CARDINALI, Giuseppe
Nacque a Roma l'8 giugno 1879 da Fortunato e da Marianna Ricci. Di famiglia borghese non disagiata né incolta, si iscrisse alla facoltà di lettere dell'università di Roma, seguendovi soprattutto l'insegnamento degli "antichisti": Ettore De Ruggiero, allievo del Mommsen e professore di epigrafia e antichità romane, Federico Halbherr, professore di epigrafia greca e specialmente esperto di cose cretesi, Karl Julius Beloch, professore di storia antica, mentre seguiva anche, e con molto frutto, i corsi dell'allora libero docente Gaetano De Sanctis.
Nel rigoglio degli studi favoriti dalle scoperte scavistiche ed epigrafiche dell'Halbherr (e, mediatamente, del Comparetti), e mentre il Beloch, non senza la collaborazione dei suoi allievi migliori, come attestano per gli anni Novanta le loro dissertazioni di laurea, attendeva alla redazione del terzo volume della Griechische Geschichte, era naturale, o pressoché inevitabile, che in ambito prevalentemente "ellenistico" iniziasse la propria attività il C., come attestano i saggi, editi nei primi anni del secolo (si laureò nel 1900), in varie riviste specializzate, sulla guerra fraterna e la guerra di Litto, nonché su Creta nel gioco delle grandi potenze contemporanee.
Il Beloch deve aver stimolato il discepolo a immergersi, per un verso, nella selva delle controversie su episodi di storia ellenistica dei quali è malcerta la data e per i quali scarseggiano le fonti, ad impratichirsi così nel "metodo" della ricerca, saggiandolo soprattutto in problemi, oltre che di Quellenkunde, di cronologia, di genealogia. ecc. Per altro verso, la copia sempre maggiore d'informazioni epigrafico-papirologiche sull'articolazione dei monarcati d'oltre Egeo (in ispecie, Seleucidi, Tolemei ed Attalidi) favoriva, nel Beloch e alla sua scuola, il proposito immetodico e l'ambizioso disegno di affiancare, per polemica filiazione mommseniana, al Römisches Staatsrecht uno Staatsrecht greco-ellenistico (nel che si riflette, al suo meglio, la concezione "bismarckiana" dell'ellenismo, la storia, cioè, di monarchie le quali anticipano o prefigurano lo Stato "moderno", mercantile, territoriale, militare, unitario, ecc.).
Ispirandosi, dunque, ad una problematica sostanzialmente d'importazione germanico-belochiana, il C. scrisse il suo libro primo e più noto, Il regno di Pergamo (Roma 1906, che il Beloch gli pubblicò nei propri Studi di storia antica, V). Onestamente indicativo è già di per sé il sottotitolo: "Ricerche di storia e di diritto pubblico"; e sin dalla prefazione, d'altronde, il C., pur indulgendo al gergo fra positivistico e massonico allora comune, avverte che la prima parte, "i cenni storici", sugli eventi pergameni dalle origini del principato di Filetero sino alla "fine della guerra Antiochena", è da considerarsi "come una introduzione alla seconda, che è d'indole antiquaria": ed è una descrizione statistico-sistematica delle istituzioni culturali, amministrative, burocratiche, ecc., della monarchia degli Attalidi, con più speciale insistenza, anch'essa tipicamente belochiano-desanctisiana, sul rapporto fra il Comune e lo Stato, fra le poleis greche e l'autocrazia del sovrano.
Il volume, cui difetta ogni indagine di Kulturgeschichte, ma nel quale abbondano excursus cronologico-genealogici (per es., la questioncella sulla paternità di Attalo III), acquistò, non di meno, al C. meritata fama di "tecnico" della storia ellenistico-pergamena, confermata da successive ricerche analoghe, onde non fa mero atto di cortesia la dedica al C. dell'assai più perspicua, assai più storico-politica monografietta di M. Holleaux (rist. in Etudes d'épigr. et d'hist. grecques, IV, 1, Paris 1952, pp. 211 ss.) sull'invasione del regno di Pergamo da parte di Filippo V, nel 201 a. C.
Libero docente dal 1905, col volume pergameno il C. vinse la cattedra di storia antica nell'università di Genova il 1907, iniziandovi, a giudizio del Beloch (in Riv. ital. di sociol., XVI [1912], p. 430), l'insegnamento della disciplina "con metodo rigoroso" (cfr. G. Porzio, in Nuova riv. stor., V [1921], pp. 55-56). Ordinario dal 1911, soprattutto in virtù d'un'ampia, ma sostanzialmente assai mediocre, appendice conclusiva alla maggiore monografia, il saggio su La morte di Attalo III e la rivolta di Aristonico (negli Studi di storia antica offerti a G. Beloch, Roma 1910), che rivela un'anche troppo minuta conoscenza dell'anteriore bibliografia, ma cui difetta ogni tentativo d'interpretazione storica in termini d'ideologia politica e di storia sociale, il C. partecipò quindi (1911-1912) a due concorsi, ottenendo, per unanime giudizio della commissione, il trasferimento all'università di Bologna (cfr. G. Porzio, in Nuova riv. stor., V [1921], pp. 54-71; e la conseguente polemica fra E. De Ruggiero e C. Barbagallo, ibid., pp. 326-30).
È questo il periodo forse migliore nella attività del C., autore e degli Studi graccani (Genova 1912; estr. dal vol. XX degli Atti della R. Università di Genova) e dell'articolo Le ripercussioni dell'imperialismo sulla vita interna di Roma (in Scientia, VII [1913], pp. 402-12).
Il volume degli Studi, anch'esso confessatamente non opera di storia, ma serie di "contributi parziali ed isolati alla intelligenza dei moti graccani", per quasi una metà anzi analisi de Le fonti, la quale neppure si configura come un tentativo di delineare un profilo storico-ideologico o politico-letterario della storiografia sull'età graccana (pur dopo l'esempio eminente di E. Meyer e di E. Schwartz), ha, tuttavia, il grande merito, giustamente rivendicato poi sempre dal C. a se medesimo (cfr., per es., in Riv. stor. ital., s. 5, II [1937], 3, p. 7), di affermare, contro il Niese e lo stesso De Sanctis, l'arcaicità della istituzione e dello sfruttamento dell'ager publicus, il cui possesso, invece, si riteneva "fosse assurto ad un rilevante sviluppo soltanto al principio del II sec. a. C.". Questa tesi (con la conferma altresì della pienissima validità del testo di Appiano, Bell. civ., I, 7, 26 ss.) il C. riaffermò nell'articolo Capisaldi della legislazione del periodo graccano (in Historia, VII [1933], pp. 517-37; e già nell'art. Agro dell'Enc. Italiana), elogiatogli da G. De Sanctis, Scritti minori, Roma 1972, VI, 2, p. 898, il quale aveva pur definito "eccellenti" gli Studi graccani (in Atene eRoma, n.s., [1921], p. 211 n. 1). Giudizio parimenti favorevole formularono anche P. Fraccaro (cfr. Opuscula, II, Pavia 1957, p. 55) e i suoi discepoli (fra cui, ad es., E. Gabba, nella propria ed. di Appiano, Bell. civ., I, Firenze 1967, passim).
L'importanza "storiografica" dell'articolo sulle Ripercussioni dell'imperialismo, anche per certa rivendicazione o riscoperta della dialettica da parte di un "belochiano" fu giustamente avvertita dal Ferrabino (p. 414), non foss'altro per la conclusiva affermazione che "la monarchia... doveva essere la risultante logica ed inevitabile dell'imperialismo". Era quasi una anticipazione prebellica del Dopoguerra antico di G. De Sanctis (che conviene leggere nell'edizione annotata a cura di P. Treves, Lo studio dell'antichità classica nell'Ottocento, Milano-Napoli 1962, pp. 1247 ss.; cfr. ibid., pp. 1258 n. 1, 1260 n. 2). Ma, nel mentre il C. collaborava col De Sanctis alla correzione delle bozze dei volumi III, 1-2 e IV, 1 della Storia dei Romani, e non si sarebbe dovuto quindi mostrare insensibile al rivolgimento storiografico che di qui l'opera del suo amico e maestro iniziava, quest'articolo e questa apertura rimasero, invece, nell'attività del C. senza domani: ne suggellarono, anzi, la fine.
Il C., che alla vigilia dell'intervento si era schierato su posizioni di cauto neutralismo, succedette nel marzo del 1919 al De Ruggiero nella cattedra romana di antichità ed epigrafia; da allora egli si impegnò in una lunga bisogna di cose pratiche, dalla partecipazione assidua a commissioni di concorsi medi e universitari alla presidenza della scuola archeologica di Roma, dalla direzione (in cui pure succedette al De Ruggiero) del Dizionario epigrafico (1924; cfr. G. De Sanctis, Scritti minori, VI, 1, pp. 229 ss.) alla presidenza, che fu da lui lungamente esercitata, della facoltà di lettere e al protettorato dell'università di Roma, dalla ascrizione ai Lincei all'attività parlamentare (senatore dal 1939), astenendosi da quasi ogni forma di attività scrittoria, che eventualmente "prende la forma di collaborazione a opere collettive, o la solennità pubblica del discorso celebrativo" (Ferrabino, p. 411). Non stupiscono, perciò, le concessioni frequenti al "clima fascista". Elogiò in più scritture "imperiali" le virtù e l'imperialismo di Roma (cfr., per es., in Historia, VI [1932], p. 199). E "senza una parola di commento" lesse "nella seduta del Consiglio di Facoltà del gennnaio 1932... la comunicazione ministeriale dell'avvenuta dispensa dal servizio" dei colleghi Buonaiuti, De Sanctis e Levi Della Vida per rifiuto di giuramento fascista (cfr. G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati, Venezia 1966, pp. 243 s.; e ibid., pp. 233 s.).
Reintegrato nel 1946 come socio dell'Accademia dei Lincei, eletto rettore dell'università di Roma (1948-1953), tollerò che squadracce fasciste sistematicamente disturbassero le lezioni dell'ex fuoruscito Umberto Calosso, mentre il presidente della Repubblica Luigi Einaudi attestava al perseguitato la sua solidarietà e la sua stima.
Estraniatosi dalla ricerca e dalla storiografia, il C. morì a Roma il 22 gennaio del 1955.
Senza lasciare un libro di storia e senz'avere formato una scuola, il C. resta, però, un testimone non secondario di quella che, al suo meglio e al suo peggio, fu, nel ventennio avanti la prima guerra mondiale, la scuola romana del Beloch.
Fonti e Bibl.: Unico profilo critico quello di A. Ferrabino, la commemorazione in Rend. d. Acc. naz. dei Lincei, cl. di sc. morali, s. 8, XII (1957), pp. 411-415 (con bibl. incompl. delle sue opere). Hanno valore meram. agiografico le commem. di G. Funaioli, in Studi romani, III (1955), pp. 65 s. e di A. Gitti, in Atene e Roma, n. s., II (1957), pp. 218-221. Si veda inoltre: G. De Sanctis, Ricordi della mia vita, Firenze 1970, pp. 60-63; A. Momigliano, Contributo alla storia degli studi classici, Roma 1955, pp. 286, 300, 320; M. Pavan, Gli antichisti e l'interv. dell'Italia nella prima guerra mondiale, in Rass. stor. del Risorg., LII (1964), pp. 71 s., 75 s. (lettera del C. al Giornale d'Italia, 17 sett. 1914); A. M. Ghisalberti, Battaglie in facoltà, in Letteratura e critica,Studi in on. di N. Sapegno, II, Roma 1974, p. 943; Enc. It., VIII, e App. III, ad vocem.