Poeta (Roma 1791 - ivi 1863). Fondatore (1813) dell'Accademia Tiberina, per tutta la vita scrisse poesie in italiano, che, considerate sino a oggi come un'esperienza decisamente negativa dell'arte belliana, sono state in questi ultimi anni parzialmente rivalutate da alcuni studiosi per i nessi poetici che le legano alla produzione in dialetto romanesco, di cui costituirebbero in certo modo una felice riserva di temi e di proposte stilistiche. Ma la produzione in romanesco, racchiusa in un felice ventennio (1830-49 circa) e costituita da ben 2279 sonetti, tutti pubblicati postumi, rappresenta il capolavoro belliano e insieme una delle conquiste più alte del linguaggio romantico. Nervoso, iracondo, sempre in cerca d'impieghi che successivamente abbandonava, preoccupato anche soverchiamente di questioni economiche, negli ultimi tempi addirittura misantropo, bigotto, censore teatrale pedante, spaventato dagli eventi del 1848-49, intransigente sostenitore di quel governo pontificio di cui pur aveva nei suoi sonetti così lucidamente scrutato le magagne: il B. uomo sembra essere in singolare contrasto con il poeta. Questi si propose esplicitamente intenti documentarî: e in effetti l'opera di lui può anche servire come importante documento dell'indole e delle condizioni morali, politiche, sociali del popolo di Roma in quegli anni. Ma il suo significato vero non sta qui. Storicamente, insieme con quella di C. Porta, che non fu senza influsso sul B., la sua opera è la più importante tappa italiana del realismo romantico dopo la manzoniana e prima di quella più propriamente veristica del secondo Ottocento; uno sforzo poderoso e coerente di tenere i piedi sulla terra per opporsi ai modi arcadici puramente eleganti senza cadere nelle approssimazioni, nelle nebulosità, nelle gratuite fantasticherie di molti romantici italiani. Poeticamente, è una rappresentazione omogenea, pur articolata in mille figure e scene, di un amore scontroso per una città - monumenti e popolino, memorie e usanze d'ogni giorno - e di una visione triste della società e della vita in genere: l'una e l'altra sempre romanticamente concepite come nemiche effettive o potenziali, da subire con rassegnazione piena di amara pietà per sé stessi o da affrontare nell'inclemente satira con spregiudicatezza demolitrice.