PITRE, Giuseppe
PITRÈ, Giuseppe. – Nacque il 22 dicembre 1841 a Palermo, nel quartiere portuale di Borgo, da Salvatore e da Maria Stabile. Il padre, marinaio, morì prematuramente di febbre gialla durante un viaggio in America. La madre, pur in ristrettezze economiche, riuscì a fargli frequentare gli studi classici presso un istituto gesuita e successivamente la facoltà di medicina.
Tra il 1860 e il 1861 Pitrè partecipò all’impresa garibaldina, arruolandosi volontario nella marina. Nel 1865 si laureò e, dopo una breve parentesi di insegnamento, iniziò a praticare la professione medica, che esercitò per tutta la vita e che contribuì a tenerlo in costante contatto con i ceti popolari. Parallelamente, Pitrè coltivò le sue passioni letterarie e diede avvio all’opera di ‘raccolta’ delle tradizioni folkloriche che lo avrebbe reso celebre. Già da studente pubblicò lavori sui proverbi e sul lessico marinaresco, oltre a un volumetto letterario di Profili biografici di contemporanei italiani (Palermo 1864; aggiornato nel 1868 con un Nuovi profili). Dalla fine degli anni Sessanta si dedicò in modo completo e sistematico al folklore, non limitandosi al lavoro di raccolta locale, ma studiando a fondo i principali indirizzi di ricerca europei ed entrando in corrispondenza con molti dei più importanti studiosi italiani ed europei. Fra gli altri, dialogò con Alessandro D’Ancona, Domenico Comparetti, Angelo De Gubernatis, Costantino Nigra, Michele Barbi, Ernesto Monaci e, all’estero, con Max Müller, Wilhelm Mannhardt, Paul Sébillot, Hugo Schuchardt, Thomas Crane.
I suoi epistolari rappresentano una fonte di inestimabile valore nell’ambito della storia delle idee, e mostrano come Pitrè, senza praticamente mai muoversi da Palermo, avesse negli anni raggiunto grande autorevolezza sul piano sia nazionale sia internazionale.
Nel 1871 pubblicò a Palermo il primo volume di quella che sarebbe stata l’opus magnum della sua carriera: la Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, che proseguì fino al 1913.
Pochi anni dopo il debutto dell’opera, nel 1877, sposò Francesca Vitrano, dalla quale ebbe tre figli: Maria (nata nel 1878), Rosina (nata nel 1885) e Salvatore (nato nel 1887). La morte prematura degli ultimi due (Rosina nel terremoto di Messina del 1908, Salvatore per un avvelenamento da cibo), fu causa di grande sofferenza negli ultimi anni di vita dello studioso.
Nel corso degli anni Ottanta e Novanta Pitrè proseguì e allargò le sue ricerche, pubblicando altri lavori monografici o di repertorio che andavano oltre i confini dell’area siciliana, come le Novelle popolari toscane (Firenze 1885), la Bibliografia delle tradizioni popolari italiane (Palermo-Torino 1894), nonché assumendo la direzione della collana Curiosità popolari tradizionali (con sedici volumi usciti tra il 1885 e il 1899). Nel 1882, inoltre, insieme al collega e amico Salvatore Salomone Marino, Pitrè fondò il periodico Archivio per lo studio delle tradizioni popolari; proseguita ininterrottamente fino al 1909, la rivista rappresentò un punto di riferimento fondamentale in questa, intensa, fase degli studi etnografici italiani, caratterizzata dalla fiducia e dal rigore metodologico del positivismo.
Negli stessi anni Pitrè continuò a partecipare anche alla vita politica, in particolare della sua città. Dall’esperienza garibaldina in poi, infatti, si era schierato con quelle élites sostenitrici dell’esperienza unitaria che ne divennero tuttavia ben presto deluse, assumendo un atteggiamento conservatore. Ebbe una diretta esperienza nel Consiglio comunale di Palermo, nel quale fu eletto nel 1895 e che lo vide impegnato a organizzare una ripresa dell’antica festa di Santa Rosalia.
Non diversamente da altri folkloristi del tempo, il suo interesse per le classi subalterne e la loro cultura sembra essere di segno conservatore e paternalista: il ‘popolo’ appare essenzialmente un soggetto da civilizzare. Negli scritti sulle feste, sulle superstizioni e sui ‘pregiudizi’, Pitrè mostra spesso imbarazzo per gli aspetti più arcaici o barbari degli usi siciliani, consapevole delle accuse di arretratezza che venivano dal nord: e per difendere quel folklore nel suo complesso ne condanna, o meglio ne patologizza, gli eccessi. In qualche modo, scrivere di questo popolo e rappresentarlo è per lui (e per i suoi lettori colti) un modo di posizionare politicamente la classe dirigente siciliana rispetto al governo e agli intellettuali nazionali.
Come detto, la Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane rappresenta nel suo complesso l’opera di gran lunga più importante di Pitrè – quella che in diverse tappe lo tenne impegnato per oltre quarant’anni. Si tratta di una collezione di 25 volumi che avevano lo scopo di raccogliere tutta la materia folklorica dell’isola, secondo la seguente partizione: voll. 1 e 2, Canti popolari siciliani (1870); vol. 3, Studi di poesia popolare (1872); voll. 4-7, Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani (1875); voll. 8-11, Proverbi siciliani (1880); vol. 12, Spettacoli e feste popolari siciliane (1881); vol. 13, Giuochi fanciulleschi siciliani (1883), voll. 14-17, Usi e costumi, credenze e pregiudizi del popolo siciliano (1889); vol. 18, Fiabe e leggende popolari siciliane (1888); vol. 19, Medicina popolare siciliana (1896); vol. 20, Indovinelli, dubbi e scioglilingua del popolo siciliano (1897); vol. 21, Feste patronali in Sicilia (1900); vol. 22, Studi di leggende popolari in Sicilia e Nuova raccolta di leggende siciliane (1904); vol. 23, Proverbi, motti e scongiuri del popolo siciliano (1910); vol. 24, Cartelli, pasquinate, canti e leggende del popolo siciliano (1913); vol. 25, La famiglia, la casa e la vita del popolo siciliano (1913).
L’opera presenta una grande messe di dati, che Pitrè raccolse sia attraverso il personale rapporto con informatori nei quartieri popolari di Palermo (molti conoscenti ricordano il suo calesse trasformato in una sorta di studio viaggiante), sia attraverso una rete di corrispondenti nelle varie parti dell’isola. Ciascuna tematica è inoltre introdotta da una cornice che la pone in rapporto ai precedenti studi sia nazionali sia europei e ai dibattiti del tempo: tanto che, come osservò Giuseppe Cocchiara, l’insieme delle sue prefazioni costituisce in sé un trattato teorico di folklore.
I primi volumi della Biblioteca sono interamente dedicati agli aspetti più classici del folklore ottocentesco, in particolare i canti, le fiabe e i proverbi: vale a dire ai generi della tradizione orale che si presentano come forme di letteratura o arte, sia pur ‘minore’, da valorizzare principalmente sul piano estetico. Dagli anni Ottanta, invece, Pitrè cominciò a occuparsi sistematicamente anche di ambiti legati alle pratiche più comuni della vita quotidiana, documentando aspetti della cultura popolare non necessariamente ‘belli’ o artistici, ma ordinari e banali, e talvolta decisamente connotati in senso arcaico e ‘primitivo’.
Fu soprattutto l’influenza dell’evoluzionismo della scuola britannica di Edward Burnett Tylor a condurlo in questa direzione, allontanandolo almeno in parte dal filone filologico-letterario che aveva caratterizzato la folkloristica italiana a partire da Niccolò Tommaseo fino a personaggi come Comparetti, Nigra, D’Ancona e De Gubernatis. «Io non aspiro alla gloria di farmi leggere – scriveva nella Introduzione al volume Spettacoli e feste popolari siciliane – dai facili ammiratori d’una letteratura che delira in strofe arcaiche, o sbadiglia in prosaici sonetti, […] bensì scrivo per quei lettori che amano conoscere la vita intima del popolo, e per coloro che alle tradizioni popolari si accostano come a preziosi avanzi del passato, come a resti di antiche mitologie» (1881, p. VII).
Era questa stessa postura etnografica a condurlo verso interessi di cultura materiale. Nel volume appena citato, ad esempio, si soffermò a lungo sugli oggetti che popolano i contesti festivi popolari, come gli abiti e gli alimenti, i dolci tradizionali e i pani festivi, gli addobbi rituali e le produzioni dell’artigianato. Centrali negli studi etnologici, questi aspetti materiali della cultura erano stati invece trascurati da una letteratura folklorica interamente concentrata sulla tradizione orale. Pitrè ebbe il merito di riavvicinare i due campi e di avviare le prime esperienze italiane di museografia etnografica. Una prima occasione gli venne fornita dall’incarico, ricevuto dal Comune di Palermo, di allestire un padiglione sulla cultura popolare siciliana presso l’Esposizione industriale italiana che si tenne a Milano nel 1891. Dieci anni dopo, in occasione della Esposizione nazionale tenuta proprio a Palermo (1891-92), l’esperienza fu ripetuta in modo più ampio, con la realizzazione – in collaborazione con Salomone Marino – di una vera e propria Mostra etnografica siciliana. La mostra milanese fu allestita in modo affrettato, inviando per lo più oggetti di valore artistico. In quella di Palermo, invece, le esigenze di selezione e ordinamento su base etnografica e in relazione ai concreti contesti della vita popolare furono più strettamente seguite. In essa, come ha scritto Massimo Tozzi Fontana, «per la prima volta materiali etnografici italiani venivano esposti con criteri sistematici, attraverso un’articolazione in sezioni dedicate ai molteplici aspetti della vita popolare: costumi, veicoli, illustrazioni di tecniche alimentari, pastorizia, agricoltura, caccia, spettacoli e feste, amuleti e ex-voto, giocattoli e balocchi fanciulleschi, libri e libretti letti dal “popolino”. Ogni oggetto esposto nella mostra era corredato dell’indicazione della relativa denominazione dialettale; il modello espositivo teneva conto della necessità di una comparazione tra i manufatti analoghi di diversa provenienza geografica» (Tozzi Fontana, 1984, p. 22). Si tratta dunque di un serio modello di museografia scientifica, che resterà isolato almeno fino alla realizzazione da parte di Lamberto Loria, nel 1906, del Museo di etnografia italiana di Firenze. Alla fine dell’esposizione palermitana, Pitrè conservò gli oggetti proponendo al Comune l’istituzione di una raccolta permanente o museo: obiettivo raggiunto solo diciotto anni dopo, nel 1909, con l’apertura del Museo etnografico siciliano che proprio a Pitrè fu intestato.
Inizialmente ospitato in una sede assai modesta, il Museo Pitrè ebbe una nuova sistemazione nel 1935, nel parco della Favorita, per opera di Giuseppe Cocchiara (che ne curò un allestimento basato sull’ultimo volume della Biblioteca di Pitrè, quello su La famiglia, la casa e la vita del popolo siciliano), e resta tutt’oggi la principale risorsa di museografia etnografica della Sicilia.
Nell’ultima parte della sua vita, Pitrè riscosse importanti riconoscimenti istituzionali e accademici. In particolare, fu chiamato a ricoprire significative cariche politico-culturali, come la presidenza dell’Accademia di scienze, lettere e arti di Palermo (1903) e della Società siciliana di storia patria (dicembre 1914-aprile 1916) e la segreteria della Reale Accademia di scienze mediche.
In ambito accademico beneficiò della concessione della libera docenza e dell’istituzione, nel 1910, di un apposito insegnamento di demopsicologia presso la facoltà di lettere e filosofia dell’Università di Palermo. Si trattò di fatto della prima cattedra di questo specifico settore disciplinare in Italia. La lezione inaugurale, tenuta da Pitrè il 12 gennaio 1911, rappresenta uno dei suoi testi teoricamente più impegnati (si veda l’edizione Palermo 1965, a cura di Giuseppe Bonomo, con il titolo Che cos’è il folklore).
È degno di nota lo sforzo di Pitrè di radicare la nuova disciplina in una genealogia prevalentemente internazionale, riservando pochi cenni alla tradizione italiana e citando invece ampiamente studiosi come Jacob Grimm, George Laurence Gomme, Max Müller, Andrew Lang, Theodor Benfey, e prendendo in specie a esempio il lavoro delle Folklore Societies anglosassoni. L’etichetta demopsicologia non fu però fortunata: il ministero non la riconobbe mai e Pitrè non poté accedere al ruolo di professore ordinario, mantenendo quello secondario di ‘incaricato’ e alla sua morte l’insegnamento fu abolito nella stessa Università palermitana.
Nominato alla fine del 1914 senatore del Regno, Pitrè morì a Palermo il 10 aprile 1916.
Al di là del contributo specifico alla conoscenza della cultura popolare tradizionale della Sicilia, il suo lavoro riveste un’importanza metodologica cruciale nel traghettare gli studi folklorici italiani da una prospettiva romantica prevalentemente estetizzante a un approccio scientifico di tipo moderno; e nel trasformare gli interessi localistici in un sapere di ampio respiro storiografico, in contatto con i più recenti indirizzi internazionali delle scienze umane. Queste aperture saranno solo parzialmente raccolte dagli studi folklorici successivi, che nel periodo fascista subiranno anzi una accentuata involuzione. Nel secondo dopoguerra la disciplina si svilupperà poi in senso prevalentemente storicista e gramsciano, allontanandosi dal metodo positivista di Pitrè e da una sua concezione di popolo che appare ancora risorgimentale e ingenuamente romantica. Ernesto De Martino, ad esempio, accuserà Pitrè di voler «isolare i tratti più o meno arcaici della cultura popolare e contadina», allineandoli in una dimensione classificatoria ed evolutiva e ponendoli proprio per questo «fuori dalla storia» (De Martino, 1955, p. 5). Solo più di recente la figura di Pitrè si è sottratta alla considerazione polemica ed è stata adeguatamente storicizzata e compresa all’interno di una più generale storia degli intellettuali meridionali e dei processi di creazione di un ‘orientalismo interno’ nell’Italia postunitaria.
Opere. Le opere di Pitrè sono state ristampate in innumerevoli edizioni e tradotte anche in altre lingue, soprattutto (e tempestivamente) in inglese. Un’edizione nazionale delle opere complete in 50 volumi, curata da un comitato inizialmente presieduto da Giovanni Gentile, uscì tra il 1940 e il 1950 presso la Società editrice del libro italiano (Roma) e quindi presso le edizioni G. Barbera (Firenze). Una più recente raccolta delle opere complete in 60 volumi è stata pubblicata dalle edizioni Ila Palma (Palermo), a cura del Centro internazionale di etnostoria (l’ultimo volume della serie è di G. D’Anna, Bibliografia degli scritti di G. P., 1998). L’intera Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, insieme ad altre opere di Pitrè, è oggi liberamente accessibile in formato digitale in banche dati come quella dell’Internet Archive and Open Library (https://archive.org). La collezione della rivista Archivio per lo studio delle tradizioni popolari di recente è stata resa disponibile su supporto digitale nel volume a cura di G.L. Bravo, Prima etnografia d’Italia, Milano 2013. Tra le pubblicazioni recenti di maggior pregio delle opere di Pitrè si segnala l’edizione integrale delle Fiabe, novelle e racconti popolari siciliani, in 4 voll., a cura di J. Zipes, per le edizioni Donzelli (Roma 2013).
Fonti e Bibl.: G. Cocchiara, P., la Sicilia e il folklore, Messina 1951; E. De Martino, Ancora sulla cultura contadina. Etnografia e Mezzogiorno, in Il Contemporaneo, II (1955), 3, p. 5; G. Bonomo, Introduzione e Commento alla prolusione, in G. Pitré, Che cos’è il folklore, Palermo 1965; G. Galasso, Le tradizioni popolari siciliane negli ultimi studi di G. P., in Id., L’altra Europa. Per un’antropologia storica del Mezzogiorno d’Italia, Milano 1982, pp. 365-472; M. Tozzi Fontana, I musei della cultura materiale, Roma 1984; G. Bonomo, Introduzione, in G. Pitrè, Mostra etnografica siciliana, ristampa anastatica, Palermo 1992; P. Manzo, Storia e folklore nell’opera museografica di G. P., Napoli 1999; L. Bellantonio, G. P. La demologia e la sua storia, Comiso 2001; G. P., a cura di A. Rigoli, Comiso 2003; B. Palumbo, Guerra di santi, in Id., Politiche dell’inquietudine. Passioni, feste e poteri in Sicilia, Firenze 2009, pp. 279-321; E.V. Alliegro, Antropologia italiana. Storia e storiografia 1869-1975, Firenze 2011, pp. 116-121; A. Benedetti, G. P. nelle lettere agli amici letterati, in Lares, LXXVIII (2012), 3, pp. 485-504; V. Green, The «other» Africa: Giuseppe Pitrè’s Mostra etnografica siciliana (1891-92), in Journal of modern Italian studies, 2012, 3, pp. 288-309; J. Zipes, G. P. e i grandi raccoglitori di racconti popolari nel XIX secolo, in Id., La fiaba irresistibile, Roma 2012, pp. 141-170.