SCHIAVINATO, Giuseppe.
– Nacque a Padova il 10 dicembre 1915 da Leopoldo, impiegato, e da Melania Marcolin, casalinga.
A Padova ricevette l’istruzione di base e fu coinvolto, ma non contaminato, dall’istruzione parascolastica del ventennio fascista, durante il quale ottenne borse di studio ed esenzioni dalle tasse anche per i suoi ottimi risultati nello sport (calcio).
All’Università di Padova si iscrisse al corso di laurea in scienze naturali, laureandosi con lode nel 1939 presso l’istituto di mineralogia curato da Angelo Bianchi, che gli assegnò una tesi petrografica sulle vulcaniti dei colli Euganei. La rielaborazione di questa tesi, con la petrochimica in aggiunta alla petrografia, fu anche la sua prima pubblicazione, mentre la seconda fu la rielaborazione della sottotesi fatta con la guida di Tullio Carpanese: la sintesi della jaipurite, CoS, un raro solfuro, effettuata con un procedimento che lo metteva allora all’avanguardia in Italia nel ristretto settore della mineralogia sperimentale.
Durante gli studi universitari seguì i corsi preparatori estivi da allievo ufficiale per cui, appena laureato nel 1939, assolse al servizio militare di leva come sottotenente; avendo perso il padre a metà dei suoi studi universitari, ottenne la facilitazione di rimanere a Padova nel 20° reggimento di artiglieria. Il matrimonio, contratto nel 1941 con la compagna di studi Albina (Zora) Rebula, non lo salvò dal prolungamento della ferma fino all’8 settembre 1943 (e oltre) per cause di guerra: fu destinato alla zona di occupazione italiana in Francia, per lungo tempo piuttosto tranquilla, e così, durante le licenze, ebbe modo di continuare a partecipare all’attività dell’istituto.
Essendo mancato prematuramente Carpanese (1941), egli ne tenne le lezioni ed esercitazioni. Dopo l’8 settembre si rifugiò nella sua città, anche nascondendosi nell’istituto dove poté così continuare a lavorare. Fu in questo periodo che iniziò lo studio della cristallografia strutturale: eseguì l’analisi di una sostanza organica, la cupro-dimetilgliossima, di cui determinò le dimensioni della cella e le proprietà ottiche e, in collaborazione con allievi del professore di chimica Ugo Croatto, ne risolse la struttura.
Nel 1943 Schiavinato fu spinto da Bianchi a iscriversi al corso di laurea in scienze geologiche, di nuova istituzione, con il riconoscimento degli esami di scienze naturali già sostenuti e con una tesi sulla wollastonite dell’Alpe Bazena, nel settore meridionale del massiccio dell’Adamello. Si laureò nella sessione autunnale del 1943-44, svoltasi nella primavera del 1945, e nell’autunno dello stesso anno di sua iniziativa si iscrisse a chimica, sostenne parecchi esami, ma non arrivò alla laurea, perché era intanto cominciata una vertiginosa carriera che lo immerse sempre più nella mineralogia con spiccato indirizzo geologico-petrografico. Già assistente e professore incaricato dal 1945, nel 1948 conseguì la libera docenza in mineralogia e, nel 1951, fu ternato in questa disciplina e subito chiamato all’Università di Bari, la cui facoltà di scienze si stava costruendo proprio in quel periodo.
Nella sua attività scientifica di mineralista-petrografo, il periodo 1946-61 fu sicuramente il più produttivo: raggiunse un massimo tra il ’46 e il ’51 e si protrasse per qualche anno ancora, con ricerche svolte sempre in aree vicine a Padova, perché egli non considerò mai Bari come sua sede definitiva.
Si mosse su due direzioni: continuò gli studi nell’area vulcanica padovana-vicentina (colli Euganei e monti Berici) e intraprese il rilevamento e lo studio di dettaglio del settore nord-occidentale del massiccio dell’Adamello, in provincia di Brescia. Notevoli, per il primo filone di studi, furono la scoperta in un basalto della pigeonite (prima in Italia), la caratterizzazione dell’anortoclasio e, soprattutto, quella della johannsenite (Sulla johannsenite dei giacimenti a silicati manganesiferi del Monte Civillina presso Recoaro (Vicenza), in Rendiconti della Società mineralogica italiana, 1953, vol. 9, pp. 210-218). Il suo studio di questo pirosseno fu di riferimento internazionale per quasi un cinquantennio. Quanto al secondo, egli prese a rilevare l’intera periferia nord-occidentale del massiccio, ossia l’alta Val Camonica. Ne rilevò non solo il complesso plutone del monte Baitone, ma anche i filoni ‘diabasici’ che da questo si irradiano attraverso gli scisti incassanti e ne dimostrano l’età posteriore a quella della ‘linea insubrica’, la più estesa dislocazione tettonica delle Alpi. Infine, ne studiò la bordura di rocce metamorfiche distinguendo gli ‘scisti del Tonale’ e gli ‘scisti di Edolo’, rispettivamente a nord e a sud della ‘linea insubrica’.
I lavori in Lombardia contribuirono a favorirne la chiamata, nel 1955, alla cattedra di mineralogia dell’Università di Milano, lasciando Bari, dove pure era stato preside di facoltà e aveva impostato una ricerca di termoanalisi (DTA-TGA) utile all’agraria locale, nonché collaborato al primo studio vulcanologico del monte Vulture. La produzione mineralogica di Schiavinato non è estesa, ma fu di ottima qualità per la sua epoca e, pertanto, giustifica in pieno la dedica che gli fu fatta di una specie minerale: la schiavinatoite (Nb,Ta)BO4, scoperta da un italiano in Madagascar e studiata da un gruppo di cristallografi e mineralisti della scuola milanese.
A Milano, Schiavinato ricostruì l’istituto e lo dotò di nuovi laboratori. Poi impostò una linea di ricerca mineralogico-petrografica che, partendo dalla Val Camonica, si estese alla provincia di Sondrio, dove coordinò il rilevamento dei fogli Sondrio-Pizzo Bernina, Bormio e Tirano della Carta geologica d’Italia 1:100.000. Da essi trasse le informazioni geologiche che crearono la sua scuola, per quanto riguarda la geologia strutturale della ‘zona di radici’ delle falde alpine costituite di rocce metamorfiche complesse. Nel frattempo studiò anche l’origine dei granitoidi alpini su due fronti: Val Masino-Val Bregaglia (Alpi centrali), con Sergio Venzo e con i suoi allievi diretti, e Argentera-Mercantour (Alpi occidentali), con Roberto Malaroda e altri allievi. In entrambi i casi riscontrò evidenze soprattutto macroscopiche che lo fecero optare per la genesi metasomatica, con apporto di potassio, su rocce originariamente migmatitiche. Questo modello genetico è obsoleto, mentre le osservazioni di campagna sono tuttora valide. L’ultimo suo lavoro, in collaborazione, riprendeva lo studio del monte Baitone e ne studiava l’aureola di metamorfismo di contatto sul basamento metamorfico prealpino costituito di scisti di Edolo (Metamorfismo regionale e di contatto nel settore nord-occidentale del Massiccio dell’Adamello, in Memorie degli istituti di geologia e mineralogia dell’Università di Padova, 1971-73, vol. 29, pp. 1-70, con A. Mottana).
Schiavinato aveva ricoperto ruoli direttivi sia a Bari sia a Milano senza che questo lo sottraesse alla sua ricerca; tuttavia, quando nel 1963 fu eletto in rappresentanza dei professori univeritari nel Comitato nazionale di consulenza per le scienze geologiche e minerarie del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), e ne divenne il presidente (e, per conseguenza, anche membro del Consiglio di presidenza e della giunta amministrativa), dovette rinunciarvi quasi del tutto per passare a un compito più elevato. Presidente del CNR era il chimico Vincenzo Caglioti, che Schiavinato convinse a potenziare nell’organizzazione e nella strumentazione tutte le geoscienze. Se ne giovarono settori fino ad allora trascurati in Italia come la cristallografia, la geochimica, la geologia strutturale e perfino la paleontologia, mentre la cronologia radiometrica stava compiendo i primi, incerti passi. L’allora ministro della Pubblica Istruzione, Fiorentino Sullo, poté fare leva sul potenziamento della geologia nel CNR per dare avvio a un vasto programma di rilevamenti che, in poco più di un decennio, portò alla conclusione della Carta geologica d’Italia 1:100.000, già iniziata nel 1876.
L’attività di Schiavinato nel CNR continuò anche dopo che fu eletto rettore dell’Università di Milano (1972). Egli diresse l’organizzazione e l’inizio dell’attività dei Progetti finalizzati (diciotto di prima generazione, nel 1975, e undici di seconda generazione, nel 1978). Nel 1976 l’Italia poté così presentarsi al XVIII Congresso geologico internazionale con un modello geodinamico moderno, da cui far derivare carte tematiche su tutti gli aspetti della complessa geologia del suo territorio. Nel comitato geologico del CNR Schiavinato rimase fino al 1984, vale a dire fino a due anni prima di una breve stagione politica nel Parlamento europeo (1986-87), dove fu membro della Commissione per l’energia, la ricerca e la tecnologia.
Il momento in cui Schiavinato più incise sulla vita pubblica italiana fu, però, quando fu rettore dell’Università degli studi di Milano (1972-84), la ‘Statale’. Appena eletto si scontrò con il movimento studentesco, che da tre anni spadroneggiava nelle varie università milanesi. Egli volle limitarne gli eccessi, soprattutto nell’occupazione di aule e di altri luoghi destinati all’insegnamento.
È interessante lo scambio di battute a distanza tra Schiavinato e Mario Capanna, che fu uno dei maggiori esponenti del movimento studentesco milanese. Secondo Schiavinato: «Tralasciando gli eccessi, quegli anni portavano una vivacità intellettuale davvero interessante». Capanna ribatté: «Non ho un buon ricordo di Schiavinato. Negò l’aula magna nel ’73 dopo la morte di Franceschi» (Statale: morto Schiavinato rettore della contestazione, Archivio storico del Corriere della sera, 26 giugno 1996, p. 43). Lo scontro tra i due raggiunse il suo acme, infatti, per i funerali dello studente Roberto Franceschi, ucciso in un tafferuglio avvenuto il 30 gennaio 1973 all’Università Bocconi. Il movimento studentesco pretendeva di usare l’aula magna della ‘Statale’ come camera ardente; il rettore Schiavinato rinviò il permesso, pur senza averlo rifiutato. Per conseguenza, alcuni capifila del movimento invasero il rettorato e impedirono al rettore di svolgere il suo lavoro consueto. La magistratura vi identificò il reato di ‘interruzione di servizio di pubblico ufficiale’ e, dopo un processo durante il quale Schiavinato, da solo, sopportò ogni sorta di provocazioni e amarezze, condannò i capi del movimento a una lieve pena.
Alla fine del 1973 il movimento studentesco era praticamente finito e la vita universitaria milanese riprese a svolgersi secondo la consuetudine, ma più attenta allo sviluppo. Come rettore, Schiavinato si dedicò al potenziamento della ‘Statale’, prima poco considerata tra le università milanesi, creando nuove cattedre e nuovi indirizzi in convenzione con ospedali e strutture industriali. Chi ne trasse maggior vantaggio fu la facoltà di medicina che, non più limitata al solo Policlinico, ma dotata di laboratori di avanguardia, si diramò nei vari ospedali della città trasformandosi così in una duttile rete sanitaria.
Tra le iniziative di Schiavinato come rettore ci fu anche una convenzione con la discussa Fondazione centro S. Raffaele del monte Tabor per la creazione di un ospedale, cui riconobbe la dignità di struttura scientifica sanitaria. Di questa fondazione presieduta – e praticamente posseduta – da Luigi Maria Verzè, Schiavinato fu vicepresidente dal 1985 fino alla morte. Altra sua iniziativa nel campo del sociale, ma da privato, fu la fondazione (1984) di un’associazione intitolata a Eugenio Medea per l’assistenza a bambini handicappati poveri, che si appoggiò all’istituto La nostra famiglia di Bosisio Parini presso Lecco, gestito dalle suore Piccole apostole della carità. Di questa associazione egli fu presidente fino al 1991. L’istituto è ora uno dei maggiori enti ospedalieri altamente specializzati della Lombardia.
Schiavinato non dimenticò di far progredire anche la sua disciplina scientifica di origine: nel 1966 fondò, e presiedette fino al 1994, il Centro informazione e servizi gemmologici (CISGEM) della Camera di commercio di Milano per la valutazione scientifica delle pietre preziose; raddoppiò, praticamente, la struttura dell’Istituto di mineralogia, petrografia, geochimica e giacimenti minerari e ne favorì l’entrata (con geologia e geofisica) nel dipartimento di scienze della Terra; infine, d’accordo con la moglie, destinò la sua liquidazione all’Accademia nazionale dei Lincei per istituire un premio per «un laureato in scienze geologiche con indirizzo mineralogico con riferimento ad applicazioni petrologiche» (Statale: morto Schiavinato..., cit., p. 43), mentre devolvé altri fondi all’Università di Milano per un dottore di ricerca in scienze mineralogiche.
Schiavinato fu membro di numerose accademie, tra cui l’Accademia nazionale dei Lincei dal 1969 e l’Accademia nazionale delle scienze detta dei XL dal 1975. Ricevette numerose onorificenze, tra cui il premio del ministro della Pubblica Istruzione 1972 e l’Ambrogino d’oro 1984. Fu un uomo retto, conservatore ma illuminato, mai disposto a lasciarsi imporre qualcosa di cui non fosse convinto.
Morì a Milano il 26 giugno 1996.
Fonti e Bibl.: La necrologia migliore e più sentita è quella di R. Malaroda, in Atti ufficiali della Accademia delle scienze di Torino. Anni accademici CCXV – CCXVII (1998-2000), Torino 2003, pp. 3-7. La bibliografia completa è alle pp. 71-74 in A. Mottana, G. S.: una vita per l’Università, in Rendiconti dell’Accademia nazionale delle scienze detta dei XL, Memorie di scienze fisiche e naturali 133°, 2015, vol. 39, parte II, t. I, pp. 41-75, dove è pure ampiamente commentata la biografia.