COMPAGNONI, Giuseppe
Nacque a Lugo di Romagna il 3 marzo 1754 da Giovanni e Domenica Ettorri, e fu battezzato col nome di Marco Giuseppe. La famiglia, che risiedeva nel paese da circa due secoli, aveva conosciuto l'agiatezza, ma alcune sfortunate iniziative ne avevano recentemente minato il patrimonio, sicché il C., dopo aver appreso dal padre i primi rudimenti del leggere e dello scrivere, venne avviato alle scuole pubbliche anziché a quelle private, che pure fornivano maggiori garanzie di efficienza. Qui, tra maestri bizzarri e maneschi, dimostrò di possedere fervida curiosità sorretta da vivace intelligenza: studiò umanità, logica, filosofia e a dodici anni passò al corso superiore di studi, dove poté giovarsi dell'insegnamento del domenicano Cavalletti, professore di teologia. Nel frattempo il padre, che rimasto vedovo si era risposato con Anna Folicaldi (della matrigna il C. conservò sempre un affettuosissimo ricordo), decise di indirizzarlo alla carriera ecclesiastica, a motivo delle spiccate doti di spirito ed ingegno ch'egli dimostrava rispetto agli altri fratelli. Dovette così rinunciare agli studi di giurisprudenza, ai quali si sentiva inclinato, per rivolgersi alla teologia, e in questa facoltà si laureò nel 1778, dopo esser stato ordinato sacerdote dal vescovo di Imola. In seguito però riprese ad occuparsi di diritto e letteratura, alternando i pubblicisti Grozio, Pufendorf, Cumberland e Lampredi ai philosophes Montesquieu, Beccaria, Filangieri. La sua franca adesione ai principi dell'illuminismo e l'indipendenza di giudizio con cui manifestò aperta ammirazione per la politica giurisdizionalista e l'opera riformatrice di Giuseppe II gli attirarono però i sospetti degli inquisitori di Bologna e Ferrara; non ne derivò alcun processo, ma il C. perse la possibilità di ottenere una pensione a Roma che gli avrebbe consentito di evadere dal chiuso mondo della provincia per inserirsi in un circuito culturale e politico di ben altro respiro, analogamente a quanto si era verificato per il suo coetaneo e conterraneo Vincenzo Monti. All'inizio del 1785 il C. pensò allora di trasferirsi a Venezia, dove la circolazione delle idee era in qualche misura consentita e dove sperava di far valere la sua penna, ma il progetto rientrò per la sopravvenuta morte del padre; accettò allora, alla fine di giugno, l'invito di G. Ristori di recarsi a Bologna a dirigere le Memorie enciclopediche, settimanale di notizie letterarie, cui riuscì ben presto a dare nuovo impulso con una serie di articoli pubblicati sotto lo pseudonimo di Ligofilo. Ebbe così inizio una fervida - e talvolta frenetica - attività di letterato e poligrafo che il C. continuò fino al termine della sua vita, distinguendosi sempre per la freschezza dello stile, la vivacità lessicale, la disponibilità ad avvicinare una quantità incredibile di questioni e problemi.
A Bologna il giovane e brillante sacerdote ebbe successo; seppe procurarsi aderenze, introdursi negli ambienti più qualificati; ottenne l'amicizia del conti Marescalchi e Zambeccari, del canonico Saladini, del letterato Savioli. Tornato poi il giornale sotto la direzione del Ristori, il C. fallì la nomina a segretario della provincia ("il posto era importante ed onorevole - così ricorderà nelle sue Memorie autobiografiche - e grosso era eziandio lo stipendio"), ma, tramite il cardinal legato di Ferrara Francesco Carafa, riuscì a conseguire quella, non meno gratificante e prestigiosa, di segretario della ferrarese casa Bentivoglio d'Aragona, incarico al quale per tradizione erano chiamati uomini distinti nelle lettere.
Nell'ottobre 1786 il C. passò quindi a Ferrara, a servizio della potente famiglia, al seguito della quale - dopo due mesi spesi soprattutto in una assidua frequenza ai ricevimenti della nobiltà ed alla conversazione con quelle dame ("Tutto mi sorrideva d'intorno in Ferrara") - si recò a Torino, dove il giovane marchese doveva essere collocato in educazione presso l'Accademia reale.
Era la prima volta che il C. lasciava l'Emilia Romagna, e le città padane gli parvero bellissime; solo del soggiorno milanese rimase insoddisfatto, e questo perché non ritrovò nei Lombardi sufficiente entusiasmo per la politica riformatrice di Giuseppe II, com'egli invece si era figurato; ancora, se fu lusingato di conoscere i "valenti uomini" Beccaria e Verri, l'incontro col Parini si risolse in una delusione: ma nelle Memorie del C. non di rado ci si imbatte in giudizi su contemporanei personali e discutibili. A Torino, nel 1787, diede alle stampe una Lettera di Cattina al marchese Albergati Capacelli suo marito, che immaginava scritta dalla defunta moglie del marchese Francesco per scagionarlo dal sospetto, largamente diffuso nell'opinione pubblica, che fosse lui l'autore della sua morte: sarebbe stato questo componimento l'occasione delle future Lettere piacevoli che il C. e l'Albergati avrebbero pubblicato a Venezia.
Nel maggio 1787, infatti, i Bentivoglio lasciavano il Piemonte proprio alla volta di Venezia, e con essi il C. giungeva nella città lagunare, dove si sarebbe trattenuto per un decennio. Le relazioni di cui i suoi padroni godevano (la famiglia era iscritta all'albo d'oro di quella nobiltà) consentirono ancora una volta al C. di entrare in contatto con il gran mondo cittadino, con i patrizi Tron, Widmann, Donà, Molin, con i letterati Cesarotti, Butturini (infelice marito della futura animatrice del giacobinismo veneziano, Annetta Vadori, "giovine bella e spiritosa tanto da potersi piuttosto dire ispiritata"), Apostoli, Vittorelli e, soprattutto, con il chimico e farmacista Vincenzo Dandolo, che sarebbe stato l'amico di tutta la vita. Nella città lagunare ogni cosa sembrò entusiasmare il C.: la cortesia e la finezza di tratto degli aristocratici, la vivacità di spirito delle donne, la suggestione dei palazzi, la conversazione dei letterati, lo spettacolo di una folla cosmopolita e pittoresca ("Io mi stava dunque lietissimo in sì bella città, e in mezzo a tanti carissimi amici"); finì dunque per licenziarsi dal servizio presso i Bentivoglio ed accettare l'invito, rivoltogli dal libraio A. Graziosi, di dirigere la gazzetta politica Notizie del mondo, che usciva due volte alla, settimana, in concorrenza con il più antico Nuovo Postiglione dell'Albrizzi. Erano gli ultimi mesi del 1788: smesso l'abito talare, il C., che in questi anni usava premettere al proprio nome la qualifica di abate, seppe conferire al periodico un taglio ben più moderno e vivace rispetto alle coeve pubblicazioni, che si limitavano a riportare gli "avvisi" e le notizie delle varie corti europee senza commentarle né tentare fra loro dei confronti.
La sua critica alle notizie che giungevano dalla Francia, e che richiamavano in modo particolare l'attenzione del pubblico, per quanto ispirata ad un taglio sostanzialmente conservatore, non fu pregiudizialmente ostile ai fermenti innovatori, che venivano vagliati con attenzione ed obiettività. Inoltre, il primo numero del '91 si aprì con un Prospetto politico dell'anno 1790 che riscosse grande successo: motivo ricorrente di questo commento alla situazione politica internazionale è che la felicità dei popoli può realizzarsi solo nella pace e che le guerre - considerate secondo l'ottica illuminista, come effetto dell'orgoglio e della follia del principi - sono il fondamento primo delle ingiustizie e delle miserie che travagliano l'umanità. Al centro del vasto quadro tracciato dal C. campeggia la figura del defunto imperatore Giuseppe II, il cui generoso sforzo di rendere organico ed unito un Impero multiforme ha suscitato l'opposizione del reazionari belgi e transilvani: "Ecco la politica di Giuseppe II. Egli non è condannabile che di aver tentato l'impresa più grande che un legislatore abbia immaginata giammai". Il sincero apprezzamento dell'assolutismo illuminato asburgico rappresenta la chiave di volta per comprendere quella che era, e che sarebbe rimasta, la sintesi degli ideali politici del C.: la fiducia in uno Stato tanto forte ed efficiente da poter garantire l'eliminazione delle storture ereditate dal passato e l'uguaglianza "naturale" di tutti i cittadini, senza peraltro che la sua sensibilità sociale si spinga fino a porre in discussione l'esistenza di una discriminante meritocratica. Nessuna prevenzione, quindi, né verso la massoneria, né verso la Rivoluzione francese: a questo proposito, anzi, il C. avverte che qualcosa di importante, qualcosa di decisivo sta accadendo a Parigi, anche se è impossibile, data l'esiguità del tempo trascorso, procedere a giudizi sommari. Occorre prudenza, occorre attenzione: "Una immensa turba di operai vi lavora dietro con entusiasmo: una congerie di materiali è pronta. Lo strepito assorda da ogni parte; accieca la polve dall'altra: invano, si tenterebbe per ora di giudicare dell'opera".
Una tale equilibrata sospensione di giudizio si distaccava nettamente dalla profluvie d'ingiurie e di falsità cui sistematicamente indulgeva la maggior parte delle gazzette europee; neppure a Venezia, però, si poteva andar oltre, anche perché le notizie provenienti d'Oltralpe rendevano sempre più inquiete e timorose le autorità dello Stato: il procuratore Francesco Pesaro, influente senatore ed allora responsabile della censura sui libri e sulle stampe, fece assumere informazioni sul C., e gli inquisitori di Stato non mancarono di convocarlo alla loro presenza e di intestare a suo nome una pratica. Provvedimenti, tuttavia, non se ne presero, forse perché l'impegno politico del redattore veniva a stemperarsi in una quantità di opere di ben altra ispirazione che il C. dava "alle stampe in quegli stessi anni: traduzioni di commedie francesi, di opere latine, e poi epitalami, poemetti bizzarri, rime d'occasione. La versatilità - peraltro non disgiunta da una notevole dose di improvvisazione e superficialità - di cui l'ex prete seppe dar prova, risulta sufficientemente documentata anche da quelle che possiamo ritenere le sue opere principali del periodo veneziano, come la fantasiosa Corrispondenza segreta sullavita pubblica e privata del Conte di Cagliostro, allora rinchiuso a San Leo (1791), e le futili Lettere piacevoli, se piaceranno (1792), carteggio letterario col marchese Albergati, nel quale però il C. trovò modo di inserire un Saggio sugli Ebreie sui Greci, che fu poi ristampato, dove il popolo ebraico veniva appassionatamente esaltato per le sue doti di fermezza, unità e fierezza, mentre dei Greci si condannavano la viltà e la corruzione. Criterio ispiratore del Saggio era il concetto di tolleranza religiosa, che il C. avrebbe difeso anche in seguito, nel corso dei lavori per la costituzione della Cispadana, ma al suo apparire l'opera suscitò soprattutto il risentimento della folta comunità greca che dimorava a Venezia, la quale subito provvide ad elaborare una prezzolata risposta. Frutto di una gita compiuta a Trieste sono i versi di un poemetto in cui celebrò le bellezze naturali del Carso (La grotta di Vileniza, 1795), mentre dalla collaborazione con l'amico Vincenzo Dandolo, che fornì la consulenza scientifica, uscì a Venezia nel 1796, con i tipi del Pepoli, La chimica per le donne, ad imitazione del Newtonianismo per le dame dell'Algarotti: opera di mera divulgazione, anche se non limitata alla chimica, ma estesa alla geografia, alla fisica, alla fisiologia, e che godette di notevole successo pure all'estero. Intanto, sin dalla fine del '94 il C. aveva lasciato le Notizie del mondo, forse perché non si sentiva abbastanza tutelato dal Graziosi contro le pressioni della censura, forse perché già nutriva il progetto di fondare a sua volta un proprio giornale, cui l'incalzare sempre più tumultuoso degli avvenimenti europei avrebbe certo consentito notevoli possibilità di successo.
Così egli scrive nelle sue Memorie: "Intanto tutta l'Europa, massimamente per le cose francesi, era in gran subbuglio; e non avendo io determinato argomento in che occuparmi, ideai un'opera periodica da pubblicarsi ogni mese in quinternetti di dieci o dodici fogli ciascheduno, contemporaneamente trattando la storia degli avvenimenti che andavano succedendo, e ciò che somministrava di più notabile la letteratura massimamente italiana ... . Ma i maneggi occorrenti durarono gran parte del 1795, e non potei incominciare la pubblicazione del Mercurio che nel gennaio del 1796. Il primo quaderno comprendeva il prospetto della rivoluzione in Francia che procurò all'impresa assai associati in ogni parte d'Italia". Le due serie, una politica ed una storico-letteraria, in cui il Mercurio d'Italia era articolato (probabilmente dietro suggerimento del milanese Luigi Bossi, che sin dall'87 aveva sostenuto la validità della formula), e l'equilibrio di cui ancora una volta il C. seppe dar prova nel vaglio delle fonti, assicurarono al periodico il favore del pubblico.
Ma era ormai giunto il tempo in cui il tenue progressismo dell'ex prete doveva rinvigorirsi ed accendersi al contatto dell'ideologia giacobina (o, almeno, per quello che di essa sopravviveva alla fine, del '96) e dell'esaltante esperienza politica. Così, tra gli ultimi mesi del '96 ed almeno tutto l'anno seguente, il moderato C. si spostò su posizioni decisamente progressiste, in sintonia con la ventata di entusiasmo e di speranze che in tanta parte della penisola accompagnò la caduta dell'ancien régime; poi, dopo il disinganno di Campoformio, dopo il colpo di stato del Trouvé, credette di trovare nel regime napoleonico la migliore garanzia possibile per una conciliazione tra il rafforzamento autoritario e la sopravvivenza di una linea di riforma politica e sociale. Di fatto, il suo approccio con la politica avvenne da posizioni conservatrici: dietro suggerimento del marchese Bentivoglio, l'amministrazione centrale del Ferrarese, costituita dal Saliceti, gli conferì l'incarico di segretario. La nomina rappresentava la possibilità di lasciare Venezia, dove ormai parecchi sintomi facevano intravvedere l'imminenza di grandi rivolgimenti ed il tessuto sociale andava rapidamente deteriorandosi ad opera di una classe politica sempre più inquieta e diffidente verso i suoi stessi rappresentanti.
Il 30 ott. '96, dunque, abbandonato al Pepoli il decimo quaderno del Mercurio, il C. giungeva a Ferrara, dove riuscì subito a farsi apprezzare per le sue doti di concretezza e di eloquenza, che gli valsero l'elezione tra i deputati al Congresso di Reggio, apertosi il 26 dicembre, con l'oggetto di procedere all'unificazione delle città cispadane in una sola Repubblica. Il suo principale merito fu di essersi adoperato a tal fine, riuscendo a vanificare, grazie all'appoggio del Marmont, le resistenze degli inviati bolognesi, ch'egli accusò di ambizioni isolazionistiche; ancora, in una delle ultime riunioni del Congresso (7 genn. 1797), fece adottare, quale simbolo della Cispadana, la bandiera bianco-rosso-verde, che da allora fu sostituita a tutti i precedenti stemmi estensi o pontifici, come pure al tricolore francese: un gesto, questo, che presso la classe culturale italiana post-unitaria l'avrebbe reso famoso assai più di tutta la sua opera letteraria e politica. Poi, dopo che la battaglia di Arcole ebbe consolidato le sorti della nuova Repubblica, partecipò ai lavori del Congresso convocato a Modena per elaborare la costituzione, dalla quale riuscì a far escludere gli articoli riguardanti la religione, "venerando argomento", che però troppo spesso si era rivelato strumento di storture ed ingiustizie sociali non più tollerabili; e che pertanto gli pareva opportuno regolare con apposito decreto fuori dell'ambito costituzionale. Fu anche inviato due volte presso il Bonaparte, che da Bologna preparava la spedizione contro gli Stati pontifici, per sottoporre al suo esame l'abbozzo della costituzione; in entrambi le occasioni cercò di porsi in luce presso il generale, ma senza troppo successo: l'epoca delle blandizie verso gli Italiani era ormai finita ed alle richieste del C. Bonaparte rispose evasivamente o non rispose affatto.
Tornato a Ferrara, fu nominato professore di diritto costituzionale presso quella università: era la prima cattedra di questo tipo istituita in Italia, e l'opposizione del clero non mancò di boicottare l'insegnamento del C., che si ridusse alla prolusione (maggio 1797) ed a poche altre lezioni; due mesi più tardi, tuttavia, quasi a ribadire la sua fiducia nelle nuove dottrine, pubblicava a Venezia gli Elementi di diritto costituzionale democratico. Caduta la Repubblica di S. Marco, nelle lagune si era formata una Municipalità provvisoria di cui Dandolo era il più autorevole rappresentante; il desiderio di rivedere l'amico e, forse, la speranza di ottenere qualche incarico nel nuovo governo furono probabilmente le ragioni che suggerirono al C. di recarsi proprio a Venezia per dare alle stampe il suo corso di diritto costituzionale. Rivide i compagni di un tempo, conobbe il Villetard, che della rivoluzione era stato ispiratore ed anima, ma della società generosa e ricca che aveva lasciato solo pochi mesi addietro non trovò traccia: polverizzata la Terraferma in una miriade di Municipalità spesso gelose una dell'altra, comunque irriducibilmente ostili nei confronti dell'antica dominante; perse l'Istria, la Dalmazia, i possedimenti in Levante, della Serenissima non restava che una città priva di risorse, taglieggiata dai Francesi, incerta del futuro. Svanite le illusioni politiche ("Poco allora potei conversare con Dandolo, tutto assorto negli affari pubblici"), cercò conforto nelle lettere: tra le carte che, nel lasciare Venezia, aveva affidato ad un greco suo amico, ritrovò l'Epicarmo, ossia lo Spartano, che pubblicò in forma di dialogo platonico, ma dovette lamentare la perdita di un manoscritto del quale faceva gran conto, il Saggio sui più celebri scrittori italiani del secolo XVIII. Nel luglio, intanto, la Cispadana si era fusa con la Cisalpina; tornato a Ferrara, il C. seppe far valere la sua fama di costituzionalista e, tramite i buoni uffici del Costabili Containi e del Dandolo (che difese nel nobile quanto vano tentativo di appellarsi al Direttorio francese contro la cessione del Veneto all'Austria, stabilita a Campoformio), l'11 nov. 1797 ottenne da Bonaparte la nomina a iuniore nel Corpo legislativo della Cisalpina, per il dipartimento del Basso Po. Lasciato dunque l'insegnamento del diritto, si trasferì a Milano.
Trovò questa città pulsante di vita e d'industria ("Tutte le altri capitali d'Italia avevano per i succeduti rivolgimenti discapitato; la sola Milano era in guadagno"), ma anche frequentata da ogni specie di arrivisti e profittatori. I colleghi della Cisalpina gli parvero esagitati e incapaci, i direttori dell'esecutivo delle autentiche nullità: in effetti il C. aveva ormai maturato la convinzione che bisognava liberarsi dall'ingombrante ingerenza dei Francesi, ma su questo terreno ben pochi erano disposti ad assecondarlo. Sino al luglio del '98 i verbali delle assemblee testimoniano l'assiduità della sua partecipazione alle più importanti discussioni, poi la riforma dell'ambasciatore francese Trouvé, che ridusse il numero dei deputati escludendone quelli che riteneva nemici della Francia, lo privò dell'incarico. Se vogliamo dar credito a quanto egli afferma nelle Memorie, il primo a rallegrarsene fu lui stesso: in fondo, l'Assemblea legislativa era ormai priva di poteri, e comunque in essa egli era isolato se addirittura non odiato (Polfranceschi, dopo un violento alterco, lo aveva anche minacciato di morte); inoltre, sin dall'aprile era riuscito a dar vita ad un nuovo giornale, il Monitore cisalpino. La pubblicazione dichiarava di presentarsi come una continuazione del Monitore italiano di Custodi, Foscolo e Gioia, ma già nel titolo, con significativa riduzione d'orizzonte, ne abbandonava il programma "giacobino" per assumere il ruolo di portavoce semi ufficiale del governo. Il C. scelse quali suoi collaboratori il modenese Bartolomeo Benincasa ed il napoletano Flaminio Massa: al primo, persona di molteplici inquiete esperienze ("grande inchiostratore di carta, come gran parlatore"), ex conte ben conosciuto presso la società milanese, venne affidato il commento degli avvenimenti correnti. Se dunque la presenza del Benincasa doveva assicurare al giornale il favore dei moderati, quella del giovane Massa, esule politico ed elemento di spicco nella "rivoluzione" veneziana, avrebbe garantito, almeno in parte, la copertura ideologica democratica. Massa dovette quindi occuparsi di compendiare i lavori delle Assemblee della Cisalpina, mentre il C. si riservò mano libera: così, in un celebre articolo intitolato Che far de' frati (n. 40, luglio '98) si batté per una politica di recupero sociale dei regolari espulsi dai monasteri; contro i presuntuosi arrivisti stigmatizzò a più riprese l'assurdo spreco dei pranzi patriottici; contro i demagoghi compilò le voci del Dizionario rivoluzionario, severo richiamo alla purezza di concetti e valori troppo spesso strumentalizzati o fraintesi. In sostanza, un periodico ispirato ad equilibrato buon senso come pure ad onesto amor di patria, in linea con l'indole del C. e nel rispetto del programma indicato sin dal primo numero: "Dignità di linguaggio, e misura di espressioni, ragionata censura, non capricci di moda, non furor di setta, non invettive, non asprezze, non odiose personalità".
Ebbe vita breve, il Monitore, ché ormai i tempi incalzavano: nell'aprile 1799, con la battaglia di Cassano, il "barbaro" Suvarov si apriva le porte di Milano ed al C. non restava che riparare in Francia. Dopo un disastroso viaggio, egli giunse a Grenoble, poi a Lione ed infine a Parigi, dove vennero in suo soccorso prima l'abate Fortis e poi l'amico di sempre, Dandolo. Questi, dopo che il Bonaparte era tornato dall'Egitto e si apprestava a riaprire la partita in Italia, gli propose di scrivere Les hommes nouveaux, ne stese l'introduzione e la conclusione, ne fece fare la traduzione in lingua francese e ne curò la pubblicazione. Il C., a insaputa dell'amico, fece a sua volta porre sul frontespizio il nome del Dandolo (a cui perciò il libro fu lungamente attribuito), sia perché il suo aiuto gli era indispensabile in un momento di gravi ristrettezze economiche, sia perché probabilmente intendeva in tal modo ricambiare la collaborazione ottenuta tre anni prima, quando aveva scritto La chimica per le donne; così solo nell'autobiografia, destinata a rimanere inedita finché non la pubblicò l'Ottolini (1927), il C. rivendicò la paternità dell'opera.
Questa, pur trattando particolarmente di diritto criminale, non è affatto un trattato giuridico, né vuole essere un saggio di morale: semplicemente, è un libro polemico che intende contrapporre le nuove istituzioni a quelle dell'ancien règime. L'apologia del nuovo ne determina dunque il carattere politico: nel momento in cui la reazione austro-russa trionfava in Italia, il C. e il Dandolo lanciavano un preciso messaggio agli sbandati ed agli emigrati e rafforzavano nell'opinione pubblica francese la fiducia nelle armi del Bonaparte. La tempestività con cui il libro giungeva sul mercato e il favore con cui fu accolto dal generale e dai suoi fautori ne determinarono il successo (due edizioni in breve tempo): l'abilità del poligrafo C. si era felicemente coniugata con l'intuito del politico Dandolo. Poi venne Marengo, rinacque la Cisalpina. Scrive il C.: "Per avere qualche soldo onde ... ritornare in Italia pensai di scrivere una operetta la quale ... potesse avere fortuna presso i Francesi. Scelsi il nome del Tasso, il più conosciuto tra i nostri grandi poeti". Comparvero così le Veglie del Tasso, che persino i traduttori Mimaut e Ginguené considerarono un documento autentico dell'infelice passione del poeta per Eleonora d'Este. L'"impostura innocente" ebbe il merito di risolvere tutto a un tratto i problemi del suo autore: il libro ebbe infatti grande fortuna e fu più volte ristampato anche in tedesco, russo, polacco.
Tornato a Milano, rifiutò la cattedra di economia politica dell'università di Pavia per dedicarsi ad un progetto di pubblica istruzione nel quale suggeriva di imprimere il massimo sviluppo alle scuole popolari, riducendo lo studio del latino e rafforzando il controllo ideologico dello Stato sul personale docente e sugli allievi. Il piano, forse a causa della sua impostazione troppo avanzata, non venne però approvato, ed al C. fu invece conferita la nomina a promotore della Pubblica Istruzione ed Educazione, sorta di ispettore generale didattico-amministrativo del sistema scolastico cisalpino. Nella pratica, tuttavia, la sua azione fu vanificata dalla mancanza di idonee strutture operative e si ridusse all'espletamento di formalità burocratiche, come la celebrazione ufficiale della pace di Lunéville (9 febbr. 1801). Egli fece poi parte della commissione istituita per vagliare i reclami fiscali, quindi fu eletto deputato del Basso Po ai Comizi di Lione, ma rifiutò per suggerimento del Costabili, che ne conosceva i tiepidi sentimenti verso il Melzi d'Eril. Fu tuttavia proprio il Melzi - al quale, il 21 apr. 1802, il C. aveva opportunamente indirizzato un piano intitolato Considerazioni sulle relazioni politico-diplomatiche della Repubblica Italiana, in cui venivano esposte la situazione della Repubblica e le sue relazioni internazionali, e si raccomandava lo sviluppo dell'esercito e dell'istruzione pubblica, le due grandi forze sulle quali doveva poggiare uno Stato nazionale - a nominarlo segretario del Consiglio legislativo (31 genn. 1803), carica che avrebbe ricoperto ininterrottamente fino al 1810, sia pure con la diversa denominazione di segretario del Consiglio di Stato, allorché venne creato il Regno italico.
Generalmente negative le sue impressioni sui membri della Repubblica: alla testa dell'ordine giudiziario sedeva il "miserabile fiorentino" Spannocchi, "a cui i tronchi monosillabi stettero in luogo d'ogni sapere e di ogni virtù"; il ministro per gli Affari del Culto, Bovara, gli pareva inerte e gretto, e quello dell'Interno, Villa, "nulla più valente di un municipalista". Quanto a Melzi, "all'uso di un sultano faceva pervenire le sue idee".
Davvero il C. non fu facile lodatore: si avverte spesso, nei suoi giudizi, un fondo di insoddisfazione che deriva dal raffronto tra le sue fortune e quelle altrui, dall'amarezza di non esser riuscito ad annullare del tutto il limite impostogli dai modesti natali; egli fu ambizioso come Foscolo, politico come Dandolo, letterato come Monti, ma a tutti costoro inferiore per capacità e fama. Né riuscì a farsene una ragione; pur equilibrato, intelligente, onesto, non seppe vincere quel latente sentimento d'invidia che serpeggia, inquinandole, nelle sue Memorie. Si spiega in tal modo anche il tono ben diverso con cui ci presenta uomini e cose del Regno italico, dopo che Napoleone, dal "divino intelletto", gli ebbe dimostrato qualche non trascurabile segno di stima, dapprima confermandolo nella carica di segretario generale, poi chiamandolo a far parte della commissione istituita per elaborare il nuovo codice penale. A questo proposito, nelle sedute del 4 e del 6 dic. 1808, propose di conferirgli la massima estensione e di commisurare le pene secondo le circostanze e gli individui, "affinché meno che sia possibile si vegga l'umiliante ed ingiusto spettacolo di una stessa gravissima ed infamantissima pena inflitta ad individui infinitamente distanti nelle abitudini morali".Fu anche insignito dell'Ordine della Corona di ferro e, nel 1810, venne chiamato a far parte del Consiglio degli uditori; partecipò, inoltre, alla compilazione dei codici militare e commerciale (era particolarmente apprezzato come giurista da Napoleone). La caduta del Regno pose fine ad ogni sua attività giuridica e politica; pensò di trasferirsi a Trieste, ma non era facile, a sessant'anni, ricominciare tutto da capo, e restò a Milano. Nell'Italia della Restaurazione il mestiere più libero era quello dell'intellettuale disposto a vivere coi proventi della sua penna, e fino alla morte il C. riprese la sua attività di giornalista e poligrafo, collaborando soprattutto con gli editori Stella e Sonzogno. Multiforme e vastissima la sua produzione, sorretta da notevole cultura e stile vigoroso, anche se irrimediabilmente chiusa ad ogni soffio di poesia: sermoni letterari (tra i quali vanno ricordati i settecento versi dell'Anti-mitologia, contro il Monti), trattati di giurisprudenza, grammatica, morale, compilazioni erudite, almanacchi, traduzioni, compendi di libri stranieri, ma anche opere di ampio respiro, come i ventinove volumi della Storia d'America, pubblicati tra il '20 ed il '23, dove sono colti con grande lucidità i tratti caratteristici di quella democrazia. Riuscì in tal modo ad assicurarsi una vecchiaia indipendente ed operosa, nonostante i velenosi attacchi con cui di tanto in tanto la Biblioteca italiana recensiva le sue opere; nel 1819 assistette agli ultimi giorni di Dandolo, nella villa di Ternate, dove si era recato a progettare un nuovo lavoro. Sei anni più tardi prese a scrivere le sue Memorie, di cui la postuma Vitaletteraria è sostanzialmente un riassunto. Il C. morì a Milano il 29 dic. 1833.
Dell'imponente produzione letteraria del C. si riportano le opere principali: Corrispondenza segreta sulla vita pubblica e privata del conte di Cagliostro... e gli arcani della setta degl'Illuminati e Liberi Muratori, Venezia 1791; Lettere piacevoli se piaceranno, dell'abate Compagnoni e di Francesco Albergati Capacelli, Venezia 1792; I Veneziani e le Nozze. Inno greco di Mattia Butturini volgarizzato da Giuseppe Compagnoni, ibid. 1792; Marianne. Tragedia di François Tristan l'héremite. Traduzione dell'abate G. Compagnoni, ibid. 1793; Anfitriòne. Commedia in tre atti con prologo di... Molière. Traduzione dell'abate G. Compagnoni, ibid. 1795; Ildispetto amoroso. Commedia... di Molière. Traduzione dell'abate G. Compagnoni, ibid. 1795; La grotta di Vileniza. Versi..., Trieste 1795; La chimica per le donne, Venezia 1796; Epicarmo, ossia Lo Spartano. Dialogo diPlatone ultimamente scoperto..., s. l.[ma Venezia] 1797(ristampato in Giacobini italiani, a cura di D. Cantimori, I, Bari 1956, pp. 3-21); Elementi di Diritto costituzionale democratico, ossia Principi di giuspubblico universale, Venezia 1797 (parzialmente ristampato in Giacobini italiani, cit., I, pp. 22-96); Les veillées du Tasse. Manuscrit inédit, misau jour par Compagnoni et traduit... par J. F. Mimaut, Paris 1800(edito successivamente in italiano col titolo: Veglie di Tasso. I edizione italiana..., Milano 1803, e ripubblicato più volte in francese. Particolarmente curata l'edizione tradotta dal Barère: Les Veillées du Tasse, avec le texte italien..., Paris 1804); Viaggi (di Peter Simon Pallas) in diverse provincie dell'Impero sino ai confini della China, compendiati dal cav. Compagnoni, Milano 1816; Elementi d'ideologia del conte Destutt di Tracy... con prefazione e note delcav. Compagnoni, ibid. 1817-19; Saggio diun trattato di morale in forma di catechismo pubblicato in seguito degli elementi di ideologia del sig. co. Destutt-Tracy del cav. Compagnoni, ibid. 1819; Vita e imprese di B. B., uomo memorando del suo tempo, ibid. 1818 (è la biografia di Bartolomeo Benincasa); Ditti Cretese e Darete Frigio, storici della guerra troiana, volgarizzati dal cav. Compagnoni, ibid. 1819; Memorie storiche relative al conte Vincenzo Dandolo..., ibid. 1820; Storia dell'America in continuazione del compendio della storia universale del sig. Conte di Ségur..., ibid. 1820-23; Biblioteca di Diodoro Siculo..., ibid. 1820-22; Storia dell'Impero Ottomano compilata dal cav. Compagnoni sulle opere di Sagredo... e pubblicata in continuazione... del sig. Conte di Ségur, ibid. 1823; Storia di casa d'Austria scritta in inglese da Guglielmo Coxe..., ibid. 1823; Storia dell'Impero Russo... in continuazione al compendio... del sig. Conte di Ségur con un supplemento..., ibid. 1824; Memorie storiche sopra Torquato Tasso..., ibid. 1824; Tre lettere dei signori D. A., F. B. e Comp. Faentini al signor Pietro Giordani..., ibid. 1826; Biblioteca di Apollodoro Ateniese..., ibid. 1826; Capitolo CIII di un'opera incominciata a scriversi dal suo autore prima della Proposta del cav. Monti..., ibid. 1826; Dell'arte della parola., ibid. 1827; Brevi cenni sulla vita e gli scritti di Francesco Zacchirolo, ibid. 1827; Lettere a tre giovani sulla morale pubblica..., ibid. 1829; Epicedio ne' funerali di Gaetano Cantù..., ibid. 1831; Brevi memorie sulla vita e sui fatti di Giuseppe Luosi, Mirandolano, ibid. 1831. A questo elenco va aggiunto: Les hommes nouveaux..., Paris 1799, comunemente attribuito a V. Dandolo. Pubblicò inoltre sotto il nome del suo cameriere Giuseppe Belloni: P. N. Chautreau, Viaggio nei tre regni d'Inghilterra, di Scozia, e d'Irlanda... fatto negli anni 1788 e 1789... Traduzione di Giuseppe Belloni, Milano 1819; L'anti-mitologia. Sermone da Giuseppe Belloni... indirizzato a... Vincenzo Monti..., ibid. 1825; Storia del Tartari.. pubblicata in continuazione... del sig. conte di Ségur, ibid. 1825; K. B. Malte, Geografia universale... per cura di Giuseppe Belloni, ibid. 1830; G. Acerbi, Viaggio al Capo-Nord fatto l'anno 1799... per la prima volta pubblicato in Italia da Giuseppe Belloni, ibid. 1832; La scienza insegnata col mezzo de' giuochi..., ibid. 1832.
Furono pubblicate postume: Vita letteraria del cav. G. Compagnoni scritta da lui medesimo. Col ritratto, Milano 1834; Biblioteca di Fozio, patriarca di Costantinopoli..., ibid. 1836; Memorie autobiografiche..., a cura di A. Ottolini, ibid. 1927.
Il C. collaborò inoltre con diversi periodici, tra cui: Giornale enciclopedico; Notizie del mondo; Mercurio d'Italia (questi, ultimi due parzialmente ripubblicati in Giornali veneziani del Settecento, a cura di M. Berengo, Milano 1962, ad indicem); Monitore cisalpino (una silloge di articoli ripubblicati in L. Rava, G. C. e il suo "Monitore Cisalpino", in Rassegna storica del Risorgimento, XIV[1927], pp. 433-487); Il NuovoRicoglitore.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Inquisitori di Stato, b. 1252/1391; C. Zaghi, Gli atti del terzo Congresso cispadano di Modena (21 gennaio-1° marzo 1797). Modena 1935, ad Indicem; Assemblee della Repubblica cisalpina, a cura di C. Montalcini-A. Alberti, I-II, Bologna 1917, ad Indices; III-IV, ibid. 1919, ad Indices;V-VI, ibid. 1927, ad Indices; Assemblee della Repubblica cisalpina, a cura di A. Alberti-R. Cessi-L. Marcucci, VII, Bologna 1935, ad Indicem; I Comizi naz. in Lione, a cura di U. Da Como, I, Bologna 1934, ad Indicem (in part., a pp. 667-700 sono riportate le Consideraz. sulle relazioni politico-diplom. della Repubblica italiana, indirizzate al Melzi il 21 apr. 1802); II, ibid. 1935, ad Indicem; III, ibid. 1938, ad Indicem;E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri..., II, Venezia 1835, pp. 181-189, 503; D. Diamilla Müller, Biografie autogr. ed ined. di illustri ital. di questo secolo, Torino 1853, pp. 109-114; C. Cantù, V. Monti e l'età chefu sua, Milano 1879, pp. 114, 298; T. Casini, I deputati al Congresso cispadano, in Riv. stor. del Risorg. ital., II (1897), pp. 164 s.; A. Morelli, L'insegnamento del diritto costituzionale a Ferrara al tempo della Repubblica cisalpina, Venezia 1935, pp. 668 s., 671 s., 675, 679 s., 682 s., 687 s.; N. Ferorelli, La vera origine del tricolore ital., in Rass. stor. del Risorgimento, XI (1925), pp. 657, 679; L. Rava, G. C. di Lugo inventore del Tricolore, Roma 1926; C. Zaghi, G. C. deputato al Congresso cispadano e al generale Bonaparte, in Nuovi Problemi, IV (1933), pp. 443-488; L. Rava, La Romagna nel 1798, Modena 1933, p. XLIII; F. Luzzatto, Precursori della scuola criminale positiva, G. C., Milano 1935; F. Luzzatto, V. Dandolo, G. C. e "Les hommes nouveaux", in Nuova Rivista storica, I (1937), pp. 3950; C. Morandi, G. C. e la "Storia dell'America", in Annali della Regia Scuola normale superiore di Pisa, s. 2, VIII (1939), pp. 252-261; M. Rossi, G. C. autore della bandiera ital., Lugo 1941; G. Natali, Il Settecento, Milano 1947, ad Indicem;G. Procacci, Rivoluzione americana e storiografia italiana, in Rass. stor, del Risorg., XLI (1954), pp. 568 ss.; M. Berengo, La società veneta alla fine del Settecento. Ricerche stor., Firenze 1956, pp. 141, 148, 158, 160, 178 ss., 184, 188, 202, 260, 263, 276, 296; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1956, ad Indicem; C. Ghisalberti, Le costituzioni "giacobine" (1796-1799), Milano 1957, pp. 106-112; A. Pace, B. Franklin and Italy, Philadelphia 1958, pp. 171 ss., 237, 294; Id., Venezia e il noviziato politico del Foscolo, in Lettere italiane, XVIII (1966), pp. 25-27; Id., Leopardi e C., in Critica e storia letteraria. Studi offerti a Mario Fubini, I, Padova 1970, pp. 673-699; A. Saitta, Spunti per uno studio degli atteggiamenti politici e dei gruppi sociali nell'Italia giacobina e napoleonica, in Annuario dell'Ist. stor. ital. per l'età moderna e contemporanea, XXIII-XXIV(1971-72), p. 283; I. Mercu, G. C. primo costituzionalista d'Europa, Ferrara 1972; Reggio e i territori estensi dall'antico regime all'età napoleonica, a cura di M. Berengo - S. Romagnoli, II, Modena 1980, pp. 394 s., 547, 552, 596; M. Berengo, Intellettuali elibrai nella Milano della Restaurazione, Torino 1980, pp. 4, 7, 27, 147, 151, 159 ss., 242 s., 333, 346, 364 s.; Enc. Ital., X, p. 1000; Diz. biogr. degli Ital., VIII, p. 519; XIII, pp. 324 s.