TORELLI, Giuseppe
TORELLI (Torrelli), Giuseppe. – Figlio di Stefano e di Boninsegna Anna Boninsegni, nacque a Verona il 22 aprile 1658.
Sesto di nove figli, ebbe per fratello Felice, minore di nove anni (v. la voce in questo Dizionario). Questi «parve da giovinetto portato dal capriccio al suono e Gioseffo [...] alla pittura, ma riuscendo all’uno ed all’altro stranieri que’ principi, cambiarono partito, applicando Gioseffo al violino, in cui riuscì quel famoso sonatore tanto acclamato dalla Germania e dall’Italia, che gode l’opere sue stampate, e Felice attendendo alla pittura» (Orlandi, 1704, p. 149). È congettura che Giuseppe abbia appreso a suonare il violino dal concittadino Giuliano Massarotti (Brenzoni, 1936, p. 28), mentre è certo che fino all’età adulta visse in famiglia a Verona (pp. 27, 33); il 15 maggio 1676 era violinista in un vespro cantato nella chiesa di S. Stefano e come tale fu al servizio della cattedrale veronese dal 22 agosto 1683 al 17 luglio 1684 (Materassi, 1983, pp. 125, 129, 132, 134).
Il 3 maggio 1684 suonò a Ferrara per la festa della S. Croce, celebrata dalla Compagnia della Morte: tra i musicisti forestieri v’era anche il contralto Francesco Antonio Pistocchi, poi amico intimo e compagno di vicissitudini (Calessi, 1975, p. 40; i due furono ingaggiati per la festa anche l’anno dopo). Il 27 giugno fu aggregato all’Accademia dei Filarmonici di Bologna, nell’ordine dei suonatori, con ventisette voti favorevoli e tre contrari (Verbali Accademia filarmonica, 1, pp. 107-109; fu forse promosso all’ordine dei compositori entro il 1692). A quella data doveva ormai risiedere in città, anche per studiare il contrappunto con Giacomo Antonio Perti, maestro già stimato benché più giovane di tre anni (l’allievo fu annoverato tra quelli «tutti di pianta», ossia formati sin dai primi rudimenti; Bologna, Museo della musica, K.44.1.91.2).
Già nei primi anni di attività compositiva licenziò a stampa numerosi lavori. Nel 1686 le opere I e II: dieci Sonate a tre stromenti con il basso continuo (Bologna, con dedica del 12 aprile al marchese felsineo Antonio Pepoli; ried. Anversa 1695) e Concerto da camera a due violini e basso (dodici sonate; Bologna, con dedica al veronese Giuseppe Zannini; ried. Amsterdam [1703]). Nel 1687 l’opera III: Sinfonie a 2, 3 e 4 istromenti (dodici sonate; Bologna, con dedica del 20 novembre a Ferdinando de’ Medici, granprincipe di Toscana; ried. Anversa 1689). Nel 1688 l’opera IV: Concertino per camera a violino e violoncello (un preludio e undici sonate; Bologna, con incisioni di Carlo Buffagnotti e dedica a Francesco II d’Este, duca di Modena; ried. Amsterdam 1708-1712 circa). Nel 1692 l’opera V: dodici Sinfonie a tre e concerti a quattro (sei sonate, da eseguire a parti reali, alternate con altrettante composizioni ove, con il rinforzo dell’alto-viola, si invita a «moltiplicare tutti gl’instromenti»; Bologna, con dedica del 1° agosto 1692 al principe elettore Giovanni Guglielmo II del Palatinato-Neuburg; ried. Venezia 1698 e Amsterdam 1699-1700 circa). Composizioni sciolte figurano in collettanee coeve: una in Sonate a tre di vari autori, una in Sonate a violino e violoncello di vari autori e due in Sonate per camera a violino e violoncello di vari autori (s.l. e s.d., ma probabilmente Bologna 1690 circa; Cavicchi, 1972, e De Lucca, 2001).
Dopo aver già suonato nella basilica di S. Petronio come aggiunto per le feste patronali del 4 ottobre 1684 e 1685 (Vanscheeuwijck, 2003, p. 265), Torelli presentò alla fabbriceria supplica di assunzione a un posto vacante di suonatore di tenore-viola nella cappella musicale: il 28 settembre 1686 fu eletto all’unanimità (p. 239). Salariato in modo pressoché regolare dal gennaio del 1687 al novembre del 1689, ottenne poi più frequenti licenze per lavorare altrove come violinista: per esempio a Parma, nel 1690 in occasione del matrimonio del principe ereditario Odoardo Farnese con Dorotea Sofia del Palatinato-Neuburg (pp. 240, 266, 275, 286-291), o per suonare nei teatri veneziani durante il Carnevale, come faceva al più tardi da un ingaggio del 1686 al S. Salvatore (lettera di Pistocchi a Perti, da Pratolino, 8 settembre 1703; Bologna, Museo della musica, P.145.45); a Venezia portò spesso con sé il fratello Felice, valido suonatore di violino e viola (G.P. Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina, II, 1739, p. 77), e diede forse lezioni ad Antonio Vivaldi, influendo sulla sua tecnica strumentale e sul suo stile compositivo (Talbot, 2006; Sardelli, 2015). Rimase in servizio in S. Petronio fino al temporaneo scioglimento degli organici, decretato il 3 febbraio 1696 onde ovviare al dissesto economico della fabbriceria (Gambassi, 1987, pp. 30, 151, 153 s.).
Nel contempo si strinse il rapporto di profonda amicizia e complementarità professionale con Perti, chiave di volta per inquadrare competenza, strategia, carriera e poetica di entrambi: come il maestro fu versato nel genere vocale, dal canto d’espressione alla polifonia complessa, così l’allievo lo fu nel genere strumentale, dai nuovi schemi formali al virtuosismo solistico; convenne dunque a ciascuno avvalersi della collaborazione dell’altro, in nome della rispettiva specializzazione, come simultaneamente accadeva a Roma tra un’auctoritas quale Arcangelo Corelli e vari autori di musica perlopiù vocale (Lora, 2012). Perti non perse occasione di divulgare i lavori di Torelli: al proprio maestro Giuseppe Corsi, detto il Celano, che richiedeva sue musiche liturgiche da eseguire a Parma nella basilica di S. Maria della Steccata, egli inviò anche tre sinfonie torelliane, lodate in risposta come «bellissime» (lettera da Parma, 29 dicembre 1687; Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Autogr. VII.30.2); nel riadattare L’amazone corsara di Carlo Pallavicino per il teatro Malvezzi di Bologna, nel Carnevale 1688, lasciò all’amico di comporre e verosimilmente eseguire l’aria Ricercate, o mie speranze, con una moderna parte di violino solo fitta di arpeggi, biscrome e accordi; il 31 maggio successivo, da Bologna, lo raccomandò a Giovanni Battista Giardini, segretario di Francesco II d’Este, come «virtuoso bravo di violino e mio scolaro di contrapunto», desideroso di «presentare a Sua Altezza Serenissima una scielta di sonate in stampa da lui composte e dedicate a Sua Altezza» (l’opera IV) e senz’altro meritevole «d’esser sentito» (Archivio di Stato di Modena, Archivio segreto Estense, Cancelleria, raccolte e miscellanee, Archivio per Materie, Musica e musicisti, b. 1/B, cart. Perti, Giacomo Antonio). Divenuto restio a comporre le sinfonie introduttive per messe, drammi e oratori, la cui avanguardia in fatto di stile e tecnica implicava una specifica valentia, e la cui pratica era reputata marginale per un maestro di cappella affermato, dall’ultimo decennio del secolo Perti contò infine d’abitudine sull’aiuto del più disinvolto collega.
A Torelli vanno ricondotte con sicurezza, per esempio, la sinfonia di una revisione della Missa octo vocibus del 1683 (l’Allegro concorda con il primo movimento di quella catalogata G.31 = A.9.1.6; la numerazione rimanda rispettivamente ai cataloghi di Franz Giegling, 1949, e Francesco Passadore, 2007), una Sonata a 4 trombe con violini (primo, secondo e quarto movimento concordano con secondo, terzo e quarto di quella catalogata G.25 = A.7.1.1) e le sinfonie di Furio Camillo e Nerone fatto cesare (Venezia, teatro di S. Salvatore, Carnevale 1692 e 1693; concordano rispettivamente con G.15 = A.5.1.2 e G.4 = A.2.2.4). Potrebbero a loro volta essergli attribuite le sinfonie di diversi oratori, soprattutto quando negli originali non siano autografo di Perti: per esempio, quelle nella Passione di Cristo e in S. Galgano Guidotti (Bologna 1694) nonché nella Lingua profetica del Taumaturgo di Paola (1700 circa); insolitamente e di certo pertiane sono, per grafia e stile, quelle in Cristo al limbo (Bologna 1698): non sarà un caso la concomitante lontananza di Torelli. A monte delle ipotesi va comunque considerata la reciproca mimesi, che rende spesso inestricabile l’effettiva paternità dei singoli brani. Perti coinvolse forse Torelli anche per pagine vocali, infine, nella citata Passione di Cristo, dichiaratamente composta con «suoi scolari» (Riepe, 1993, pp. 162-165; congetturale è l’attribuzione di arie in Schnoebelen - Vanscheeuwijck, 2001, p. 618).
La separazione delle carriere secondo la specializzazione fu ratificata dagli Statuti ovvero Costituzioni de’ signori Accademici filarmonici di Bologna (Bologna 1721), ove è contemplato il sottordine dei «compositori da sinfonie» (p. 25, cap. VII), gerarchicamente inferiore a quello dei compositori di musica vocale: la particolare esperienza di Torelli è l’origine nobile del provvedimento. In seno all’Accademia stessa, per la festa in onore del patrono, s. Antonio di Padova, celebrata ogni anno con messa e vespro nella chiesa di S. Giovanni in Monte, egli fu incaricato di comporre la sinfonia dopo l’epistola in tutti gli anni dal 1692 al 1698 (O. Penna, Cronologia, pp. 43, 68, 110, 198, 200, 235, 275), indi nel 1700, 1703, 1704 e 1708 (pp. 70, 73, 239, 260), e forse anche nel 1701, 1705 e 1707 (circa il 1701, cfr. i Diari legatizi, cit. in Ricci, 1888, p. 388; O. Penna, Cronologia, p. 327, indica come autore Girolamo Nicolò Laurenti, che però fu promosso compositore solo nel 1710; circa il 1705 e 1707, sono note partiture torelliane composte in quegli anni per l’Accademia: la prima, in frammento, catalogata A.9.1.8, e la seconda catalogata G.29 = A.9.1.4). Torelli esercitò così un monopolio senza precedenti su una parte fissa del programma musicale (il testimone passò poi al menzionato Laurenti, suo allievo); non fu invece mai incaricato di composizioni vocali (sia il Dixit Dominus del 1686 sia il Confitebor del 1702, a lui erroneamente ricondotti in Penna, Cronologia, p. 315, furono in verità affidati a Gaspare Torelli, maestro di cappella nel duomo di Imola; Verbali, 1, p. 143; O. Penna, Catalogo generale).
Mentre la cappella musicale di S. Petronio veniva licenziata quasi per intero, Torelli e Pistocchi trassero profitto dal viaggio che il margravio Giorgio Federico II di Brandeburgo-Ansbach compì in Italia, e in particolare a Venezia, tra l’ottobre del 1695 e il maggio del 1696: entrambi presero servizio alla sua corte, l’uno come maestro di concerto e l’altro come maestro di cappella (nell’orchestra era attivo anche l’allievo Pietro Bettinozzi, violinista, che in Germania imparò a suonare inoltre oboe, flauto e fagotto: è per tramite suo e del maestro che l’uso di tali strumenti fu poi instaurato a Bologna; altri allievi ad Ansbach furono Johann Hermann Köhler e Johann Georg Pisendel; Köpp, 2005, pp. 50-58). Lungi dal trovarsi confinati nel feudo, i due neoassunti intrapresero più di un lungo viaggio, soprattutto durante le assenze del principe. Dal maggio del 1697 furono ospiti, a Berlino, di Sofia Carlotta di Brunswick-Lüneburg, elettrice di Brandeburgo e futura regina in Prussia; al soggiorno si lega la pubblicazione dell’opera VI: dodici Concerti musicali (Augusta 1698, con dedica alla musicofila sovrana; ried. Amsterdam [1698] e Venezia 1701). Lasciata Berlino forse già alla fine di settembre, tra gli ultimi mesi dell’anno e i primi del successivo Torelli era ad Amsterdam: se ne ha traccia negli scritti poetici di Cornelis Sweerts che, dopo averlo ascoltato sul suolo olandese, lo elogiò come primo tra i violinisti italiani e lo comparò a Orfeo; al soggiorno si lega, a sua volta, la stampa dell’opera VII, oggi dispersa ma consistente in Capricci musicali per camera a violino e viola overo arcileuto (Amsterdam [1698], con dedica a un tale Giacomo des Obry; la notizia è in J.G. Walther, Musicalisches Lexikon..., 1732).
Non si sa se Torelli sia stato accompagnato o raggiunto ad Amsterdam da Pistocchi, né se fosse con lui a Torino e Venezia tra l’autunno del 1698 e il successivo Carnevale. Sul finire del 1699 i due passarono però insieme da Ansbach a Vienna, alla corte di Leopoldo I d’Asburgo: mentre l’imperatore ammirava Pistocchi per le sue abilità compositive, anche Torelli prese coraggio di approntare un lavoro vocale di ampio respiro. Si trattò dell’oratorio L’Adamo scacciato dal paradiso terrestre, eseguito durante la quaresima del 1700 nella cappella cesarea (libretto di Tomaso Astolfi, partitura dispersa): a Perti ne riferirono sia l’autore (lettera da Vienna, 17 febbraio 1700: «Dio voglia che riuscisca bene, ché per me ho fatto quello che ho potuto»; Bologna, Museo della musica, P.145.9), sia un Pistocchi entusiasta (lettera da Vienna, 27 marzo 1700: l’oratorio «piaque universalmente a tutti tutti, per esser vago come una primavera, virtuosamente scritto poi, ed insieme così modesto e divoto, che non mi ricordo mai di aver cantato cosa con maggior piacere, e certo che non fa torto al ma[e]stro»; P.143.54). Nelle lettere a Perti i due sognavano nondimeno il ritorno a casa; Torelli scriveva: «quando partirò di Vienna, verrò a Bologna volendo andar a Loretto per voto fatto, e poi quest’estate voglio andar a bever le acque di S. Marino, così consigliato da’ medici qui per la mia maledetta ippocondria e melanconia, che abenché io abbi una ciera da prencipe mi tormenta molto» (da Vienna, 24 marzo 1700; P.146.157); dal canto suo, Pistocchi auspicava di essere presto «sbrigati da questo eterno Imperatore» (da Vienna, 14 aprile 1700; P.146.187). In maggio poterono infine lasciare la capitale asburgica e rientrare ad Ansbach (Torelli con un «regalo» di 1000 talleri; lettera di Pistocchi a Perti, da Vienna, 5 maggio 1700; P.143.1). In settembre ebbero licenza di tornare per qualche tempo in Italia: l’avvento della guerra di successione spagnola, del resto, distoglieva il margravio da questioni musicali.
Il 25 febbraio 1701 furono incorporati nella ristabilita cappella di S. Petronio, sotto il magistero di Perti, e collocati alla testa del coro e dell’orchestra, ben pagati per singola funzione e con posizione semipermanente (Vanscheeuwijck, 2003, pp. 241 s.): ciò era dovuto non solo alla loro fama, cui giovava un legame non esclusivo, ma anche al trovarsi formalmente ancora al servizio del margravio (solo la sua prematura morte in battaglia, il 29 marzo 1703, svincolò di fatto gli artisti della corte). In settembre Perti diede alle scene della villa medicea di Pratolino l’opera Astianatte: la sinfonia, attribuita a Torelli, è tutto quanto resta delle sue sei opere composte per Ferdinando de’ Medici. Nel Carnevale 1702 il violinista era ingaggiato a Genova, verosimilmente per la stagione al teatro del Falcone (lettera di Pistocchi a Perti, da Milano, 21 dicembre 1701; Bologna, Museo della Musica, P.143.23; da lì, 8 marzo 1702, il cantante alludeva al ritorno dell’amico dalla capitale ligure e alla sua incorreggibile taccagneria, tale da procurargli «un viaggio disastroso assai, solo per sparagnare una dobla o due»: P.143.71). Scritturato a Pratolino nel 1703, da lì, il 25 agosto, Pistocchi pregava Perti di sollecitare Torelli a inviargli due sonate con tromba e l’edizione dell’opera VI per farne dono a un «povero galantuomo» (K.44.1.108). Dal 1704 circa il violinista perfezionò nello strumento Francesco Manfredini e insegnò nel contempo a Lorenzo Gaetano Zavateri; lo stesso anno era tra gli esecutori di spicco dell’oratorio La sepoltura di Cristo e all’inizio del successivo tra quelli della serenata Venere, Giunone, Minerva, partiture pertiane cui diede probabilmente l’abituale contributo. Il 1° luglio 1706, già incaricato dal principe dei Filarmonici, «pubblicamente avvisò di non potere comporre la suonata» e che «anzi ne meno sarebbe stato in Bologna per la festa, essendo necessitato dalle sue indisposizioni a portarsi a prender l’acque de’ Bagni» (Verbali, 2, c. 10r); lo stesso anno un suo lavoro fu incluso in una collettanea di sonate a tre: Corona di dodici fiori armonici tessuta da altretanti ingegni sonori (Bologna; vi figurano anche Bettinozzi, Laurenti e Manfredini). Nel 1707 fornì a Perti la sinfonia con trombe e oboi per il grandioso mottetto Cessate, mortis funera, eseguito il 14 agosto a Firenze, nel santuario della SS. Annunziata, per il genetliaco di Cosimo III de’ Medici, granduca di Toscana (Lora, 2011, p. VII, e 2012).
Morì a Bologna l’8 febbraio 1709 e «sepolto fu alla sua Compagnia dell’Angelo custode» (Penna, Cronologia, p. 246). Lo stesso anno il fratello Felice condusse in porto la pubblicazione, postuma, dell’opera VIII cui il compositore stava attendendo: dodici Concerti grossi con una pastorale per il santissimo Natale (Bologna, con dedica del curatore al musicofilo marchese romano Stefano Alli Maccarani, e una nota dell’autore stesso al lettore); i concerti grossi di Torelli, più moderni di quelli di Corelli, contemplano il superamento del concertino esemplato sull’organico e sulla dialettica della sonata a tre: dismesso il concorso del violoncello obbligato, i primi sei sono infatti «con due Violini, che concertano soli», gli altri direttamente «con un Violino che concerta solo»).
Circa duecento composizioni di Torelli sono documentate e in ampia parte tramandate. Al parziale ma tuttora corrente catalogo di Giegling si è più di recente affiancato quello di Passadore, sovrabbondante nell’includere lavori spuri (per esempio il Concerto RV 813 di Vivaldi; Sardelli, 2018) o difettivo nel districare le collaborazioni (l’attenzione rivolta a qualche lavoro pertiano, per esempio, reca attribuzioni non sempre persuasive e comprovate). Il nucleo più cospicuo di fonti manoscritte è oggi nell’Archivio musicale di S. Petronio, lì confluito dalla biblioteca personale di Perti: vi spicca la celebre trentina di sinfonie con una, due o quattro trombe, destinate tanto alla chiesa quanto al teatro o alla camera. Nelle composizioni inedite, inoltre, la scrittura solistica per violino attinge spesso picchi di virtuosismo cautamente evitati in quelle stampate: lo si osserva, per esempio, in quelle copiate da Pisendel e conservate – altro rilevante nucleo – nella Landesbibliothek di Dresda. A fronte della produzione strumentale, sterminata, quella vocale ammonta a poche unità. Un ritratto di Torelli, forse realizzato dalla cognata Lucia Casalini, moglie di Felice, è oggi nel Museo della musica di Bologna.
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