pacifici, notori o che risultino altrimenti provati (Andrioli, V., op. cit., 952; Balena, G., op. cit., 110). Correlativamente è da escludere che nuove quaestiones facti possano essere successivamente sollevate (Luiso, F.P., op. cit., 152) ed altresì che il giuramento possa deferirsi su meri elementi presuntivi, privi di immediato rilievo per la decisione (Cass., 22.2.2001, n. 2601; Montesano, L.-Arieta, G., Trattato di diritto processuale civile, I, 2, Padova, 2001, 1266; Comoglio, L.P., op. cit., 725), o, come altrimenti s’è detto, su circostanze attinenti a fasi intermedie dell’iter logico destinato a sfociare nella decisione medesima (Cass., 5.8.2004, n. 15016).
La nozione di decisorietà che traspare dai riferimenti appena compiuti può convenzionalmente definirsi “forte”, in contrapposizione a quella nozione “debole” (per questa proposta classificatoria, Montanari, M., op. cit., 687 s. e 710), oggi fortemente recessiva ma non priva di riscontri autorevoli, a tenore della quale il giuramento sarebbe consentito anche per la definizione di alcuni punti solamente della controversia, sì da lasciarne impregiudicati gli altri (Liebman, E.T., Manuale, cit., 373; Verde, G., Diritto processuale civile, 2, IV ed., Bologna, 2015, 114; Cass., 14.4.1995, n. 4275; Cass., 9.4.1993, n. 4330). Simili deduzioni appaiono, però, il frutto di un’inaccettabile interpretazione del riferimento compiuto, a livello di art. 2736 c.c., a una decisione soltanto parziale della causa, da intendersi non come decisione di singole questioni di fatto, bensì di almeno una delle domande oggetto del giudizio (Balena, G., op. cit., 109; Basilico, G., La revoca dei provvedimenti civili contenziosi, Padova, 2001, 79 s., nt. 123; Cass., 8.6.2007, n. 13425; Cass. n. 15016/2004; Cass., 14.2.2000, n. 1634), ovvero relativa ad un autonomo capo di sentenza, come può essere quello concernente la questione dell’an debeatur (arg. ex Cass., 6.12.2001, n. 15494).
Sulla base della sua assodata natura giuridica di mezzo di prova, il giuramento non può che vertere su fatti, da intendersi, come si è specificato in dottrina, nella loro pura dimensione storica ed esclusa ogni valutazione giuridica o tecnica da parte del delato (Balena, op. cit., 109; Gamba, C., I giuramenti, in Taruffo, M., a cura di, La prova nel processo civile, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 2012, 442) come, a fortiori, l’espressione di apprezzamenti od opinioni (Cass., 30.4.2013, n. 10184).
La legge si è peraltro preoccupata di escludere che l’accertamento in giudizio di talune e ben determinate tipologie di fatti possa essere perseguito per il tramite dello strumento quivi in rassegna. Così dispone l’art. 2739 c.c., a termini del quale il giuramento non può essere deferito (o riferito: v. infra):
a) «per la decisione di cause relative a diritti di cui le parti non possono disporre». Scontato come il divieto miri ad evitare che, servendosi del giuramento e dei suoi effetti decisòri, le parti possano vanificare il regime di indisponibilità sancito dall’ordinamento per un dato diritto soggettivo (Mandrioli, C.-Carratta, A., op. cit., 281), è da dire che l’indisponibilità cui la legge così si riferisce non può che assumere carattere bilaterale (Andrioli, V., op. cit., 950; Comoglio, L.P., op. cit., 726; dubbioso in proposito Provinciali, R., op. cit., 118); e che la relativa valutazione dev’essere operata con riferimento al rapporto sostanziale per il quale il fatto è rilevante, indipendentemente da che esso rapporto configuri o meno l’oggetto principale della domanda o dell’eccezione (Liebman, E.T., Manuale, cit., 375);
b) «sopra un fatto illecito». La prescrizione normativa si risolve nel divieto di chiamare una delle parti ad attestare, sotto giuramento, di non aver commesso un fatto illecito (Allorio, E., op. cit., 156 e 217), da intendersi, secondo la glossa giurisprudenziale corrente, in un’accezione estremamente estensiva, così da comprendere qualsiasi fatto comunque contrario alle norme imperative (a loro volta lette in una chiave marcatamente estensiva: cfr., per indicazioni, Montanari, M., op. cit., 799 s.), all’ordine pubblico o al buon costume (Cass., 15.3.2007, n. 5994; Cass., 25.8.1998, n. 8423; Cass., 15.7.1998, n. 6911): ciò che, invero, appare esorbitante rispetto all’esigenza, che sarebbe sottesa al divieto, di sottrarre la parte all’alternativa tra giurare il falso e confessare la propria turpitudine (Satta, S., op. cit., 235; Mandrioli, C.-Carratta, A., op. cit., 281, nt. 60);
c) «sopra un contratto per la validità del quale sia richiesta la forma scritta». Nel suo raccordo con l’art. 2725 c.c., il divieto non si applica nei casi di smarrimento o distruzione incolpevole del documento, eventi dei quali, una volta che ne sia stata altrimenti acquisita la prova, non occorre neppure più far menzione nella formula giuratoria (Cass., 23.3.1977, n. 1138);
d) «per negare un fatto che da un atto pubblico risulti avvenuto alla presenza del pubblico ufficiale che ha formato l’atto stesso».
L’art. 2737 c.c. stabilisce che per poter validamente deferire o riferire il giuramento (beninteso, decisorio), «si richiedono le condizioni indicate dall’art. 2731», ergo, la capacità di disporre del diritto cui attengono i fatti sui quali il giuramento è deferito o riferito (ne consegue che, in caso di litisconsorzio necessario per ragioni sostanziali, occorra la congiunta delazione da parte di tutti i consorti di lite: Cappelletti, M., Il giuramento della parte nel processo litisconsortile, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1955, 1173 ss.) e, trattandosi di rappresentante, l’osservanza dei limiti e dei modi entro e per il tramite dei quali l’attività di quest’ultimo può vincolare il rappresentato.
Secondo taluni autori, le stesse condizioni di capacità richieste per la delazione ed il riferimento sarebbero implicitamente postulate dal legislatore anche allo scopo della prestazione del giuramento (Cappelletti, M., op. cit., 1178). L’opzione è però respinta dalla maggioritaria dottrina, ad avviso della quale il silenzio osservato sul punto dalla norma su richiamata autorizzerebbe a ritenere che, per accettare e prestare il giuramento, sia sufficiente la semplice capacità di stare in giudizio (Andrioli, V., op. cit., 956; Balena, G., op. cit., 107).
Il giuramento suppletorio (in senso stretto) si atteggia necessariamente come strumento istruttorio a carattere integrativo e complementare. Ed invero, in difetto di un supporto negoziale come quello che caratterizza il giuramento decisorio, l’idoneità ad esplicare effetti di piena prova di uno strumento rappresentativo intrinsecamente debole quale la declaratio pro se del giurante in tanto può ammettersi in quanto si tratti, per quel tramite, di avvalorare preesistenti indicazioni probatorie nello stesso senso. Questo non vale soltanto a dar conto di quel requisito di semiplena probatio («quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma non sono del tutto sfornite di prova») che la legge indeclinabilmente richiede ai fini della delazione d’ufficio del giuramento; ma incide altresì sull’interpretazione di quel presupposto, tratteggiato dalla legge in maniera del tutto tautologica, autorizzando a reputarne sussistenti gli estremi solamente dove il fatto che si vorrebbe in quel modo definitivamente comprovato possa dirsi già suffragato da elementi di prova che consentano di formulare al riguardo un giudizio di elevata probabilità, ovvero di stretta prossimità ad una ragionevole certezza (v. amplius Montanari, M., op. cit., 725 s.).
Analogo rigore non impronta la corrente giurisprudenza in materia, che da sempre ritiene possano valorizzarsi a quei fini non soltanto autentiche fonti di prova, come possono essere la confessione, nei casi in cui non assume valore di prova piena, e, se si vuole, le ammissioni dei difensori sfavorevoli all’assunto dei loro clienti, ma anche i semplici indizi, ovvero presunzioni ancorché sfornite dei caratteri di precisione, gravità e concordanza, e, addirittura, le risultanze del comportamento processuale delle parti, che la legge espressamente riguarda (art. 116, co. 2, c.p.c.) alla stregua di meri argomenti di prova (da ultima, Cass., 10.2.2016, 2676): in questo modo, finendo per rendere del tutto evanescente quella rigorosa linea di demarcazione che deve necessariamente sussistere tra la situazione, appena richiamata, di semiplena probatio e quella di totale mancanza di prova, rilevante come presupposto applicativo della regola di giudizio ex art. 2697 c.c.
Coerentemente alla sua vocazione di mezzo deputato a riscattare una situazione di insufficienza dei mezzi di prova acquisiti, il giuramento suppletorio non può essere disposto quando, a fondamento della domanda o dell’eccezione, altri mezzi di prova siano stati richiesti ma ancora non si sia provveduto alla loro assunzione (Cass., 2.2.1996, n. 1407; Cass., 4.11.1993, n. 10941) ovvero non siano ancora maturate le preclusioni relative ai poteri di deduzione istruttoria delle parti (Balena, G., op. cit., 115 s.); mentre il giudice potrà liberamente provvedere al riguardo allorché la mancata assunzione degli altri mezzi di prova richiesti sia dipesa dal fatto di una loro previa dichiarazione di inammissibilità (Cass., 10.1.1998, n. 158).
Venendo a quell’ulteriore fattispecie di giuramento d’ufficio nota sotto la locuzione di “giuramento estimatorio”, è da ribadire come esso, a differenza della distinta species suppletoria, non possa vertere su un qualsivoglia fatto di causa (purché, s’intende, decisivo) ma soltanto sul «valore della cosa domandata»; ed il suo impiego, ai fini della quantificazione di tale valore, postula che quest’ultimo non possa essere altrimenti determinato (per ragioni oggettive e non dipendenti da un comportamento negligente di parte: cfr. Andrioli, V., Diritto processuale civile, Napoli, 1979, I, 721) nonché, pur nel silenzio di legge sul punto, l’acquisita certezza in merito all’an debeatur (Cass., 20.8.1984, n. 4659; Balena, G., op. cit., 116).
Il testuale riferimento al «valore della cosa domandata» implica, per un verso, l’inutilizzabilità dello strumento ai fini della quantificazione di obbligazioni a carattere originariamente pecuniario (Cass., 30.10.1981, n. 5753; Andrioli, V., Giuramento, cit., 958; ma contra Cass. n. 4659/1984); per l’altro, la possibilità che a beneficiarne sia anche il convenuto, ma nelle sole ipotesi di esperimento di una domanda riconvenzionale (Andrioli, op. loc. ultt. citt.; Montanari, M., op. cit., 746).
L’efficacia privilegiata che, a norma del combinato disposto degli artt. 2738 c.c. e 239 c.p.c., il giuramento si vede riconosciuta, senza distinzioni tra la species decisoria e quella suppletoria (Cass., 15.11.2001, n. 14317; Satta, S., op. cit., 231; Furno, C., Irretrattabilità del giuramento, in Riv. dir. proc., 1948, I, 184; contra Provinciali, R., Giuramento suppletorio ed estimatorio, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 128), non si esaurisce in quel vincolo di piena prova per il quale non è dato al giudice disconoscere la verità dei fatti che la parte delata abbia solennemente attestato né è ammessa al riguardo prova contraria. La legge prevede altresì, infatti, che la sentenza resa sulla base di giuramento del quale sia stata successivamente accertata la falsità in sede penale non possa comunque essere oggetto di revocazione (art. 2738, co. 1, in fine), né, a fortiori, è pensabile che la pronuncia possa essere attaccata con altri mezzi di gravame.
Il predetto art. 2738 c.c. offre alla parte pregiudicata il solo rimedio dell’azione di risarcimento dei danni sofferti, subordinandone l’esperibilità all’intervenuta pronuncia penale di condanna per il reato di falso giuramento e ammettendo che di tale reato possa conoscere anche il giudice civile nei casi in cui la condanna non possa essere pronunciata per sopravvenuta estinzione del reato medesimo. Sulla scorta di quanto stabilito da C. cost., 4.4.1996, n. 105, è però oggi da ritenersi che il soggetto danneggiato dal falso giuramento possa adire immediatamente le vie dell’azione civile risarcitoria, senza bisogno di attendere l’esito o, addirittura, l’inizio dell’eventuale vicenda giudiziaria penale (così Balena, G., Osservazioni a C. cost., 4.4.1996, n. 105, in Foro it., 1996, I, 3645 s.), fermo restando che il giudice civile, per poter accogliere la domanda risarcitoria sottoposta al suo esame, avrà dovuto previamente verificare la sussistenza del reato in tutti i suoi elementi soggettivi e oggettivi.
La tradizionale distinctio tra giuramento decisorio e giuramento suppletorio in punto di ammissibilità della relativa ritrattazione, non ha più, oggi, dopo C. cost., 20.11.1995, n. 490, alcuna ragione di essere (in argomento, più diffusamente, Montanari, M., op. cit., 766 ss.) e pacifica è l’inefficacia o irrilevanza della ritrattazione del caso intervenuta con riguardo ad entrambe le species di giuramento in considerazione.
L’ult. co. dell’art. 2738 c.c. introduce un’eccezione alla regola dell’efficacia probatoria legale e incontrovertibile del giuramento, disponendo che in caso di litisconsorzio necessario il giuramento prestato da alcuni soltanto dei litisconsorti debba essere liberamente apprezzato dal giudice. La norma appare fondatamente applicabile anche ai casi di litisconsorzio quasi necessario o unitario e litisconsorzio reciproco (Menchini, S., Il processo litisconsortile, Milano, 1993, 766 s.). Quanto, invece, alle ipotesi di litisconsorzio facoltativo cd. semplice, ben è concepibile che il giuramento prestato dal singolo litisconsorte torni a spiegare i propri naturali effetti di prova legale, sebbene soltanto all’interno della causa di cui esso giurante sia parte (per ogni altro Tarzia, G., Il litisconsorzio facoltativo nel processo di primo grado, Milano, 1972, 407 ss.); mentre, nei confronti degli altri consorti di lite, il giudice dovrebbe essere abilitato a trarne argomenti di prova ai sensi dell’ art. 116 c.p.c.
Conformemente alla sua natura di mezzo deputato a troncare la lite quale che sia l’esito della relativa delazione, il giuramento decisorio è sottratto alle comuni preclusioni istruttorie e può essere deferito in ogni stato e grado del procedimento, con esclusione del solo giudizio di cassazione.
La delazione – formulata per articoli separati e in modo chiaro e specifico - può avvenire tanto in forma orale, con dichiarazione resa all’udienza dalla parte o dal difensore munito di mandato speciale, che scritta, con atto di cui è richiesta la sottoscrizione personale della parte, stante la sua natura dispositiva (art. 233 c.p.c.)
In alternativa alla prestazione o al rifiuto del giuramento, la legge concede al delato la possibilità di riferire il giuramento all’avversario, ossia di chiamare la parte deferente ad asseverare sotto giuramento le medesime circostanze fattuali oggetto della delazione originaria, ovviamente prese a segno invertito e conforme ai postulati difensivi del deferente medesimo.
Gli atti di delazione e riferimento sono suscettibili di revoca ad opera della parte che vi sia addivenuta sin tanto che l’avversario non si sia dichiarato pronto a giurare; dopo di che la revoca risulterà ammissibile solamente in caso di modifica della formula giuratoria da parte del giudice. La revoca degli atti di delazione e riferimento non va confusa con quella dell’ordinanza ammissiva del giuramento ad opera del giudice che abbia rivisto la valutazione favorevole originariamente maturata in ordine all’estremo della decisorietà o di altro dei presupposti legali di ammissibilità della prova in esame: revoca, quest’ultima, comunemente ammessa anche in momento successivo all’avvenuta prestazione del giuramento, ossia in sede di decisione finale (cfr. Mandrioli, C. –Carratta, A., op. cit., 284, nt. 69; Gamba, C., op. cit., 469), e persino in fase d’appello (Cass., 20.4.2004, n. 24246).
L’ordinanza in questione va notificata personalmente alla parte (art. 237, co. 2, c.p.c.); così come è la parte a dover personalmente prestare il giuramento, secondo le modalità prescritte dall’art. 238 c.p.c.
Il giuramento suppletorio può essere deferito ad una sola delle parti e non ad entrambe, insieme o successivamente che sia. La scelta della parte cui operare il deferimento, integralmente rientrante nel potere discrezionale del giudice di merito (Cass., 10.3.2006, n. 5240; Cass., 20.7.2004, n. 13454), va compiuta sulla base del criterio (se non esclusivo, certo primario: per l’indicazione di criteri concorrenti, v. comunque Cass., 31.3.2015, n. 6560) della “quantità della prova offerta”, così da privilegiare quella, tra le parti, che più si sia avvicinata alla prova integrale dei propri assunti fattuali (Cass., 8.9.2006, n. 19270; Cass., 27.6.2006, n. 14768; Allorio, E., op. cit., 199; Liebman, E.T., Manuale, cit., 379).
La valutazione del giudice di merito circa la sussistenza del requisito della semiplena probatio costituisce apprezzamento di merito insindacabile in Cassazione, purché sorretto da motivazione razionale e adeguata (tra le ultime, Cass., 10.2.2016, n. 2676; Cass., 12.1.2011, n. 546). E del pari insindacabile in quella sede si ritiene la mancata delazione del giuramento, al qual riguardo, anzi, si osserva che nessun obbligo di motivazione gravî sul giudice che non intenda dar corso al mezzo istruttorio in discorso, pur in presenza delle condizioni a tal fine volute dalla legge (Cass., 22.4.2010, n. 9542; Cass., 2.4.2009, n. 8021; Cass. n. 19270/2006; Patti, S., op. cit., 785; contra Andrioli, V., Diritto processuale civile, cit., 720; Montanari, M., op. cit., 740 s.).
Anche dell’ordinanza di ammissione del giuramento suppletorio è comunemente riconosciuta la revocabilità da parte dello stesso giudice che l’ha pronunciata; e ciò, anche in momento successivo all’assunzione della prova così disposta (Cass., 15.1.2003, n. 525; Cass., 8.8.1990, n. 7990; Andrioli, V., op. ult. cit., 717; Balena, G., Giuramento, cit., 116). Tendenzialmente negato, viceversa, è il trasferimento di questa potestà di revoca in capo al giudice dell’appello, al quale però, ove sia emersa, a séguito di apposita censura, la carenza di taluna delle condizioni cui la legge subordina la delazione officiosa, è data la possibilità di decidere nel merito la controversia in toto prescindendo dall’intercorso giuramento (Cass., 31.12.2014, n. 27563; Cass., 25.2.2004, n. 3810; Cass., 14.2.2000, n. 1630; Montesano, L.-Arieta, G., op. cit., 1275; per l’ammissibilità di un formale provvedimento di revoca da parte del giudice di seconde cure, v. comunque Satta, S., op. cit., 231; Balena, G., op. loc. ultt. citt.).
Quanto al giuramento estimatorio, merita soltanto rammentare come il giudice, all’atto della delazione, sia altresì tenuto a determinare la somma sino a concorrenza della quale il giuramento è destinato ad avere efficacia (c.d. taxatio: art. 241 c.p.c.).
L’istituto del giuramento suppletorio è tradizionale bersaglio di obiezioni e censure sotto il profilo della sua compatibilità con i dettami costituzionali, in specie con quelli della terzietà del giudice e dell’uguaglianza tra le parti ex art. 111, co. 2, Cost., messi a repentaglio da una disciplina caratterizzata: dall’assoluta elasticità dei confini tra le contigue situazioni di semiplena probatio ed insufficienza probatoria legittimante l’applicazione della regola dell’onere della prova; dalla totale emancipazione del giudice da controlli in ordine vuoi alla scelta se deferire il giuramento o far ricorso alla regola di giudizio di cui all’art. 2697 c.c. vuoi all’individuazione della parte cui deferire il giuramento; dal divieto, per la parte che sia pregiudicata da quella scelta, di produrre nuove prove dopo la prestazione del giuramento (cfr., riassuntivamente e per l’evocazione di ulteriori possibili aspetti d’incostituzionalità, Fabiani, E., Brevi note sulla sindacabilità in sede di legittimità del potere del giudice di deferire giuramento suppletorio, in Foro it., 2003, I, 3107 ss.; De Vita, F., L’«ingiustizia» del giuramento suppletorio: nuove prospettive di incostituzionalità dell’istituto alla luce del riformato art. 111 della Costituzione, in Riv. dir. proc., 2003, 912 ss.).
Un’interpretazione dello strumento, non certo preclusa ex positivo iure, che oltre ad un significativo irrigidimento del presupposto della semiplena probatio, come in precedenza auspicato, portasse anche (nei termini indicati da Montanari, M., op. cit., 730 ss.) ad una sua rimodulazione a seconda che chiamato a giurare sia colui che vincerebbe la causa oppure la perderebbe, nell’ipotesi di decisione resa in base alla regola dell’art. 2697 c.c., e mettesse, più in generale, capo ad congrua riduzione dei margini di discrezionalità di cui il giudice abitualmente dispone in materia: ecco, questa interpretazione potrebbe ricondurre il giuramento suppletorio entro l’alveo della legittimità costituzionale o, almeno, limitarne fortemente gli elementi di divaricazione. Ma in difetto di una svolta del diritto vivente in tal senso, lo spettro della declaratoria di incostituzionalità continuerà a gravare sull’istituto come una spada di Damocle, a dispetto della posizione assunta in argomento da Cass., 15.1.2003, n. 525, che la questione qui posta ebbe a sbrigare come manifestamente infondata.
Artt. 2736-2739 c.c.; artt. 233-241 c.p.c.
Allorio, E., Il giuramento della parte, Milano, 1937; Andrioli, V., Giuramento (dir. civ. e dir. proc. civ.), in Nss. D.I., VII, Torino, 1961, 937 ss.; Balena, G., Giuramento, in Dig. civ., IX, Torino, 1993, 105 ss.; Comoglio, L.P., Giuramento: II) Diritto processuale civile, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1989; Gamba, C., I giuramenti, in Taruffo, M., a cura di, La prova nel processo civile, in Tratt. Cicu-Messineo, Milano, 2012, 435 ss.; Montanari, M., Del giuramento, in Della tutela dei diritti, I, a cura di G. Bonilini e A. Chizzini, in Comm. c.c. Gabrielli, Torino, 2016, 683 ss.; Provinciali, R., Giuramento decisorio, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 103 ss.; Provinciali, R., Giuramento suppletorio ed estimatorio, in Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 128 ss.