CAIAFA, Giuseppe
Nacque a Napoli, probabilmente intorno al 1640, da una famiglia che aveva ottenuto qualche fortuna con gli incarichi nella burocrazia e nell'esercito. Uno zio, Mario, marchese di Massa Nova, compare come colonnello di cavalleria nell'esercito spagnolo in Fiandra (Filamondo). I fratelli, invece, risultano impiegati nelle magistrature, svolgendo le loro mansioni con vario successo.
Di essi Giulio Cesare, giudice alla Vicaria nel 1665 (Toppi), venne in seguito ricordato da Francesco D'Andrea come uno di quei forensi che, preferendo la via degli uffici all'altra più prestigiosa dell'"avvocazione", si trovavano "sempre anelanti, sempre incerti del loro stato, ed ogni due anni a rischio di esser degradati, e aver da cominciar da capo", quando addirittura, costretti dalla necessità, non "andavano per Napoli col ferraiolo, e facevano la più brutta figura del mondo". Antonio, invece, era stato avvocato delle "piazze" cittadine nel 1675, nella delicata questione del conio delle monete. Nel 1679 venne eletto dalla "piazza" popolare nella Mastria dell'Annunziata, ma rinunciò all'incarico, nel quadro dei contrasti fra l'eletto di "piazza", il Guaschi, e la nobiltà. La solidarietà col Guaschi però si ruppe ben presto. Già nel 1680 Antonio compariva contro di lui come avvocato della città, e tale ruolo servì certo a rendergli più facile l'elezione al governo dell'Annunziata nel 1695. Alla sua morte, nell'anno successivo, si svolsero funerali assai vistosi. prova eloquente della posizione di rilievo conquistata ormai dalla burocrazia napoletana, mentre la vedova, poco dopo, poteva recare in seconde nozze la dote cospicua di 50 mila ducati.Anche il C., dottore in legge in un anno imprecisato, seguì la carriera forense, tuttavia in maniera alquanto oscura, fino al 1689, quando circolò la voce che, per intercessione dello zio, gli si volesse affidare la carica di consigliere. La nomina a consigliere in soprannumero nel Sacro Regio Consiglio, per la vicaria criminale, venne però solo nel maggio del 1692, ed il Bulifon notava come essa fosse dovuta all'appoggio di Guglielmo d'Orange, "qual ne fu pregato dal mastro di campo Cajafa che si ritrova in fiandra". Uindiscrezione del resto era di comune dominio, ed il Confuorto (II, p. 16) aggiungeva che egli era stato aiutato dal duca di Ferrandina, di cui era agente a Napoli. Tuttavia il C. dové attendere a lungo prima di esercitare effettivamente la sua funzione. Prese possesso della sua carica nel giugno del 1692, con gran corteggio di titolati e di cavalieri, ma riusciva facile ad un osservatore notare, con una punta di malizia, che "il Caiafa si starà a spasso finché non moia qualcuno de' consiglieri, o passi a ministerio maggiore" (ibid., II, p. 18). Nel settembre dello stesso anno, però, moriva Fulvio Caracciolo, e lo stesso Confuorto notava ancora che "la sua morte av'apportata vita al consigliere soprannumerario Giuseppe Caiafa", che poteva così cominciare ad esercitare concretamente il suo ufficio (II, pp. 30 s.). In realtà, solo a partire dal 1693 si poté definire completamente la sua posizione. Il 24 novembre, infatti, il presidente del S. R. Consiglio gli trasferiva ufficialmente tutte le cause, "commissae" o "non commissae", già appartenenti al ruolo di Alvaro dela Quadra (Archivio di Stato di Napoli, S. R. Consiglio, vol. 1277, f 392r).
Due brevi testimonianze, sempre dello stesso Confuorto, ci presentano ancora il C. partecipe di alcuni avvenimenti di rilievo nella cronaca napoletana: una prima volta come testimone nel 1692 in una complessa trattativa matrimoniale; una seconda come patrono, nel 1694, della rappresentazione a palazzo Medina della commedia di G. C. Cortese, intitolata La rosa. Nel 1695 comunque il C. otteneva un incarico cui il viceré annetteva grande importanza. Egli infatti venne nominato commissario generale, con poteri larghissimi, per inquisire sul contrabbando ed altre forme di criminalità in Calabria. Ma la Giunta de' contrabbanni ebbe vita brevissima, per la ostilità radicale soprattutto della nobiltà, sicché già nell'aprile dello stesso anno giungeva ordine da Madrid di procedere al suo scioglimento e di richiamare i tre consiglieri mandati "in partibus". Con la Giunta, spariva altresì dalle cronache il nome del C., che rimase comunque nel Sacro Regio Consiglio fino alla morte, avvenuta nell'anno 1701.
Fonti e Bibl.: Una documentazione sull'attività di consigliere può trovarsi in Arch. di Stato di Napoli, Arch. del S. R. Consiglio, di cui sono qui utilizzati i voll. 1276 (Liber descendentiarum)e 1277. La nomina a consigliere è registrata da A. Bulifon, Cronicamerone (ms. X. F. 52 della Bibl. naz. di Napoli), c. 26r. Varie notizie in D. Confuorto, Giornali di Napoli dal 1679 al 1699, a cura di N.Nicolini, Napoli 1930, I, p. 242; II, pp. 16, 18, 30 s., 37, 137, 159. Un cenno d'insieme in N. Cortese, I ricordi di un avvocato napoletano del Seicento: Francesco D'Andrea, Napoli 1923, p. 178. Per lo zio Mario cfr. G. M. Filamondo, Il genio bellicoso di Napoli, a cura di D. A. Parrino, Napoli 1693, I, p. 172. Per il fratello Giulio Cesare cfr. N. Toppi, De origine tribunalis urbis Neapolis, III, Neapoli 1666, p. 41; N. Cortese, I ricordi, cit., pp. 187 s. SuAntonio cfr. G. Galasso, Napoli nel Viceregno spagnolo dal 1648 al 1696, in Storia di Napoli, VI, 1, Napoli 1970, pp. 225, 257, 264, 284, 351; V, I. Comparato, Giuseppe Valletta. Un intellettuale napoletano della fine del Seicento, Napoli 1970, pp. 22 n. 17, 51 n. 47.