SAMBUCA, Giuseppe Beccadelli di Bologna e Gravina marchese della
SAMBUCA, Giuseppe Beccadelli di Bologna e Gravina marchese della. – Nacque a Palermo il 2 luglio 1726 da Pietro e da Marianna Gravina Lucchesi.
Il padre, diplomatico durante il regno di Carlo di Borbone, sedette nel Consiglio di Stato e fu presidente della giunta di Sicilia, nella quale rappresentò gli interessi più conservatori del baronaggio siciliano; la madre, figlia del principe di Palagonia, fu dama di corte della regina Amalia.
Come molti giovani palermitani, studiò nel collegio dei nobili gestito dai teatini di s. Giuseppe, ma ben presto fu avviato alla carriera diplomatica nella fase in cui il giovane Regno borbonico costituì una propria diplomazia, la cui autonoma e piena rappresentanza politica ebbe un ruolo non secondario nel consolidamento dell’identità e della coscienza nazionale napoletana. Già nel 1747 divenne gentiluomo di camera con esercizio e due anni più tardi, quando suo padre fu nominato ministro plenipotenziario alla corte di Vienna, il 9 febbraio sposò a Palermo Stefania Montaperto, figlia di Bernardo principe di Raffadali e di Marianna Branciforte e Ventimiglia dei principi di Butera. L’anno dopo, a Napoli il 18 dicembre, nacque il loro primo figlio, Salvatore, al quale fu ceduto il titolo di marchese di Altavilla.
Nel 1754 fece il suo ingresso nei ranghi militari con il grado di colonnello di fanteria e visse tra Napoli e la Sicilia accrescendo la sua influenza a corte, tanto che il 29 agosto 1759 fu designato dal Senato palermitano per consegnare a Carlo III le congratulazioni per il suo passaggio al trono di Madrid. Nel periodo della Reggenza, la considerazione di Bernardo Tanucci e il buon ricordo lasciato a Vienna da suo padre contribuirono a rafforzare le prospettive della sua carriera. Nel 1766 fu inviato a Firenze a rappresentare al granduca Pietro Leopoldo gli omaggi del Regno di Napoli a seguito del suo insediamento e il 31 luglio 1770 fu nominato ministro plenipotenziario alla corte imperiale subentrando al duca di S. Elisabetta, Antonio Montaperto e Massa, fratello di suo suocero.
Negli anni trascorsi a Vienna fu attento non solo a garantire una costante e precisa informazione attraverso il regolare invio a Napoli di circostanziate relazioni, ma anche a mettere in evidenza la statura nazionale del Regno nel panorama internazionale. Purtroppo non resta traccia di questa sua intensa attività a seguito della distruzione, durante l’ultima guerra, della documentazione diplomatica di quegli anni, ma è nota l’accorta prudenza con cui seppe seguire alcune vicende internazionali tra le quali quella particolarmente rilevante che provocò la guerra tra Russia e Turchia. Un’acuta e persistente sensibilità per la politica di penetrazione nel Mediterraneo portata avanti dagli zar ancora evidente durante gli anni del suo governo napoletano nella fitta corrispondenza scambiata, tra il 1779 e il 1783, con il duca di San Nicola Muzio da Gaeta, ministro a Pietroburgo.
Proprio la rilevanza della situazione lo trattenne a Vienna anche in occasione del matrimonio del figlio quando, nel 1773, sua moglie ottenne la licenza per rientrare in patria in occasione delle nozze di Salvatore con Agata Branciforte e Valguarnera, quasi contemporanee a quelle di Antonia, la figlia più giovane, con il duca di Villarosa. Due anni più tardi chiese a Tanucci l’autorizzazione a rientrare a Napoli per un breve periodo e, nel mese di giugno, ottenne una licenza di sei mesi durante la quale la rappresentanza napoletana a Vienna fu affidata al suo segretario Giulio Bignami sotto la supervisione del conte Mahony, ambasciatore di Spagna alla corte imperiale. Rientrato nella capitale del Regno, confermò il suo ottimo posizionamento a corte. Ricevuta nel mese di settembre l’investitura a cavaliere di s. Gennaro, chiese e ottenne una proroga del suo soggiorno e, il 9 agosto 1776, l’autorizzazione a recarsi in Sicilia per tutelare affari personali.
È a questo punto che, nella situazione politica napoletana, si aprì un varco per l’ascesa del marchese della Sambuca al ruolo di primo segretario di Stato. La storiografia ha tradizionalmente attribuito alla volontà della regina l’indicazione del suo nome per sostituire Tanucci. La permanenza prima a Firenze, poi a Vienna faceva di lui persona certamente gradita agli Asburgo e ideale garante di una moderata politica di riforme in linea con quella portata avanti da Pietro Leopoldo e poi rafforzata dal giuseppinismo, ma, per Maria Carolina, egli rappresentava soprattutto la possibile garanzia per un percorso di affrancamento da Madrid. Una chiave coerente con la connotazione politica scelta per la nuova stagione di governo che aggiunse alla tendenza ad accogliere e rielaborare le sollecitazioni della cultura illuminista moderata una chiara matrice nazionale. Marginale, ma non per questo ininfluente, fu poi la concessione della nomina a un siciliano in un momento difficile dei rapporti tra i due regni della monarchia borbonica.
In realtà, benché lo stesso Tanucci lo annoverasse tra i ‘quattro nemici’ responsabili della sua destituzione, non è da sottovalutare il rapporto personale che Beccadelli aveva saputo costruire con Ferdinando. Come dimostrano le lettere scritte al padre per legittimare l’avvicendamento al vertice della struttura di governo napoletana, il sovrano ne auspicava infatti la nomina augurandosi «con lui senza soggezione alcuna applicar [...] gl’affari a lui concernenti» (cit. in Galasso, 2007, p. 493).
Il 29 ottobre 1776 il marchese della Sambuca fu dunque nominato primo segretario di Stato, carica che mantenne fino al mese di gennaio del 1786, quando fu accettata la sua istanza di congedo presentata nell’ottobre dell’anno precedente.
Negli anni del suo governo dovette scontrarsi più volte con l’attivismo e il protagonismo di Maria Carolina, tanto che, ben presto, dopo averne sostenuto l’ascesa, la sovrana gli fece mancare il suo aperto sostegno. Già nel 1778, infatti, con un provvedimento del 26 maggio, si stabilì di restituire alle singole segreterie attività e prerogative centralizzate nel periodo precedente, alleggerendo così il peso politico del primo segretario. Nello stesso anno, poi, su richiesta dei sovrani al granduca, giunse a Napoli John Francis Acton, al quale fu inizialmente affidato il compito di riorganizzare la Marina, ma che presto divenne riferimento esclusivo della regina, contribuendo a indebolire ulteriormente la forza politica di Beccadelli.
Di fatto, l’azione di governo in quegli anni, pur non garantendo il distacco immediato dal controllo spagnolo, mantenne le aspettative di un indirizzo cautamente aperto all’innovazione, ma si inserì anche nell’alveo del contestuale recupero di incisività delle istanze più conservatrici di alcuni settori del baronaggio e delle élites tradizionali che, specialmente dalla Sicilia, avevano avuto scarsa accoglienza nella fase del riformismo centralistico del periodo carolino e tanucciano. Ne fu un segno evidente l’inversione della tendenza a garantire, attraverso la ‘parcellarizzazione’ delle quote di vendita, la più ampia distribuzione dei beni dei gesuiti nazionalizzati all’indomani della loro espulsione, favorendo piuttosto l’acquisto di ingenti quote di quel patrimonio.
L’improvvida e non trascurabile partecipazione di Beccadelli al saccheggio dei beni ecclesiastici contribuì non poco ad appannarne l’immagine pubblica. Dopo aver acquisito, nel 1777, la commenda di S. Maria della Grotta con l’appannaggio della tenuta di Rinazzo presso Marsala insieme con una parte dei beni dell’arcivescovo di Monreale, egli acquistò, attraverso il prestanome Gaetano Morales, i territori di Macellaro, Signora, Sparacia, Mortilli, Pietralonga, Dammusi, Crisì in Val di Mazara. Su questi ultimi, con il decreto del 30 maggio 1779, ottenne dal re il mero e misto imperio con licentia populandi e sviluppò un programma di fondazioni finalizzato a disporre di manodopera contadina per incrementare le coltivazioni edificando i centri di Camporeale, San Giuseppe e Roccamena. Questo attivismo lo espose ben presto al pubblico biasimo che si tradusse in una denuncia per la quale il marchese della Sambuca fu costretto a difendersi in tribunale dall’accusa di aver approfittato della sua posizione tanto che, sebbene assolto, la sua immagine ne risultò definitivamente compromessa.
Da primo segretario Beccadelli cercò di garantire una maggiore attenzione del governo alle istanze siciliane. Nel 1777, mentre a Napoli portava a termine il percorso di riforma dell’università aperto da Celestino Galiani nel 1732, egli ricevette dal Senato di Palermo una supplica al re perché disponesse l’istituzione in città di un ateneo nel collegio appartenuto ai gesuiti. Sebbene il sovrano negasse l’autorizzazione a tutela della privativa di Catania, il 1° agosto 1778 un dispaccio di Beccadelli istituì in quella sede il Collegio Real Ferdinando, primo nucleo della futura Università.
Anche il percorso per la soppressione dell’Inquisizione in Sicilia fu avviato con l’impegno di Beccadelli e giunse a compimento con il decreto firmato dal viceré Domenico Caracciolo il 27 marzo 1782, mentre, l’anno dopo, egli dovette affrontare le disastrose conseguenze del terremoto di Messina. In quella occasione si schierò a tutela degli interessi conservatori contro il tentativo operato da Caracciolo di realizzare, attraverso una rinnovata suddivisione del donativo fissato per affrontare i danni, il precedente per una riforma censuaria. Il baronaggio siciliano si era ribellato trovando in Beccadelli e nella corte di Madrid la sponda necessaria per costringere il sovrano, nonostante il sostegno alla riforma dichiarato dalla regina e da lord Acton, ad accettare la bocciatura dell’iniziativa da parte della giunta di Sicilia. Una posizione che segnò definitivamente il destino del suo ruolo a corte.
Dopo l’allontanamento dalla guida del governo, sostituito da Caracciolo, Beccadelli trascorse gli ultimi anni nelle sue terre siciliane, tormentato da severe difficoltà finanziarie e dalla crisi demografica del casato nel quale mancava un erede maschio. Per questo fu stabilito che Stefania, figlia del primogenito Salvatore, sposasse nel 1796 lo zio Bernardo. Anche da questa unione sarebbe nata una bambina destinata a sua volta a sposare il cugino Giuseppe nel 1825.
Frattanto, però, Beccadelli si era spento il 7 settembre 1813. Resta, a chiudere la sua vicenda terrena, la lettera di cordoglio al figlio scritta di suo pugno dalla regina Maria Carolina.
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