CINO, Giuseppe
Figlio di Ferrante (e non di Giovanni Leonardo come afferma il Foscarini) e di Laura Conte, nacque a Lecce dove fu battezzato il 15 giugno 1645 (Foscarini). Fu architetto e. scultore, e può essere considerato l'ultimo interprete della cultura architettonica barocca a Lecce.
Dalla verifica del Registro dei battezzati del duomo di Lecce, unica chiesa dove poteva essere amministrato il sacramento del battesimo nel sec. XVII, risulta che in quel giorno sono stati battezzati due gemelli Cino, uno dì nome Domenico e l'altro del cui nome si leggono solo le lettere "Gio". Nessun altro indizio è emerso dal controllo dei Registri dei battezzati dall'anno 1620 al 1670per la costante omonimia del cognome (R. Pagliula, G. C., tesi di laurea, università degli studi di Lecce, fac. di lett., anno accad. 1962-1963, pp. 23-25).
Ancora irrisolto è il problema della formazione, avvénuta sotto la guida di Francescantomo o di Giuseppe Zimbalo, maestri a cui certamente si ispirò. Sono avare di notizie biografiche sia le Memorie, che il C. compilò annotando i fatti accaduti a Lecce dal 1656 al 1719 (secondo la trascrizione del Castromediano 1847, conservata nella Biblioteca provinciale di Lecce) o al 1722 (secondo la prima trascrizione fatta da F. A. Piccinni nel 17351, sia le fonti esplorate. Sono documentate come sue opere: il seminario di Lecce (1694-1709), l'altare maggiore della parrocchiale di Martignano (17041, che inediti documenti permettono di assegnargli insieme al già noto altare del Rosario del 1705 (dal Libro delle significatorie della Confraternita del Rosario, conservato nell'Archivio parrocchiale, cart. A, ff. 467, 472v, 475r, 479v, 480v, 481v, 487r, 488rv, 498r, risultano le spese sostenute negli anni 1703-1706 dalla confraternita per la costruzione degli altari e per il soggiorno del C. e dei suoi collaboratori, tra i quali viene menzionato come suo figlio Leonardo [ibid., f. 497v: parentela non verificabile da altri docc.], ed infine la chiesa del Carmine a Lecce).
Da documenti inediti risulta che i lavori di questa chiesa, realizzata con la pietra di Cavallino, furono condotti dal C. e da suo fratello Donato (Arch. di Stato di Lecce, Sez. not., Not. O. Siciliano, 46/51, 1720, ff. 173 s.: è registrato un pagamento di 217 ducati come saldo di "quanto essi fratelli de Cino devono ricevere da detto Venerabile Convento per la loro fatica...") in qualità di "capimastro d'ingegnere della fabbrica della Chiesa di detto Venerabile Convento" (Ibid., Not. S. B. Tengolo, 46/69, 1715, ff. 273v-275) dal 1711 al 1722 e, dopo la morte del C., proseguiti probabilmente da Donato (Ibid., Not. B. Mangia, 1722, ff. 107-114) fino al 1731, quando la chiesa venne consacrata (G. Scupola, La chiesa della Vergine del Carmine di Lecce, tesi di laurea, discussa alla Universtà di Lecce, facoltà di lettere, anno accademico 1978-1979).
Tartendo da questo limitato corpus, si è tentata la difficile definizione di paternità ed unordinata trattazione cronologica dell'attività del C., mirando soprattutto a far luce sul periodo anteriore al 1694.
R. Jurlaro (1969), leggendo la sigla "G.C.L." incisa su un pannello ligneo come firma dell'artista, individua un suo intervento tra il 1659 e il 1671nel cinquecentesco coro ligneo dei duomo di BrindIsi. L'impronta ciniana, in quest'unico esempio d'intaglio, è rintracciabile nei pannelli terminali degli scanni dei. presbiteri, nell'inginocchiatoio della cattedra arcivescovile e probabilmente nelle statuine di S. Pietro e S. Paolo, poste sullo stallo del vicario e sullo stallo del canonico forestiero, che nel fare rozzo e impacciato, pure riscattato dal panneggio mosso e dall'analiticità del particolare, rievocano forme di Gabriele Riccardi.
Devono ritenersi del C. gli altari di S. Carlo Borromeo (1662) e di S. Andrea apostolo (1687) del duomo leccese, il primo attribuito ed il secondo considerato autografo di Cesare Penna da una errata interpretazione documentaria del Foscarini (Giorn. del popolo [Lecce], 1928, n. 398). A sorprendente l'analogia con la maniera del Penna, di cui il C. eredita particolarmente la ricchezza delle sospensioni, dei grumi plastici che divengono sigle astratte e della fantasia esaltata a gioco irreale; ma la qualità del linguaggio del C. è verificabile da un confronto con l'altare del Rosario a Martignano, dove varla l'intelaiatura architettonica di schema tardomanieristico, bilanciando il dinamismo compositivo dei due Zimbalo con il fluido scorrere dei piani e delle luci. Negli anni 1687-1691 (quest'ultima data è incisa sul cartiglio sorretto dall'angelo, sito sulla finestra centrale della facciata) il C. dové partecipare alla ricos"ione della chiesa di S. Chiara.
Lo rivela la qualità dell'ornato sulla facciata e nell'interno, dove accanto alla replica mediocre e al gusto imitativo di mani abituate ad una rapida pratica. (si vedano gli altari primo e terzo dei due lati), la finezza d'intaglio delle quattro porte che immettevano in vari ambienti, calchi precisi delle porte che affiancano l'altare maggiore di Martignano; la partitura degli stucchi asseconda la disposizione ottagonale della pianta ed ospita dinamicamente cappelle, finestre dai riquadri mistilinei, alternate alle statue di Beatrice, Ortolana (a sinistra), Amata ed Agnese, rispettivamente sorella, madre, nipote e sorella di s. Chiara. Queste ultime mancano del leziosismo un po' artificioso ed aggraziato della coeva produzione e, pur rivelando una cultura strettamente locale nell'amore per il dettaglio, nelle cadenze impreziosite di forte intensità pittorica, non disdegnano infiltrazioni culturali di marca veneta e napoletana.
Quasi contemporaneamente il C. doveVa occuparsi dell'altare della Trinità per la chiesa di S. Croce (Vacca-Borrello, 1967, p. 105) e del secondo piano dei monastero dei celestini (Calvesi, 1954, pp. 326 s.), i cui lavori ripresero nel 1686. In questo edificio ritorna la sbrigliata fantasia che si inquadra in una scompaginata partitura architettonica, interrompendo volutamente il più rigido geometrismo zimbalesco, ed anticipando le più dinarniche soluzioni del, seminario. 16 il momento migliore della autonomia del C. che, se puxe non eseguì i disegni dei palazzo del seminario (tanto ci fa intendere N. Fatalò, Serie de' vescovi di Lecce, ms. n. 37 della Biblioteca provinciale di Lecce., p. 184: "... la fabrica del famosissimo seminario della quale con essersene mandati in Roma et in molte altre parti i disegni ..."), dimostra come la decorazione affollata di elementi squisitamente plastici - modellati con la morbida condiscendenza cui la pietra leccese sembra prestarsi - possa sortire ad effetti non dissimili da certe raffinate e fantastiche ideazioni rese. dalle schiere di stuccatori, attivi nelle corti italiane nell'ultima parte del Seicento e non ignari del prepotente linguaggio guariniano tradotto in forme autoctone. La vena creativa del C. si attua nella realizzazione del pozzo, con i soliti puttini di una prorompente vitalità che reggono ricchi festoni e scalano i piani compositivi, convergenti nella deliziosa statuina, morbida nella vibrante fluidità del panneggio e resa senza incertezze formali.
Sempre i modi stilistici permettono di accettare come prodotto della bottega del C. l'altare maggiore del Gesù di Lecce (1696), reso nella stessa compagine deltl'altare maggiore di Martignano e della chiesa di S. Anna a Mesagne. Questa, disegnata (1666) dal capo mastro mesagnese F. Capodieci, è affidata nel 1683 a "Ioseph Armiento de Uria, Pietro et Ioanne Cino de Litio magistris fabricatoribus et Donato Gino..." perché la completino (Arch. di Stato di Brindisi, Sez. not., Not. G. A. Luparelli, n. 4448, n. 1681 ff. 80-84v) e al C. e a Pietro Elmo per "fare diversi Intagli di pietra bianca" (ibid. f. 82v). Sempre per questa chiesa Donato (Arch. di Stato di Lecce, Atti del notaio Biagio Mangia, 46/52, n. 1703, f. 180-83) lavora con i maestri Tommaso Pagliara di Lecce e Mauro Capozza di Lequile (R. Rinaldi, Architettura religiosa, in Mesagne, tesi di laurea, Univ. di Lecce, fac. di Magistero, a. acc. 1978-79, pp. 106-117). L'intelaiatura architettonica di questa chiesa tradisce pertanto arcaismi tardocinquecenteschi, bilanciati ai motivi della facciata di S. Chiara.
Non verificabile per mancanz"I di docum. (sono disponibili presso la Bibl. De Leo di Brindisi le platee del convento dell'Annunziata) e per le cattive condizioni di lettura è l'attribuzione proposta per la chiesa dell'Annunziata di Mesagne (1701), ma si avverte una traduzione della chiesa di S. Chiara in un gusto paesano di esperto artigiano. Non rintracciabile l'attività a Galatina, segnalata da A. Antonaci (in Montanari, 1972), che trascrive, riprendendola da Tommaso Vanna (Monografia di Galatina in Terra d'Otranto, 1854-55), una perduta epigrafe allora collocata dietro il coro della cattedrale, da cui risultava che un "Iosepli Civis Lycien Sculp..." nel 1701aveva scolpito una statua di S. Pietro (la notizia è anche vagamente riportata dal Foscarini, ms.). Poco aderente alla grafia del C. è la realizzazione di porta Rudie a Lecce (1703);sembrano coerenti con il suo linguaggio, e perciò assoggettati alla sua iniziativa, l'altare di S. Pantaleo sempre nella parrocchiale di Mar-tignano (1708)che'ricalca l'altare di S. Gregorio nella cappella del seminario (1696); la parrocchiale di S. Pietro in Lama (1715) e la facciata di ss. Niccolò e Cataldo (1716)che riecheggiano lo schema del Carmine, ma con una evidente dissonanza creata dalla diversa qualità dell'arredo decorativo: ulteriore prova di come le incertezze strutturali del C., che si autodefiniva architetto, fossero annullate dalla sua brillante abilità di plasticatore.
Inesplorata ma degna di attenzione è la sua produzione scultorea a tutto tondo, fino a vista in stretto rapporto con la, funzione ausiliaria ed ornativa. Già. analitiche e asciutte, vincolate al contesto architettonico solo in funzione di una più esasperata resa della linea. concava, sono le statue di S. Pietro e S. Paolo e il Cristo risorto dell'altare maggiore di Martignano (attualmente in un ripostiglio). Le figure allungate degli apostoli, nel panneggio lievemente modulato, nel gestire enfatico e nell'atteggiamento pietistico dicono della predilezione del C. per il linguaggio di Placido Boffelli e di un ricorso ad una rilettura di forme manieristiche.
La data di morte del C. dev'essere fissata all'aprile 1722, come risulta dall'inedito testamento stilato dal notaio Biagio Mangia di Lecce (Arch. di Stato di Lecce, Atti del notaio Biagio Mangia, a. 1722, ff. 93r-102v) e dalla postilla aggiunta alle sue Memorie, probabilmente autografa del Piccinni. Dal testamento si ricava che abitava insieme al fratello Tommaso e a due nipoti, Francesco e, Santo, figli dell'altro fratello Giovanni già morto nel quartiere di San Martino, isola di S. Vito. Confratello dell'Oratorio delle - anime del Purgatorio, chiese di essere sepolto scalzo nella chiesa dei convento di S. Maria degli Angeli a Lecce.
Gli sono state attribuite erroneamente la chiesa di S. Irene (1591-1639), progettata dal teatino F. Grimaldi (cfr. A. Quattrone, F. Grimaldi, in Regnum Dei, V [1949], 17, pp. 25-88);la chiesa di S. Maria della Provvidenza o delle Alcantarine (1724), iniziata nel 1703 "colladirezione e disegno di Giuseppe Cino architetto", come si ricava dalle Memorie (p. 93), ma inspiegabilmente interrotta e costruita nel 1724da M. Manieri (M. Paone, in Barocco europeo, bar. ital., bar. salentino, in Atti del IX Congresso naz. distoria dell'architett. Bari 1955, Roma 1959, docc. nn. V e VI); la chiesa della Natività della Vergine o S. Maria della Nova (1782), opera dell'ingegnere regio Carlo Salerni, di origine napoletana (N. Vacca, in Arch. stor. pugliese, XVIII [1965], pp. 55-73).
Le Memorie... di molte cose accadute in Lecce dall'a. 1656 fino all'a. 1719... sono state trascritte (1847)da S. Castromediano ("mss. che trattano di cose leccesi" [1869], ms. 47, della Bibl. prov. di Lecce) e sono state edite a cura di P. Palumbo, in Rivista storica salentina, II(1905), 9-10, pp. 61-68; III (1906), 1-6, pp. 69-130.
Fonti e Bibl.: Lecce, Biblioteca provinciale, ms. 329: A. Foscarini [secolo XXI], Artisti salentini..., p. 96; C. De Giorgi, Architetti e scultori in pietra leccese, in Il Gazzettino letter. di Lecce, I(1879). 2, p. 149; C. Villani, Scrittori ed artisti pugliesi, Trani 1904, p. 1241; A. Foscarini, Guida storico-artistica di Lecce, Lecce 1929, pp. 28, 46, 59, 85, 117 s., 142 s., 146; M. Calvesi, La chiesa e il convento dei colestini, in Commentari, V (1954), pp. 326 s.; L. G. De Simone, Lecce e i suoi monumenti, a cura di N. Vacca, Lecce 1964, pp. 103 s., 114, 120, 296 s., 457, 460, 557; M. Paone, Influenze borrominiane nell'architett. barocca salentina, in Studi salentini, XXIII (1966), pp. 238-42 passim; N. Vacca-G. Borrello, Lecce. S. Croce, in Tesori d'arte crist., LXXXIV, Bologna 1967, pp. 105, 107, 112; R. Jurlaro, Il coro della catt. di Brindisi, Fasano 1969, p. 23 nota 44, 28 s., 34, 45, 56-58; N. Vacca, B. Papadia e l'ined. suo viaggio nel 1791 nell'Alto Salento, in Arch. stor. pugl., XXII(1969), 1-4, p. 170 nota 16; M. Paone, La chiesa della Vergine del Carmine in Lecce, Cutrofiano 1970; M. Calvesi-M. Manieri Elia, Archit. barocca a Lecce e in terra di Puglia, Milano-Roma 1971, ad Indicem. T. Pellegrino, Piazza Duomo a Lecce, Bari 1972, pp. 165-167; M. Montinari, Storia di Galatina, a cura di A. Antonaci, Galatina 1972, p. 166 e nota 46. Per le altre notizie su Donato, cfr.: Archivio di Stato di Lecce, Atti del not. Biagio Mangia, a. 1694, f. 543; a. 1698, ff. 692r-693v; a. 1701, ff. 193r-194v; a. 1705, ff. 131v-140rv. Per altre notizie sul C., cfr.: Ibid., ibid., a. 1699, ff. 188r, 192r-195v, 455r; a. 1704, ff. 162r-174v.