GADDA, Giuseppe
Nato a Milano il 9 genn. 1822 da Francesco, titolare di un avviato studio legale, e da Paola Ripamonti, seguì i corsi di legge a Pavia, dove si laureò nel 1846. La famiglia lo premiò con un viaggio che, iniziato nell'agosto 1847, durò tre mesi e lo portò fino a Palermo dopo una lunga sosta a Roma; qui fu anche ricevuto in udienza da Pio IX, di cui non ebbe una buona impressione. Su tale giudizio pesava però il fatto che il G. si era accostato al mazzinianesimo e ne aveva abbracciato l'ideale repubblicano perché - si giustificherà mezzo secolo dopo - rappresentava la sola via sicura all'unità nazionale. Ritornato a Milano, s'impegnò nei preparativi dell'insurrezione e il 17 marzo 1848 fu tra i più risoluti nel suggerire di recarsi armati alla manifestazione che avrebbe aperto le cinque giornate.
Dopo essersi battuto sulle barricate, il G. continuò a collaborare con gli unitari firmando un appello (14 apr. 1848), in cui si chiedeva al governo provvisorio di sollecitare le autorità pontificie a sostenere lo sforzo dei volontari. Questo e altri atti successivi (la firma dello statuto dell'Associazione nazionale come segretario della sezione lombarda) confermarono che egli era rimasto vicino ai repubblicani anche dopo il voto di fusione col Piemonte. A conclusione dell'esperienza rivoluzionaria vennero, e furono le sue prime prove di organizzatore, la missione, affidatagli dal Comitato di difesa nazionale, di indire la leva di massa in Valtellina e il compito di assecondare quel moto di Val d'Intelvi dal quale il Mazzini si riprometteva il rilancio della guerra di popolo (ottobre 1848). In caso di riuscita il G., riparato nel frattempo a Lugano, sarebbe stato nominato commissario a Sondrio: dovette invece limitarsi a collegare la direzione strategica del moto con i capi delle bande che avrebbero dovuto sostenere uno sforzo insurrezionale rivelatosi subito incapace di decollare.
Dopo il ritorno degli Austriaci e la morte del padre (febbraio 1849), che gli aveva lasciato il suo studio legale, il G. smise la militanza politica per dedicarsi alla professione. Quelli che precedettero il 1859 furono perciò anni di duro ma anche proficuo lavoro che, per citare il suo foglio matricolare di futuro prefetto, lo imposero come "uno degli avvocati di maggior credito e di maggior fortuna a Milano" e gli garantirono anche una certa notorietà come oppositore silenzioso dell'Austria.
Il ritorno alla vita pubblica avvenne solo con le prime vittorie franco-piemontesi: infatti, il 5 giugno 1859, all'indomani di Magenta, il Comune, timoroso degli effetti di un eventuale vuoto di potere, lo mise alla testa di una commissione per la difesa delle proprietà municipali. Valendosi di una forza raccogliticcia di militi della guardia nazionale e di pompieri il G. disbrigò bene il suo incarico, assicurando l'ordine pubblico, l'assistenza ai feriti e l'acquartieramento delle truppe.
La popolarità così acquistata gli valse l'elezione alla Camera il 25 marzo 1860 (VII legislatura) nel collegio di Saronno, e successivamente il 3 febbr. 1861 (VIII legislatura) nel collegio di Erba.
In aula intervenne prevalentemente sulle questioni finanziarie (abolizione dei vincoli feudali e istituzione del Gran Libro del debito pubblico) e su quelle relative alla giustizia (riordinamento giudiziario e applicazione del codice penale alla Lombardia, un disegno di legge di cui fu relatore). La sua posizione, delineatasi nell'ultimo decennio attraverso passaggi che non conosciamo, era quella tipica del moderatismo lombardo facente capo al giornale La Perseveranza: massima fedeltà alla monarchia, senso vivo della propria appartenenza di classe, rifiuto della facile popolarità, ma anche attaccamento all'identità regionale e dunque avversione per l'accentramento e l'ispirazione giacobineggiante di parte del ceto politico piemontese, specie di quello raccolto intorno alla Sinistra costituzionale.
Tuttavia fu proprio U. Rattazzi ad avviare il G., con la nomina a prefetto di Lucca (r.d. 22 giugno 1862), alla carriera in cui avrebbe dato il meglio di sé attingendo alle doti già palesate a Milano nel 1859 e altre maturandone nel non sempre facile rapporto col potere: tra queste l'equilibrio, lo spirito di servizio, la prudenza non disgiunta dalla fermezza. A Lucca e poi a Foggia, dove era stato inviato il 20 ag. 1864, la popolazione apprezzò molto la sua azione a sostegno delle energie locali, così come più tardi deprecò la sua destinazione ad altra sede. Il 29 nov. 1865 il G. fu destinato a reggere la prefettura di Perugia.
Dopo la Convenzione di settembre l'Umbria era diventata una zona chiave per il controllo del confine pontificio e uno dei punti di raccolta dell'emigrazione romana di ispirazione garibaldina. Anche il G. vedeva nella liberazione di Roma il culmine del processo di unificazione, ma da uomo di destra giudicava prioritario il mantenimento dell'amicizia con la Francia e riteneva che la questione romana dovesse essere risolta con un lento lavorio diplomatico, tanto che lo stesso slancio riformatore di B. Ricasoli gli pareva un'ingerenza inopportuna nella vita della Chiesa. Come ricorderà il G., il governo "a tutto il settembre 1867 si oppose con vigore risoluto all'azione di Garibaldi" (Ricordi, p. 249) e ne decise l'arresto che, eseguito dal G. stesso il 24 settembre, bloccò il primo tentativo d'invasione dello Stato pontificio. Poi però le incertezze e le ambiguità del Rattazzi e del re lo posero in grave difficoltà: alla fine, vittima lui per primo dell'illusione di poter sfruttare l'iniziativa garibaldina, il G. tollerò la formazione delle bande dei volontari e le rifornì anche di armi (il Guerzoni parla di 800 fucili, ma la copia di una lettera del G. a F. Crispi porta la cifra a 8000), consentendo inoltre a Garibaldi di prenderne il comando. Chiusasi la crisi con l'arrivo dei Francesi e la sconfitta di Mentana, il G. fu convocato a Firenze dal titolare degli Interni del nuovo ministero Menabrea: ma già da tre settimane aveva chiesto un'aspettativa per motivi di salute e così gli riuscì di evitare il trasferimento in Sicilia.
Il G. riemerse presto e, rientrato in servizio il 14 maggio 1868 con destinazione Padova, un anno dopo (18 maggio 1869) fu chiamato a svolgere le funzioni di segretario generale degli Interni fino al 31 ott. 1869. Intanto era stato nominato senatore (14 ag. 1869): il 14 dicembre dello stesso anno venne infine l'incarico di ministro dei Lavori pubblici nel governo Lanza-Sella.
Pur in un periodo di ristrettezza di bilancio il G. fu molto attivo nel promuovere opere nel settore delle costruzioni ferroviarie e portuali, occupandosi anche del riordinamento del personale delle Poste. Nelle discussioni che nell'estate del 1870 divisero il governo, prima sul problema di una eventuale alleanza con la Francia, poi sulle modalità e sui tempi dell'attacco finale al potere temporale, il G. si allineò alle posizioni di prudenza sostenute da E. Visconti Venosta e ne condivise le cautele, insistendo in particolare perché si procrastinasse al massimo l'occupazione di Roma nella speranza di indurre il papa a un accordo. Alla fine, posti di fronte al pericolo di una iniziativa della Sinistra rivoluzionaria, sia lui sia il Visconti Venosta si piegarono, ma in entrambi rimase forte la convinzione che il contrasto con la Chiesa non si dovesse esasperare e che anzi fosse opportuno arrivare a una conciliazione. A fine anno, il G. insistette con Vittorio Emanuele II perché compisse il suo primo viaggio a Roma e lo accompagnò in una visita che il recente straripamento del Tevere caricò di significati umanitari.
Poco dopo il G. ebbe la nomina (25 genn. 1871) ad alto commissario regio straordinario per la città e provincia. Certo si era tenuto conto della sua esperienza di prefetto dal momento che l'incarico, impegnandolo a rendere esecutiva entro sei mesi la legge del 26 genn. 1871 sul trasferimento della capitale, cumulava nella sua persona l'autorità politica e quella amministrativa (ciò non piacque alla Sinistra che vide pure nel commissariato un espediente per ritardare l'assimilazione della città al Regno). Imperturbabile di fronte alle polemiche dell'opposizione, il G. si lanciò a corpo morto in un lavoro che gli adempimenti da compiere (ricerca degli edifici per le sedi istituzionali e per l'esercito), la scadenza ravvicinata, la solitudine in cui operava, le pressioni delle varie burocrazie e l'intransigenza della Curia in fatto di sequestro dei locali da adibire a uffici pubblici resero presto massacrante. Ma in capo a sei mesi a tutte le principali istituzioni dello Stato venne assegnata la sede "sia pure dopo frettolosi e un po' approssimativi lavori di costruzione e restauro edilizio" (Storia d'Italia. Le regioni…, p. 574), che il G. elencava puntualmente nella sua Relazione sui lavori di trasferimento presentata al governo (Roma 1871).
Per completare l'opera ma forse anche perché disaffezionato da un governo in cui aveva troppo spicco la figura di Q. Sella (verso il quale col tempo altri motivi di freddezza sarebbero scaturiti dall'essersi egli attribuito gran parte del merito dell'andata a Roma), il 31 ag. 1871 il G. lasciò il posto di ministro per accettare quello di primo prefetto di Roma, conservando l'incarico di r. commissario "pel trasferimento della capitale". Durò in carica fino al 30 marzo 1876 quando, salita la Sinistra al potere, chiese e ottenne l'aspettativa per motivi di salute ritenendosi incompatibile coi principî del nuovo ceto di governo. Del lavoro svolto con la consueta lucidità (ma senza poter frenare la già forte febbre della speculazione edilizia) diede conto in una Relazione pel primo quinquennio amministrativo della provincia di Roma (ibid. 1876), mentre il Municipio romano, riconoscendogli la cittadinanza onoraria, passava sopra l'ingerenza da lui compiuta prima delle elezioni politiche del 1874, quando aveva iscritto "d'ufficio nelle liste elettorali 1461 impiegati, senza curarsi di farli cancellare dalle liste dei rispettivi collegi" (Cilibrizzi, p. 77).
Nell'uscire di scena lo crucciava l'idea che la Destra si fosse dimenticata di lui. Ma la sua inattività durò comunque poco perché, il 29 luglio 1878, con B. Cairoli alla testa del governo e G. Zanardelli agli Interni, il G. si vedeva assegnare la prefettura di Verona che resse fino al 12 giugno 1884 allorché, dopo essersi distinto per l'organizzazione dei soccorsi dopo una rovinosa inondazione dell'Adige, fu destinato a Firenze. La sua carriera prefettizia si chiuse col collocamento a riposo su sua domanda (r.d. 17 marzo 1889).
Era divenuto un perfetto conoscitore della macchina statale: lo si era già visto in certi sprazzi della sua attività pubblicistica, come gli articoli scritti per la Nuova Antologia su La burocrazia in Italia (ottobre 1866) e su La bonifica dell'Agro romano (novembre 1876); se ne ebbe la conferma nella sua partecipazione ai lavori del Senato, specialmente in tema di sviluppo delle ferrovie, bonifiche, grandi opere di idraulica. La ferrovia del Gottardo e il traforo del Sempione, fondamentali per la crescita economica della Lombardia, ebbero in lui un sostenitore tenacissimo; ma anche le questioni finanziarie, di bilancio, tributarie (nel dicembre 1896 fu nominato commissario della Cassa depositi e prestiti e poi membro della commissione per l'esame dei disegni di legge sui trattati di commercio e le tariffe doganali) così come la legislazione sui dipendenti pubblici si giovarono del suo contributo alla discussione.
In opposizione al governo Crispi, nel 1895 il G. votò contro la celebrazione del venticinquennale della presa di Roma e gli interventi di bonifica nell'Agro romano. In verità molte cose, dai rapporti Stato-Chiesa alla mai dismessa avversione per il centralismo, separavano il G. dal Crispi; eppure il 13 ag. 1900, dunque a pochi giorni dall'uccisione di Umberto I, inviandogli il proprio volume di Ricordi e impressioni della nostra storia politica nel 1866-67, apparso l'anno prima nella "Biblioteca storica" della Roux e Frassati di Torino, egli osservava, a proposito di un recente articolo dello statista siciliano, "è un energico e opportuno programma di governo" (Arch. centr. dello Stato, Carte Crispi, Reggio Emilia, b. 8/15).
Attivissimo anche su altri piani come presidente dell'Associazione costituzionale lombarda (fino al 1900), consigliere d'amministrazione di alcuni istituti di credito e delle Ferrovie mediterranee, a dispetto dell'età avanzata il G. continuava a fare la spola tra Roma, la residenza di Milano e la villa di Rogeno in Brianza. Il 25 giugno 1901, appena giunto a Rogeno, venne colpito da un attacco di pleurite, che lo condusse a morte il 2 luglio 1901, assistito dalla moglie Luisa Belloni e dai familiari, tra i quali il fratello Francesco Ippolito, padre del futuro scrittore Carlo Emilio Gadda.
Fonti e Bibl.: A parte i necrologi (i più informati nel Corriere della sera e nella Perseveranza del 3 luglio 1901, e nell'Illustrazione italiana del 7 luglio 1901, p. 10), la commemorazione di P. Baragiola, Inaugurazione di un busto a G. G., Milano 1902, e le voci in T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Roma 1896, e in Diz. del Risorgimento nazionale, III, la sola biografia del G. è quella di A. Moscati, I ministri del Regno d'Italia, III, s.l. 1960, pp. 237-246. Lettere del G. sono nel Museo centr. del Risorgimento di Roma (interessanti quelle a G. Checchetelli, b. 127/24-31; a C. Perazzi, b. 902/66; a D. Farini, bb. 381/2 e 481/4; a un amico, forse F. Crispi, b. 660/2); di grande importanza è la corrispondenza (1862-1901) con E. Visconti Venosta e altri uomini politici presso la Fondazione Cavour di Santena (cfr. Inventario dell'Archivio Visconti Venosta, a cura di M. Avetta - G. Silengo, Santena 1970, ad indicem); di un certo interesse è il fascicolo personale in Roma, Arch. centr. dello Stato, Min. Interni, Prefetti, n. 75432 che documenta la carriera prefettizia con l'eccezione del periodo romano, su cui vedi Gli archivi del IV corpo d'esercito e di Roma capitale, a cura di R. Guêze - A. Papa, Roma 1970. Tra le fonti edite sono da vedere soprattutto M. Castelli, Carteggio politico, a cura di L. Chiala, Torino 1891, ad indicem; S. Castagnola, Da Firenze a Roma…, Torino 1896, pp. 6, 17, 26, 30, 86, 90, 105, 110, 125, 158 s., 191, 193, 197, 201; Le carte di G. Lanza, Torino 1935-40, II, pp. 343 s., 470; VI, pp. 377 ss., 383 s., 386-390, 392 s., 396, 403, 405, 407, 410, 413, 415 s.; D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, Roma 1961, ad indicem; G. Manfroni, Sulla soglia del Vaticano, Roma 1971, ad indicem; M. Minghetti, Copialettere 1873-76, a cura di M.P. Cuccoli, Roma 1978, ad indicem; M. Cassetti, Le carte di A. Ferrero della Marmora, Torino 1979, ad indicem; Q. Sella, Epistolario, a cura di G. Quazza - M. Quazza, Roma 1984-91, II-III, ad indices. L'attività parlamentare si ricostruisce sugli Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, VIII legislatura, ad indicem; Senato, Discussioni, X-XXI legislatura, ad indices. I dati sulla carriera si ricavano da M. Missori, Governi, alte cariche dello Stato e prefetti del Regno d'Italia, Roma 1978, ad indicem; sulla parentela con Carlo E. Gadda cfr. G. Cattaneo, Il gran lombardo, Milano 1973, pp. 94 s. Scarsissimo l'interesse della storiografia per il G., di cui si è messo a fuoco quasi esclusivamente la partecipazione al governo Lanza-Sella e il successivo commissariato a Roma, in particolare da R. De Cesare, Roma e lo Stato del papa, II, Roma 1907, pp. 226, 310, 312, 317, 322 s., 336 s., 442; S. Cilibrizzi, Storia parlam., politica e diplom. d'Italia, Napoli 1939, I-II, ad indicem; F. Chabod, Storia della politica estera italiana. Le premesse, Bari 1951, ad indicem; A. Berselli, La Destra storica dopo l'Unità, Bologna 1963, ad indicem; E. Ragionieri, Politica e amministrazione dopo l'Unità, Bari 1967, ad indicem; C. Pavone, prefaz. a Gli archivi del IV corpo d'esercito…, cit., pp. XIV-XVII; M.T. Russo, Gli italiani a Roma e il trasporto della capitale, in Strenna dei romanisti, XXXI (1970), pp. 381-386; A. Caracciolo, Roma capitale, Roma 1974, ad indicem; C. Lacché, L'Ottocento ferroviario italiano dopo il Settanta, Roma 1977, pp. 31, 63; F. Bartoccini, Roma nell'Ottocento, Bologna 1985, ad indicem; Storia d'Italia (Einaudi), Le regioni dall'Unità a oggi, Il Lazio, a cura di A. Caracciolo, Torino 1991, ad indicem; C.M Fiorentino, La malattia di Pio IX nella primavera del 1873 e la questione del conclave, in Rass. stor. del Risorg., LXXVIII (1991), pp. 182-185.