TERRAGNI, Giuseppe
– Nacque a Meda, in provincia di Milano, il 18 aprile 1904, ultimo dei quattro figli di Michele, un affermato e stimato costruttore, titolare di un’impresa edile, e di Emilia Giamminola.
Nel 1909 la famiglia si trasferì a Como, dove vivevano i parenti materni. Dei suoi fratelli, il maggiore, Attilio (1896-1958), ingegnere, podestà di Como nel periodo fascista dal 1934 al 1943, e senatore della Repubblica italiana per il partito monarchico dal 1953 al 1958, collaborò spesso con lui nell’attività progettuale; Alberto fu ragioniere; e Silvio morì giovane nel 1926 in un incidente automobilistico.
Nel 1917 s’iscrisse all’Istituto tecnico Caio Plinio di Como, sezione fisico-matematica, in attesa che venisse istituito il liceo scientifico, di cui frequentò l’ultimo anno e dove conobbe Luigi Zuccoli, con il quale strinse una lunga amicizia e collaborazione professionale. Dopo il diploma, nel 1921, s’iscrisse alla Scuola superiore di architettura presso il Politecnico di Milano, laureandosi il 16 novembre 1926. Durante gli anni universitari coltivò il suo talento nel disegno pubblicando, tra il 1921 e il 1925, sul periodico satirico lariano La Zanzara, di cui fu cofondatore, una galleria di caricature di personaggi appartenenti alla vita cittadina: 136 figurine schizzate rapidamente, firmate con lo pseudonimo Pepin, che con acume coglievano la psicologia dei soggetti. Del periodo universitario sono anche i grandi disegni ‘michelangioleschi’, dai quali trasse la lezione sulla spazialità plastica dell’architettura, e la partecipazione nel 1925, con Pietro Lingeri, al primo grado del concorso per il monumento ai caduti della Grande Guerra di Como, che doveva essere eretto nella piazza del Duomo. L’anno successivo, al concorso di secondo grado che indicava una nuova localizzazione nei pressi del lago a fianco del Tempio Voltiano, il gruppo Lingeri-Terragni si presentò con una proposta che con orgoglio Terragni riferì essere stata giudicata tra le migliori sui trenta partecipanti (Zevi, 1980, p. 198). Iniziò una complessa vicenda, che si concluse solo nel 1933 con l’intervento di completamento, a lui affidato, del progetto futurista di Enrico Prampolini, ispirato all’opera del 1914, La centrale idroelettrica, dipinta da Antonio Sant’Elia, comasco, caduto in guerra nel 1916.
L’adesione di Terragni al linguaggio moderno fu dichiarata nel mese di dicembre del 1926, quando con Ubaldo Castagnoli (poi sostituito da Adalberto Libera), Luigi Figini, Guido Frette, Sebastiano Larco, Gino Pollini e Carlo Emilio Rava firmò il primo documento del razionalismo italiano, atto fondativo del Gruppo 7, che illustrò il suo programma in quattro articoli pubblicati tra il 1926 e il 1927 nella rivista Rassegna italiana.
Trainato dalla vivacità culturale della sua città, Terragni divenne presto una figura centrale di questa svolta dell’architettura italiana. A Como, infatti, vissero o soggiornarono personalità di spicco della cultura tra cui Margherita Sarfatti, mecenate delle avanguardie del primo Novecento, che a Cavallasca, sul lago, aveva una villa per le vacanze e che a Terragni commissionò nel 1934 la tomba per il figlio primogenito Roberto, morto nella prima guerra mondiale. Artisti e intellettuali, tra i quali Mario Radice, Marcello Nizzoli, Gianni Mantero, frequentavano lo studio-laboratorio che Giuseppe e Attilio Terragni avevano aperto già nel 1926 in via Indipendenza 23, luogo di incontro e dibattito sulla città dove Zuccoli, perito edile in cerca di lavoro, venne assunto fin dal 1927 come assistente, per poi diventare l’amico al quale Giuseppe lasciò nel testamento una somma di denaro per concludere gli studi universitari.
Furono parte del percorso di formazione di Terragni due viaggi in Germania per conoscere l’architettura europea nel 1927 e nel 1931. A Stoccarda visitò il Weissenhof, un quartiere modello costruito nel 1927 per l’esposizione del Deutscher Werkbund organizzata da Ludwig Mies van Der Rohe, alla quale parteciparono i più importanti architetti europei del Movimento moderno, da Le Corbusier, a Peter Behrens, a Walter Gropius, a Pieter Oud, a Mart Stam, a Bruno Taut, che proposero innovativi modelli per l’abitare, coerenti con la nuova architettura cartesiana con tetti piani, struttura a telaio e totale eliminazione della decorazione.
L’attività professionale di Terragni iniziò con il progetto della villa Saibene, nel 1926, e con la ristrutturazione dei primi due piani della facciata dell’albergo Metropol-Suisse di Como, nel 1927. In questa prima fase, la ricerca di un nuovo linguaggio passò attraverso la sua declinazione nelle contemporanee ricerche artistiche e architettoniche. Il progetto Officine gas del 1927 volge lo sguardo alle avanguardie russe; alla mostra del Novecento italiano a Milano, nel 1928, Terragni espose un autoritratto aderendo al Gruppo Novecento. Furono gli anni della costruzione del Novocomum, del 1927-28, lungo e potente edificio ad appartamenti, al quale egli conferì uno scatto costruttivista, mentre risonanze espressioniste si riconoscono nei cilindri vetrati che attraversano gli angoli del volume; del monumento ai caduti di Erba, del 1928-32, per il quale adottò una metafisica atmosfera nel gusto ‘Novecentesco’; del negozio Vitrum, del 1930, calibrata ma vigorosa combinazione di rigore geometrico e ricchezza dei materiali, che aveva iniziato a sperimentare nel negozio di parrucchiere per signora a Como, del 1929, e nella Sartoria moderna a Monza, del 1930; dell’albergo Posta, del 1930-35, che pur nella variante voluta dalla commissione edilizia, ripropose alcuni temi già presenti nel Novocomum, quali il riferimento all’espressionismo di Erich Mendelsohn.
Un momento di passaggio da questa prima fase sperimentale, di ricerca d’identità, a una fase più matura che portò Terragni a ricoprire un ruolo di primo piano nel panorama dell’architettura razionalista italiana, fu costituito dall’allestimento della sala O alla Mostra della rivoluzione fascista del 1932, che si tenne a Roma nello storico palazzo delle Esposizioni, per l’occasione temporaneamente riconfigurato da Adalberto Libera e Mario De Renzi. Per la sala O, che doveva celebrare il 1922, anno della marcia su Roma, Terragni scelse di interpretare il tema attraverso l’uso di fotomontaggi a tutta parete, un ossessivo ripetersi di elementi iperreali ove immagini simboliche ingigantite, manifesti e articoli di giornali sovrapposti a elementi tridimensionali richiamavano una modernità di stampo futurista.
Gli anni dal 1932 al 1936 si possono definire come quelli dell’affermazione, nei quali Terragni sviluppò un suo linguaggio riconoscibile. Per la casa del fascio di Como (1932-36), studiata e adottata come riferimento da molti architetti, egli si concentrò sui temi della poetica razionalista, reinterpretandoli. Alla griglia cartesiana, resa evidente su tutte le facciate, conferì un carattere nuovo innescato dall’eliminazione della simmetria e dalla diversa composizione dei quattro prospetti; alla purezza lecorbuseriana del volume conferì gravità posando direttamente al suolo l’edificio. La costruzione armonica dei prospetti secondo rapporti aurei garantiva un ordine sottinteso anche in copertura, progettata come quinto prospetto, vera anticipazione del concetto di identità di piani orizzontali e verticali, molto in là da venire.
Fa parte delle realizzazioni di questo periodo la Casa sul lago per un artista, presentata alla Mostra dell’abitazione alla V Triennale di Milano del 1933 da Terragni, Adolfo Dell’Acqua, Gianni Mantero, Oscar Ortelli, Carlo Ponci, Mario Cereghini, Piero Lingeri, Gabrile Giussani. Il volume puro è anche qui caratterizzato da un raffinato equilibrio di pieni e vuoti regolari, geometrici.
Con l’intento di sperimentare il suo impegno nel seno dell’architettura razionalista anche fuori dalla provincia comasca, nel 1933 Terragni aprì il suo studio milanese insieme a Lingeri. A Milano, che era al centro del dibattito internazionale sull’architettura, i due soci costruirono cinque case ad appartamenti: casa Rustici in corso Sempione, nel 1933-35; casa Giringhelli e casa Toninello, nel 1933; casa Lavezzari, nel 1934; casa Rustici Comolli, nel 1935. La prima è composta da due unità separate collegate nel fronte da aerei ponti che costituiscono un prospetto aperto, fatto di grandi fessure orizzontali alternate ai ballatoi di collegamento che reinterpretano la finestra a nastro diventando l’elemento di chiusura della corte interna. Tutte le case milanesi definiscono in modo simile il rapporto con la strada e con la città inserendo un elemento quasi bidimensionale nel prospetto principale, che palesa una griglia geometrica che si rarefà. Nell’ultima, la Rustici Comolli, le passerelle aeree sono sul fianco dell’edificio il cui volume alto e stretto fronteggia i binari dello scalo ferroviario.
Insieme a Piero Bottoni, sempre nel 1933, Terragni partecipò al IV CIAM (Congrès Internationaux d’Architecture Moderne), dove furono formulati i principi pubblicati nella Carta di Atene. Questi si ritrovano nel progetto del concorso per il nuovo piano regolatore di Como, al quale Terragni e Bottoni parteciparono con Lingeri, Cesare Cattaneo, Luigi Dodi, Alberto Mario Pucci e altri.
A completare questa fase dell’attività progettuale di Terragni si evidenzia l’asilo Sant’Elia a Como, del 1934-37, una delle opere più poetiche della sua produzione, fatto di spazi ampi, liberi e luminosi: dinamico e leggero pur nella sua totale aderenza alla terra.
Terragni partecipò ai grandi concorsi romani del 1934 e del 1937 per la realizzazione del palazzo del Littorio e nel 1938 al concorso per il palazzo dei Congressi all’E42. Dei progetti per il primo grado del palazzo del Littorio (1934) il progetto B rappresenta una rinuncia totale al monumentalismo, come per il palazzo dei Congressi all’E42; un progetto, quest’ultimo, quasi senza pareti divisorie, distribuito all’interno di un ritmo geometrico di pilastri sottilissimi, particolarmente apprezzato da Giuseppe Pagano e da Giulia Veronesi, che lo pubblicarono in Costruzioni-Casabella nel 1941 (n. 158, pp. 8-11) nel noto articolo Le occasioni perdute. Nello stesso 1938 Terragni affrontò un monumentale impegno, quello di tradurre in architettura la Divina Commedia.
Rino Valdameri, avvocato milanese e presidente della Società dantesca italiana, propose a Benito Mussolini di costruire un monumento per celebrare il ‘massimo poeta degli italiani’. Il Danteum era previsto all’incrocio tra via dell’Impero (ora via dei Fori imperiali) e via Cavour, in un’area di forma irregolare vicina alla basilica di Massenzio. Terragni cercò di tradurre in architettura le corrispondenze numeriche e formali della composizione dantesca. Al progetto, mai realizzato, parteciparono anche Mario Sironi, autore dei bozzetti per i bassorilievi, e Massimo Bontempelli, direttore della rivista Quadrante, e importante interlocutore per sviluppare il tema del rapporto tra letteratura e architettura.
La pianta dell’edificio, generata da due figure, un rettangolo aureo (il cui lato maggiore era uguale al lato minore della basilica di Massenzio) e una coppia di quadrati la cui parziale sovrapposizione determina l’accesso all’edificio, riproponeva il tema caro al razionalismo della corrispondenza armonica ed estetica dei rapporti numerico-geometrici.
Nei suoi sedici anni di attività Terragni progettò molti edifici e case unifamiliari, tutti caratterizzati da un alto grado di ricerca figurativa. Tra le altre, degna di nota è villa Bianca a Seveso, del 1936-37, che presenta un gioco di scomposizione del volume ottenuto grazie allo slittamento dei setti murari, che rende mutevole lo spazio nei diversi piani.
La casa ad appartamenti Giuliani Frigerio, del 1939-40, fu l’ultimo edificio realizzato da Terragni. Quando egli partì per il fronte, il 5 settembre 1939, la costruzione non era ancora terminata, e da Verona, dove risiedeva nei primi mesi da militare tra il novembre 1939 e il gennaio 1940, inviò disegni e note a Zuccoli.
Fu quindi mandato al fronte in Iugoslavia con il grado di capitano di artiglieria, e da qui, l’11 luglio 1940, destinato al fronte russo. Pur nello svolgimento serio e impegnato da combattente nelle azioni di guerra, rinunciando a volte alla seconda linea che gli competeva come ufficiale, continuò a disegnare progetti: una casa a gradoni, la casa del fascio rionale a Roma, un teatro totale.
L’esperienza bellica lo provò nello spirito e nel fisico. Vide morire molti dei suoi compagni d’armi e anche alcuni dei suoi ideali, come testimoniarono amici e colleghi che si rattristavano nel temere che il talento dell’architetto fosse andato perduto per un pensiero costante che impegnava la sua mente: aver creduto in una guerra che aveva causato troppo gravi perdite (R. Giolli, in Omaggio a Terragni, 1968, p. 238).
Terragni fu rimpatriato nel 1943 per motivi di salute. Il suo ultimo progetto, uno studio per una cattedrale, è di quei giorni bui della sua vita, molto diverso dal progetto per cattedrale in cemento armato che porta la data del 1932, e che presentava in facciata una coppia di torri campanarie astratte, identiche agli elementi verticali paralleli della prima proposta per il monumento ai caduti della Grande Guerra, e un’aula staccata da esse, stretta e lunga, con incorporei contrafforti esterni laterali e conclusione absidata, in continuità con l’aula. Tali scelte si addicono bene alla ricerca compositiva di quegli anni: volumi quasi puri, carattere quasi espressionista. Per l’ultima cattedrale, invece, la tensione figurativa si concentra nella grande vela centrale, morbida e leggera, tesa sul fronte di un volume compatto e grave.
Morì il 19 luglio 1943 pochi mesi dopo il rientro a Como.
Radice e Zuccoli ebbero in più occasioni modo di raccontare che quel giorno, non sentendosi bene, Terragni telefonò alla fidanzata Mariuccia Casartelli, indossò il vecchio soprabito militare, come faceva da quando era tornato dal fronte, e, uscito per cercare di raggiungerla, cadde privo di sensi sulla soglia della casa di lei.
All’opera di Terragni è stato subito riconosciuto un valore altissimo, tanto da ottenere anche in vita e con continuità fino a oggi pubblicazioni ed elogi: da Alberto Sartoris, che pubblicò numerose sue opere nella Encyclopédie de l’architecture nouvelle, del 1949, a Peter Eisenman, che fin dai primi anni Sessanta analizzò e scompose le sue architetture in modo da trarne una lezione semantico-linguistica. La bibliografia, anche su singole opere, è ricchissima e di respiro internazionale, e qui se ne riporta solo una selezione.
Fonti e Bibl.: Il riferimento più completo per gli studiosi è l’Archivio Terragni (www.archivioterragni.it.), dichiarato di eccezionale interesse storico e culturale con i decreti di tutela delle soprintendenze statali.
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