CURCI, Giuseppe
Nacque a Barletta (Bari) il 15 giugno 1808 da Angelo e da Irene Cortese.
Ricevette i primi insegnamenti musicali dallo zio Leonardo che gli insegnò anche la chitarra francese, uno strumento allora assai in voga. Il padre, notaio, avrebbe preferito per il figlio una carriera più sicura e tranquilla, ma la decisa e spiccata disposizione musicale del ragazzo, che già a dodici anni eseguiva con abilità musiche di M. Giuliani e di F. Carulli alla chitarra e di I. Pleyel al cembalo, lo convinse ad assecondare la sua inclinazione. Nel 1823 il C. faceva il suo ingresso nel conservatorio S. Pietro a Majella di Napoli, ove studiò partimenti e armonia con G. Furno, composizione con N. Zingarelli e canto con G. Crescentini. Nel 1835, con il consenso e la direzione dello stesso Zingarelli, il C. ebbe la possibilità di studiare con P. Raimondi, giunto allora al collegio in qualità di maestro, e poté, così, attraverso il celebre compositore, accostarsi alla scuola di L. Leo.
Dedicatosi presto alla composizione, una sua prima Messa a quattro voci ed orchestra fu eseguita durante le feste pasquali del 1829, ma il lavoro gli procurò rimproveri da parte del suo maestro, il quale, presente alla esecuzione, non gradì l'introduzione di un pezzo in tempo di valzer sulle parole del Domine Deus. Infatti, le successive opere di carattere sacro portano il segno di un maggiore controllo e austerità. Nel 1832 il C. aveva già composto una Messa solenne, un Dixit Dominus a quattro voci e orchestra, un Tantum ergo a tre voci e orchestra, una pastorale per voce di basso., un coro per la festività di S. Giovanni e tre sinfonie. Tali composizioni, eseguite tutte in varie chiese di Napoli, si alternavano, a volte anche gareggiando, a musiche di V. Bellini e di F. Ricci.
L'esordio come operista avvenne durante il carnevale del 1832 con un'operetta intitolata Un'ora di prigione su testo di. M. Paturzio, realizzata per il teatro del conservatorio su incarico dello stesso Zingarelli, che seguiva con particolare interesse i progressi del giovane compositore. Il successo fu tale che il Turchiarola, allora impresario del teatro del conservatorio, lo invitò a musicare l'opera comica su libretto di G. Ceccherini Il ciabattino medico e la morte, felicemente rappresentata nel settembre del 1833 al teatro Nuovo di Napoli (autunno 1832 secondo il Manferrari). I consensi che le opere del C. riscuotevano richiamarono l'attenzione e l'interesse del celebre impresario D. Barbaja, il quale gli commissionò le musiche per una commedia di A. Passero Il sarto e i tabarri, poi rappresentata a Napoli al teatro del Fondo nel carnevale del 1834. Il Florimo (La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatori, III, p. 337) riferisce che il Barbaja, soddisfatto della felice realizzazione, commissionò al C. un lavoro dal titolo Ruggero, un dramma in 3 atti su testo di C. Dalbono, che fu rappresentato il 12 genn. 1835 al S. Carlo di Napoli, in occasione del gala di Capodanno, da una compagnia di eccezionale maestria artistica e per un pubblico particolarmente attento.
Nel 1831, mentre ancora frequentava il conservatorio, il C. compose un'altra opera comica, Un matrimonio conchiuso dalle bugie su testo del Passero. L'opera, rappresentata a Napoli nel teatro del collegio di musica e a Milano, suscitò un tale entusiasmo tra il pubblico che la stessa regina madre Maria Isabella, incuriosita, volle assistere a una esecuzione, al termine della quale concesse al C. la permanenza gratuita presso il conservatorio per altri tre anni. In queste circostanze si veniva delineando la personalità artistica del C. e la sua preferenza per il melodramma giocoso, un genere che aveva trovato a Napoli terreno assai fertile e che presto si sarebbe diffuso in Italia e in tutto il mondo.
Completati i suoi studi a Napoli, il C. si trasferì a Milano, allora centro di grande fermento musicale, nel quale convenivano, oltre che uomini di cultura, compositori, direttori d'orchestra e impresari. G. Donizetti accolse affettuosamente il giovane compositore pugliese, di cui aveva apprezzato lo stile compositivo e la sua spontanea vena melodica e lo chiamò a far parte della commissione che doveva giudicare la sonorità del teatro La Fenice di Venezia. Il cordiale sodalizio fu, però, di breve durata perché il C., deluso per un improvviso raffreddamento nei suoi confronti del grande compositore, lasciò Milano per Torino, dove la calorosa accoglienza ricevuta da parte di alcuni napoletani, colà emigrati per motivi politici, lo confortò incoraggiandolo a scrivere un'altra opera intitolata Il proscritto su testo di P. Saladino, rappresentata al torinese teatro D'Angennes alla fine del 1835; l'opera, influenzata dall'atmosfera romantica e patriottica, riscosse largo successo, e fu poi replicata nell'autunno dello stesso anno al teatro di Città di Como.
Da Torino il C. passò a Venezia, dove compose alcune opere semiserie, tra cui Don Desiderio, su libretto di P. Fontana, per l'inaugurazione del teatro Apollo avvenuta nel 1837; compose poi L'uragano, pezzo per due pianoforti e orchestra, per incarico dell'Istituto musicale privato che il veronese G. Camploj aveva fondato a Venezia nel 1830; seguirono i lavori teatrali Don Pancrazio, La chasse, Le Mont Blanc, di cui non si conoscono né gli autori dei libretti né il luogo di rappresentazione. Tornato nel 1840 a Milano, il C. compose alcune romanze per il celebre violinista A. Rolla; passo poi a Vienna, prima tappa di un lungo viaggio attraverso varie città europee, dove il successo dell'opera fu definitivamente consacrato. A Vienna, infatti, il C. destò le simpatie e l'interesse degli esponenti più in vista della società e della cultura tra cui Giulietta Guicciardi, da un anno vedova del conte W. v. Gallenberg, celebre compositore di musica per balletti, la quale gli offrì la sua protezione e lo volle quale suo maestro di canto.
Dalla sua permanenza a Vienna il C. trasse benefici anche più vantaggiosi in quanto l'editore musicale P. Micheletti gli affidò l'incarico di comporre quattro romanze da camera che il musicista dedicò alla contessa di Stolberg nata Gallenberg, e che furono cantate a corte dalla celebre cantante Marietta Brambilla. In seguito, dal Micheletti gli furono commissionati altri sedici pezzi di musica da camera tra i quali Le quattro stagioni, ilcui successo fece del C. un personaggio alla moda. In campo teatrale egli si cimentò con Idue mariti, che sembra essere stata l'unica sua opera rappresentata a Vienna, composta su incarico della principessa Dietrichstein nata Šuvalova. A conferma della stima che la società viennese aveva per il C., questi ricevette la nomina di direttore di canto del teatro Imperiale di musica italiana, vacante in seguito alla scorriparsa di G. Ciccimarra e poi quella della cappella imperiale che il C., rinunciando al prestigio che gli sarebbe derivato da una carica cui aveva aspirato perfino Franz Schubert, rifiutò per non diventare suddito austriaco.
A Vienna rimase sei anni complessivamente, dal 1840 al 1846; durante questo periodo, sposò la francese Emma LebrunRobert. Quindi egli andò a Pest, dove si fermò due anni impartendo lezioni di canto a esponenti della migliore aristocrazia locale. Durante la permanenza nella capitale ungherese continuò a comporre musica da camera e didattica tra cui il Petit solfège, un'opera diffusa anche in Francia e in Inghilterra, edita a Pest tra il 1846 e il 1848 e poi ristampata in Francia e in Inghilterra. Viaggiò ancora attraverso la Germania, il Belgio e la Francia. Qui giunse nel 1848, pochi giorni prima della caduta di Luigi Filippo e della proclamazione della repubblica. Di sentimenti liberali il C. esaltò il movimento rivoluzionario, componendo in breve. tempo L'inno di guerra, eseguito al jardin dhiver di Parigi. Nello stesso anno concorse al premio nazionale con un coro senza accompagnamento che A.-Ch. Adam, membro della commissione, giudicò tra le sole tre opere degne di essere premiate. In seguito fu nominato membro della Società di soccorso musicale di Parigi. Durante gli anni di permanenza nella capitale francese compose l'opera Il baccelliere d'Oviedo, su testo di G. Bigore, non rappresentata per motivi politici, e una sinfonia; inoltre a Parigi, tra il 1848 e il 1856, avviò una pubblicazione mensile di musica vocale e strumentale dal titolo Antologia musicale.
Da Parigi il C. si recò a Manchester, dove gli era stata affidata la direzione delle classi musicali vocali, e qui compose Il bel canto, un'opera nata da esigenze didattiche, comprendente una raccolta di solfeggi, dedicata a S. Mercadante e pubblicata dall'editore Westfel a Londra nel 1856. Per le stesse classi il C. preparò un arrangiamento dal titolo Schubert harmonisé, comprendente musiche di Schubert, tra cui l'Ave Maria, l'Erlkonig e il Wanderer, armonizzate a tre voci, con grande effetto e senza alterazione dell'accompagnamento pianistico.
Lontano dalla sua patria il C. aveva ottenuto grande successo, ma la nostalgia e il richiamo del padre ottuagenario lo riportarono nella sua città, tra la sua gente, che gli riservò una trionfale accoglienza. S. Mandarini, intendente della provincia, gli affidò la direzione del teatro Piccinni di Bari, gli commissionò un inno in onore di Ferdinando II in visita a Bari nel 1858 e una cantata scenica per l'onomastico del sovrano.
Il giovane poeta F. Rubino, chiamato a collaborare con il musicista per il testo letterario, propose L'Alfonso d'Aragona in Napoli, ma il libretto, per le evidenti allusioni politiche, non fu approvato dal governo di Napoli che, pertanto, ne vietò l'esecuzione.
Dopo la sosta di un anno a Bari, il C. fece ritorno a Barletta, ma qui il successo e gli onori durarono poco: improvvisamente, trascurato da tutti, si ridusse quasi in miseria. L'amministrazione cittadina cercò di aiutarlo nominandolo professore di lingua francese nella scuola tecnica di Barletta. Ma gli eventi si accanirono contro di lui: diventato sordo, il C. dovette rinunciare all'insegnamento e accontentarsi di una misera pensione; nello stesso periodo perse la moglie e tre dei quattro figli. Profondamente prostrato, dedicò gli ultimi anni della sua vita alla composizione di musica sacra, nella quale profuseil meglio della sua sofferta ispirazione. Tra le sue ultime opere, conservate presso la Biblioteca Loffredo di Barletta, si annoverano messe a tre e a quattro voci, messe funebri, l'Elegia di Ester, mottetti, il Christus e Miserere per tre voci e orchestra, commovente canto del venerdì santo e altre comiposizioni sacre. Presso la Sezione d'Archivio di Stato di Barletta sono conservate le opere degli ultimi anni del C.: precisamente: la Messa funebre del 1872, la sinfonia Italia redenta, il Christus e la trascrizione della Rapsodia della grande Messa funebre.
Il C. morì a Barletta il 5 ag. 1877, assistito da pochi amici. Solo in seguito la città gli tributò solenni riconoscimenti, dedicandogli il teatro cittadino.
Bibl.: G. Petroni, Della storia di Bari dagli antichi tempi fino all'anno 1856, II, Napoli 1858, p. 327; F. Florimo, La scuola musicale di Napoli e i suoi conservatori, III, Napoli 1881, pp. 335-343; M. Cassandro, Un musicista barlettano dell'Ottocento, G. C., in Japigia, VII (1936), pp. 330-337; U. Manferrari, Diz. delle opere melodrammatiche, I, Firenze 1954, p. 283; P. Sorrenti, I musicisti di Puglia, Bari 1966, pp. 63 ss.; Storia dell'opera, III, Torino 1977, p. 339; A. Cassandro-A. Sernia, G. C. musicista barlettano, in Arch. stor. pugliese, XXXI (1978), 1-4, pp. 233-263; C. Schmidl, Diz. univ. dei musicisti, I, p. 395; Enc. dello Spett., III, coll. 1805 s.; Diz. musicale Larousse, I, Milano 1961, p. 466; Diz. Ricordi della musica e dei musicisti, p. 357; La Musica, Diz., I, p. 467.