PICA, Giuseppe
PICA, Giuseppe. – Nacque a L’Aquila il 9 settembre 1813 da Giovanni e Niccola Sardi.
La sua famiglia apparteneva al ceto medio meridionale che aveva guadagnato potere economico e protagonismo sociale nel Regno durante il Decennio francese.
Pica fece la trafila dei rampolli della borghesia provinciale: studi giuridici, carriera nelle professioni o nelle istituzioni, interessi e relazioni divisi tra Napoli e le città di provenienza. Si laureò giovanissimo in legge nel 1834 e si dedicò subito all’attività forense. Diventò rapidamente famoso per la sua oratoria, affermandosi fra gli avvocati più importanti della Gran Corte civile e costruendo una vasta clientela nell’area dell’Aquila, senza trascurare i contatti con la capitale. La presenza sui territori, in termini politici e professionali, era fondamentale per questo dinamico settore della società napoletana.
Il suo ambiente era anche quello più politicizzato. Una parte fondamentale dei quadri dello Stato e del regime, come della rivoluzione e del liberalismo, proveniva dalla borghesia delle province. Pica iniziò l’apprendistato del militante liberale semiclandestino, finendo sorvegliato dalla polizia e arrestato, per quasi sette mesi, nel 1845. Tre anni dopo partecipò alla mobilitazione che costrinse Ferdinando II alla concessione della costituzione. Poi, grazie al radicamento nella provincia e alla integrazione nei gruppi dirigenti della capitale, nell’aprile 1848 si candidò con successo come deputato al Parlamento napoletano (fu confermato anche alle seconde elezioni del giugno 1848).
Molto attivo nel dibattito parlamentare, sostenne la formazione della guardia nazionale, un obiettivo storico del movimento liberale, intervendo sulla sua regolamentazione e sulle sue funzioni. Fu tra i presentatori della formula per il giuramento dei deputati, un episodio che mostrò la fragilità dell’accordo tra le forze liberali e quelle legate al regime borbonico. La crisi del 15 maggio, le rivolte in Calabria e Cilento, la decisa reazione del re, misero definitivamente in discussione il compromesso tra la dinastia e il liberalismo meridionale. Pica fu tra i difensori dello schieramento costituzionale fino allo scioglimento del Parlamento, con responsabilità importanti all’interno della strategica commissione che doveva riorganizzare il bilancio. Fu particolarmente attivo nelle questioni giuridiche, a lui più familiari. Si schierò per l’abolizione della pena di morte per i reati politici, la incompatibilità tra ministri e deputati, il voto palese alla Camera. Fu tra i più decisi oratori della maggioranza parlamentare che criticò il governo per la repressione armata dell’insurrezione calabrese e per gli interventi censori sulla stampa.
I suoi interventi testimoniarono la netta linea di frattura che divideva la società napoletana. Nel febbraio del 1849 Pica era con la maggioranza che presentò una dura mozione di censura al governo. L’indirizzo ebbe successo, ma poche settimane dopo il Parlamento fu sciolto dal re. La sua azione rappresentò tanto le convinzioni costituzionali e politiche del liberalismo meridionale, quanto i suoi limiti strategici e l’isolamento nel Regno. Oramai ex deputato, avendo scelto di restare in patria, fu arrestato e nell’ottobre 1852, dopo tre anni nelle carceri, fu giudicato in uno dei grandi processi politici che segnarono la storia del Regno delle Due Sicilie. Fu condannato con Silvio Spaventa, l’anziano giurista Saverio Barbarisi (che morì un mese dopo in carcere) e molti altri. Ebbe la pena di morte, poi commutata nel carcere duro, che scontò nei bagni penali insieme a Carlo Poerio, Luigi Settembrini e molti altri implicati nei fatti del 1848-49. Anche la detenzione per fatti politici era da generazioni un elemento costitutivo della identità dell’opposizione meridionale. Una parte importante del liberalismo, sia moderato sia radicale, cementò in quella esperienza una comunanza che sarebbe stata cruciale nel 1860. Inoltre, la detenzione di esponenti dell’ala moderata, in cui si riconosceva Pica, rese ancora più forti le polemiche delle diplomazie inglese e francese. Alla fine del decennio, proprio per attenuarne il peso, a molti prigionieri fu consentito di scegliere l’esilio a vita. Pica, Poerio, Spaventa, Sigismondo Castromediano e altri accettarono quella proposta. Nel gennaio 1859 i detenuti furono portati a Cadice e imbarcati su una nave statunitense. Il figlio di Settembrini (che si era fatto assumere come cameriere) e i deportati convinsero il comandante a cambiare rotta e a farsi sbarcare nella baia irlandese di Cork. La sconfitta mediatica e politica del regime borbonico fu enorme. Pica era nel gruppo che raggiunse Londra, dove gli ex prigionieri furono accolti con festeggiamenti clamorosi. Nella capitale inglese, tra l’altro, conobbe Anna James, con la quale ebbe un figlio, Vittorio, nato a Napoli il 28 aprile 1862.
Riconosciuto legalmente dal padre nel 1880, Vittorio divenne un raffinato critico d’arte e letterato, legato a scrittori francesi come i fratelli de Gouncourt e protagonista della circolazione della poesia e del romanzo europei a Napoli e in Italia fra Otto e Novevento.
Giuseppe Pica tornò a Napoli al tramonto della breve esperienza della dittatura garibaldina e in vista del plebiscito: la mobilitazione del notabilato liberale, il suo radicamento sociale e territoriale erano decisivi tanto per la sua definitiva affermazione come ceto dirigente, quanto per la legittimazione del nuovo Stato presso settori influenti dell’antico Regno. Pica riprese quindi la sua attività forense, allo stesso tempo organizzò vecchie e nuove reti nel suo Abruzzo. Si candidò con la Destra cavouriana conquistando il suo collegio del 1848, L’Aquila. Poche settimane dopo, fu tra i firmatari della proposta di legge per la proclamazione del Regno d’Italia sotto la sovranità costituzionale di Vittorio Emanuele II.
Nel Parlamento italiano si presentò come un uomo capace di comprendere i problemi generali, politici e sociali delle province meridionali, soprattutto le contraddizioni dell’annessione. L’Abruzzo, tradizionalmente infestato da bande criminali, era stato una delle roccaforti del brigantaggio politico antifrancese nel 1799 e nel Decennio. Solo pochi mesi prima la sua provincia era stata terreno delle incursioni di guerriglieri legittimisti. Pica e i parlamentari abruzzesi si schierarono con decisione contro l’immediata estensione della leva nell’ex Stato napoletano, sostenendo che questa avrebbe moltiplicato le adesioni alla resistenza borbonica e all’endemica presenza delle bande di briganti. Il parlamentare aquilano apparteneva al notabilato che da decenni si misurava con il conflitto civile, la violenza politica e le fratture del vecchio Regno, consapevole che la crisi dello Stato, la guerra e il dopoguerra conseguente avevano esasperato quelle antiche tensioni, moltiplicate dall’azione del governo borbonico in esilio e dalla diffusa resistenza legittimista.
La rivolta filoborbonica dell’estate del 1861 fu sconfitta dalle forze italiane, ma non portò alla fine del brigantaggio, bensì alla moltiplicazione delle bande e dei conflitti locali. Il governo decise la formazione di una commissione parlamentare che raccolse le raccomandazioni di forze di sicurezza e rappresentanti territoriali, con la richiesta di preparare misure speciali. Pica e altri deputati meridionali, come Giuseppe Massari, Giuseppe Pisanelli, Pasquale Mancini e Spaventa, erano gli interpreti degli ambienti provinciali più spaventati da questo fenomeno e maggiormente determinati a contrastarlo. Nell’estate del 1863, mentre si discuteva l’ipotesi di una legge organica, presentò uno stralcio che in poche norme riassumeva le linee fondamentali e fu approvato con una larghissima maggioranza (174 voti contro 33). Nonostante le critiche dell’opposizione di Sinistra, il provvedimento (che aveva originariamente una durata di sei mesi) fu prorogato fino alla fine del 1865 e coincise con la fine del grande brigantaggio.
La legge 1409, o ‘legge Pica’, come fu chiamata da quel momento, cercò di colmare un vuoto normativo, dovuto alla promulgazione dello stato d’assedio, che aveva finito per stabilire una preminenza del potere militare su quello civile, o una confusione tra i due. Innanzitutto si creò una gerarchia chiara nell’azione di repressione, legittimando l’autorità militare, indicando le province in stato d’assedio, assegnando ai tribunali dell’esercito i processi per il brigantaggio in quelle aree, costituendo organismi politici provinciali – le Giunte – per la gestione della controinsurrezione. In secondo luogo, si puntò sulla collaborazione della popolazione, costruendo milizie volontarie speciali, ampliando la protezione dei civili, favorendo il pentitismo, la delazione e la presentazione volontaria dei briganti. In terzo luogo, si attivarono misure straordinarie per colpire la guerriglia (fucilazione, lavori forzati) e soprattutto la rete di favoreggiatori, legalizzando le liste di sospetti, la sorveglianza politica, la deportazione e il domicilio coatto. Infine, a testimonianza di una forte compenetrazione nella realtà meridionale di Pica e degli altri proponenti, per la prima volta si fece anche esplicito riferimento alla camorra.
La legge produsse un meccanismo di emergenza che tenne insieme le richieste dei comandi militari, ma anche quelle di buona parte degli ambienti politici del Mezzogiorno. Fu anche oggetto di dure critiche di settori della Sinistra, della stampa e anche di originari sostenitori come l’ex guardasigilli Raffaele Conforti, che denunciarono, soprattutto in occasione delle proroghe, i molti abusi e arbitri a cui diede adito. In ogni caso, fu un passaggio decisivo per la vittoria del nascente Stato italiano sulla resistenza borbonica e sul brigantaggio meridionale.
Alla fine della legislatura Pica decise di lasciare l’impegno politico militante. Tornò all’attività di avvocato, dove registrò continui successi. Diventò docente di diritto criminale all’Università di Modena ed entrò nella Consulta di Stato, fu poi nella commissione che dal 1877 lavorò al primo libro del codice penale. Nel 1873 era stato nominato senatore da re Vittorio Emanuele II, entrando nel gruppo dei meridionali che nella camera alta simboleggiavano la definitiva integrazione delle élites liberali napoletane nel nuovo Stato.
Morì a Napoli il 31 dicembre 1887.
Scritti e discorsi. Osservazioni dell’avvocato G. P. su la interpretazione ed applicazione della prammatica 3. De praescriptionibus, s.n.t.; Pensieri sulla legge elettorale provvisoria promessa con l’art. 62 della constituzione napolitana de’ 10 febbraro 1848, s.l. 1848; Discorso contro l’abolizione della pena di morte, Roma 1875.
Fonti e Bibl.: Dettagli biografici sono contenuti nella raccolta di scritti commemorativi curata da Luigi Landolfi In morte
di G. P. senatore del Regno, Napoli 1888. Inoltre: G. Massari, Lettere politiche sui casi di Napoli dal 29 gennaio 1848 in poi, Torino 1859; R. De Cesare, La fine di un Regno, I-III, Città di Castello 1909, ad ind.; M. Mazziotti, La reazione borbonica nel regno di Napoli (episodi dal 1849 al 1860), Roma 1912, ad ind.; C. Cesari, Il brigantaggio e l’opera dell’esercito italiano dal 1860 al 1870, Roma 1920, ad ind.; G. Paladino, Il 15 maggio del 1848 in Napoli, Napoli 1920, ad ind.; Id., Il processo della setta per l’Unità italiana e la reazione borbonica dopo il 1848, Firenze 1927, ad ind.; A. Monaco, I galeotti politici napoletani dopo il 1848, I-II, Roma 1932, ad ind.; Il 1848 nell’Italia meridionale, studi storici pubblicati dalla Società napoletana di storia patria, Napoli 1950, ad ind.; M. D’Addio, Politica e magistratura (1848-1876), Milano 1966, ad ind.; F. Molfese, Storia del brigantaggio dopo l’Unità, Milano 1966, ad ind.; R. Martucci, Emergenza e tutela dell’ordine pubblico nell’Italia liberale, Bologna 1980, ad ind.; Il Parlamento napoletano del 1848-1849. Storia dell’istituto e inventario dell’archivio, a cura di C. Lodolini Tupputi, Roma 1992, ad ind.; A. Capone, Destra e sinistra da Cavour a Crispi, Torino 1995, ad ind.; N. D’Antuono, Vittorio Pica. Un visionario tra Napoli e l’Europa, Roma 2002; S. Lupo, Il grande brigantaggio. Interpretazione e memoria di una guerra civile, in Storia d’Italia, Annali 18, Guerra e Pace, a cura di W. Barberis, Torino 2002, pp. 465-502; V. Pica, ‘Votre fidèle ami de Naples’. Lettere a Edmond de Goncourt 1881-1896, a cura di N. Ruggiero, Napoli 2004; G. Galasso, Storia del Regno di Napoli, V, Il Mezzogiorno borbonico e risorgimentale (1815-1860), Torino 2006, ad ind.; J.A. Davis, Le guerre del brigantaggio, in Fare l’Italia: unità e disunità nel Risorgimento, a cura di M. Isnenghi - E. Cecchinato, Torino 2008, pp. 738-752; S. Lupo, L’unificazione italiana. Mezzogiorno, rivoluzione, guerra civile, Roma 2011, pp. 129-135; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia. camera.it/deputato/giuseppe-pica-18130909#nav (4 giugno 2015); Archivio storico del Senato, Banca dati multimediale I senatori d’Italia, II, Senatori dell’Italia liberale, sub voce, http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/P_Regno?OpenPage (4 giugno 2015).