GIURISDIZIONE (XVII, p. 361; App. I, p. 677)
Il principio della unità della giurisdizione, in passato progressivamente infirmato dal moltiplicarsi delle giurisdizioni speciali o dall'ampliamento della competenza di quelle esistenti (importantissima, fra tutte, l'attribuzione al Consiglio di stato della competenza esclusiva in materia di pubblico impiego) è stato poi nuovamente elevato a criterio direttivo della dinamica legislativa.
Le prime manifestazioni di questo indirizzo possono ritrovarsi in quei casi in cui il legislatore, volendo dare ad una determinata materia un giudice ed una procedura particolari, prese ad istituire sezioni speciali di organi giudiziarî ordinarî, anziché giudici speciali: ciò si verificò nella vasta materia delle controversie individuali e collettive del lavoro (e qui l'istituzione del giudice del lavoro portò anche alla soppressione del giudice speciale previsto dal r. decr. legge 2 dicembre 1923, n. 2686, e leggi ivi richiamate), nelle controversie in materia infortunistica, nei tribunali per i minori, e, sotto un particolare aspetto della unità della funzione giurisdizionale, nella Corte di assise, con l'abolizione dell'istituto della giuria, quale giudice del fatto separato da quello del diritto. Contemporaneamente, si delineava un graduale processo di riassorbimento di rapporti d'impiego di dipendenti da enti pubblici nella competenza del giudice ordinario, conclusosi con la legge 24 febbraio 1941, n. 254, poi trasfusa nell'art. 429, n. 3 del cod. di proc. civ., secondo il quale sono devolute al giudice del lavoro le controversie relative a rapporti d'impiego di dipendenti da enti pubblici inquadrati sindacalmente. La soppressione delle organizzazioni sindacali fasciste, disposta con il decr. legge 23 novembre 1944, n. 369, non ha abrogato l'art. 429, n. 3, del cod. di proc. civ., poiché con tale soppressione il legislatore non ha inteso anche innovare, fino ad una nuova sistemazione della materia, la vigente disciplina sostanziale e processuale dei rapporti d'impiego e di lavoro.
A partire dal 1943 sono sorte, sotto la spinta delle speciali esigenze del momento, varie giurisdizioni speciali (Alta Corte di giustizia per taluni delitti fascisti e per la decadenza dei senatori, tribunali militari straordinarî per reati comuni di particolare gravità, commissioni in materia di requisizione di alloggi, per l'assegnazione di terre incolte, per la disciplina dei contratti di mezzadria, di colonia e di compartecipazione, commissioni arbitrali per le locazioni di immobili urbani); esse hanno però carattere temporaneo e non hanno quindi influenza sul carattere generale dell'organizzazione giudiziaria.
La costituzione del 27 dicembre 1947 enuncia formalmente il principio dell'unità della giurisdizione, attribuita interamente ai giudici ordinarî; limita però l'applicazione di questo principio, stabilendo:1) che presso gli organi giudiziarî ordinarî possono istituirsi sezioni specializzate, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura; 2) che sono ammessi, quali giurisdizioni speciali, il Consiglio di stato, la Corte dei conti, gli altri organi di giustizia amministrativa e i tribunali militari. (Per le giurisdizioni speciali in particolare v. giudiziario, ordinamento, in questa App.). Le attuali giurisdizioni speciali, non consentite dalla costituzione, dovranno essere soppresse o trasformate in sezioni specializzate di organi giudiziarî ordinarî, entro cinque anni dalla entrata in vigore della costituzione (disposizione di attuazione VI).
La costituzione impone poi l'obbligo della motivazione per tutti i provvedimenti giurisdizionali. Ma nel pensiero, espresso nei lavori preparatorî da coloro che deliberarono il testo di questa disposizione, essa non implica l'obbligo della motivazione anche per i decreti, i quali sarebbero atti non giurisdizionali; ciò peraltro presuppone che al concetto di atto giurisdizionale sia necessariamente inerente il requisito dell'emanazione previo contraddittorio.
Altro principio sulla giurisdizione, sancito ora come norma costituzionale, è la possibilità del ricorso per cassazione per violazione di legge "contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinarî o speciali", consentendosi deroga per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra, e precisandosi che per le decisioni del Consiglio di stato e della Corte dei conti rimane fermo il precedente sistema della ricorribilità solo per motivi inerenti alla giurisdizione.
Nelle disposizioni della costituzione sulla giurisdizione è anche enunciato il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale. Il codice di procedura penale (art.1) enuncia formalmente il solo principio dell'officialità dell'azione penale, cosicché l'obbligatorietà di essa doveva argomentarsi dall'art. 328 del cod. pen., sul reato di omissione di atti di ufficio, e dall'art. 74 del cod. di proc. pen., il quale consentiva l'archiviazione solo per le denunce, i rapporti e le querele manifestamente infondati. Ma era proprio questa facoltà di archiviazione, così come era regolata, che attenuava la obbligatorietà dell'azione, in quanto la valutazione dell'infondatezza manifesta era devoluta all'apprezzamento giurisdizionalmente insindacabile del pubblico ministero: cosicché all'obbligatorietà non corrispondeva un mezzo dato al privato per renderla effettiva. Questa facoltà di archiviazione del pubblico ministero è stata soppressa con l'art. 6 del decr. legge 14 settembre 1944, n. 288; la costituzione, quindi, ha enunciato in forma esplicita, e con efficacia di legge costituzionale, un principio già acquisito all'ordinamento giuridico. Non si è invece cristallizzato in una norma costituzionale il principio dell'officialità dell'azione penale: in tal modo non è precluso al legislatore ordinario di fare posto, nei successivi sviluppi dell'ordinamento della giurisdizione, ad un'azione penale d' iniziativa privata.
Innovazione di fondamentale importanza in materia di giurisdizione è la disposizione dell'art. 113 della costituzione, con cui si vieta al legislatore ordinario di escludere o limitare a particolari mezzi d' impugnazione o per determinate categorie di atti la tutela giurisdizionale avverso gli atti della pubblica amministrazione. Questa norma non ha carattere direttivo; non è, cioè, rivolta al legislatore, perché vi adegui l'ordinamento giuridico, ma è un precetto immediatamente operante nell'ordinamento stesso.
La costituzione del 27 dicembre 1947 ha, infine, istituito una nuova magistratura: la Corte costituzionale (v., in questa App.), che giudica, tra l'altro, sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello stato e delle regioni.
Il controllo sulla costituzionalità degli atti aventi efficacia di legge formale era devoluto, secondo il precedente ordinamento, al giudice, ordinario o speciale, chiamato ad applicare la legge, con una duplice limitazione, in quanto il giudice, se riconosceva la legge incostituzionale, si rifiutava di farne applicazione nel caso da decidere, conservando la legge la sua efficacia generale vincolante, e in quanto il controllo concerneva soltanto la legalità formale del provvedimento: data, infatti, l'elasticità della costituzione del 1848 la legge formale aveva in sé stessa, quanto al contenuto, il titolo della propria costituzionalità. La gerarchia delle fonti legislative consentiva, invece, il controllo sulla costituzionalità o legittimntà intrinseca delle norme non aventi efficacia di legge formale.
Con la promulgazione di una costituzione rigida, le leggi formali non sono più al vertice della gerarchia delle fonti, essendo subordinate a quelle costituzionali, e sono divenute anch'esse soggette ad un controllo sulla costituzionalità sostanziale. Questo controllo è stato devoluto alla Corte costituzionale, la cui decisione ha però autorità erga omnes, e determina direttamente l'abrogazione della legge. In tal modo la pronunzia giurisdizionale acquista carattere legislativo, sia pure solo negativo: e ciò spiega come sia stato necessario demandare la funzione ad una suprema magistratura, che, per il modo con cui vengono scelti i suoi componenti (art. 135 della costituzione), è contemporaneamente emanazione del capo dello stato, delle Camere e delle magistrature ordinaria e amministrativa. La giurisdizione della Corte costituzionale è limitata alle leggi e agli atti aventi forza di legge, dello stato e delle regioni: ne sono quindi esclusi gli atti normativi degli altri enti pubblici, e, in genere, tutti gli atti normativi non aventi efficacia di legge; la disciplina del controllo giurisdizionale sulla legittimità di essi continua perciò ad essere regolata secondo le norme preesistenti.
Poiché le norme sulla competenza sono di per sé stesse di immediata attuazione, nel senso che si applicano anche ai rapporti giuridici sorti sotto la legge precedente, la Corte costituzionale, allorché entrerà in funzione (disposizione transitoria VII), sarà investita anche del giudizio sulla costituzionalità delle leggi emanate prima della sua entrata in vigore, ed anche prima della proclamazione della repubblica.
Bibl.: A. Amorth, La Costituzione Italiana, Milano 1948; A. Guarino, L'autonomia della funzione giurisdizionale nella Costituzione Italiana, Milano 1948; V. Falzone, F. Palermo, F. Cosentino, La Costituzione della Repubblica Italiana illustrata con i lavori preparatorî, Roma 1948; G. Azzariti, Il contenzioso del pubblico impiego e l'art. 429 del cod. di proc. civ., in Foro Italiano, 1946, IV, 17. Sull'argomento cfr. anche gli autori citati in M. Berri, in Diritto fallimentare e società commerciali, 1948, fasc. 1-2; F. Rocco, Le funzioni del Consiglio di Stato nella nuova Costituzione, in Foro Italiano, 1948, IV, 49.