SALVATORI, Giuseppe (Renato). – Nacque a Seravezza (Lucca) in località Marzocchino, il 20 marzo 1934, secondogenito di Pietro (detto Gigi)
, marmista presso la ditta Henraux, e di Giulia Bertozzi.
Frequentò le scuole elementari nel Comune natale, da cui la famiglia sfollò nel 1944 per poi stabilirsi definitivamente nella zona costiera, a Forte dei Marmi, nel 1950. Pur essendosi iscritto poi alla Scuola nautica di Marina di Carrara non arrivò a completare il ciclo di studi. Gli anni dell’adolescenza versiliese nell’immediato dopoguerra furono soprattutto quelli dell’apprendistato come marmista, delle scorribande con gli amici, dei lavori estivi come cameriere e bagnino e delle serate danzanti alla Capannina di Forte dei Marmi. Ed è proprio lì che, nell’estate del 1951, Luciano Emmer, Sergio Amidei e Galeazzo Benti notarono il giovane bagnino con il fisico prestante, il volto aperto, il sorriso genuino, il folto ciuffo. Venne così invitato a Roma per un provino e poi scritturato (con il nome di Renato) per il personaggio di Augusto, il fidanzato della sartina interpretata da Lucia Bosè in Le ragazze di Piazza di Spagna (1952) di Emmer.
Salvatori approdò dunque al cinema senza avere alcuna formazione alle spalle, in virtù della pratica di ambigua derivazione neorealista di ‘prendere gli attori dalla strada’. A qualche anno di distanza, Salvatori così ricordò i propri esordi: «Non avevo le idee molto chiare, mi sembrò divertente fare l’attore, ma credetti di poterlo considerare un episodio della mia vita: poi sarei ritornato ai miei studi nautici, e forse avrei tentato la via dell’Accademia di Livorno» (Porro, 1959).
Si stabilì invece definitivamente a Roma, firmò un contratto in esclusiva (di sette anni, con un minimo di tre film all’anno) con Carlo Ponti e Dino De Laurentiis, che però si sciolse nell’arco di un anno e mezzo (Faldini - Fofi, 1981, p. 73). Dopo alcuni ruoli da comprimario sotto la direzione di Mario Soldati e Anton Giulio Majano, e un «momento nero» (Porro, 1959) in cui faticava a lavorare, la fama e la consacrazione arrivarono nel 1957, quando Dino Risi lo scelse per il cast di Poveri ma belli (prodotto da Goffredo Lombardo per la Titanus, che mise sotto contratto Salvatori per sette anni).
Nel film è Salvatore, un bullo romano di quartiere, e fa coppia con l’amico-rivale Maurizio Arena: i due ‘fusti’ – ovvero «la versione maschile delle maggiorate» (Risi, 2004, p. 219) – si contendono la stessa ragazza, interpretata da Marisa Allasio, per poi interessarsi alle rispettive sorelle. Un film corale, di ambientazione proletaria ma di ideali piccolo borghesi, che riflette lo slancio di una gioventù che insegue benessere e spensieratezza.
Il grande successo di Poveri ma belli portò alla realizzazione dei successivi Belle ma povere (1957) e Poveri milionari (1959), sempre diretti da Risi, di Marisa la Civetta (1957) di Mauro Bolognini e di La nonna Sabella (1957), ancora di Risi.
Un vero e proprio filone, disprezzato dalla critica (perché ritenuto bozzettistico e troppo evasivo), ma molto amato dal pubblico, di cui Salvatori fu il protagonista maschile più rappresentativo. Oltre alla prestanza – al suo corpo viene dato ampio risalto in questi film – che lo rese l’incarnazione del giovane maschio di estrazione proletaria solare, sportivo, Salvatori mostrò una capacità istintiva di dare vita a personaggi di simpatici bulli, con un sottofondo tenero e ingenuo e con un forte ascendente sulle donne.
Recitò poi il personaggio di Mario, il ladruncolo orfano de I soliti ignoti (1958) di Mario Monicelli, a fianco di Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Totò, Claudia Cardinale, confermandosi come interprete ormai rodato e affidabile.
Ormai molto popolare per la sua parabola emblematica di bagnino diventato astro del cinema, dichiarò però di voler crescere, e lo fece studiando recitazione, frequentando gli ambienti teatrali, cercando di togliersi di dosso l’etichetta di ‘povero ma bello’ e di attore per caso. E infatti approdò gradualmente al cinema d’autore e a personaggi più chiaroscurali, anche se di secondo piano, come in Nella città l’inferno (1959) di Renato Castellani, La ciociara (1960) di Vittorio de Sica, Era una notte a Roma (1960) di Roberto Rossellini. Ma arrivarono anche i ruoli più significativi. Ne I magliari di Francesco Rosi del 1959, a fianco di un pirotecnico Alberto Sordi, è un italiano emigrato in Germania: lo sguardo spaesato, le spalle incurvate, che restituiscono il senso di rabbia e di frustrazione di chi è sradicato, caratterizzano questo personaggio e saranno il cuore del suo film più importante, girato l’anno successivo, ovvero Rocco e i suoi fratelli di Luchino Visconti, in cui recita la parte di Simone, il fratello di Rocco (interpretato da Alain Delon).
Forte nel corpo e fragile nel carattere, geloso e irruento, Simone è un personaggio maledetto, e costituisce probabilmente la sua miglior prova d’attore, anche grazie alla felice intesa con il regista. Come affermò lo stesso Salvatori, con Visconti «era tutto facile davanti alla macchina da presa, anche perché la preparazione era stata talmente meticolosa che pur senza accorgermene ero entrato nel personaggio. Lui, poi, sapeva come ottenere il meglio da un attore» (Modi di produzione..., a cura di G. Barlozzetti et al., 1986, pp. 46 s.).
Il set viscontiano fu un’occasione di svolta anche dal punto di vista personale: nacque l’amicizia con Alain Delon ma soprattutto il legame sentimentale con Annie Girardot. La singolare coppia – lui ‘il bello della Versilia’ e lei ‘la francese raffinata’ – fu al centro dell’attenzione dei media. Si sposarono con rito civile a Parigi il 6 gennaio 1962 (testimoni di nozze furono lo stesso Visconti e Christian Marquand), e poi con rito religioso a Roma. Il 5 luglio dello stesso anno nacque la figlia Giulia.
Il personaggio di Simone non solo lo liberò definitivamente dalla maschera del ‘povero ma bello’, ma dall’essenza stessa di quei personaggi giovanili. Con il passare del tempo, Salvatori rivelò la sua predisposizione a incarnare figure forti ma in bilico, compromesse, ambigue. Gli anni Sessanta lo videro impegnato in altri ruoli drammatici e sfaccettati, spesso negativi, come in Smog (1962) di Franco Rossi, dove è ancora una volta un emigrato, in La banda Casaroli (1963) di Florestano Vancini, o in Una bella grinta (1965) di Giuliano Montalto. In un’Italia che stava cambiando, e si faceva cupa dopo l’euforia del boom, l’attore diede corpo alla figura dell’operaio in due chiavi complementari: quella nostalgica ne I compagni (1963) di Mario Monicelli, a fianco di Mastroianni, e quella aliena in Omicron (1963) di Ugo Gregoretti, in cui è protagonista assoluto, impegnato in una performance burattinesca, dai forti accenti grotteschi. Con Marco Ferreri interpretò l’occhialuto avvocato Gaetano, uno degli uomini che ruotano intorno a Carroll Baker in L’harem (1967), ma con la fine del decennio, la vita e la carriera di Salvatori subirono notevoli cambiamenti: il matrimonio con Girardot entrò in crisi (anche se la coppia non divorziò mai), e l’attore si legò all’indossatrice tedesca Danka Schröder, che diede alla luce il suo secondogenito, Nils, nato l’11 dicembre 1975. La carriera di Salvatori si avviò verso una fase di lento declino con apparizioni più rade (dal 1967 al 1981 solamente 23, rispetto alle 39 del periodo iniziato con Poveri ma belli), anche perché il corpo si era appesantito e lo sguardo, un tempo spensierato, si era fatto più freddo e minaccioso. Constantin Costa-Gavras lo impiegò in Z, l’orgia del potere (1969) e L’amerikano (1972), Gillo Pontecorvo gli assegnò il ruolo del rivoluzionario a metà, e pesantemente truccato, in Queimada (1969) a fianco di Marlon Brando. Recitò poi in La prima notte di quiete di Valerio Zurlini (1972), con l’amico Delon, nella parte di un amante del gioco che pareva cucita su di lui. Lavorò anche all’estero e soprattutto in Francia, talvolta in ruoli un po’ stereotipati da duro, come in La casse (Gli scassinatori, 1971, di Henri Verneuil) e in Flic story (1975, di Jacques Deray). Degli ultimi anni i molti ruoli secondari e alcune significative interpretazioni sotto la guida di importanti registi: Cadaveri eccellenti (1976) di Rosi, Todo Modo (1976) di Elio Petri, L’ultima donna (1976) di Ferreri e soprattutto Il sospetto (1975) di Francesco Maselli, dove interpretò con misura la parte di un attivista comunista puro di cuore. Con gli anni Ottanta, sempre più minato nel fisico, venne relegato ai margini, anche perché, come lui stesso affermò, «il nostro cinema, quello che eravamo abituati a fare, oggi non esiste più» (la Repubblica, 14 dicembre 1984). Da ricordare ancora la sua apparizione in La cicala (1980) di Alberto Lattuada, in cui è un camionista manesco e seduttore, e infine il cameo in La tragedia di un uomo ridicolo (1981) di Bernardo Bertolucci, il suo ultimo film. Nel 1984 annunciò ufficialmente il suo ritiro: «Ho abbandonato il cinema e attualmente faccio parte del gabinetto del ministro dei Trasporti Signorile, dove mi occupo delle relazioni esterne» (la Repubblica, 14 dicembre 1984).
Morì di cirrosi epatica il 27 marzo 1988, a Roma, e fu seppellito nel cimitero di Seravezza.
Fonti e Bibl.: Per il periodo Titanus, Modi di produzione del cinema italiano: la Titanus, a cura di G. Barlozzetti et al., Roma 1986, ad indicem. Per gli esordi: D. Risi, I miei mostri, Milano 2004, ad indicem. Per uno sguardo d’insieme: Gli attori, Dizionario del cinema italiano, Roma 1998, sub voce; L. Gierut - U. Guidi - A. Santucci, R. S. Il povero ma bello che volle farsi attore, Roma 2007. Per il contesto: J.A. Gili, Arrivano i mostri. I volti della commedia italiana, Bologna 1980; F. Faldini - G. Fofi, L’avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti 1960-1969, Milano 1981, ad ind.; G.P. Brunetta, Storia del cinema italiano, Roma 1993, ad ind.; E. Giacovelli, La commedia all’italiana, Roma 1999, ad ind.; Storia del cinema italiano, X, 1960-64, a cura di G. De Vincenti, Venezia-Roma 2001, ad ind.; XI, 1965-1969, a cura di G. Canova, Venezia-Roma 2002, ad ind.; IX, 1954-1959, a cura di S. Bernardi, Venezia-Roma 2004, ad ind.; S. Della Casa, S. R., in Enciclopedia del cinema, IV, Roma 2004, pp. 752 s.
Periodici e quotidiani: A. Porro, Le ambizioni di un bullo malinconico, in Settimo giorno, 1959; R. S. ha abbandonato il cinema, in la Repubblica, 14 dicembre 1984; T. Kezich, R. S., divo di un cinema che non c’è più, in la Repubblica, 28 marzo 1988; M. Porro, R. S., un’amara dolce vita, in Corriere della sera, 28 marzo 1988.