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COSTANZO, Giuseppe Aurelio

di Rosa Maria Monastra - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 30 (1984)
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COSTANZO, Giuseppe Aurelio

Rosa Maria Monastra

Nacque a Melilli (Siracusa) il 6 febbr. 1841, e in quelle campagne trascorse la fanciullezza accanto alla madre Maria, la cui mite immagine di analfabeta sapiente egli poi avrebbe ricordato più volte nei proprio versi.

Decenne, fu mandato a studiare a Siracusa presso il convitto del poeta Emanuele Giaracà, che influì notevolmente sulla sua formazione trasmettendogli un gusto classico-romantico saturo di umori risorgimentali (si veda il poemetto Le ricordanze, composto tra il '59 e il '61 e pubblicato per la prima volta nei Versi del 1869). Si trattava invero di una tensione patriottica più astratta e letteraria che concretamente formulata in termini politico-sociali: essa comunque trovò il suo momento eroico nel '60, allorché, nell'entusiasmo dell'avanzata garibaldina, il C. si mescolò ai tumulti cittadini (peraltro incruenti) contro la locale guarnigione borbonica.

L'anno seguente il poeta, che a Siracusa aveva frequentato anche la R. Accademia, si trasferì a Napoli per proseguire gli studi in quella università, uscita fresca fresca dalla riforma desanctisiana. Ivi ebbe a maestri o conobbe i principali esponenti dell'hegelismo meridionale; ma più che alle questioni filosofiche egli si interessava alla letteratura, sicché in questo campo principalmente coltivò relazioni e amicizie, frequentando personaggi come Antonio Ranieri, Giovanni Prati, Francesco Dall'Ongaro, Alessandro Dumas padre (il Dall'Ongaro e il Dumas anzi lo aiutarono a sbarcare il lunario affidandogli varie recensioni letterarie per l'Indipendente).

Muovendo da uno spunto crociano, M. F. Sciacca ha voluto vedere nel C. un seguace del pensiero idealistico del tempo: tesi palesemente tendenziosa ed eccessiva, dal momento che lo stesso C. - come giustamente ha fatto osservare G. Natali - si pronunciò a chiare lettere contro le "metafisicherie tedesche propalate in Napoli dal Vera, dallo Spaventa, dal Tari e anche un po' dal Fornari" (Bricciche letterarie, p. 55). Tuttavia è fuor di dubbio che in qualche misura egli abbia risentito dell'ambiente napoletano: basti pensare alla netta avversione allo scientismo positivista da lui ribadita più volte, sia in verso sia in prosa.

Nel 1864 dovette interrompere gli studi per il servizio militare. "Tra soldato ed esercente farmacista" - dirà più tardi il C. stesso in alcune pagine autobiografiche del 1906 (Il meriggio, p. 9) - "passai quattro anni, parte in quartiere, o scaramucciandomela co' briganti in Calabria, e parte negli ospedali militari di Catanzaro, Napoli e Gaeta a somministrare pillole, pozioni ed impiastri a' miei poveri compagni d'arme".

L'esperienza militare, se non lo indusse a riflettere più che tanto sulle complesse motivazioni del brigantaggio meridionale (si veda in proposito Da Napoli a Carlopoli, in Bricciche letterarie, pp. 165-92), bastò comunque a frustrare la sua giovanile irruenza garibaldina: cominciava così ad affiorare quella delusione nei confronti dell'Italia postunitaria, che a mano a mano sarebbe diventata sempre più acerba e polemica.

Dimessa la divisa, nel '67 tornò a Napoli per completarvi gli studi. Nel '69, mentre la pubblicazione dei Versi gli otteneva alcuni importanti consensi (tra cui quelli di Settembrini e Manzoni), anche egli, come tanti poeti del tempo, optava per l'integrazione professionale: ma senza retorica, anzi con la pungente, amara consapevolezza di una scelta tanto inevitabile quanto mortificante, e cionondimeno con una scrupolosità e uno zelo irreprensibili. Dapprima "reggente" di lettere italiane a Cosenza, poi (1870) "comandato" a insegnare metodica a Roma, indi (1873) professore di lettere italiane a Napoli, poté nel '75 stabilirsi definitivamente nella capitale: dove, dall'insegnamento di pedagogia nella Scuola normale femminile, passò (1876) a quello di lettere italiane negli annessi corsi di perfezionamento, per ottenere infine dal ministro De Sanctis (1880) la cattedra di letteratura italiana nell'Istituto superiore di magistero. Frattanto aveva pubblicato altri versi, la commedia in prosa I ribelli (1875), il dramma in sciolti Berengario II (1876); e se questi lavori non sortirono l'effetto desiderato (la rappresentazione dei Ribelli fu anzi, a quanto pare, un autentico insuccesso), il poemetto Gli eroi della soffitta (1880) gli valse invece una discreta notorietà nazionale.

Nei versi composti fra il '61 e il '72, con un linguaggio poetico alquanto approssimativo e ridondante, impreziosito da frequenti rinvii alla tradizione aulica, il C. svaria attraverso un repertorio canonico di temi e di intonazioni (dalla lirica familiare e amorosa all'impegno politico-parenetico, dall'epicedio all'invenzione pseudo-realistica e larmoyante), trovando gli accenti più significativi nella rampogna contro la nuova Italia, grigiamente burocratica e meschinamente faccendiera, e nel complementare encomio dell'eroica generazione risorgimentale, che tutto ha dato e niente ha ricevuto: interessante, come vera e propria summa, di tale mondo poetico, è soprattutto il polimetro Un'anima, apparso per la prima volta nei Nuovi versi del '73 e poi più volte rimaneggiato fino all'ultima edizione del 1910. Un vibrato anticlericalismo, saturo di niccoliniano fervore, erompe dal dramma Berengario II, cui sono premessi dei Cenni storici sulsecolo X fortemente polemici nei confronti della storiografia neoguelfa. La simpatia del C. per gli emarginati, per le individualità geniali e sfortunate, per gli idealisti restii ad imbrancarsi coi mediocri (simpatia rinfocolata dalla lettura della Bohème diHenri Murger e soprattutto dei Réfractaires di Jules Vallès), si esplicita non tanto nella commedia I ribelli (ove ancora affiorano vistose remore di moralismo piccolo borghese), quanto piuttosto nel poemetto Gli eroi della soffitta, epopea conclusiva dell'anticonformismo scapigliato, di cui si vedono insieme i limiti velleitari e lo splendore maudit.

L'"improbo, immane lavoro scolastico" (Il meriggio, p. 13), divenuto ancor più oneroso dacché nel '90 il C. successe al Prati nella direzione del Magistero, concedeva scarsi margini agli otia letterari. Cionondimeno non mancarono i nuovi componimenti, che il C. pubblicò singolarmente o in più ampie sillogi (comprendenti anche versi giovanili), e che poi in gran parte raccolse sotto l'emblematico titolo Il meriggio. Egli inoltre tentò una breve esperienza giornalistica, accettando la direzione della rivista romana Fiammetta (dicembre 1881-gennaio 1882), per la quale riuscì ad ottenere la collaborazione di personaggi come Giovanni Verga e Giulio Salvadori; intervenne più volte in sede di poetica e di critica letteraria con saggi, lettere aperte e prefazioni; e si cimentò pure nell'esegesi dantesca insistendo, di contro a certe deformanti interpretazioni in chiave risorgimentale e neoghibellina, sulla irriducibile "medioevalità" dell'Alighieri (si vedano il "poema lirico" Dante e lo studio Il fine più proprio della Divina Commedia). Sempre pronto a ribadire una scelta politica progressista, il C. in realtà si trovava abbastanza a disagio di fronte alle nuove prospettive maturate dal movimento operaio (significative in tal senso le sue risposte all'Inchiesta sul socialismo promossa dalla milanese Vita moderna, III [1894], 17, p. 131).

Nei versi della maturità (che G. Natali, genero del poeta, ha giudicato un po' troppo benevolmente) emergono con chiarezza - al di là della più scaltrita padronanza tecnico-formale - i limiti della "rivolta" costanziana: la sua avversione individualistico-libertaria alla crescente massificazione sociale si precisa infatti a poco a poco come timore della "plebe" e delle minacce sovvertitrici (si vedano, per esempio, Per una visita, I monelli, XXIX luglio: meminisse iuvabit); sicché la protesta in favore dei diseredati riesce tutt'al più a un pacifico riformismo interclassista, di intonazione liberale (Fra il quanto e il quale: timori e speranze). Di pari passo il C. intensifica vieppiù la polemica antipositivista, avanzando nel solco di uno spiritualismo vagamente religioso, talora di sapore zanelliano (Atomi erranti, L'ala del pensiero, L'essere); né lo sgomento suscitato dallo spettacolo di immani catastrofi naturali, come il terremoto di Casamicciola (si vedano Nihil e la relativa Lettera a R. Dalma) e poi quello di Messina (Il XXVIII dicembre 1908), vale a compromettere durevolmente l'ottimistica fiducia del poeta nel trionfi dello spirito umano, anzi in definitiva, dimostrando l'insufficienza e l'impotenza del sapere scientifico, sfocia in una più salda certezza metafisica e quindi in una incondizionata delega della storia alla Provvidenza divina. E se ancora negli anni '80 e '90 a tali atteggiamenti si accompagna una vivace presa di posizione antitemporalista (come in Giordano Bruno, Roma intangibile, Roma intangibile: inno nazionale), col passar del tempo invece il bersaglio clericale appare del tutto accantonato.

Sopito da un pezzo il fervore antifilisteo degli Eroi della soffitta, il C. agli albori del nuovo secolo sopravviveva stancamente al vecchio radicalismo ottocentesco, di cui ormai riteneva soltanto certo moralistico scontento; e se a lui ancora qualcuno guardava con simpatia, ciò avveniva non tanto per la carica di contestazione sociale reperibile qua e là nei suoi versi, quanto piuttosto per gli aspetti omogenei al trionfante ricorso spiritualistico.

Assistito dai figli e dalla moglie, donna Linda dei marchesi Beccaria, il C. si spegneva a Roma la mattina del 14 luglio 1913.

Opere: Versi, Napoli 1869; Nuovi versi, ibid. 1873; Un'anima, ibid. 1874 (poiMilano 1894 e 1899); I ribelli (commedia in prosa), Napoli 1875; Berengario II (dramma in versi), ibid. 1876; Gli eroi della soffitta, Roma 1880 (piùvolte ristampato); Versi, ibid. 1882; Funeralia, ibid. 1884; Minuzzoli, ibid. 1885; Canti editi e inediti, ibid. 1892; Fosforescenze, Messina 1903; Dante, Torino-Roma 1903; L'essere, in Nuova Antologia, 16febbr. 1903, pp. 737-742. Una raccolta definitiva delle Poesie fu intrapresa dal C. per l'editore Garroni di Roma: ne uscirono in tutto sei volumi tra il 1909 e il 1910 (Le ricordanze, Juvenilia, Funeralia, Un'anima, Gli eroi della soffitta, Il meriggio). Antologie postume (contenenti anche alcuni inediti): Limpida vena, poesie scelte da G. Natali, Piacenza 1914; Antologia di Poesie e prose scelte, I, introd. commento e note di M. F. Sciacca, prefaz. di N. Vaccalluzzo, Aquila 1933. Il C.inoltre si è meritato un posto nelle principali scelte poetiche dall'Ottocento minore (recentemente è stato incluso da P. C. Masini tra i Poeti della rivolta, Milano 1978).Tra i saggi di vario argomento ricordiamo quelli raccolti in Bricciche letterarie, Catania 1904, lo studio Il fine più proprio della Divina Commedia, Roma 1909, e le Idee sulla lirica, Foligno 1911.

Fonti e Bibl.: Per il carteggio, si veda l'esemplare unico (posseduto dalla Biblioteca Braidense di Milano), s. l. né d., Alcune lettere di scrittori italiani a G. A. C.; In memoria di G. A. C., a cura di E. Arculeo, Palermo 1913;C. Musumarra, Il carteggio tra M. Rapisardi e G. A. C., in Boll. stor. catanese, XI-XII (1946-47), pp. 166-86(e si veda anche Id., in La Sicilia (Catania), 29 settembre, 2 e 7 ott. 1951);Id., Il carteggio tra G. A. Cesareo e G. A. C., in Siculorum Gymnasium, n. s., II (1949), pp. 306-19; G. Natali, Lettere ined. di L. Capuana a G. A. C., in Arch. stor. per la Sicilia orientale, s. 4, VIII-IX (1955-56), pp. 149-52;Id., Lettere ined. di Verga e Pirandello a G. A. C., in Nuova Antologia, 1ºmaggio 1958, pp. 124-129;Id., IX lettere di N. Tommaseo a G. A. C., in Siculorum Gymnasium, n. s., XII (1959), pp. 164-70; G. Carducci, Epistolario (ed. naz.), XIII, pp. 132-133, 192-193, 194-195, 198-199, 202; G. Raya, Lettore [di Mariannina Coffa] a G. A. C., in Capuana e D'Annunzio, Catania 1970, pp. 49-100. V. inoltre: V. Vivaldi, Studio bio-bibliografico su G. A. C., Trani 1894; P. Bettini, La poesia sociale, II, "Gli eroi della soffitta" di G. A. C., in Critica sociale, V (1895), pp. 46-48;L. Pirandello, "Dante", poema lirico di G. A. C. [1904], in Saggi, poesie e scritti varii, Milano 1960, pp. 929-942;B. Croce, B. Zendrini-G. Chiarini-G. A. C. [1904], in La letter. della nuova Italia, I, Bari 1947, pp. 228-238;E. Arculeo, Frammento del libro "Vita e opere di G. A. C.", a cura di M. F. Sciacca, Trapani 1934;G. Raya, "Gli eroi della soffitta" di G. A. C. [1931], in Ottocento letter., Palermo 1939, pp. 139-147; G.Poidomani, G. A. C., Ragusa 1939;G. Natali, G. A. C. [1939], in Dal Guinizelli al D'Annunzio, Roma 1942, pp. 324-360; M. L. Sommaruga, G. A. C., in Il Libro italiano, VII (1943), 1, pp. 3-13; F. Flora, Storia della letter. ital., Milano 1958, V, pp. 45-47;I. Calandrino, G. A. C. [1941], in Saggi critici e polemici, Vicenza 1956, pp. 19-25;G. Cusatelli, in Storia della letter. ital., a cura di E. Cecchi-N. Sapegno, VIII, Milano 1969, pp. 470 s.; M. F. Sciacca, G. A. C., in Pagine di critica letter. (1931-1935), Milano 1969, pp. 211-24; L. Bolzoni, La lett. it.: storia e testi, a cura di C. Muscetta, VIII, 2, Roma-Bari 1975, pp. 472-476.

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