BARTOLOTTI, Giuseppe
Nato a Roma nel 1709, è il primo largamente noto di una famiglia di argentieri romani attivi tra il 1740 circa e il 1824.
Sposò nel 1744 Margherita Silvestri, appartenente a una famiglia, che, tra argentieri, orafi, gioiellieri e incisori di cammei, contava ben diciassette artefici. Tenne bottega in via del Pellegrino, presso la sede del Collegio degli orafi, all'insegna del pescatore, e adottò come proprio boHo un pesce inscritto in un ovale.
Di lui restano molti pezzi di argenteria sacra, sparsi nelle chiese del Lazio e un po, in tutto lo Stato pontificio; tra i più importanti sono i calici conservati nella chiesa di S. Maria a Sermoneta, nella cattedrale di Sezze Romano, nel convento dei frati minori a Falconara, nel duomo di Foligno e in quello di Ancona, e gli ostensori di S. Maria della Pietà a Cori e del santuario della Madonna della Salute a Genazzano.
La cattedrale di Fermo nelle Marche possiede ancora sei grandi e importanti candelieri in argento £atti fare nel 1769 a Roma dal cardinale Urbano Paracciani.
Abbondante anche la sua produzione di argenteria da tavola, allora molto di moda, e soprattutto di caffettiere e cioccolatiere, giacché proprio in quel periodo ci fu in Italia una grande diffusione di bevande esotiche, ma tutti questi pezzi sono sparsi in collezioni private.
Notevolissima tra le argenterie civili è la mazza conservata nel Museo civico di Spoleto, eseguita per quel Comune tra il 1755 e il 1760. Questa mazza, una delle più belle tra quelle tuttora esistenti, fu esposta nel 1959 alla Mostra del Settecento romano e nel i 960 a Parigi alla Mostra della pittura italiana del sec. XVIII.
Il B. morì a Roma nel 1775.
Suo figlio CARLO, nato nel 1749, fu attivo dal 1777; mantenne la bottega in via del Pellegrino all'insegna del pescatore e anche il bollo con l'emblema del pesce, aggiungendovi, però, le sue iniziali "C.B.".
Tra le molte argenterie sacre e profane, di lui va ricordata in modo particolare una grande zuppiera, oggi facente parte di una collezione privata, che egli eseguì tra il 1780 e il 1790 per la famiglia Spada di Roma. Questo pezzo, di grande effetto decorativo, prelude allo stile impero: tipiche le zampe a forma di erma con teste femminili e la figura semisdraiata che sovrasta il coperchio raffigurante l'allegoria del fiume Tevere. La zuppiera, come esemplare dell'argenteria dell'epoca, fu pure esposta alla Mostra del Settecento romano e alla Mostra della pittura italiana del sec. XVIII a Parigi nel 1960.
Morì a Roma nel 1824.
Domenico, figlio di un fratello di Giuseppe e cugino di Carlo, nacque nel 1781; fu gioielliere, ma di lui non resta nulla; sappiamo solo che nel 1782, essendo esattore del Collegio degli orefici, se ne fuggì lasciando in cassa un ammanco di 175 scudi, né di lui si hanno notizie fino al 1817, anno in cui il cugino Carlo ne annunciava la morte.
Fonti e Bibl.: Sottosez. d. Arch. di Stato di Sipoleto, Arch. Montevecchi, fasc. Oggetti Preziosi gioielli ...; M. Rosenberg, Der Goldschmiede Merkzeichen, IV, Berlin 1928, p. 375 (riproduzione del bollo); F. Maranesi, Guida turistica di Fermo, Fermo 1957, p. 189; C. Bulgari, Argentieri, gemmari e orafi d'Italia, I, Roma 1959, p. 112; R. Cipriani, Argenti italiani dal XVI al XVIII secolo (catal.), Milano 1959, p. 64; Z. Giunta di Roccagiovine, in Il Settecento a Roma (catal.), Roma 1959, pp. 435 S.; Id., La Mazza d'argento della città di Spoleto, in Spoletum, VII (1960), pp. 27 S.; Id., in La peinture italienne au XVIII siècle (catal.), s. I. né d. (ma Paris 1960), nn. 163 s.